Della storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni/Libro quarto/18. Liutprando. Le prime cittá, i primi papi indipendenti

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18. Liutprando. Le prime cittá, i primi papi indipendenti

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18. Liutprando. Le prime cittá, i primi papi indipendenti
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[p. 120 modifica]18. Liutprando. Le prime cittá, i primi papi indipendenti [712-744]. — Liutprando fu, dice Paolo, «uomo pio, sagace, amator di pace, potente in guerra, clemente, casto, limosiniere, buon parlatore, legislatore, e benché illiterato, da eguagliarsi ai filosofi». Noi diremo che fu il men dappoco o il piú approssimantesi a grandezza fra’ re longobardi, dopo Agilulfo e Teodelinda. Ma, molto piú che i fatti propri, son notevoli i tempi di Liutprando. Perciocché non fu notato abbastanza, ma allor furono incontrastabilmente, e le prime cittá indipendenti (non meno indipendenti che i comuni di quattro secoli dopo), e le prime e troppo di rado imitate confederazioni di esse, e i primi papi temporalmente indipendenti e signoreggianti; ma allor pure, novitá che rovinò quasi tutte l’altre, il primo ricorso di essi i papi ai franchi. E quindi io non saprei dire qual periodo di storia italiana meriti piú d’essere trattato distesamente, espressamente; quale perciò mi peni piú d’aver a restringere, troppo inadeguatamente. Gli imperatori greci, che poco duolci non aver luogo di nominare, s’erano succeduti peggiorando, s’erano lasciati spogliar da’ persiani dapprima e da’ maomettani poi (religione e potenza nuova sorta, come ognun sa, nel settimo secolo), di mezzo il loro territorio asiatico e di tutto l’africano. In Italia essi e gli esarchi avean giá piú volte conteso co’ papi. E cosí tra tali contese s’eran venute sollevando Roma, Ravenna e parecchie altre cittá; s’eran piú volte nominati lor duchi, senza aspettarli di Costantinopoli (cosí Venezia tra il 713 e 716); e giá aveano se non mutati i magistrati propri, almeno aggiuntivi i maestri di militi, e schiere (scholae) di militi propri, che è piú importante; e giá dal secolo precedente o dal principio di questo ottavo, il nome nuovo di Pentapoli preso da cinque cittá, che si credono Ancona, [p. 121 modifica] Umana, Pesaro, Fano e Rimini, sembra accennare una prima confederazione di esse; e giá i papi eran venuti crescendo tra tutto questo. — Finalmente, tutto ciò scoppiò a ribellioni aperte, a mutazioni grandi nel 726. Era imperatore Leone isauro, un barbaro, non solamente caduto, a modo solito di quella corte, nell’eresie, ma inventor esso di una nuova, contro alle imagini, detta perciò «iconoclastia». Per questa minacciò, perseguitò il papa. Il quale si trovò essere un gran papa, gran principe, Gregorio II [715-731]; il quale troppo trascurato dagli storici, non resterá tale per certo, quando Italia indipendente cerchi e glorifichi tutti i periodi, tutti gli eroi di sue indipendenze. Egli forte pontefice, resistette cattolicamente all’imperator eretico; egli gran vescovo, gran cittadino, raccolse apertamente intorno a sé i romani di Roma; egli grande italiano raccolse pur gli altri italiani antichi, li difese, ne fu difeso dalla tirannia dell’eretico imperatore; egli, come tutti coloro che sollevan popoli non a propria ambizione ma a difesa comune e giusta, non rinnegò il nome, il diritto del signore legittimo o legale, ma gli rinnegò l’obbedienza in ciò che era pur diritto proprio e del popolo suo; egli limitò la rivoluzione a giusta resistenza, egli l’adattò alle tendenze, alle condizioni del tempo suo; ed egli non inventò forse ma si serví delle giá inventate confederazioni, le accrebbe, le condusse, le fece efficaci, vittoriose. Primo de’ papi s’alleò co’ longobardi contro a’ greci, primo fu di fatto principe indipendente; e fece tutto ciò in cinque anni dal 726 al 731. — E ciò fu continuato dal successore ed omonimo di lui, Gregorio III, dal 731 al 743. Se non che, piú sovente che non il predecessore, guastatosi co’ longobardi, e pressato tra questi e i greci, e men che il predecessore confidando forse nelle cittá, nella nazione italiana, egli primo fece quella chiamata dei franchi, che fu rinnovata poi da’ successori. E queste chiamate sono condannate universalmente ora nella storia, nell’opinione italiana. Né senza ragione, se si guardi ai tristi e lunghi effetti che ne vennero. Tuttavia io non saprei se non sia lecito, se non debito forse a un uomo posto a capo d’una nazione, difendere l’indipendenza propria e [p. 122 modifica] di quella nazione, difenderne l’acquisto recente e dubbio ancora, chiamando contro agli stranieri prementi altri stranieri che paiano meno pericolosi. Perciocché io non so fino a qual punto sia lecito ai reggitori sagrificare i pericoli certi de’ popoli presenti agli incerti de’ popoli futuri, né fino a qual punto sia da apporsi a tali reggitori il futuro mal preveduto. Ad ogni modo, se resta colpa apponibile a que’ nostri antichi, ella non può apporsi certo da que’ moderni, grandi o popolani, governanti o governati, i quali caddero nella medesima, fecero simili chiamate, e si lagnarono che non fossero esaudite. Quanto al risultato poi, un’opinione la quale vituperasse in ogni caso queste chiamate di stranieri contra stranieri, sarebbe certo opinione molto imprudente, molto impolitica, molto improvida per li casi futuri. — La chiamata di Gregorio III fu fatta a Carlo Martello, il maggiore di que’ maggiordomi o pfalz-graf, o capi di gasindi, che eran venuti crescendo presso ai re franchi «fa nulla»; a Carlo Martello, che colle vittorie sui propri emuli, su’ grandi ribelli del regno, e principalmente sugli stranieri maomettani, vinti in gran battaglia a Poitiers l’anno 732, s’era acquistato nome e potenza di capo della nazione franca, e quasi della cristianitá. A tal uomo fu almeno men brutto ricorrere; e cosí bastò l’autorita di lui su’ longobardi alleati suoi, a salvar il papa e le cittá italiane. E cosí, e l’uno e l’altre eran rimaste, od anzi cresciute nell’indipendenza, quando morirono Gregorio III, Leone iconoclasta e Carlo Martello nel 741, e Liutprando nel 744. Del quale, non aggiugneremo altro, se non che, or alleato, or nemico de’ papi e delle cittá, e de’ greci e de’ propri duchi, egli prese una volta Ravenna, toltagli in breve da’ veneziani sudditi greci fedeli quella volta; e prese parecchie altre cittá, fra cui Sutri che donò a San Pietro e San Paolo, cioè alla mensa di Roma, cioè al papa, primo esempio di tali donazioni. E resta dubbio se serbasse l’altre e cosí accrescesse definitamente il regno. Ad ogni modo, avendo egli, fin che le tenne, trattatele meno alla barbara, e non ispogliati questi nuovi sudditi suoi, diventa certo dopo lui ciò che era dubbio prima di lui: che questi romani possedetter terre, furono territorialmente [p. 123 modifica] liberi nel regno longobardo. Apparisce chiaro dalle numerose leggi lasciate da Liutprando.