Della storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni/Libro sesto/10. Continua

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[p. 202 modifica]10. Continua. — E come a paese domato ridiscese per la terza volta [fine 1163] con gran corte e poche armi. Successero nuovi atti di servitú, d’invidie italiane. Pavia domandò di atterrare la riedificata Tortona, e l’ottenne e l’adempiè. Genova e Pisa, poc’anzi pacificate per forza dall’imperatore, conteser di nuovo per la Sardegna; e Federigo concedettela con titolo di re a un Barisone, che rimase poi parecchi anni prigione, per debiti, de’ genovesi. Ma col 1164 incominciano i begli anni di questa bella guerra, gli anni delle confederazioni e della meritata fortuna. Que’ podestá che erano stati posti dall’imperatore nelle cittá nemiche ed anche nelle amiche, tiranneggiavano le une e le altre; e dove non erano podestá nuovi, bastavano a ciò gli antichi diritti imperiali, dismessi a lungo, or rivendicati dopo la vittoria. Che anzi queste tirannie intollerabili a tutte, erano tanto piú a quelle cittá che non entrate fino allora nella guerra, non avevano a soffrirle come vendette o castighi. Sollevaronsi e diedero il primo esempio d’una lega quattro cittá orientali che se ne daran vanto un dí, Verona, Vicenza, Padova, e Treviso; alle quali s’aggiunse Venezia la forte, la savia, che aiutata da sua situazione, e costante sotto a sua antica aristocrazia e [p. 203 modifica]a’ suoi antichi duci o dogi, aveva sola saputa accrescere, compiere, mantener sua indipendenza, ed or temeva per essa e vi provedeva bene cosí. Federigo, privo di tedeschi, adunò gl’italiani fedeli suoi, signori feudali e milizie di cittá, e mosse contro a Verona; ma s’accorse d’essere oramai malveduto, e indietreggiò e risalí a Germania, minacciando il ritorno. Se non che fu trattenuto colá due anni e piú, dalla contesa che avea con Francia ed Inghilterra per li suoi antipapi (Vittore, poi Pasquale), e da quell’altra, or risorta, di sua casa Ghibellina contro alla Guelfa. — Intanto se n’avvantaggiava tra noi la parte non chiamata ancora ma giá simile, giá anti-ghibellina, anti-imperiale. Papa Alessandro, rifuggito in Francia, era stato richiamato, e tornò a Roma [1165] aiutato dal re di Puglia Guglielmo I; a cui [1166] succedette Guglielmo II detto «il buono», contrario naturalmente, come tutti i predecessori, agli imperatori. — Finalmente [1166] fece Federigo la sua quarta discesa per Val Camonica e Brescia, impedito che gli era il passo solito del Tirolo dalla lega veronese. Dicesi avesse un forte esercito; ed io crederei che fosse veramente forte di tedeschi come i precedenti; ma che quelle centinaia di migliaia che si contavano in quelli fossero d’italiani aggiuntisi loro allora, e non aggiuntisi ora, e che cosí in tutto rimanesse povero l’esercito imperiale. Cosí è: quando gli stranieri non troveranno piú cattivi italiani in Italia, essi, contandosi, si troveran sempre pochi. Il fatto sta, che Federigo non assalí una cittá in Lombardia, perdette sei mesi intorno a Bologna, scese contro ad Ancona, la quale per resistergli s’era alleata o forse data all’imperatore orientale e n’avea un presidio greco. Ma Ancona si riscattò con danari, e Federigo s’avanzò contra Roma e papa Alessandro; sforzò la cittá leonina, assalí ma non poté sforzare il Colosseo dove il papa s’era rinchiuso, ed onde poi egli si salvò a Benevento. Allora Roma diedesi a’ tedeschi; ma questi furono tra breve invasi, morti molti, spaventati i superstiti dalle febbri endemiche; ondeché si ritrasse Federigo per Toscana, e fu quasi fermato dalla cittaduzza di Pontremoli, e salvo dal marchese Malaspina che il condusse a Pavia. E intanto, in aprile 1167, [p. 204 modifica]s’erano adunati al monastero di Pontida i deputati di Cremona, Bergamo, Brescia, Mantova e Ferrara, una prima lega lombarda simile alla veronese. Poi, al dí immortale del primo decembre del medesimo 1167 (pur troppo non è segnato il luogo in quel diploma, serbatoci dal buon Muratori1, che è certo il piú bello della storia d’Italia), si riunirono le due leghe veronese e lombarda; Venezia, Verona, Vicenza, Padova, Treviso, Ferrara, Brescia, Bergamo, Cremona, Milano, Lodi, Piacenza, Parma, Modena e Bologna, quindici cittá i cui nomi resteranno, checché succeda, santi sempre all’Italia, in una lega sola, o come porta il magnifico atto, in una «Concordia». Giurarono difendersi, tenersi indenni reciprocamente contro chiunque (non escluso l’imperatore) li volesse astringere ad altro che ciò che aveano fatto dal tempo d’Arrigo (certo il quinto) fino alla prima discesa di Federigo. E qui vedesi che molte cittá, dapprima imperiali, s’eran giá riunite alla causa comune; e giá entrar a paro dell’altre Milano, testé riedificata in mirabile modo, a gran concorso delle cittá concordi. E cosí, spoglio oramai d’alleati, Federigo fuggí di Pavia alla primavera dell’anno seguente 1168 con una trentina di tedeschi ed alcuni statichi nostri. I quali poi, mentre passava per Susa a Moncenisio, gli furon tolti di mano da quell’ultima nostra cittaduzza. Dicesi ne facesse impiccar uno, e ciò sollevasse que’ generosi borghigiani.

Note

  1. Ant. Ital., iv, p. 262.