Di alcune monete di Scio

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Francesco Gnecchi/Ercole Gnecchi

1888 Indice:Rivista italiana di numismatica 1888.djvu Rivista italiana di numismatica 1888

Di alcune monete inedite e sconosciute della zecca di Scio Intestazione 9 dicembre 2017 100% Numismatica

Questo testo fa parte della rivista Rivista italiana di numismatica 1888

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DI ALCUNE MONETE INEDITE E SCONOSCIUTE


DELLA


ZECCA DI SCIO




Nel marzo dello scorso anno 1887 un villano, arando un campo presso Siderunda, piccolo villaggio a sette ore dalla città di Scio, urtava coll’aratro in un’urna di terra, la quale si rompeva, mettendo allo scoperto un tesoretto di monete d’argento. Ciò avveniva nelle vicinanze di una vecchia muraglia, indizio di qualche palazzo o castello che anticamente vi sorgeva.

Rade volte avvenne di trovare in così piccolo ripostiglio tanta messe di materiali nuovi e interessanti per la numismatica. Gli è quindi con gran piacere che abbiamo stesa la descrizione e una breve illustrazione delle nuove monete apparse, monete di tale importanza e di tipo così nuovo, che al loro primo apparire lasciarono perplessi parecchi numismatici perfino sulla loro autenticità. Pure, se un certo riserbo e una certa prudenza sono più che naturali in simili casi, crediamo che oggi qualunque dubbio debba esser messo da parte, considerando prima di tutto il tipo delle monete stesse, che per un occhio pratico è la guida più sicura, poi la grande varietà di conii1. [p. 2 modifica] Fra tutte le monete di questo ripostiglio non ne abbiamo trovate due che appajano prodotte da un medesimo conio, e un falsario non vi avrebbe certo trovato il suo tornaconto, principalmente ai prezzi esigui a cui tali monete furono vendute originariamente. Le reiterate dimande successive degli amatori e gli alti prezzi a cui salirono in seguito ne avrebbero poi indubbiamente promossa la fabbricazione, se tali monete fossero il prodotto di conio moderno.

Il ripostiglio non giunse fino a noi intatto; pure dalle monete avute e dalle diverse informazioni assunte possiamo darne, se non con assoluta certezza, almeno con moltissima approssimazione il contenuto.

Ecco la distinta delle monete:

Rodi. — Elione de Villeneuve (1319-1346) Gigliati N. 9
» » »
Aspri » 4
Carpentrasso. — Giovanni XXII (1316-1344) Grossi » 3
Napoli. — Roberto d’Angiò (1309-1343) Gigliati » 80
Venezia. — Francesco Dandolo (1328-1339) Matapani » 40
» — Bart.° Gradenigo (1339-1342) » » 35
Scio. — Paleologo e Benedetto II Zaccaria (1310-1313) » » 1
» — Martino Zaccaria solo (1315-1329) » » 2
» — Galeazzo Maria Sforza (1466-1476) Grossi o Gigliati » 6
» — Maona — Anonime (secolo XV)
» »
» 4
» — Maona — Dogi anonimi (secolo XV)
» »
» 5
» — Lodovico XII re di Francia (1500-1512)
» »
» 5
Totale N. 194

Lasciando da parte le monete di Rodi, Carpentrasso, Napoli e Venezia, che non offrono nulla di speciale o di differente da quelle già ripetutamente pubblicate, limiteremo le nostre osservazioni alle monete della zecca di Scio, a cui appartengono quelle nuove e sconosciute sia pel loro tipo, sia anche pei nomi che portano.

La zecca di Scio sotto la dominazione genovese [p. 3 modifica]lavorò interrottamente per lo spazio di due secoli e mezzo, cioè dal 1301, quando l’ammiraglio genovese Benedetto I Zaccaria si impadronì dell’isola colla forza, sino al 1666, quando l’isola fu conquistata dai Turchi.

Non si conosce finora alcuna moneta di Benedetto I Zaccaria, né del figlio Paleologo; se ne conoscono però alcune degli abbiatici Martino e Benedetto II, che batterono moneta di loro propria autorità dal 1314 al 1329, nel quale anno cessa il dominio degli Zaccaria, e l'isola è occupata dai Greci.

Nel 1347 succede nell’isola una nuova invasione. Una società di armatori genovesi se ne impadronisce, ma questa volta in nome della madre patria. Genova anzi accorda a questa società, che venne poi chiamata Maona, il pieno possesso dell’isola sotto speciali condizioni, e a patto di riconoscere l’alta sua sovranità. La Maona ebbe quindi anche il privilegio di battere moneta, purchè su questa figurassero sempre le leggende delle monete genovesi dvx ianvensivm e conradvs rex r. Essa usò quindi di questo diritto interpolatamente, ma anche durante l’avvicendarsi delle varie dominazioni dei Visconti, degli Sforza e dei re di Francia su Genova, e ciò fino al 1566.

Le monete di Scio battute durante il possesso della Maona si possono distinguere in quattro classi:

A) Monete dei Dogi anonimi.

B) Monete coi nomi dei Dogi Tommaso Campofregoso (1415-1439), Raffaele Adorno (1443-1447), Pietro Campofregoso (1450-1458) o de’ principi che furono padroni di Genova.

C) Monete veramente anonime colla sola indicazione civitas chii e conradvs rex romanorum.

D) Monete anonime coll’anno o l’iniziale dei Podestà [p. 4 modifica]dell’isola. il che permette di stabilirne in parte l’anno della coniatura, e che abbracciano l’epoca dal 1483 al 1562.

Stabilite così le serie di monete che si conoscono come battute in Scio durante il dominio dei Genovesi, veniamo ora alla descrizione delle monete di quell’officina, contenute nel ripostiglio di Siderunda e non descritte da altri autori, monete ora conservate, parte nella Raccolta del Conte Papadopoli a Venezia e parte nella nostra.


PALEOLOGO E BENEDETTO ZACCARIA.

(1310-1313).


1. Matapane (gr. 1,870).

D: — P & B • Z SVI IPII S • SIDOR SYI

(Paleologus et Benedictus Zacharia Sii Vicarii imperatoris Sanctus Isidorus Sii).

Nel campo due figure in piedi di fronte; a destra Santo Isidoro, a sinistra Paleologo. Essi tengono l’asta di un vessillo, lungo la quale la leggenda DVX.

R: — Il Redentore sedente in cattedra con un volume sulle ginocchia; ai lati del capo i monogrammi IC XC.

Arg. (Tav. I, N. 1).


Il tipo di questa moneta e della seguente è precisamente quello del matapane veneto, ma più rozzo, come erano tutti quelli coniati nel Levante. Ciò che lo rende importante è il P, che si legge chiaramente sul nostro esemplare in principio della leggenda del dritto, lettera che non può confondersi con alcun’altra. Questa iniziale, dopo aver ben considerato, ci pare non possa riferirsi ad altri che a Paleologo Zaccaria padre di Martino e Benedetto II. Egli infatti tenne per qualche anno il possesso dell’isola ed è probabile che vi abbia battuto moneta col suo nome, associandovi quello del figlio Benedetto II. Il [p. 5 modifica]caso non è nuovo nella storia monetaria italiana, e possiamo citare Ugo e Lotario II, Berengario II e Adalberto, Ottone I e II, re d’Italia, Tancredi e Ruggiero, Enrico VI e Federico II, re di Sicilia, ecc. ecc., che associarono sulle monete i loro nomi. Questa ci pare la interpretazione più ovvia, e noi ne proponiamo l’accettazione ai numismatici, ben lieti se alcuno di essi vorrà ritornare sulla quistione o convalidando la nostra attribuzione, o contrapponendovene una migliore.

Se alcuno poi osservasse che le iniziali P e B potrebbero egualmente riferirsi a Paleologo ed a suo padre Benedetto I, noi, dal canto nostro opporremmo che questa seconda ipotesi ci sembra molto più arrischiata della prima, dacché questa moneta porterebbe come prima iniziale quella del figlio, il che urterebbe contro tutte le consuetudini antiche e moderne. Fu sempre uso generale e costante, tanto nelle monete antiche, quanto nelle moderne, che portano il nome del padre e del figlio di mettere per primo quello del padre.

Quanto poi all’epoca, in cui questo matapane potè essere battuto, essa deve oscillare fra l’anno 1310, in cui si crede morisse il padre del Paleologo, Benedetto I, e il 1313, epoca certa della morte del Paleologo.


MARTINO ZACCARIA.

(1315-1329).


2. Matapane (gr. 1,900).

D: — M • ZAH • SV IRATOI S • ISIDOR SYI

(Martinus Zacharia Sii Vicarius imperatoris — Sanctus Isidorus Sii).

Nel campo due figure in piedi di fronte; a destra Santo [p. 6 modifica]

Isidoro, a sinistra Martino. Essi tengono l’asta di un vessillo, lungo la quale la leggenda dvx.
R: — Il Redentore sedente in cattedra con un volume sulle ginocchia; ai lati del capo i monogrammi IC CX.

Arg. (Tav. I, N. 2).


Il peso di questi due matapani sta fra i gr. 1,870 e 1,900; sono dunque inferiori a quelli dei contemporanei matapani veneti, del peso di 2 grammi, come crediamo ne sia inferiore il titolo, quantunque appaiano di buon argento.


GALEAZZO MARIA SFORZA.

(1466-1476).


3. Grosso o gigliato (gr. 3,300).

D : – Croce GALIAZ * MA * SFO * D * IANVE *

Busto di fronte del duca Galeazzo Maria Sforza a mezza figura col berretto e lo scettro terminato da una pigna.

R: – Croce CONRAD * R * R * CIVITAS * CHI *

Nel campo lo stemma dei Giustiniani, ossia il Castello colle tre torri, sormontato dall’aquila coronata.

Arg. (Tav. I, N. 3).


4. Grosso c. s. (gr. 3,300).

Variante del precedente colle lettere VE di IANVE in monogramma, e senza l’ultima stelletta nella leggenda del dritto.

Arg. (Tav. I, N. 4).


5. Grosso c. s.

Altra variante del N. 3 con GALIAS nel dritto.


6. Grosso c. s. (gr. 3,300).

D: — Croce GALEAZ • M • SFORZA • D • IANE •

Busto come nei precedenti.

R : — Croce CONRAD • R • ROMANR • (nr in monogramma) C • CHII •

Castello c. s.

Arg. (Tav. I, N. 5).


[p. 7 modifica]7. Grosso c. s. (gr. 3,300).

D: — Croce GALEAZ • M • SFORZA • D • IANVE • Busto c. s., ma lo scettro è terminato da un giglio.

R: — Croce CONRAD • R • ROMANOR (nr in monogramma e l’o piccolo al disopra) C • CHII •

Castello c. s.

Arg. (Tav. I, N. 6).


Finora non si conoscevano che due monetine di Galeazzo Maria Sforza coniate a Scio. Una fu pubblicata dal Promis (La Zecca di Scio durante il dominio dei Genovesi. Torino, 1865; pag. 60 e Tav. III, n. 37); l’altro dallo Schlumberger (Numismatique de l’Orient latin. Parigi, 1878; pag. 427 e Tav. XV, n. 2). Il Lambros poi, riassumendo queste due monete nella sua recente opera sulla zecca di Scio (Μεσαιωνικα νομισματα των δυναστων της Χιου–Εν Αθηναις, 1886), non ne trovò alcun’altra da aggiungervi.

Questi sei grossi dello Sforza sono di tipo affatto sconosciuto, e presentano varii caratteri che è necessario rilevare. Anzitutto vi vediamo l’intero busto del duca, cosa affatto nuova nelle monete di questa zecca. La testa è coperta da un berretto presso a poco come quello che vediamo su di alcune monete d’oro e d’argento di Gio. Gal. Maria Sforza battute a Milano. Altra particolarità singolare si è lo scettro o bastone di comando che il duca tiene nella destra. Tale scettro è per lo più terminato da una pigna, e, in un esemplare, da un fiore somigliante ad un giglio. Le monete italiane di quell’epoca, che portano effigie di principi, non hanno mai tale emblema. Lo vediamo però un secolo più tardi in alcuni talleri e frazioni di tallero di alcuni principi di Correggio, di Desana, Firenze, Mantova, Messerano, Tassarolo, ecc., e più sovente sopra monete coniate pel [p. 8 modifica]Levante e per l’estero in genere. Così, per esempio, Cesare d’Este Duca di Modena si fece effigiare colla corona e lo scettro sopra due talleri coniati appunto pel Levante. Pare che questi principi adottassero tali emblemi sulle monete destinate al Levante per accrescere colà la loro autorità ed uguagliarsi in certo modo ai legittimi sovrani, che stampavano sulle monete le loro effigie adorne di quel segno di alta sovranità. È probabile che per lo stesso motivo Galeazzo Maria Sforza si sia fregiato dello scettro nelle monete coniate in Scio, mentre evitò sempre di riprodurlo sulle sue monete coniate a Milano, gran parte delle quali portano il suo ritratto.

Nel rovescio di questi grossi vediamo il solito castello colle tre torri e sopra queste l’aquila coronata2. Lo Schlumberger nell’opera citata, parlando delle monete di Scio che portano tale emblema, dice che queste devono essere posteriori alla dominazione di Gal. Maria Sforza, perchè sulle sue due monete conosciute l’aquila non figura. Ora è provato dalla comparsa di questi grossi che tale emblema, risale almeno all’epoca dello Sforza. Il peso di questi sei grossi di Gal. Maria Sforza è di gr. 3,300, e corrisponde perfettamente a quelli de’ suoi grossi battuti a Genova; il titolo pare di eguale bontà e probabilmente furono battuti colla stessa legge, e forse in Genova stessa, come accenneremo più avanti.

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MAONA-ANONIME.

(Sec. XV).


8. Grosso o gigliato (gr. 3,200).

D: – Croce : CIVITAS : Rosetta : CHII.

Castello colle tre torri, sormontato dall’aquila coronata.

R: — Croce : CONRADVS : REX • R

Nel campo Croce.

Arg. (Tav. I]], N. 7).


9. Grosso c. s. (gr. 3,200).

D: — Croce : CIVITAS : Rosetta : CHII :

Castello come nel precedente.

R: — Croce : CONRADVS : REX • R :

Nel campo Croce.

Arg. (Tav. I]], N. 8).


Questi due grossi non sono che due varianti di quelli pubblicati dal Promis, dal Lambros e dallo Schlumberger nelle loro opere citate.

Il loro peso è approssimativamente quello dei due grossi simili citati dal Promis (op. cit.) alle pagine 47 e 48, e riportati alla Tav. III n. 29 e 31, e il loro titolo probabilmente della stessa bontà.

Per le ragioni quindi citate del Promis, questi grossi assai verosimilmente furono coniati dalla Maona colle identiche norme dei contemporanei grossi di Genova, cioè corrispondenti perfettamente a quelli in peso e titolo, acciocchè quelle monete di Scio potessero aver facilmente corso nella madre patria e fossero rese più facili le contrattazioni e gli scambi fra i Genovesi e gli Sciotti. Questi due grossi poi, come quelli di Gal. M. Sforza or ora citati, sono per tipo e per arte assai migliori di tutte le altre monete di Scio, le quali presentano costantemente la rozzezza delle monete battute nel Levante. Essi potrebbero [p. 10 modifica]quindi essere stati coniati nella zecca stessa di Genova, o almeno può darsi che i suoi conii fossero apprestati da un bravo artista di quella zecca.


MAONA ― DOGI ANONIMI.

(Sec. XV).


10. Grosso o gigliato (gr. 3,545).

D: — Croce * • DVX • * IANVENSIVM • *

Il doge seduto di fronte a capo scoperto e colla spada nella destra.

R: – Croce : CONRAD • R • ROMANOR • C • C •

Castello colle tre torri, sormontato dall’aquila coronata; dietro questa una Croce.

Arg. (Tav. I, N. 9).


11. Grosso c. s. (gr. 3,550).

D: — Come il precedente.

Il doge seduto di fronte col berretto e la spada nella destra.

R: - Croce : CONRAD • R • ROMANOR • C • CHII •

Castello c. s.

Arg. (Tav. I, N. 10).


Questi due grossi pure sono singolari e affatto sconosciuti, sia per la leggenda dvx ianvensivm che non vedemmo mai usata, eccetto che pei gigliati e i tornesi, sia per l’immagine intera del Doge, che non figura in alcuno dei grossi fin qui conosciuti.

Il Promis nella sua opera citata sulla zecca di Scio afferma esistere nell’Archivio di Stato di Torino (Volume Diversorum, anno 1458) un Decreto del Doge di Genova in data 2 dicembre 1458, in cui si proibisce la spendita di un grosso di Scio di nuovo stampo, allora venuto fuori col solito stemma dell’isola o meglio della Maona da una parte e dall’altra colla figura di un uomo che tiene una croce in mano. Può darsi che, ritenendo una croce quello che in queste monete è uno scettro o una spada, il decreto ducale accennato si riferisca appunto a questo [p. 11 modifica]tipo di moneta, se non precisamente alle monete in discorso.

Noi confesseremo francamente che abbiamo molto esitato prima di assegnare a questi grossi un’epoca posteriore a Galeazzo Maria Sforza. Il tipo più rozzo di questi grossi, confrontati con quelli dello Sforza e anche i caratteri meno accurati e di forma più antica tendenti piuttosto allo stile gotico che al romano, accennano, ci pare, a un’epoca anteriore; ma l’argomento più forte dell’emblema dell’aquila e della leggenda chii (in luogo di sii) che, per le ragioni accennate dal Lambros e dallo Schlumberger, non furono usati sulle monete di Scio prima del dominio dello Sforza, ci hanno persuasi ad assegnare loro un’epoca posteriore, spiegando l’apparente contraddizione colla supposizione che questi fossero battuti nell’isola di Scio, mentre quelli dello Sforza furono assai probabilmente apprestati nella zecca di Genova, come Promis suppone lo fossero anche quelli anonimi della Maona, di cui abbiamo discorso più sopra.

Del resto anche la paleografia è una guida molto incerta in quest’epoca di transizione. Troviamo monete di un medesimo principe talora con caratteri gotici, talora coi romani; qualche volta perfino, in alcune monete di Galeazzo Maria Sforza battute in Genova, troviamo variati i caratteri dal dritto al rovescio della stessa moneta.

Ma, tornando ai due grossi anonimi in discorso, oltre lo stemma e l’aquila, appare in essi un terzo emblema, nuovo nelle monete di Scio, la Croce, la quale verosimilmente dovrebbe esser lo stemma della città di Genova. Essa è posta al di dietro dell’aquila e appare specialmente pei suoi bracci orizzontali. Ritroveremo questo medesimo simbolo nel grosso del re di Francia, e ne riparleremo. [p. 12 modifica]


LODOVICO XII re di Francia.

(1500-1512).


12. Grosso o gigliato (gr. 3,600-3,550).

D: — REX • FRANCIE • DNVS • IANVE

Il re coronato seduto di fronte colla spada nella destra.

R: – Croce CONRAD • R • ROMANOR • C • CHII rosetta.

Castello colle tre torri, sormontato dall’aquila; dietro questa una Croce.

Arg. (Tav. I, N. 11).


Questo grosso col rex francie è fra le monete del ripostiglio la più singolare e la più meritevole d’essere studiata. Il suo tipo somiglia moltissimo a quello dei due grossi dei dogi anonimi ora citati. Vi somiglia al punto che, oltrecchè ritenerli di epoca vicinissima, non sarebbe forse temerario l’attribuire quei primi due allo stesso re di Francia rappresentato come doge di Genova, se non vi fosse da fare un’altra piccola, ma importante osservazione: Nei grossi di Galeazzo Maria Sforza, come in quelli dei dogi anonimi, l’Aquila, che sovrasta al castello e che costituisce lo stemma dei Giustiniani, è coronata, mentre non lo è più nel grosso del re di Francia. Il che è ovvio e naturale, se si considera che la corona in capo all’aquila era il segno della sovranità imperiale, segno che si conveniva assai bene ai dogi di Genova, ma non al re di Francia. Qui la corona non è più in capo all’aquila; è passata sulla testa del re.

Ora la quistione importante si è di stabilire, a quale dei re di Francia sia da attribuirsi questa moneta. Quattro sono i re di Francia che furono Signori di Genova, e perciò anche di Scio. Carlo VI, [p. 13 modifica]Carlo VII, Lodovico XII e Francesco I. E qui ci converrebbe ripetere il ragionamento fatto poco sopra a proposito dei due grossi anonimi colla leggenda dvx ianvensivm.

Stando al tipo lo avremmo attribuito più volentieri a Carlo VII (scartando Carlo VI, come quegli che ebbe un dominio troppo breve e contrastato in Genova), ma l’aquila e la leggenda chii ne fanno stabilire l’epoca più innanzi e posteriore alla dominazione Sforzesca. Esclusi quindi Carlo VI e Carlo VII, il quale perdette il dominio di Genova nel 1460, restano gli altri due, Lodovico XII e Francesco I; fra questi, tutto ben ponderato, ci pare sia da scegliere il primo come quello che è più vicino all’epoca dello Sforza e che regnò per maggior tempo. Un’altra ragione verrebbe a convalidare la nostra attribuzione, ossia l’emblema della Croce, che come accennammo è lo stemma della città di Genova. In buona parte delle monete di Lodovico XII battute a Genova, quali testoni, mezzi, quarti, ecc., noi vediamo quest’emblema appajato e sovrapposto all’altro stemma della città, la Porta. Tale emblema scompare nelle monete di Francesco I per Genova, per non ricomparire che più tardi in altre monete.

Tali sono i motivi pei quali noi abbiamo attribuito il grosso col titolo rex francie a Lodovico XII. Con che però non intendiamo di dar un giudizio assoluto e inappellabile, compito sempre difficile e sovente impossibile, quando si deve vagare nel campo delle congetture, senza dati precisi e senza un punto fisso da cui non si possa assolutamente dipartire.

Se fra queste monete del peso di gr. 3,550 e 3,600 e quelle contemporanee di Genova esista un rapporto, difficile sarebbe stabilire, e giova ricordare che siamo precisamente nell’epoca, in cui il governo della [p. 14 modifica]Repubblica muoveva continue rimostranze ai Maonesi, per lo scapito in cui erano cadute le loro monete di Scio, in causa degli enormi abusi e delle frodi introdottesi nella loro zecca. Perciò anche il peso e il titolo sono guide assai poco sicure.

Può darsi che qualcheduno più di noi fortunato nelle sue ricerche, abbia a trovare altri argomenti o dati che servano a meglio rischiarare le idee e stabilire i fatti in proposito, e noi lo desideriamo nell’interesse della scienza.

Frattanto, riassumendo la nostra breve dissertazione, abbiamo la compiacenza di accennare che il ripostiglio, di cui parlammo, ha dato in luce oltre a qualche varietà nelle monete di Scio, le seguenti importanti monete di questa zecca, facendo conoscere due nomi nuovi:

I. Il Matapane da noi attribuito a Paleologo e Benedetto II Zaccaria.

II. Il Grosso di Galeazzo Maria Sforza colla figura del duca, in sei varietà distinte.

III. Il Grosso o gigliato della Maona col dvx anvensivm e colla figura del Doge, in cinque esemplari variati.

IV. Il Grosso o gigliato attribuito a Lodovico XII coll’effige del re, di cui conosciamo già cinque esemplari di conio differente.




[p. Tav. I modifica]  Tav. I.

Note

  1. Esaminando attentamente le sole monete rare di Scio appartenenti a questo ripostiglio e passate per le nostre mani, abbiamo constatato che per fabbricarle sarebbero occorsi non meno di quaranta conii diversi.
  2. Nel 1413 l’imperatore Sigismondo accordava a Francesco Giustiniani Campi il privilegio di fregiare il suo stemma dell’aquila imperiale. Pare però che per circa mezzo secolo la Maona non abbia fatto uso di quest’emblema sulle sue monete di Scio.