Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano/Giornata seconda
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GIORNATA SECONDA.
Salv. Le diversioni di ieri, che ci torsero dal dritto filo de’ nostri principali discorsi, furon tante e tali, ch’io non so se potrò senza l’aiuto vostro rimettermi su la traccia, per poter procedere avanti.
Sagr. Io non mi meraviglio che voi, che avete ripiena e ingombrata la fantasia tanto delle cose dette quanto di quelle che restan da dirsi, vi troviate in qualche confusione; ma io, che per esser semplice ascoltatore, altro non ritengo che le cose udite, potrò per avventura, col ricordarle sommariamente, rimettere il ragionamento su ’l suo filo. Per quello dunque che mi è restato in mente, fu la somma de i discorsi di ieri l’andar esaminando da i fondamenti loro, qual delle due opinioni sia più probabile e ragionevole: quella che tiene, la sustanza de i corpi celesti esser ingenerabile, incorruttibile, inalterabile, impassibile, ed in somma esente da ogni mutazione, fuor che dalla locale, e però essere una quinta essenza diversissima da questa de i nostri corpi elementari, generabili, corruttibili, alterabili, etc.; o pur l’altra che, levando tal difformità di parti dal mondo, reputa la Terra goder delle medesime perfezioni che gli altri corpi integranti dell’universo, ed esser in somma un globo mobile e vagante non men che la Luna, Giove, Venere o altro pianeta. Fecersi in ultimo molti paralleli particolari tra essa Terra e la Luna, e più con la Luna che con altro pianeta forse per aver noi di quella maggiore e più sensata notizia, mediante la sua minor lontananza. Ed avendo finalmente concluso, questa seconda opinione aver più del verisimile dell’altra, parmi che ’l progresso ne tirasse a cominciare a esaminare se la Terra si deva stimare immobile, come da i più è stato sin qui creduto, o pur mobile, come alcuni antichi filosofi credettero ed altri da non molto tempo in qua stimano, e se mobile, qual possa essere il suo movimento.
Salv. Già comprendo e riconosco il segno del nostro cammino; ma innanzi che si cominci a procedere più oltre, devo dirvi non so che sopra queste ultime parole che avete detto, dell’essersi concluso la opinione che tien la Terra dotata delle medesime condizioni de i corpi celesti esser più verisimile della contraria: imperocchè questo non ho io concluso, sì come non son nè anco per concludere verun’altra delle proposizioni controverse; ma solo ho auta intenzione di produrre, tanto per l’una quanto per l’altra parte, quelle ragioni e risposte, instanze e soluzioni, che ad altri sin qui sono sovvenute, con qualche altra ancora che a me, nel lungamente pensarvi, è cascata in mente, lasciando poi la decisione all’altrui giudizio.
Sagr. Io mi era lasciato trasportare dal mio proprio sentimento, e credendo che in altri dovesse esser quel che io sentiva in me, feci universale quella conclusione che doveva far particolare; e veramente ho errato, e massime non sapendo il concetto del signor Simplicio qui presente.
Simp. Io vi confesso che tutta questa notte sono andato ruminando le cose di ieri, e veramente trovo di molte belle nuove e gagliarde considerazioni; con tutto ciò mi sento stringer assai più dall’autorità di tanti grandi scrittori, ed in particolare... Voi scotete la testa, signor Sagredo, e sogghignate, come se io dicessi qualche grande esorbitanza.
Sagr. Io sogghigno solamente, ma crediatemi ch’io scoppio nel voler far forza di ritener le risa maggiori, perchè mi avete fatto sovvenire di un bellissimo caso, al quale io mi trovai presente non sono molti anni, insieme con alcuni altri nobili amici miei, i quali vi potrei ancora nominare.
Salv. Sarà ben che voi ce lo raccontiate, acciò forse il signor Simplicio non continuasse di creder d’avervi esso mosse le risa.
Sagr. Risposta ridicola di un filosofo nel determinar dove sia l'origine de i nervi.Son contento. Mi trovai un giorno in casa un medico molto stimato in Venezia, dove alcuni per loro studio, ed altri per curiosità, convenivano tal volta a veder qualche taglio di notomia per mano di uno veramente non men dotto che diligente e pratico notomista. Ed accadde quel giorno, che si andava ricercando l’origine e nascimento, sopra di che è famosa controversia tra i medici galenisti ed i Peripatetici; e mostrando il notomista come, partendosi dal cervello e passando per la nuca, il grandissimo ceppo de i nervi si andava poi distendendo per la spinale e diramandosi per tutto il corpo, e che solo un filo sottilissimo come il refe arrivava al cuore, voltosi ad un gentil uomo ch’egli conosceva per filosofo peripatetico, e per la presenza del quale egli aveva con estraordinaria diligenza Origine de i nervi secondo Aristotile e secondo i medici.scoperto e mostrato il tutto, gli domandò s’ei restava ben pago e sicuro, l’origine de i nervi venir dal cervello e non dal cuore; al quale il filosofo, doppo essere stato alquanto sopra di sé, rispose: "Voi mi avete fatto veder questa cosa talmente aperta e sensata, che quando il testo d’Aristotile non fusse in contrario, che apertamente dice, i nervi nascer dal cuore, bisognerebbe per forza confessarla per vera".
Simp. Signori, io voglio che voi sappiate che questa disputa dell’origine de i nervi non è miga così smaltita e decisa come forse alcuno si persuade.
Sagr. Né sarà mai al sicuro, come si abbiano di simili contradittori; ma questo che voi dite non diminuisce punto la stravaganza della risposta del Peripatetico, il quale contro a così sensata esperienza non produsse altre esperienze o ragioni d’Aristotile, ma la sola autorità ed il puro Ipse dixit.
Simp. Aristotile non si è acquistata sì grande autorità se non per la forza delle sue dimostrazioni e della profondità de i suoi discorsi: ma bisogna intenderlo, Requisiti per poter ben filosofare in via d'Aristotile.e non solamente intenderlo, ma aver tanta gran pratica ne’ suoi libri, che se ne sia formata un’idea perfettissima, in modo che ogni suo detto vi sia sempre innanzi alla mente; perchè e’ non ha scritto per il volgo, nè si è obligato a infilzare i suoi silogismi col metodo triviale ordinato, anzi, servendosi del perturbato, ha messo talvolta la prova di una proposizione fra testi che par che trattino di ogni altra cosa: e però bisogna aver tutta quella grande idea, e saper combinar questo passo con quello, accozzar questo testo con un altro remotissimo; ch’e’ non è dubbio che chi averà questa pratica, saprà cavar da’ suoi libri le dimostrazioni di ogni scibile, perchè in essi è ogni cosa.
Sagr. Ma, signor Simplicio mio, come l’esser le cose disseminate in qua e in là non vi dà fastidio, e che voi crediate con l’accozzamento e con la combinazione di varie particelle trarne il sugo, questo che voi Artifizio arguto per apprender la filosofia da qualsivoglia libro,e gli altri filosofi bravi farete con i testi d’Aristotile, farò io con i versi di Virgilio o di Ovidio, formandone centoni ed esplicando con quelli tutti gli affari de gli uomini e i segreti della natura. Ma che dico io di Virgilio o di altro poeta? io ho un libretto assai più breve d’Aristotile e d’Ovidio, nel quale si contengono tutte le scienze, e con pochissimo studio altri se ne può formare una perfettissima idea: e questo è l’alfabeto; e non è dubbio che quello che saprà ben accoppiare e ordinare questa e quella vocale con quelle consonanti o con quell’altre, ne caverà le risposte verissime a tutti i dubbi e ne trarrà gli insegnamenti di tutte le scienze e di tutte le arti, in quella maniera appunto che il pittore da i semplici colori diversi, separatamente posti sopra la tavolozza, va, con l’accozzare un poco di questo con un poco di quello e di quell’altro, figurando uomini, piante, fabbriche, uccelli, pesci, ed in somma imitando tutti gli oggetti visibili, senza che su la tavolozza sieno nè occhi nè penne nè squamme nè foglie nè sassi: anzi pure è necessario che nessuna delle cose da imitarsi, o parte alcuna di quelle, sieno attualmente tra i colori, volendo che con essi si possano rappresentare tutte le cose; chè se vi fussero, verbigrazia, penne, queste non servirebbero per dipignere altro che uccelli o pennacchi.
Salv. E’ son vivi e sani alcuni gentil uomini che furon presenti quando un dottor leggente in uno Studio famoso, nel sentir circoscrivere il telescopio, da sé non ancor veduto, disse che l’invenzione era presa da Aristotile; Invenzione dei telescopio cavata da Aristotile.e fattosi portare un testo, trovò certo luogo dove si rende la ragione onde avvenga che dal fondo d’un pozzo molto cupo si possano di giorno veder le stelle in cielo; e disse a i circostanti: "Eccovi il pozzo, che denota il cannone; eccovi i vapori grossi, da i quali è tolta l’invenzione de i cristalli; ed eccovi finalmente fortificata la vista nel passare i raggi per il diafano più denso e oscuro".
Sagr. Questo è un modo di contener tutti gli scibili assai simile a quello col quale un marmo contiene in sé una bellissima, anzi mille bellissime statue; ma il punto sta a saperle scoprire: o vogliam dire che e’ sia simile alle profezie di Giovacchino o a’ responsi degli oracoli de’ gentili, che non s’intendono se non doppo gli eventi delle cose profetizate.
Salv. E dove lasciate voi le predizioni de’ genetliaci, che tanto chiaramente doppo l’esito si veggono nel tema o vogliam dire nella figura celeste?
Sagr. Alchimisti interpretano le favole de poeti per segreti da far l'oro.In questa guisa trovano gli alchimisti, guidati dall’umor melanconico, tutti i più elevati ingegni del mondo non aver veramente scritto mai d’altro che del modo di far l’oro, ma, per dirlo senza palesarlo al volgo, esser andati ghiribizando chi questa e chi quell’altra maniera di adombrarlo sotto varie coperte: e piacevolissima cosa è il sentire i comenti loro sopra i poeti antichi, ritrovando i misteri importantissimi che sotto le favole loro si nascondono, e quello che importino gli amori della Luna, e ’l suo scendere in Terra per Endimione, l’ira sua contro Atteone, e quando Giove si converte in pioggia d’oro, e quando in fiamme ardenti, e quanti gran segreti dell’arte sieno in quel Mercurio interprete, in quei ratti di Plutone, in quei rami d’oro.
Simp. Io credo, e in parte so, che non mancano al mondo de’ cervelli molto stravaganti, le vanità de’ quali non dovrebbero ridondare in pregiudizio d’Aristotile, del quale mi par che voi parliate talvolta con troppo poco rispetto; e la sola antichità, e ’l gran nome che si è acquistato nelle menti di tanti uomini segnalati, dovrebbe bastar a renderlo riguardevole appresso di tutti i letterati.
Salv. Alcuni seguaci d'Aristotile sciemano la reputazione di quello col troppo volergliela accrescere.Il fatto non cammina così, signor Simplicio: sono alcuni suoi seguaci troppo pusillanimi, che danno occasione, o, per dir meglio, che darebbero occasione, di stimarlo meno, quando noi volessimo applaudere alle loro leggereze. E voi, ditemi in grazia, sete così semplice che non intendiate che quando Aristotile fusse stato presente a sentir il dottor che lo voleva far autor del telescopio, si sarebbe molto più alterato contro di lui che contro quelli che del dottore e delle sue interpretazioni si ridevano? Avete voi forse dubbio che quando Aristotile vedesse le novità scoperte in cielo, e’ non fusse per mutar opinione e per emendar i suoi libri e per accostarsi alle più sensate dottrine, discacciando da sé quei così poveretti di cervello che troppo pusillanimamente s’inducono a voler sostenere ogni suo detto, senza intendere che quando Aristotile fusse tale quale essi se lo figurano, sarebbe un cervello indocile, una mente ostinata, un animo pieno di barbarie, un voler tirannico, che, reputando tutti gli altri come pecore stolide, volesse che i suoi decreti fussero anteposti a i sensi, alle esperienze, alla natura istessa? Sono i suoi seguaci che hanno data l’autorità ad Aristotile, e non esso che se la sia usurpata o presa; e perchè è più facile il coprirsi sotto lo scudo d’un altro che ’l comparire a faccia aperta, temono nè si ardiscono d’allontanarsi un sol passo, e più tosto che mettere qualche alterazione nel cielo di Aristotile, vogliono impertinentemente negar quelle che veggono nel cielo della natura.
Sagr. Questi tali mi fanno sovvenire di quello scultore, che avendo ridotto un gran pezzo di marmo all’immagine non so se d’un Ercole Caso ridicolo di certo scultore.o di un Giove fulminante, e datogli con mirabile artifizio tanta vivacità e fierezza che moveva spavento a chiunque lo rimirava, esso ancora cominciò ad averne paura, se ben tutto lo spirito e la movenza era opera delle sue mani; e ’l terrore era tale, che più non si sarebbe ardito di affrontarlo con le subbie e ’l mazzuolo.
Salv. Io mi son più volte maravigliato come possa esser che questi puntuali mantenitori d’ogni detto d’Aristotile non si accorgano di quanto gran progiudizio e’ sieno alla reputazione ed al credito di quello, e quanto, nel volergli accrescere autorità, gliene detraggano; perchè, mentre io gli veggo ostinati in voler sostener proposizioni le quali io tocchi con mano esser manifestamente false, ed in volermi persuadere che così far convenga al vero filosofo e che così farebbe Aristotile medesimo, molto si diminuisce in me l’opinione che egli abbia rettamente filosofato intorno ad altre conclusioni a me più recondite: chè quando io gli vedessi cedere e mutare opinione per le verità manifeste, io crederei che in quelle dove e’ persistessero, potessero avere salde dimostrazioni, da me non intese o sentite.
Sagr. O vero, quando gli paresse di metter troppo della lor reputazione e di quella d’Aristotile nel confessar di non aver saputa questa o quella conclusione ritrovata da un altro, non sarebb’ei manco male il ritrovarla tra i suoi testi con l’accozzarne diversi, conforme alla prattica significataci dal signor Simplicio? perchè se vi è ogni scibile, è ben anco forza che vi si possa ritrovare.
Salv. Signor Sagredo, non vi fate beffe di questo avvedimento, che mi par che lo proponghiate burlando; perchè non è gran tempo che avendo un filosofo di gran nome composto un libro dell’anima, nel quale, in riferir l’opinione d’Aristotile circa l’esser o non essere immortale, adduceva molti testi, non già de i citati da Alessandro, perchè in quelli diceva che Aristotile non trattava nè anco di tal materia, non che determinasse cosa veruna attenente a ciò, ma altri da sé ritrovati in altri luoghi reconditi, che piegavano al senso pernizioso, e venendo avvisato che egli avrebbe avute delle difficultà nel farlo licenziare, Opportuna resoluzione di un filosofo peripatetico.riscrisse all’amico che non però restasse di procurarne la spedizione, perchè quando non se gli intraversasse altro ostacolo, non aveva difficultà niuna circa il mutare la dottrina d’Aristotile, e con altre esposizioni e con altri testi sostener l’opinion contraria, pur conforme alla mente d’Aristotile.
Sagr. O questo dottor sì, che mi può comandare, che non si vuol lasciar infinocchiar da Aristotile, ma vuol esso menar lui per il naso e farlo dire a suo modo! Vedete quanto importa il saper pigliar il tempo opportuno! Ei non si deve ridurre a negoziar con Ercole mentre è imbizarrito e su le furie, ma quando sta favoleggiando tra le Pussillanimità di alcuni seguaci d'Arisatotile.Meonie ancelle. Ah viltà inaudita d’ingegni servili! farsi spontaneamente mancipio, accettar per inviolabili decreti, obligarsi a chiamarsi persuaso e convinto da argomenti che sono tanto efficaci e chiaramente concludenti, che gli stessi non sanno risolversi s’e’ sien pure scritti in quel proposito e se e’ servano per provar quella tal conclusione! Ma dichiamo la pazzia maggiore: che tra lor medesimi sono ancor dubbi, se l’istesso autore abbia tenuto la parte affermativa o la negativa. È egli questo un far loro oracolo una statua di legno, ed a quella correr per i responsi, quella temere, quella riverire, quella adorare?
Simp. Ma quando si lasci Aristotile, chi ne ha da essere scorta nella filosofia? nominate voi qualche autore
Salv. Ci è bisogno di scorta ne i paesi incogniti e selvaggi, ma ne i luoghi aperti e piani i ciechi solamente hanno bisogno di guida; e chi è tale, è ben che si resti in casa, ma chi ha gli occhi nella fronte e nella mente, di quelli si ha da servire per iscorta. Né perciò dico io che non si deva ascoltare Aristotile, anzi laudo il vederlo e diligentemente studiarlo, Il troppo aderire a Aristotile è biasimevole.e solo biasimo il darsegli in preda in maniera che alla cieca si sottoscriva a ogni suo detto e, senza cercarne altra ragione, si debba avere per decreto inviolabile; il che è un abuso che si tira dietro un altro disordine estremo, ed è che altri non si applica più a cercar d’intender la forza delle sue dimostrazioni. E qual cosa è più vergognosa che ’l sentir nelle publiche dispute, mentre si tratta di conclusioni dimostrabili uscir un di traverso con un testo, e bene spesso scritto in ogni altro proposito, e con esso serrar la bocca all’avversario? Ma quando pure voi vogliate continuare in questo modo di studiare, deponete il nome di filosofi, e chiamatevi o istorici o dottori di memoria; Non conviene che chi non filosofa mai, si usurpi il titolo di filosofo.chè non conviene che quelli che non filosofano mai, si usurpino l’onorato titolo di filosofo. Ma è ben ritornare a riva, per non entrare in un pelago infinito, del quale in tutt’oggi non si uscirebbe. Però, signor Simplicio, venite pure con le ragioni e con le dimostrazioni, vostre o di Aristotile, e non con testi e nude autorità, perchè i discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta. E perchè nel discorso di ieri si cavò dalle tenebre e si espose al cielo aperto la Terra, mostrando che ’l volerla connumerare tra quelli che noi chiamiamo corpi celesti non era proposizione talmente convinta e prostrata che non gli restasse qualche spirito vitale, séguita che noi andiamo esaminando quello che abbia di probabile il tenerla fissa e del tutto immobile, intendendo quanto al suo intero globo, e quanto possa avere di verisimilitudine il farla mobile di alcun movimento, e di quale: e perchè in tal quistione io sono ambiguo, ed il signor Simplicio risoluto, insieme con Aristotile, per la parte dell’immobilità, egli di passo in passo andrà portando i motivi per la loro opinione, ed io le risposte e gli argomenti per la parte contraria, ed il signor Sagredo dirà i moti dell’animo suo ed in qual parte e’ si sentirà tirare
Sagr. Io son molto contento, con questo però che a me ancora resti libertà di produrre quel che mi dettasse talora il discorso semplice naturale.
Salv. Anzi di cotesto io in particolare ve ne supplico; perchè delle considerazioni più facili e, per così dire, materiali, credo che poche ne sieno state lasciate indietro da gli scrittori, talchè solamente qualcuna delle più sottili e recondite può desiderarsi e mancare; e per investigar queste, qual altra sottigliezza può esser più atta di quella dell’ingegno del signor Sagredo, acutissimo e perspicacissimo?
Sagr. Io son tutto quel che piace al signor Salviati, ma di grazia non mettiam mano in un’altra sorte di diversioni di cerimonie, perchè ora son filosofo, e sono in scuola e non al Broio.
Salv. Sia dunque il principio della nostra contemplazione il considerare che qualunque moto venga attribuito alla Terra, è necessario che a noi, come abitatori di quella ed in conseguenza partecipi del medesimo, ei resti del tutto impercettibile I moti della Terra sono impercettibili a gii abitatori di quella.e come s’e’ non fusse, mentre che noi riguardiamo solamente alle cose terrestri; ma è bene, all’incontro, altrettanto necessario che il medesimo movimento ci si rappresenti comunissimo di tutti gli altri corpi ed oggetti visibili che, essendo separati dalla Terra, Della Terra non possono essere altri movimenti che quelli che a noi appariscono esser comuni di tutto 'l resto dell'universo trattone la Terra. mancano di quello. A tal che il vero metodo per investigare se moto alcuno si può attribuire alla Terra, e, potendosi, quale e’ sia, è il considerare ed osservare se ne i corpi separati dalla Terra si scorge apparenza alcuna di movimento, il quale egualmente competa a tutti; perchè un moto che solamente si scorgesse, verbigrazia, nella Luna, e che non avesse che far niente con Venere o con Giove nè con altre stelle, non potrebbe in veruna maniera esser della Terra, nè di altri che della Luna. Moto diurno si mostra comunissimo a tutto l'universo, trattone il globo terrestre.Ora, ci è un moto generalissimo e massimo sopra tutti, ed è quello per il quale il Sole, la Luna, gli altri pianeti e le stelle fisse, ed in somma l’universo tutto, trattane la sola Terra, ci appariscono unitamente muoversi da oriente verso occidente dentro allo spazio di venti quattr’ore, e questo, in quanto a questa prima apparenza, non ha repugnanza di potere esser tanto della Terra sola, quanto di tutto il resto del mondo, trattone la Terra; imperocchè le medesime apparenze si vedrebbero tanto nell’una posizione quanto nell’altra. Aristotile e Tolomeo argomentano contro al moto diurno attribuito alla Terra.Quindi è che Aristotile e Tolomeo, come quelli che avevano penetrata questa considerazione, nel voler provare la Terra esser immobile, non argumentano contro ad altro movimento che a questo diurno; salvo però che Aristotile tocca un non so che contro ad un altro moto attribuitogli da un antico, del quale parleremo a suo luogo.
Sagr. Io resto molto ben capace della necessità con la quale conclude il vostro discorso, ma mi nasce un dubbio, del quale non so liberarmi: e questo è, che attribuendo il Copernico alla Terra un altro movimento oltre al diurno, il quale, per la regola pur ora dichiarata, dovrebbe restare a noi, quanto all’apparenza, impercettibile nella Terra, ma visibile in tutto il resto del mondo, parmi di poter necessariamente concludere, o che egli abbia manifestamente errato nell’assegnare alla Terra un moto del quale non apparisca in cielo la sua general corrispondenza, o vero che, se la rispondenza vi è, altrettanto sia stato manchevole Tolomeo a non reprovar questo, sì come reprovò l’altro.
Salv. Molto ragionevolmente avete dubitato; e quando verremo a trattare dell’altro movimento, vedrete di quanto intervallo abbia il Copernico superato di accortezza e perspicacità d’ingegno Tolomeo, mentre egli ha veduto quello che esso non vedde, dico la mirabil corrispondenza con la quale tal movimento si reflette in tutto il resto de i corpi celesti. Ma per ora sospendiamo questa parte e torniamo alla prima considerazione; intorno alla quale andrò proponendo, cominciandomi dalle cose più generali, quelle ragioni che par che favoriscano la mobilità della Terra, per sentir poi dal signor Simplicio le repugnanti. E prima, se noi considereremo solamente la mole immensa della sfera stellata, Moto diurno perchè più probabilmente deva esser della Terra sola, che del resto dell'universo.in comparazione della piccolezza del globo terrestre, contenuto da quella per tanti milioni di volte, e più penseremo alla velocità del moto che deve in un giorno e in una notte fare una intera conversione, io non mi posso persuadere che trovar si potesse alcuno che avesse per cosa più ragionevole e credibile che la sfera celeste fusse quella che desse la volta, ed il globo terrestre restasse fermo.
Sagr. Se per tutta l’università degli effetti che possono aver in natura dependenza da movimenti tali, seguissero indifferentemente tutte le medesime conseguenze a capello tanto dall’una posizione quanto dall’altra, io, quanto alla mia prima e generale apprensione, stimerei che colui che reputasse più ragionevole il far muover tutto l’universo, per ritener ferma la Terra, fusse più irragionevole di quello che, sendo salito in cima della vostra Cupola non per altro che per dare una vista alla città ed al suo contado, domandasse che se gli facesse girare intorno tutto il paese, acciò non avesse egli ad aver la fatica di volger la testa: e ben vorrebbero esser molte e grandi le comodità che si traesser da quella posizione e non da questa, che pareggiassero nel mio concetto e superasser questo assurdo, sì che mi rendesser più credibile quella che questa. Ma forse Aristotile, Tolomeo e il signor Simplicio ci devono trovare i lor vantaggi, li quali sarà bene che sien proposti a noi ancora, se vi sono, o mi sia dichiarato come e’ non vi sieno nè possano essere.
Salv. Io sì come, per molto che ci abbia pensato, non ho potuto trovar diversità alcuna, così mi par d’aver trovato che diversità alcuna non vi possa essere; onde io stimo il più cercarla esser in vano. Però notate: il moto in tanto è moto, e come moto opera, in quanto ha relazione a cose che di esso mancano; Il moto per le cose, che di esso egualmente si muovono è come se non fusse,ed in tanto opera in quanto ha relazione a cose che di esso mancano. vma tra le cose che tutte ne participano egualmente, niente opera ed è come s’e’ non fusse: e così le mercanzie delle quali è carica la nave, in tanto si muovono, in quanto, lasciando Venezia, passano per Corfù, per Candia, per Cipro, e vanno in Aleppo, li quali Venezia, Corfù, Candia etc. restano, nè si muovono con la nave; ma per le balle, casse ed altri colli, de’ quali è carica e stivata la nave, e rispetto alla nave medesima, il moto da Venezia in Sorìa è come nullo, e niente altera la relazione che è tra di loro, e questo, perchè è comune a tutti ed egualmente da tutti è participato; e quando delle robe che sono in nave una balla si sia discostata da una cassa un sol dito, questo solo sarà stato per lei movimento maggiore, in relazione alla cassa, che ’l viaggio di dua mila miglia fatto da loro di conserva.
Simp. Questa è dottrina buona, soda e tutta peripatetica.
Salv. Io l’ho per più antica; e dubito che Aristotile, nel pigliarla da qualche buona scuola, Proposizione presa da Aristotile da gli antichi, ma alterata.non la penetrasse interamente, e che però, avendola scritta alterata, sia stato causa di confusione, mediante quelli che voglion sostenere ogni suo detto: e quando egli scrisse che tutto quel che si muove, si muove sopra qualche cosa immobile, dubito che equivocasse dal dire che tutto quel che si muove, si muove rispetto a qualche cosa immobile, la qual proposizione non patisce difficultà veruna, e l’altra ne ha molte.
Sagr. Di grazia, non rompiamo il filo, e seguite avanti il discorso incominciato.
Salv. Primo discorso per provar il moto diurno esser della Terra.Essendo dunque manifesto che il moto il quale sia comune a molti mobili, è ozioso e come nullo in quanto alla relazione di essi mobili tra di loro, poichè tra di essi niente si muta, e solamente è operativo nella relazione che hanno essi mobili con altri che manchino di quel moto, tra i quali si muta abitudine; ed avendo noi diviso l’universo in due parti, una delle quali è necessariamente mobile, e l’altra immobile; per tutto quello che possa depender da cotal movimento, tanto è far muover la Terra sola quanto tutto ’l resto del mondo, poichè l’operazione di tal moto non è in altro che nella relazione che cade tra i corpi celesti e la Terra, la qual sola relazione è quella che si muta. Ora, se per conseguire il medesimo effetto ad unguem tanto fa se la sola Terra si muova, cessando tutto il resto dell’universo, che se, restando ferma la Terra sola, tutto l’universo si muova di un istesso moto, chi vorrà credere che la natura La -natura non opera con molte cose quello che può operar con poche.(che pur, per comun consenso, non opera con l’intervento di molte cose quel che si può fare col mezo di poche) abbia eletto di far muovere un numero immenso di corpi vastissimi, e con una velocità inestimabile, per conseguir quello che col movimento mediocre di un solo intorno al suo proprio centro poteva ottenersi?
Simp. Io non bene intendo come questo grandissimo moto sia come nullo per il Sole, per la Luna, per gli altri pianeti e per l’innumerabile schiera delle stelle fisse. E come direte voi esser nulla il passare il Sole da un meridiano all’altro, alzarsi sopra questo orizonte, abbassarsi sotto quello, arrecare ora il giorno ora la notte, simili variazioni far la Luna e gli altri pianeti e le stelle fisse ancora?
Salv. Dal movimento diurno nissuna mutazione nasce tra tutti i corpi celesti, ma tutte si referiscono alla Terra.Tutte coteste variazioni raccontate da voi non son nulla, se non in relazion alla Terra. E che ciò sia vero, rimovete con l’immaginazione la Terra: non resta più al mondo nè nascere nè tramontar di Sole o di Luna, nè orizonti nè meridiani, nè giorni nè notti, nè in somma per tal movimento nasce mai mutazione alcuna tra la Luna e ’l Sole o altre qualsivoglino stelle, sian fisse o erranti; ma tutte le mutazioni hanno relazione alla Terra; le quali tutte in somma non importano poi altro che ’l mostrare il Sole ora alla Cina, poi alla Persia, dopo all’Egitto, alla Grecia, alla Francia, alla Spagna, all’America etc., e far l’istesso della Luna e del resto de i corpi celesti, la qual fattura segue puntualmente nel modo medesimo se, senza imbrigar sì gran parte dell’universo, si faccia rigirare in se stesso il globo terrestre. Ma raddoppiamo la difficoltà con un’altra grandissima: Seconda confermazione che'l moto diurno sia della Terra.la quale è, che quando si attribuisca questo gran moto al cielo, bisogna di necessità farlo contrario a i moti particolari di tutti gli orbi de i pianeti, de i quali ciascheduno senza controversia ha il movimento suo proprio da occidente verso oriente, e questo assai piacevole e moderato, e convien poi fargli rapire in contrario, cioè da oriente in occidente, da questo rapidissimo moto diurno; dove che, facendosi muover la Terra in se stessa, si leva la contrarietà de’ moti, ed il solo movimento da occidente in oriente si accomoda a tutte le apparenze e sodisfà a tutte compiutamente.
Simp. Moti circolari non son contrarli, per Aristotile.Quanto alla contrarietà de i moti, importerebbe poco, perchè Aristotile dimostra che i moti circolari non son contrarii fra di loro, e che la loro non si può chiamar vera contrarietà.
Salv. Lo dimostra Aristotile, o pur lo dice solamente perchè così compliva a certo suo disegno? Se contrarii son quelli, come egli stesso afferma, che scambievolmente si destruggono, io non so vedere come due mobili che s’incontrino sopra una linea circolare, si abbiano a offender meno che incontrandosi sopra una linea retta.
Sagr. Di grazia, fermate un poco. Ditemi, signor Simplicio, quando due cavalieri si incontrano giostrando a campo aperto, o pure quando due squadre intere o due armate in mare si vanno ad investire e si rompono e si sommergono, chiameresti voi cotali incontri contrarii tra di loro?
Simp. Diciamoli contrarii.
Sagr. Come dunque ne i moti circolari non è contrarietà? Questi, essendo fatti sopra la superficie della terra o dell’acqua, che sono, come voi sapete, sferiche, vengono ad esser circolari. Sapete voi, signor Simplicio, quali sono i moti circolari che non son tra loro contrarii? son quelli di due cerchi che si toccano per di fuora, che, girandone uno, fa naturalmente muover l’altro diversamente; ma se uno sarà dentro all’altro, è impossibil che i moti loro fatti in diverse parti non si contrastino l’un l’altro.
Salv. Ma contrarii o non contrarii, queste sono altercazioni di parole; ed io so che in fatti molto più semplice e natural cosa è il poter salvare il tutto con un movimento solo, che l’introdurne due, se non volete chiamarli contrarii, ditegli opposti: nè io vi porgo questa introduzione per impossibile, nè pretendo di trar da essa una dimostrazione necessaria, ma solo una maggior probabilità. Si rinterza l’inverisimile dimostrazione Terza confermazione per il medesimo. col disordinare sproporzionatissimamente l’ordine che noi veggiamo sicuramente esser ta quei corpi celesti la circolazion de’ quali non è dubbia, ma certissima. E l’ordine è, che secondo Gii orbi maggiori in maggior tempo fanno le loro conversioni.che un orbe è maggiore, finisce il suo rivolgimento in tempo più lungo, ed i minori in più breve: e così Saturno, descrivendo un cerchio maggior di tutti gli altri pianeti, lo complisce in trent’anni; Giove si rivolge nel suo minore in anni dodici, Marte in dua; la Luna passa il suo, tanto più piccolo, in un sol mese; e non men sensibilmente vediamo, Tempi delie conversioni de' pianeti Medicei. delle Stelle Medicee la più vicina a Giove far il suo rivolgimento in brevissimo tempo, cioè in ore quarantadua in circa, la seguente in tre giorni e mezo, la terza in giorni sette, e la più remota in sedici: e questo tenore assai concorde non punto verrà alterato mentre si faccia che il movimento delle ventiquattr’ore sia del globo terrestre in se stesso; che, quando si voglia ritener la Terra immobile, è necessario, dopo l’esser passati dal periodo brevissimo della Luna a gli altri conseguentemente maggiori, fino a quel di Marte in due anni, e di lì a quel della maggiore sfera di Giove in anni dodici, e da questa all’altra maggiore di Saturno, il cui periodo è di trent’anni, è necessario, dico, trapassare ad un’altra sfera incomparabilmente maggiore, e farla finire un’intera revoluzione in vintiquattr’ore. E questo poi è il minimo disordinamento che si possa introdurre; Moto delle 24 ore attribuito aslla sfera altissima disordina il periodo delle inferiori.perchè se altri volesse dalla sfera di Saturno passare alla stellata, e farla tanto più grande di quella di Saturno, quanto a proporzione converrebbe rispetto al suo movimento tardissimo di molte migliaia d’anni, bisognerebbe con molto più sproporzionato salto trapassar da questa ad un’altra maggiore, e farla convertibile in ventiquattr’ore. Ma dandosi la mobilità alla Terra, l’ordine de’ periodi vien benissimo osservato, e dalla sfera pigrissima di Saturno si trapassa alle stelle fisse, del tutto immobili, e viensi a sfuggire una quarta difficoltà, Quarta confermazione.la qual bisogna necessariamente ammettere quando la sfera stellata si faccia mobile; Difformità grande tra i movimenti delle stelle fisse particolari, mentre la loro sfera siia mobile. e questa è la disparità immensa tra i moti di esse stelle, delle quali altre verranno a muoversi velocissimamente in cerchi vastissimi, altre lentissimamente in cerchi piccolissimi, secondo che queste e quelle si troveranno più o meno vicine a i poli; che pure ha dell’inconveniente, sì perchè noi veggiamo quelle, del moto delle quali non si dubita, muoversi tutte in cerchi massimi, sì ancora perchè pare con non buona determinazione fatto il constituir corpi, che s’abbiano a muover circolarmente, in distanze immense dal centro, e fargli poi muovere in cerchi piccolissimi. E non pure le grandezze de i cerchi ed in conseguenza le velocità de i moti di queste stelle saranno diversissimi da i cerchi e moti di quell’altre, ma le medesime stelle andranno variando suoi cerchi e sue velocità (e sarà il quinto inconveniente), Moti delle stelle fisse s accelerano e ritardano in diversi tempi, quando la sfera stellata sia mobile.avvengachè quelle che due mil’anni fa erano nell’equinoziale, ed in conseguenza descrivevano col moto cerchi massimi, trovandosene a i tempi nostri lontane per molti gradi, bisogna che siano fatte più tarde di moto e ridottesi a muoversi in minori cerchi; e non è lontano dal poter accader che venga tempo nel quale alcuna di loro, che per l’addietro si sia mossa sempre, si riduca, congiugnendosi col polo, a star ferma, e poi ancora, dopo la quiete di qualche tempo, torni a muoversi: dove che l’altre stelle, che si muovono sicuramente, tutte descrivono, come si è detto, il cerchio massimo dell’orbe loro, ed in quello immutabilmente si mantengono. Sesta confirmazione.Accresce l’inverisimile (e sia il sesto inconveniente), a chi più saldamente discorre, l’essere inescogitabile qual deva esser la solidità di quella vastissima sfera, nella cui profondità sieno così tenacemente saldate tante stelle, che senza punto variar sito tra loro, concordemente vengono con sì gran disparità di moti portate in volta: o se pure il cielo è fluido, come assai più ragionevolmente convien credere, sì che ogni stella per se stessa per quello vadia vagando, qual legge regolerà i moti loro ed a che fine, per far che, rimirati dalla Terra, appariscano come fatti da una sola sfera? A me pare che per conseguir ciò, sia tanto più agevole ed accomodata maniera il costituirle immobili che ’l farle vaganti, quanto più facilmente si tengono a segno molte pietre murate in una piazza, che le schiere de’ fanciulli che sopra vi corrono. Settima confirmazione.E finalmente, per la settima instanza, se noi attribuiamo la conversion diurna al cielo altissimo, bisogna farla di tanta forza e virtù, che seco porti l’innumerabil moltitudine delle stelle fisse, corpi tutti vastissimi e maggiori assai della Terra, e di più tutte le sfere de i pianeti, ancorchè e questi e quelle per lor natura si muovano in contrario; ed oltre a questo è forza concedere che anco l’elemento del fuoco e la maggior parte dell’aria siano parimente rapiti, e che il solo piccol globo della Terra resti contumace e renitente a tanta virtù: cosa che a me pare che abbia molto del difficile, nè saprei intender come la Terra, corpo pensile e librato Terra, pensile e librata in un mezo fluido, non par che possa resistere al rapimento del moto diurno.sopra ’l suo centro, indifferente al moto ed alla quiete, posto e circondato da un ambiente liquido, non dovesse cedere ella ancora ed esser portata in volta. Ma tali intoppi non troviamo noi nel far muover la Terra, corpo minimo ed insensibile in comparazione dell’universo, e perciò inabile al fargli violenza alcuna.
Sagr. Io mi sento raggirar per la fantasia alcuni concetti, così in confuso destatimi da i discorsi fatti; che s’io voglio potermi con attenzione applicar alle cose da dirsi, è forza ch’io vegga se mi succedesse meglio ordinargli e trarne quel costrutto che vi è, se però ve ne sarà alcuno: e per avventura il procedere per interrogazioni mi aiuterà a più agevolmente spiegarmi. Però domando al signor Simplicio, prima, se e’ crede che al medesimo corpo semplice mobile possano naturalmente competere diversi movimenti, o pure che un solo convenga, che sia il suo proprio e naturale.
Simp. D'un mobile semplice uno solo è il modo mnaturale, e gli altri per participazione.D’un mobile semplice un solo, e non più, può essere il moto che gli convenga naturalmente, e gli altri tutti per accidente e per participazione; in quel modo che a colui che passeggia per la nave, suo moto proprio è quello del passeggio, e per participazione quello che lo conduce in porto, dove egli mai col passeggio non sarebbe arrivato, se la nave col moto suo non ve l’avesse condotto.
Sagr. Ditemi, secondariamente: quel movimento che per participazione vien comunicato a qualche mobile, mentre egli per se stesso si muove di altro moto diverso dal participato, è egli necessario che risegga in qualche suggetto per se stesso, o pur può esser anco in natura senz’altro appoggio?
Simp. Aristotile vi risponde a tutte queste domande, e vi dice che sì come d’un mobile uno è il moto, così di un moto uno è il mobile, ed in conseguenza che senza l’inerenza del suo suggetto Il moto non è senza il soggetto mobile.non può nè essere nè anco immaginarsi alcun movimento.
Sagr. Io vorrei che voi mi diceste, nel terzo luogo, se voi credete che la Luna e gli altri pianeti e corpi celesti abbiano lor movimenti proprii, e quali e’ siano.
Simp. Hannogli, e son quelli secondo i quali e’ vanno scorrendo il zodiaco: la Luna in un mese, il Sole in un anno, Marte in dua, la sfera stellata in quelle tante migliaia; e questi sono i moti loro proprii e naturali.
Sagr. Ma quel moto col quale io veggo le stelle fisse, e con esse tutti i pianeti, andare unitamente da levante a ponente e ritornare in oriente in ventiquattr’ore, in che modo gli compete?
Simp. Hannolo per participazione.
Sagr. Questo dunque non risiede in loro; e non risedendo in loro, nè potendo esser senza qualche suggetto nel quale e’ risegga, è forza farlo proprio e naturale di qualche altra sfera.
Simp. Per questo rispetto hanno ritrovata gli astronomi ed i filosofi un’altra sfera altissima senza stelle, alla quale naturalmente compete la conversion diurna, e questa hanno chiamata il primo mobile, il quale poi rapisce seco tutte le sfere inferiori, contribuendo e participando loro il movimento suo.
Sagr. Ma quando, senza introdurr’altre sfere incognite e vastissime, senza altri movimenti o rapimenti participati, col lasciare a ciascheduna sfera il suo solo e semplice movimento, senza mescolar movimenti contrarii, ma fargli tutti per il medesimo verso, come è necessario ch’e’ sieno dependendo tutti da un sol principio, tutte le cose caminano e rispondono con perfettissima armonia, perchè rifiutar questo partito, e dar assenso a quelle così strane e laboriose condizioni?
Simp. Il punto sta in trovar questo modo così semplice e spedito.
Sagr. Il modo mi par bell’e trovato. Fate che la Terra sia il primo mobile, cioè fatela rivolgere in se stessa in ventiquattr’ore e per il medesimo verso che tutte le altre sfere, che senza participar tal moto a nessun altro pianeta o stelle, tutte avranno i lor orti, occasi ed in somma tutte l’altre apparenze.
Simp. L’importanza è il poterla muovere senza mille inconvenienti.
Salv. Tutti gli inconvenienti si torranno via secondo che voi gli andrete proponendo: e le cose dette sin qui sono solamente i primi e più generali motivi per i quali par che si renda non del tutto improbabile che la diurna conversione sia più tosto della Terra che di tutto ’l resto dell’universo; li quali io non vi porto come leggi infrangibili, ma come motivi che abbiano qualche apparenza. E perchè benissimo intendo Una soia esperienza o ferma dimostrazione abbatte tutte le ravioni probabili.che una sola esperienza o concludente dimostrazione che si avesse in contrario, basta a battere in terra questi ed altri centomila argomenti probabili, però non bisogna fermarsi qui, ma procedere avanti e sentire quel che risponde il signor Simplicio, e quali migliori probabilità o più ferme ragioni egli adduce in contrario.
Simp. Io dirò prima alcuna cosa in generale sopra tutte queste considerazioni insieme, poi verrò a qualche particolare. Parmi che universalmente voi vi fondiate su la maggior semplicità e facilità di produrre i medesimi effetti, mentre stimate che quanto al causargli tanto sia il muover la Terra sola quanto tutto ’l resto del mondo, trattone la Terra, ma quanto all’operazione voi reputate molto più facile quella che questa. Al che io vi rispondo che a me ancora par l’istesso, mentre io riguardo alla forza mia, non pur finita, ma debolissima; ma rispetto alla virtù del Motore, che è infinita, non è meno agevole il muover l’universo, che la Terra e che una paglia. E se la virtù è infinita, perchè non se ne deve egli esercitare più tosto una gran parte che una minima? D'una virtù infinita par che si debba esercitarne più tosto una gran parte che poca.Per tanto parmi che il discorso in generale non sia efficace.
Salv. Se io avessi mai detto che l’universo non si muove per mancamento di virtù del Motore, io avrei errato, e la vostra correzzione sarebbe oportuna; e vi concedo che a una potenza infinita tanto è facile il muover centomila, quanto uno. Ma quello che ho detto io non ha riguardo al Motore, ma solamente a i mobili, ed in essi non solo alla loro resistenza, la quale non è dubbio esser minore nella Terra che nell’universo, ma a i molti altri particolari pur ora considerati. Al dir poi che d’una virtù infinita sia meglio esercitarne una gran parte che una minima, vi rispondo che dell’infinito una parte non è maggior dell’altra, quando amendue sien finite; Dell'infinito non è una parte maggior dell'altra, benchè esse siano tra loro disuguali.nè si può dire che del numero infinito il centomila sia parte maggiore che ’l due, se ben quello è cinquantamila volte maggior di questo; e quando per muover l’universo ci voglia una virtù finita, benchè grandissima in comparazione di quella che basterebbe per muover la Terra sola, non però se n’impiegherebbe maggior parte dell’infinita, nè minore sarebbe che infinita quella che resterebbe oziosa; talchè l’applicar per un effetto particolare un poco più o un poco meno virtù non importa niente: oltre che l’operazione di tal virtù non ha per termine e fine il solo movimento diurno, ma sono al mondo altri movimenti assai che noi sappiamo, e molti altri più ve ne posson essere incogniti a noi. Avendo dunque riguardo a i mobili, e non si dubitando che operazione più breve e spedita è il muover la Terra che l’universo, e di più avendo l’occhio alle tante altre abbreviazioni ed agevolezze che con questo solo si conseguiscono, un verissimo assioma d’Aristotile che c’insegna che frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora ci rende più probabile, il moto diurno esser della Terra sola, che dell’universo, trattone la Terra.
Simp. Voi nel referir l’assioma avete lasciato una clausola che importa il tutto, e massime nel presente proposito. La particola lasciata è un æque bene; bisogna dunque esaminare se si possa egualmente bene sodisfare al tutto con questo e con quello assunto.
Salv. Il vedere se l’una e l’altra posizione sodisfaccia egualmente bene, si comprenderà da gli esami particolari dell’apparenze alle quali si ha da sodisfare, perchè sin ora si è discorso, e si discorrerà, ex hypothesi, supponendo che quanto al sodisfare all’apparenze due le posizioni sieno egualmente accomodate. Nell'assioma Frustra fit per plura etc. l'aggiugnere aeque bene è superfluo.La particola poi, che voi dite essere stata lasciata da me, ho più tosto sospetto che sia superfluamente aggiunta da voi: perchè il dire "egualmente bene" è una relazione, la quale necessariamente ricerca due termini almeno, non potendo una cosa aver relazione a se stessa, e dirsi, v. b., la quiete esser egualmente buona come la quiete; e perchè quando si dice «invano si fa con più mezi quello che si può fare con manco mezi», s’intende che quel che si ha da fare deva esser la medesima cosa, e non due cose differenti, e perchè la medesima cosa non può dirsi egualmente ben fatta come se medesima, adunque l’aggiunta della particola "egualmente bene" è superflua ed una relazione che ha un termine solo.
Sagr. Se noi non vogliamo che ci intervenga come ieri, ritornisi, di grazia, nella materia, ed il signor Simplicio cominci a produr quelle difficultà che gli paiono contrarianti a questa nuova disposizione del mondo.
Simp. La disposizione non è nuova, anzi antichissima, e che ciò sia vero, Aristotile la confuta, Ragioni d'Aristotile per la quiete della Terra.e le sue confutazioni son queste. «Prima, se la Terra si movesse o in se stessa, stando nel centro, o in cerchio, essendo fuor del centro, è necessario che violentemente ella si movesse di tal moto, imperò che e’ non è suo naturale; chè s’e’ fusse suo, l’avrebbe ancora ogni sua particella; ma ognuna di loro si muove per linea retta al centro: essendo dunque violento e preternaturale, non potrebbe essere sempiterno: ma l’ordine del mondo è sempiterno: adunque etc. Secondariamente, tutti gli altri mobili di moto circolare par che restino indietro e si muovano di più di un moto, trattone però il primo mobile: per lo che sarebbe necessario che la Terra ancora si movesse di due moti; e quando ciò fosse, bisognerebbe di necessità che si facessero mutazioni nelle stelle fisse: il che non si vede, anzi senza variazione alcuna le medesime stelle nascono sempre da i medesimi luoghi, e ne i medesimi tramontano. Terzo, il moto delle parti e del tutto è naturalmente al centro dell’universo, e per questo ancora in esso si sta. Muove poi la dubitazione se il moto delle parti è per andare naturalmente al centro dell’universo, o pure al centro della Terra; e conclude, esser suo instinto proprio di andare al centro dell’universo, e per accidente al centro della Terra: del qual dubbio si discorse ieri a lungo. Conferma finalmente l’istesso col quarto argomento preso dall’esperienza de’ gravi, li quali, cadendo da alto a basso, vengono a perpendicolo sopra la superficie della Terra; e medesimamente i proietti tirati a perpendicolo in alto, a perpendicolo per le medesime linee ritornano a basso, quanto bene fussero stati tirati in immensa altezza: argomenti necessariamente concludenti, il moto loro esser al centro della Terra, che senza punto muoversi gli aspetta e riceve. Accenna poi in ultimo, esser da gli astronomi prodotte altre ragioni in confermazione dell’istesse conclusioni, dico dell’esser la Terra nel centro dell’universo ed immobile; ed una sola ne produce, che è il risponder tutte le apparenze, che si veggono ne’ movimenti delle stelle, alla posizione di essa Terra nel centro, la qual rispondenza non avrebbe quando ella non vi fusse". Le altre, prodotte da Tolomeo e da altri astronomi, le potrò arrecare ora, se così vi piace, o dopo che arete detto quanto vi occorre in risposta di queste di Aristotile.
Salv. Argomenti di due generi intorno alla quistione del moto e quiete della Terra.Gli argumenti che si producono in questa materia, son di due generi: altri hanno riguardo a gli accidenti terrestri, senza relazione alcuna alle stelle, ed altri si cavano dalle apparenze ed osservazioni delle cose celesti. Gli argomenti d’Aristotile son per lo più cavati dalle cose intorno a noi, e lascia gli altri alli astronomi; però sarà bene, se così vi pare, esaminar questi presi dalle esperienze di Terra, e poi verremo all’altro genere. Argomenti di Talete, di Ticone e d'altri, oltre a quelli d'Aristotile.E perchè da Tolomeo, da Ticone e da altri astronomi e filosofi, oltre a gli argomenti d’Aristotile, presi, confermati e fortificati da loro, ne son prodotti de gli altri, si potranno unir tutti insieme, per non aver poi a replicar le medesime o simili risposte due volte. Però, signor Simplicio, o vogliate referirgli voi, o vogliate ch’io vi levi questa briga, son per compiacervi.
Simp. Sarà meglio che voi gli portiate, che, per averci fatto maggiore studio, gli arete più in pronto, ed anco in maggior numero.
Salv. Primo argomento, preso dai gravi cadenti da alto in basso.Per la più gagliarda ragione si produce da tutti quella de i corpi gravi, che cadendo da alto a basso vengono per una linea retta e perpendicolare alla superficie della Terra; argomento stimato irrefragabile, che la Terra stia immobile: perchè, quando ella avesse la conversion diurna, una torre dalla sommità della quale si lasciasse cadere un sasso, venendo portata dalla vertigine della Terra, nel tempo che ’l sasso consuma nel suo cadere, scorrerebbe molte centinaia di braccia verso oriente, e per tanto spazio dovrebbe il sasso percuotere in terra lontano dalla radice della torre. Confermasi con l'esempio del cadente dalla cima dell' albero della nave.Il quale effetto confermano con un’altra esperienza, cioè col lasciar cadere una palla di piombo dalla cima dell’albero di una nave che stia ferma, notando il segno dove ella batte, che è vicino al piè dell’albero; ma se dal medesimo luogo si lascerà cadere la medesima palla quando la nave cammini, la sua percossa sarà lontana dall’altra per tanto spazio quanto la nave sarà scorsa innanzi nel tempo della caduta del piombo, e questo non per altro se non perchè il movimento naturale della palla posta in sua libertà è per linea retta verso ’l centro della Terra. Secondo argomento, preso dal proietto tirato in grand'altezza.Fortificasi tal argomento con l’esperienza d’un proietto tirato in alto per grandissima distanza, qual sarebbe una palla cacciata da una artiglieria drizzata a perpendicolo sopra l’orizonte, la quale nella salita e nel ritorno consuma tanto tempo, che nel nostro parallelo l’artiglieria e noi insieme saremmo per molte miglia portati dalla Terra verso levante, talchè la palla, cadendo, non potrebbe mai tornare appresso al pezzo, ma tanto lontana verso occidente quanto Terzo argomento, preso da i tiri d'artigiieria verso levante e verso ponente.la Terra fosse scorsa avanti. Aggiungono di più la terza e molto efficace esperienza, che è: tirandosi con una colubrina una palla di volata verso levante, e poi un’altra con egual carica ed alla medesima elevazione verso ponente, il tiro verso ponente riuscirebbe estremamente maggiore dell’altro verso levante; imperocchè mentre la palla va verso occidente, e l’artiglieria, portata dalla Terra, verso oriente, la palla verrebbe a percuotere in terra lontana dall’artiglieria tanto spazio quanto è l’aggregato de’ due viaggi, uno fatto da sé verso occidente, e l’altro dal pezzo, portato dalla Terra, verso levante; e per l’opposito, del viaggio fatto dalla palla tirata verso levante bisognerebbe detrarne quello che avesse fatto l’artiglieria seguendola: posto dunque, per esempio, che ’l viaggio della palla per se stesso fosse cinque miglia, e che la Terra in quel tal parallelo nel tempo della volata della palla scorresse tre miglia, nel tiro di ponente la palla cadrebbe in terra otto miglia lontana dal pezzo, cioè le sue cinque verso ponente e le tre del pezzo verso levante; ma il tiro d’oriente non riuscirebbe più lungo di due miglia, chè tanto resta detratto dalle cinque del tiro le tre del moto del pezzo verso la medesima parte: ma l’esperienza mostra i tiri essere eguali; adunque l’artiglieria sta immobile, e per conseguenza la Terra ancora. Ma non meno di questi, Confermasi l'argomento con i tiri verso mezo giorno e verso tramontanai tiri altresì verso mezo giorno o verso tramontana confermano la stabilità della Terra: imperocchè mai non si correbbe nel segno che altri avesse tolto di mira, ma sempre sarebbero i tiri costieri verso ponente, per lo scorrere che farebbe il bersaglio, portato dalla Terra, verso levante, mentre la palla è per aria. E non solo i tiri per le linee meridiane, Confermasi l'istesso per i tiri verso levante e verso ponente.ma nè anco i fatti verso oriente o verso occidente riuscirebber giusti, ma gli orientali riuscirebbero alti, e gli occidentali bassi, tuttavolta che si tirasse di punto in bianco; perchè sendo il viaggio della palla in amendue i tiri fatto per la tangente, cioè per una linea parallela all’orizonte, ed essendo che al moto diurno, quando sia della Terra, l’orizonte si va sempre abbassando verso levante ed alzandosi da ponente (che però ci appariscono le stelle orientali alzarsi, e le occidentali abbassarsi), adunque il bersaglio orientale s’andrebbe abbassando sotto il tiro, onde il tiro riuscirebbe alto, e l’alzamento del bersaglio occidentale renderebbe basso il tiro verso occidente. Talchè mai non si potrebbe verso nissuna parte tirar giusto: e perchè l’esperienza è in contrario, è forza dire che la Terra sta immobile.
Simp. Oh queste son ben ragioni, alle quali è impossibile trovar risposta che vaglia.
Salv. Vi giungono forse nuove?
Simp. Veramente sì. Ed ora veggo con quante belle esperienze la natura ci è voluta esser cortese per aiutarci a venire in cognizione del vero. Oh come bene una verità si accorda con l’altra, e tutte conspirano al rendersi inespugnabili!
Sagr. Che peccato che l’artiglierie non fussero al tempo di Aristotile! Avrebbe ben egli con esse espugnata l’ignoranza, e parlato senza punto titubare delle cose del mondo.
Salv. Ho avuto molto caro che queste ragioni vi sien giunte nuove, acciò che voi non restiate nell’opinione della maggior parte de i Peripatetici, che credono che se alcuno si parte dalla dottrina d’Aristotile, ciò avvenga da non avere intese nè penetrate ben le sue dimostrazioni. Ma voi sentirete sicuramente dell’altre novità, e sentirete da questi seguaci del nuovo sistema produr contro a se stessi osservazioni, esperienze e ragioni di forza assai maggiore che le prodotte da Aristotile e Tolomeo o da altri oppugnatori delle medesime conclusioni, e I seguaci del Copernico non son mossi per ignoranza delle ragioni contrarie.così verrete a certificarvi che non per ignoranza o inesperienza si sono indotti a seguir tale opinione.
Sagr. Egli è forza che con questa occasione io vi racconti alcuni accidenti occorsimi da poi in qua ch’io cominciai a sentir parlare di questa opinione. Essendo assai giovanetto, che appena avevo finito il corso della filosofia, tralasciato poi per essermi applicato ad altre occupazioni, occorse Cristiano Vurstisio lesse alcune lezioni intorno all'opinione che del Copernico, e quello che ne avvenne. che certo oltramontano di Rostochio, e credo che ’l suo nome fosse Cristiano Vurstisio, seguace dell’opinione del Copernico, capitò in queste bande, ed in una Accademia fece dua o ver tre lezzioni in questa materia, con concorso di uditori, e credo più per la novità del suggetto che per altro: io però non v’intervenni, avendo fatta una fissa impressione che tale opinione non potesse essere altro che una solenne pazzia. Interrogati poi alcuni che vi erano stati, sentii tutti burlarsene, eccettuatone uno che mi disse che ’l negozio non era ridicolo del tutto; e perchè questo era reputato da me per uomo intelligente assai e molto circospetto, pentitomi di non vi essere andato, cominciai da quel tempo in qua, secondo che m’incontravo in alcuno che tenesse l’opinione Copernicana, a domandarlo se egli era stato sempre dell’istesso parere; nè per molti ch’io n’abbia interrogati, domandarlo I seguaci del Copernico tutti sono stati prima contrarii a tale opinione, ma i seguaci d'Aristotile e di Tolomeo non sono stati mai della contraria.lho trovato pur un solo che non m’abbia detto d’essere stato lungo tempo dell’opinion contraria, ma esser passato in questa mosso dalla forza delle ragioni che la persuadono: esaminatigli poi ad uno ad uno, per veder quanto bene e’ possedesser le ragioni dell’altra parte, gli ho trovati tutti averle prontissime, tal che non ho potuto veramente dire che per ignoranza o per vanità o per far, come si dice, il bello spirito si sieno gettati in questa opinione. All’incontro, di quanti io abbia interrogati de i Peripatetici e Tolemaici (che per curiosità ne ho interrogati molti), quale studio abbiano fatto nel libro del Copernico, ho trovato pochissimi che appena l’abbiano veduto, ma di quelli ch’io creda che l’abbiano inteso, nessuno: e de i seguaci pur della dottrina peripatetica ho cercato d’intendere se mai alcuno di loro ha tenuto l’altra opinione, e parimente non ne ho trovato alcuno. Là onde, considerando io come nessun è che segua l’opinion del Copernico, che non sia stato prima della contraria e che non sia benissimo informato delle ragioni di Aristotile e di Tolomeo, e che all’incontro nissuno è de’ seguaci di Tolomeo e d’Aristotile, che sia stato per addietro dell’opinione del Copernico e quella abbia lasciata per venire in quella d’Aristotile, considerando, dico, queste cose, cominciai a credere che uno che lascia un’opinione imbevuta col latte e seguita da infiniti, per venire in un’altra da pochissimi seguita, e negata da tutte le scuole e che veramente sembra un paradosso grandissimo, bisognasse per necessità che fusse mosso, per non dir forzato, da ragioni più efficaci. Per questo son io divenuto curiosissimo di toccar, come si dice, il fondo di questo negozio, e reputo a mia gran ventura l’incontro di amendue voi, da i quali io possa senza veruna fatica sentir tutto quel ch’è stato detto, e forse che si può dire, in questa materia, sicuro di dover esser, in virtù de’ vostri ragionamenti, cavato di dubbio e posto in istato di certezza.
Simp. Ma purchè l’opinione e la speranza non vi vadia fallita, e che in ultimo non vi troviate più confuso che prima.
Sagr. Mi par d’esser sicuro che cotesto non possa intervenire in veruna maniera.
Simp. E perchè no? Io son buon testimonio a me medesimo, che quanto più si va avanti, più mi confondo.
Sagr. Cotesto è indizio che quelle ragioni che sin qui vi erano parse concludenti, e vi tenevano sicuro della verità della vostra opinione, cominciano a mutare aspetto nella vostra mente ed a lasciarvi pian piano, se non passare, almeno inclinare verso la contraria. Ma io, che sono, e sono stato sin ora, indifferente, confido grandemente d’avermi a ridurre in quiete e in sicurezza; e voi stesso non me lo negherete, se volete sentir qual cosa mi persuada a così sperare.
Simp. La sentirò volentieri, e non men grato mi sarebbe che in me operasse il medesimo effetto.
Sagr. Favoritemi dunque di rispondere alle mie interrogazioni. E prima, ditemi, signor Simplicio: non è la conclusione della quale noi cerchiamo la cognizione, se si deva tener, con Aristotile e Tolomeo, che stando ferma la Terra sola nel centro dell’universo, i corpi celesti si muovano tutti; o pur se, stando ferma la sfera stellata ed il Sole nel centro, la Terra ne sia fuori, e siano suoi quei movimenti che ci appariscono esser del Sole e delle stelle fisse?
Simp. Queste son le conclusioni delle quali si disputa.
Sagr. Queste due conclusioni non son ellen tali, che per necessità bisogna che una sia vera e l’altra falsa?
Simp. Così è: noi siamo in un dilemma, una parte del quale bisogna per necessità che sia vera, e l’altra falsa; perchè tra ’l moto e la quiete, che son contradittorii, non si dà un terzo, sì che si possa dire: "La Terra non si muove, e non sta ferma; il Sole e le stelle non si muovono, nè stanno ferme".
Sagr. La Terra, il Sole e le stelle che cosa sono in natura? son cose minime, o pur considerabili?
Simp. Son corpi principalissimi, nobilissimi, integranti dell’universo, vastissimi, considerabilissimi.
Sagr. E ’l moto e la quiete quali accidenti sono in natura?
Simp. Moto e quiete accidenti principali in natura.Tanto grandi e principali, che la natura stessa per quelli si definisce.
Sagr. Talchè il muoversi eternamente e l’esser del tutto immobile sono due condizioni molto considerabili in natura ed indicanti grandissima diversità, e massime attribuite a corpi principalissimi dell’universo, in conseguenza delle quali non posson venire se non eventi dissimilissimi.
Simp. Così è sicuramente.
Sagr. Or rispondetemi ad un altro punto. Credete voi che in dialettica, in rettorica, in fisica, in metafisica, in matematica, e finalmente nell’università de’ discorsi, sieno argomenti potenti a persuadere e dimostrare altrui non meno le conclusioni false che le vere?
Simp. Non possono esser i falsi dimostrabili come i veri.Signor no; anzi tengo per fermo e son sicuro che per la prova di una conclusion vera e necessaria sieno in natura non solo una ma molte dimostrazioni potissime, e Per prova delle conclusioni vere possono esser molte ragioni concludenti, ma per le false no. che intorno ad essa si possa discorrere e rigirarsi con mille e mille riscontri, senza intoppar mai in veruna repugnanza, e che quanto più qualche sofista volesse intorbidarla, tanto più chiara si farebbe sempre la sua certezza; e che, all’opposito, per far apparir vera una proposizion falsa e per persuaderla non si possa produrre altro che fallacie, sofismi, paralogismi, equivocazioni e discorsi vani, inconsistenti e pieni di repugnanze e contradizioni.
Sagr. Ora, se il moto eterno e la quiete eterna sono accidenti tanto principali in natura, e tanto diversi che da essi non posson dependere se non diversissime conseguenze, e massime applicati al Sole ed alla Terra, corpi tanto vasti ed insigni nell’universo, ed essendo di più impossibile che l’una delle due proposizioni contradittorie non sia vera e l’altra falsa, e non si potendo1 per prove della falsa produrr’altro che fallacie, ed essendo la vera persuasibile per ogni genere di ragioni concludenti e demostrative; come volete che quello di voi che si sarà appreso a sostener la proposizion vera non mi abbia a persuadere? Bisognerebbe bene ch’io fussi d’ingegno stupido, di giudizio stravolto, e stolido di mente e d’intelletto, e cieco di discorso, ch’io non avessi a discernere la luce dalle tenebre, le gemme da i carboni, il vero dal falso.
Simp. Io vi dico, e vi ho detto altre volte, che il maggior maestro per insegnare a conoscere i sofismi e paralogismi ed altre fallacie è stato Aristotile, il quale in questa parte non si può mai esser ingannato.
Sagr. Voi l’avete pur con Aristotile, che non può parlare; ed io vi dico che se Aristotile fosse qui, e’ rimarrebbe da noi persuaso, Aristotile o sciorrebbe gli argomenti contrarii o muterebbe opinione.o sciorrebbe le nostre ragioni e con altre migliori persuaderebbe noi. Ma che? voi medesimo nel sentir recitar l’esperienze dell’artiglierie, non l’avete voi conosciute ed ammirate e confessate più concludenti di quelle d’Aristotile? con tutto ciò non sento che ’l signor Salviati, il quale le ha prodotte e sicuramente esaminate e scandagliate puntualissimamente, confessi d’esser persuaso da quelle, nè meno da altre di maggiore efficacia ancora, che egli accenna d’esser per farci sentire. E non so con che fondamento voi vogliate riprender la natura, come quella che per la molta età sia imbarbogita ed abbia dimenticato a produrre ingegni specolativi, nè sappia farne più se non di quelli che, facendosi mancipii d’Aristotile, abbiano a intender col suo cervello e sentir co i suoi sensi. Ma sentiamo il rimanente delle ragioni favorevoli alla sua opinione, per venir poi al lor cimento, coppellandole e ponderandole con la bilancia del saggiatore.
Salv. Prima che proceder più oltre, devo dire al signor Sagredo che in questi nostri discorsi fo da copernichista, e lo imito quasi sua maschera; ma quello che internamente abbiano in me operato le ragioni che par ch’io produca in suo favore, non voglio che voi lo giudichiate dal mio parlare mentre siamo nel fervor della rappresentazione della favola, ma dopo che avrò deposto l’abito, che forse mi troverete diverso da quello che mi vedete in scena. Ora seguitiamo avanti. Produce Tolomeo ed i suoi seguaci un’altra esperienza, simile a quella de i proietti, ed è delle cose che, separate dalla Terra, lungamente si trattengono per aria, quali sono le nugole e gli uccelli volanti; e come che di quelle non si può dir che sieno portate dalla Terra, non essendo a lei aderenti, non par possibile ch’elle possin seguire la velocità di quella, anzi dovrebbe parere a noi che tutte velocissimamente si movessero verso occidente; e se noi, portati dalla Terra, passiamo il nostro parallelo in vintiquattr’ore, che pure è almeno sedici mila miglia, come potranno gli uccelli tener dietro a un tanto corso? dove, all’incontro, senza veruna sensibil differenza gli vediamo volar tanto verso levante quanto verso occidente e verso qualsivoglia parte. Argomento preso dal vento che ci par ferirci mentre corriamo a cavallo.Oltre a ciò, se mentre corriamo a cavallo sentiamo assai gagliardamente ferirci il volto dall’aria, qual vento dovremmo noi perpetuamente sentir dall’oriente, portati con sì rapido corso incontro all’aria? e pur nulla di tale effetto si sente. Ècci un’altra molto ingegnosa ragione, presa da certa esperienza, ed è tale. Argomento preso dalla vertigine, che ha facultà di estrudere e dissipare.Il moto circolare ha facoltà di estrudere, dissipare e scacciar dal suo centro le parti del corpo che si muove, qualunque volta o ’l moto non sia assai tardo o esse parti non sian molto saldamente attaccate insieme; che per ciò, quando, verbigrazia, noi facessimo velocissimamente girare una di quelle gran ruote dentro le quali caminando uno o dua uomini muovono grandissimi pesi, come la massa delle gran pietre del mangano, o barche cariche che d’un’acqua in un’altra si traghettano strascinandole per terra, quando le parti di essa ruota rapidamente girata non fossero più che saldamente conteste, si dissiperebbero tutte, nè, per molto che tenacemente fossero sopra la sua esterior superficie attaccati sassi o altre materie gravi, potrebbero resistere all’impeto, che con gran violenza le scaglierebbe in diverse parti lontane dalla ruota, ed in conseguenza dal suo centro. Quando dunque la Terra si movesse con tanto e tanto maggior velocità, qual gravità, qual tenacità di calcine o di smalti, riterrebbe i sassi, le fabbriche e le città intere, che da sì precipitosa vertigine non fusser lanciate verso ’l cielo? e gli uomini e le fiere, che niente sono attaccati alla Terra, come resisterebbero a un tanto impeto? dove che, all’opposito, e queste ed assai minori resistenze, di sassetti, di rena, di foglie, vediamo quietissimamente riposarsi in Terra, e sopra quella ridursi cadendo, ancorchè con lentissimo moto. Eccovi, signor Simplicio, le ragioni potissime, prese, per così dire, dalle cose terrestri: restano quelle dell’altro genere, cioè quelle che hanno relazione all’apparenze celesti, le quali ragioni tendon veramente più a dimostrar l’esser la Terra nel centro dell’universo, ed a spogliarla in conseguenza del movimento annuo intorno ad esso, attribuitogli dal Copernico; le quali, come di materia alquanto differente, si potranno produr dopo che averemo esaminata la forza di queste sin qui proposte.
Sagr. Che dite, signor Simplicio? parv’egli che ’l signor Salviati possegga e sappia esplicare le ragioni tolemaiche e aristoteliche? credete voi che nissuno peripatetico sia altrettanto posseditore delle dimostrazioni copernicane?
Simp. Se non fusse il gran concetto che per i discorsi avuti sin qui mi son formato della saldezza di dottrina del signor Salviati e dell’acutezza d’ingegno del signor Sagredo, io, con lor buona grazia, mi vorrei partire senza più sentir altro, parendomi impossibil cosa che contradir si possa a sì palpabili esperienze, e vorrei senza sentir altro restar nella mia opinione antica, perchè mi par che quando bene ella fusse falsa, l’essere appoggiata su tanto verisimili ragioni la renderebbe scusabile: e se queste son fallacie, quali vere dimostrazioni furon mai così belle?
Sagr. È pur bene che noi sentiamo le risposte del signor Salviati: le quali se saranno vere, è forza che sieno ancora più belle e infinitamente più belle, e che quelle sien brutte anzi bruttissime, se è vera la proposizion metafisicale Vero e beilo sono l'istesso, come anco falso e brutto.che ’l vero e ’l bello sono una cosa medesima, come ancora il falso e ’l brutto. Però, signor Salviati, non perdiamo più tempo.
Salv. Fu, se ben mi ricorda, il primo argomento prodotto dal signor Simplicio questo: La Terra non si può muover circolarmente, perchè tal moto gli sarebbe violento, e però non perpetuo: dell’esser poi violento la ragione era, perchè quando fosse naturale, le parti sue ancora si moverebbero naturalmente in giro, il che è impossibile, perchè naturale delle parti è il muoversi di moto retto all’ingiù. Risposta al primo argomento d'Aristotele.Qui rispondo che averei auto caro che Aristotile si fosse meglio dichiarato, quando disse: «Le parti ancora si moverebber circolarmente», imperocchè questo muoversi circolarmente può intendersi in due modi: uno è, che ogni particella separata dal suo tutto si movesse circolarmente intorno al suo proprio centro, descrivendo i suoi piccoli cerchiettini; l’altro è, che movendosi tutto ’l globo intorno al suo centro in ventiquattr’ore, le parti ancora girassero intorno al medesimo centro in ventiquattr’ore. Il primo sarebbe una impertinenza non minore che se altri dicesse che di una circonferenza di cerchio ogni parte bisogna che sia un cerchio, o vero perchè la Terra è sferica, ogni parte di Terra bisogna che sia una palla, perchè così richiede l’assioma eadem est ratio totius et partium. Ma s’egli intese nell’altro, cioè che le parti, a imitazion del tutto, si moverebbero naturalmente intorno al centro di tutto il globo in ventiquattr’ore, io dico che lo fanno; ed a voi, in vece d’Aristotile, toccherà a provar che no.
Simp. Questo è provato da Aristotile nel medesimo luogo, mentre dice che naturale delle parti è il moto retto al centro dell’universo, onde il circolare non gli può naturalmente competere.
Salv. Ma non vedete voi che nelle medesime parole vi è anco la confutazione di questa risposta?
Simp. In che modo? e dove?
Salv. Non dic’egli che ’l moto circolare alla Terra sarebbe violento? e però non eterno? e che questo è assurdo, perchè l’ordine del mondo è eterno?
Simp. Dicelo.
Salv. Quello che è violento non può essere eterno, e quello che non può essere eterno non potrà esser naturale.Ma se quello che è violento non può esser eterno, pel converso quello che non può esser eterno non potrà esser naturale: ma il moto della Terra all’ingiù non può essere altramente eterno: adunque meno può esser naturale, nè gli potrà esser naturale moto alcuno che non gli sia anco eterno. Ma se noi faremo la Terra mobile di moto circolare, questo potrà esser eterno ad essa ed alle parti, e però naturale.
Simp. Il moto retto è naturalissimo delle parti della Terra e gli è eterno, nè mai accaderà che di moto retto non si muovano, intendendo però sempre, rimossi gli impedimenti.
Salv. Voi equivocate, signor Simplicio, ed io voglio pur vedere di liberarvi dall’equivoco. Però ditemi: credete voi che una nave che dallo stretto di Gibilterra andasse verso Palestina, potesse eternamente navigare verso quella spiaggia, movendosi sempre con egual corso?
Simp. Non altramente.
Salv. E perchè no?
Simp. Perchè quella navigazione è ristretta e terminata tra le Colonne e ’l lito di Palestina, ed essendo la distanza terminata, si passa in tempo finito: se già altri non volesse, col ritornare in dietro con movimento contrario, tornar poi a replicar il medesimo viaggio; ma questo sarebbe un moto interrotto, e non continuato.
Salv. Verissima risposta. Ma la navigazione dallo stretto di Magaglianes per il mar Pacifico, per le Molucche, per il capo di Buona Speranza, e di lì per il medesimo stretto e di nuovo per il mar Pacifico etc., credete voi ch’ella si potesse perpetuare?
Simp. Potrebbesi, perchè essendo questa una circolazione, che ritorna in se stessa, col replicarla infinite volte si potrebbe perpetuare senza veruno interrompimento.
Salv. Adunque una nave in questo viaggio potrebbe durare a navigare in eterno.
Simp. Potrebbe, quando la nave fusse incorruttibile, ma dissolvendosi la nave, si terminerebbe di necessità la navigazione.
Salv. Ma nel Mediterraneo, quando anco la nave fusse incorruttibile, non però potrebbe muoversi perpetuamente verso Palestina, per esser tal viaggio terminato. Due cose si ricercano acciò il moto possa perpetuarsi: lo spazio interminato, e 'l mobile incorruttibile.Due cose adunque si ricercano, acciò che un mobile senza intermissione possa muoversi eternamente: l’una è che il moto possa di sua natura essere interminato e infinito; e l’altra, che il mobile sia parimente incorruttibile ed eterno.
Simp. Tutto questo è necessario.
Salv. esser Moto retto non può essere eterno, e però non può esser naturale alla Terra.Adunque già per voi stesso venite ad aver confessato, esser impossibile che mobile alcuno si muova eternamente di moto retto, essendo che il moto retto, o vogliatelo in su o vogliatelo in giù, voi stesso lo fate terminato dalla circonferenza e dal centro: sì che quando bene il mobile, cioè la Terra, sia eterna, tuttavia, per non essere il moto retto di sua natura eterno, ma terminatissimo, non può naturalmente competere alla Terra, anzi, come pure ieri si disse, Aristotile medesimo è costretto a far il globo della Terra eternamente stabile. Quando poi voi dite che le parti della Terra sempre si moveranno all’ingiù rimossi gli impedimenti, equivocate gagliardamente, perchè all’incontro bisogna impedirle, contrariarle e violentarle, se voi volete ch’elle si muovano; perchè, cadute ch’elle sono una volta, bisogna con violenza rigettarle in alto, acciò tornino a cader la seconda: e quanto a gli impedimenti, questi gli tolgono solamente l’arrivare al centro; chè quando ci fosse un pozzo che passasse oltre al centro, non però una zolla di terra si moverebbe oltre a quello, se non in quanto traportata dall’impeto lo trapassasse, per ritornarvi poi e finalmente fermarvisi. Quanto dunque al poter sostenere che il movimento per linea retta convenga o possa convenir naturalmente nè alla Terra nè ad altro mobile, mentre l’universo resti nel suo ordine perfetto, toglietevene pur giù del tutto, e fate pur forza (se voi non le volete concedere il moto circolare) di mantenerle e difenderle l’immobilità.
Simp. Quanto all’immobilità, gli argomenti di Aristotile, e più gli altri prodotti da voi, mi par che la concludano necessariamente sin ora, e gran cose ci vorranno, per mio giudizio, a confutargli.
Salv. Venghiamo dunque al secondo argomento: che era che quei corpi de i quali noi siam sicuri che circolarmente si muovono, hanno più d’un moto, trattone il primo mobile; e però quando la Terra si movesse circolarmente, dovrebbe muoversi di due moti, dal che ne seguirebbe mutazione circa gli orti e gli occasi delle stelle fisse; il che non si vede seguire; adunque etc. La risposta Risposta al secondo argomento.semplicissima e propriissima a questa instanza è nell’argomento stesso, ed Aristotile medesimo ce la mette in bocca, e non può essere che voi, signor Simplicio, non l’abbiate veduta.
Simp. Né l’ho veduta, nè ancor la veggo.
Salv. Non può essere, perchè ella vi è troppo chiara.
Simp. Io voglio, con vostra licenza, dare un’occhiata al testo.
Sagr. Faremo portare il testo adesso adesso.
Simp. Io lo porto sempre in tasca. Eccolo qui; e so per appunto il luogo, che è nel secondo del Cielo, al cap. 142. Eccolo: testo 97: Praeterea, omnia quae feruntur latione circulari, subdeficere videntur, ac moveri pluribus una latione, praeter primam sphaeram; quare et Terram necessarium est, sive circa medium sive in medio posita feratur, duabus moveri lationibus: si autem hoc acciderit, necessarium est fieri mutationes ac conversiones fixorum astrorum: hoc autem non videtur fieri; sed semper eadem apud eadem loca ipsius et oriuntur et occidunt. Or qui non veggo io fallacia nissuna, e parmi l’argomento concludentissimo.
Salv. Ed a me questa nuova lettura ha confermata la fallacia nell’argumentare, e di più scoperto un’altra falsità. Però notate. Due posizioni, o vogliam dire due conclusioni, son quelle che Aristotile vuole impugnare: l’una è di quelli che, collocando la Terra nel mezo, la facesser muovere in se stessa circa ’l proprio centro: l’altra è di quelli che, costituendola lontana dal mezo, la facessero andar con moto circolare intorno ad esso mezo: ed amendue queste posizioni impugna congiuntamente con l’istesso argomento. Ora io dico che egli erra nell’una e nell’altra impugnazione, Argomento d' Aristotile contro al moto della Terra pecca in due maniere.e che l’errore contro la prima posizione è di uno equivoco o paralogismo, e contro alla seconda è una conseguenza falsa. Venghiamo alla prima posizione, che costituisce la Terra nel mezo e la fa mobile in se stessa circa il proprio centro, ed affrontiamola con l’istanza d’Aristotile, dicendo: Tutti i mobili che si muovono circolarmente, par che restino indietro, e si muovono di più d’una lazione, eccettuata la prima sfera (cioè il primo mobile); adunque la Terra, movendosi circa il proprio centro, essendo posta nel mezo, bisogna che si muova di due lazioni, e resti in dietro: ma quando questo fusse, bisognerebbe che si variassero gli orti e gli occasi delle stelle fisse; il che non si vede fare: adunque la Terra non si muove etc. Qui è il paralogismo; per iscoprirlo, discorro con Aristotile in tal modo. Tu di’, o Aristotile, che la Terra posta nel mezo non può muoversi in se stessa, perchè sarebbe necessario attribuirle due lazioni: adunque, quando non fusse necessario attribuirle altro che una lazion sola, tu non avresti per impossibile che di una tal sola ella si movesse, perchè fuor di proposito ti saresti ristretto a ripor l’impossibilità nella pluralità delle lazioni, quando anco di una sola ella muover non si potesse. E perchè di tutti i mobili del mondo tu fai che un solo si muova d’una lazion sola, e tutti gli altri di più d’una; e questo tal mobile affermi che è la prima sfera, cioè quello per il quale tutte le stelle fisse ed erranti ci appariscono muoversi concordemente da levante a ponente; quando la Terra potesse esser quella prima sfera, che col muoversi d’una lazion sola facesse apparir le stelle muoversi da levante in ponente, tu non gliela negheresti: ma chi dice che la Terra posta nel mezo si volge in se stessa, non gli attribuisce altro moto che quello per il quale tutte le stelle appariscono muoversi da levante a ponente, e così ella viene a esser quella prima sfera che tu stesso concedi muoversi d’una lazione sola: bisogna dunque, o Aristotile, se tu vuoi concluder qualcosa, che tu dimostri che la Terra posta nel mezo non possa muoversi nè anco di una sola lazione, o vero che nè meno la prima sfera possa aver un sol movimento; altrimenti tu nel tuo medesimo silogismo commetti la fallacia e ve la manifesti, negando ed insieme concedendo l’istessa cosa. Vengo ora alla seconda posizione, che è di quelli che ponendo la Terra lontana dal mezo, la fanno mobile intorno ad esso, cioè la fanno un pianeta ed una stella errante; contro alla qual posizione procede l’argomento, e quanto alla forma è concludente, ma pecca in materia: imperocchè, conceduto che la Terra si muova in cotal guisa, e che si muova di due lazioni, non però ne segue di necessità che, quando ciò sia, s’abbiano a far mutazioni ne gli orti e ne gli occasi delle stelle fisse, come a suo luogo dichiarerò. E qui voglio scusar bene l’error d’Aristotile, anzi lo voglio lodar d’aver egli arrecato il più sottile argomento contro alla posizion del Copernico, che arrecar si possa; e se l’instanza è acuta, ed in apparenza concludentissima, vedrete tanto più esser sottile ed ingegnosa la soluzione, e da non esser ritrovata da ingegno men acuto di quello del Copernico; e dalla difficultà nell’intenderla potrete argomentare la difficultà, tanto maggiore, del ritrovarla. Lasciamo in tanto per ora la risposta in pendente, la quale a suo luogo e tempo intenderete, dopo l’aver replicata l’instanza medesima d’Aristotele, e di più fortificata grandemente a favor suo. Risposta al terzo argomento.Or passiamo all’argomento terzo, pur d’Aristotile, intorno al quale non fa bisogno replicar altro, essendosegli a bastanza risposto tra ieri e oggi: imperocchè e’ replica che ’l moto de’ gravi è naturalmente per linea retta al centro, e cerca poi se al centro della Terra o pur dell’universo, e conclude che naturalmente al centro dell’universo, ma per accidente a quel della Terra. Risposta al quarto argomento.Però possiamo passare al quarto, nel quale converrà che ci trattenghiamo assai, per esser fondato sopra quella esperienza dalla quale prende poi forza la maggior parte degli argomenti che restano. Dice dunque Aristotile, argomento certissimo dell’immobilità della Terra essere il veder noi i proietti in alto a perpendicolo ritornar per l’istessa linea nel medesimo luogo di dove furon tirati, e questo, quando bene il movimento fusse altissimo; il che non potrebbe accadere quando la Terra si movesse, perchè nel tempo che ’l proietto si muove in su e ’n giù, separato dalla Terra, il luogo dove ebbe principio il moto del proietto scorrerebbe, mercè del rivolgimento della Terra, per lungo tratto verso levante, e per tanto spazio, nel cadere, il proietto percuoterebbe in Terra lontano dal detto luogo: sì che qui s’accomoda l’argomento della palla tirata in su coll’artiglieria, sì ancora l’altro usato da Aristotile e da Tolomeo, del vedere i gravi cadenti da grandi altezze venir per linea retta e perpendicolare alla superficie terrestre. Ora, per cominciar a sviluppar questi nodi, domando al signor Simplicio, quando altri negasse a Tolomeo e ad Aristotile che i gravi nel cader liberamente da alto venissero per linea retta e perpendicolare, cioè diretta al centro, con qual mezo lo proverebbero.
Simp. Col mezo del senso, il quale ci assicura che quella torre è diritta e perpendicolare, e ci mostra quella pietra nel cadere venirla radendo, senza piegar pur un capello da questa o da quella parte, e percuotere al piede giusto sotto ’l luogo donde fu lasciata.
Salv. Ma quando per fortuna il globo terrestre si movesse in giro, ed in conseguenza portasse seco la torre ancora, e che ad ogni modo si vedesse la pietra nel cadere venir radendo il filo della torre, qual bisognerebbe che fusse il suo movimento?
Simp. Bisognerebbe in questo caso dir più tosto "i suoi movimenti", perchè uno sarebbe quello col quale verrebbe da alto a basso, e un altro converrebbe ch’ella n’avesse per seguire il corso della torre.
Salv. Sarebbe dunque il moto suo un composto di due, cioè di quello col quale ella misura la torre, e dell’altro col quale ella la segue: dal qual composto ne risulterebbe che ’l sasso descriverebbe non più quella semplice linea retta e perpendicolare, ma una trasversale, e forse non retta.
Simp. Del non retta non lo so; ma intendo bene che di necessità sarebbe trasversale, e differente dall’altra retta perpendicolare, che ella descrisse stando la Terra immobile.
Salv. Adunque dal solamente vedere la pietra cadente rader la torre, voi non potete sicuramente affermare che ella descriva una linea retta e perpendicolare, se non supposto prima che la Terra stia ferma.
Simp. Così è; perchè quando la Terra si movesse, il moto della pietra sarebbe trasversale, e non a perpendicolo.
Salv. Paralogismo d'Aristotile e di Tolomeo nei suppor per noto quello che è in quistione.Ecco dunque il paralogismo d’Aristotile e di Tolomeo evidente e chiaro, e scoperto da voi medesimo, nel quale si suppon per noto quello che s’intende di dimostrare.
Simp. In che modo? A me si dimostra silogismo in buona forma, e non una petizion di principio.
Salv. Eccovi in che modo. Ditemi un poco: nella dimostrazione non si pon egli la conclusione ignota?
Simp. Ignota, perchè altrimenti il dimostrarla sarebbe superfluo.
Salv. Ma il mezo termine non conviene egli che sia noto?
Simp. È necessario, perchè altramente sarebbe un voler provare ignotum per aeque ignotum.
Salv. La nostra conclusione da provarsi, e che è ignota, non è la stabilità della Terra?
Simp. Cotesta è.
Salv. Il mezo, che deve esser noto, non è la caduta del sasso retta e perpendicolare?
Simp. Questo è il mezo.
Salv. Ma non s’è egli poco fa concluso, che noi non possiamo aver notizia che tal caduta sia retta e perpendicolare, se prima non ci è noto che la Terra stia ferma? adunque nel vostro silogismo la certezza del mezo si cava dall’incertezza della conclusione. Vedete dunque quale e quanto è il paralogismo.
Sagr. Io vorrei, in grazia del signor Simplicio, difender, se fusse possibile, Aristotile, o almeno restar io meglio capace della forza della vostra illazione. Voi dite: Il veder rader la torre non basta per assicurarsi che ’l moto del sasso sia perpendicolare, che è il mezo termine del silogismo, se non si suppone che la Terra stia ferma, che è la conclusione da provarsi; perchè, quando la torre si movesse insieme con la Terra, ed il sasso la radesse, il moto del sasso sarebbe trasversale, e non perpendicolare. Ma io risponderò, che quando la torre si movesse, sarebbe impossibile che ’l sasso cadesse radendola, e però dal cader radendo s’inferisce la stabilità della Terra.
Simp. Così è; perchè a voler che ’l sasso venisse radendo la torre, quando ella fusse portata dalla Terra, bisognerebbe che ’l sasso avesse due moti naturali, cioè ’l retto verso ’l centro e ’l circolare intorno al centro, il che è poi impossibile.
Salv. La difesa dunque d’Aristotile consiste nell’esser impossibile, o almeno nell’aver egli stimato impossibile, che ’l sasso potesse muoversi di un moto misto di retto e di circolare; perchè quando e’ non avesse avuto per impossibile che la pietra potesse muoversi al centro e ’ntorno al centro unitamente, egli averebbe inteso che poteva accadere che ’l sasso cadente potesse venir radendo la torre tanto movendosi ella quanto stando ferma, e in conseguenza si sarebbe accorto che da questo radere non si poteva inferir niente attenente al moto o alla quiete della Terra. Ma questo non iscusa altramente Aristotile, non solamente perchè doveva dirlo, quando egli avesse auto tal concetto, essendo un punto tanto principale nel suo argumento, ma di più ancora perchè non si può dir nè che tale effetto sia impossibile nè che Aristotile l’abbia stimato impossibile. Non si può dire il primo, perchè di qui a poco mostrerò ch’egli è non pur possibile, ma necessario: Aristotile ammette che il fuoco si muova rettamente in su per sua natura ed in giro per participazione.nè meno si può dire il secondo, perchè Aristotile medesimo concede al fuoco l’andare in su naturalmente per linea retta e ’l muoversi in giro col moto diurno, participato dal cielo a tutto l’elemento del fuoco ed alla maggior parte dell’aria; se dunque e’ non ha per impossibile mescolare il retto in su col circolare, comunicato al fuoco ed all’aria dal concavo lunare, assai meno dovrà reputare impossibile il retto in giù del sasso col circolare, che fusse naturale di tutto ’l globo terrestre, del quale il sasso è parte.
Simp. A me non par cotesta cosa, perchè quando l’elemento del fuoco vadia in giro insieme con l’aria, facilissima anzi necessaria cosa è che una particella di fuoco, che da Terra sormonti in alto, nel passar per l’aria mobile riceva l’istesso movimento, essendo corpo così tenue e leggiero e agevolissimo ad esser mosso; ma che un sasso gravissimo o una palla d’artiglieria, che da alto venga a basso e sia già posta in sua balìa, si lasci trasportar nè da aria nè da altro, ha del tutto dell’inopinabile. Oltre che ci è l’esperienza tanto propria, della pietra lasciata dalla cima dell’albero della nave, la qual, mentre la nave sta ferma, casca al piè dell’albero, ma quando la nave camina, cade tanto lontana dal medesimo termine, quanto la nave nel tempo della caduta del sasso è scorsa avanti; che non son poche braccia, quando ’l corso della nave è veloce.
Salv. Disparità tra il cader del sasso dalla cima dell'albero della nave e dalla sommità delia torre.Gran disparità è tra ’l caso della nave e quel della Terra, quando ’l globo terrestre avesse il moto diurno. Imperocchè manifestissima cosa è che il moto della nave, sì come non è suo naturale, così è accidentario di tutte le cose che sono in essa; onde non è meraviglia che quella pietra, che era ritenuta in cima dell’albero, lasciata in libertà scenda a basso, senza obligo di seguire il moto della nave. Ma la conversion diurna si dà per moto proprio e naturale al globo terrestre, ed in conseguenza a tutte le sue parti, e come impresso dalla natura è in loro indelebile; e però quel sasso che è in cima della torre, ha per suo primario instinto l’andare intorno al centro del suo tutto in ventiquattr’ore, e questo natural talento esercita egli eternamente, sia pur posto in qualsivoglia stato. E per restar persuaso di questo, non avete a far altro che mutar un’antiquata impressione fatta nella vostra mente, e dire: «Sì come, per avere stimato io sin ora che sia proprietà del globo terrestre lo stare immobile intorno al suo centro, non ho mai auto difficultà o repugnanza alcuna in apprendere che qualsivoglia sua particella resti essa ancora naturalmente nella medesima quiete; così è ben dovere che quando naturale instinto fusse del globo terreno l’andare intorno in ventiquattr’ore, sia d’ogni sua parte ancora intrinseca e naturale inclinazione non lo star ferma, ma seguire il medesimo corso»: e così senza urtare in veruno inconveniente si potrà concludere, che per non esser naturale, ma straniero, il moto conferito alla nave dalla forza de’ remi, e per essa a tutte le cose che in lei si ritrovano, sia ben dovere che quel sasso, separato che e’ sia dalla nave, si riduca alla sua naturalezza e ritorni ad esercitare il puro e semplice suo natural talento. La parte dell' aria inferiore alle più alte montagne segue il moto della Terra.Aggiugnesi che è necessario che almeno quella parte d’aria che è inferiore alle maggiori altezze de i monti, venga dall’asprezza della superficie terrestre rapita e portata in giro, o pure che, come mista di molti vapori ed esalazioni terrestri, naturalmente séguiti il moto diurno; il che non avviene dell’aria che è intorno alla nave cacciata da i remi: per lo che l’argumentare dalla nave alla torre non ha forza d’illazione; perchè quel sasso che vien dalla cima dell’albero, entra in un mezo che non ha il moto della nave; ma quel che si parte dall’altezza della torre, si trova in un mezo che ha l’istesso moto che tutto ’l globo terrestre, talchè, senz’esser impedito dall’aria, anzi più tosto favorito dal moto di lei, può seguire l’universal corso della Terra.
Simp. Moto dell'aria atto a portar seco cose leggerissime, ma non le gravissime.Io non resto capace, che l’aria possa imprimere in un grandissimo sasso o in una grossa palla di ferro o di piombo, che passasse, v. g., dugento libre, il moto col quale essa medesima si muove e che per avventura ella comunica alle piume, alla neve ed altre cose leggierissime; anzi veggo che un peso di quella sorte, esposto a qualsivoglia più impetuoso vento, non vien pur mosso di luogo un sol dito: or pensate se l’aria lo porterà seco.
Salv. Gran disparità è tra la vostra esperienza e ’l nostro caso. Voi fate sopraggiugnere il vento a quel sasso posto in quiete; e noi esponghiamo nell’aria, che già si muove, il sasso, che pur si muove esso ancora con l’istessa velocità, talchè l’aria non gli ha a conferire un nuovo moto, ma solo mantenerli, o per meglio dire non impedirli, il già concepito: voi volete cacciar il sasso d’un moto straniero e fuor della sua natura; e noi, conservarlo nel suo naturale. Se voi volevi produrre una più aggiustata esperienza, dovevi dire che si osservasse, se non con l’occhio della fronte, almeno con quel della mente, ciò che accaderebbe quando un’aquila portata dall’impeto del vento si lasciasse cader da gli artigli una pietra; la quale, perchè già nel partirsi dalle branche volava al pari del vento, e dopo partita entra in un mezo mobile con egual velocità, ho grande opinione che non si vedrebbe cader giù a perpendicolo, ma che, seguendo ’l corso del vento ed aggiugnendovi quel della propria gravità, si moverebbe di un moto trasversale.
Simp. Bisognerebbe poterla fare una tale esperienza, e poi secondo l’evento giudicare; in tanto l’effetto della nave sin qui mostra di applaudere all’opinion nostra.
Salv. Ben diceste, sin qui; perchè forse di qui a poco potrebbe mutar sembianza. E per non vi tener, come si dice, più su le bacchette, ditemi, signor Simplicio: parv’egli internamente che l’esperienza della nave quadri così bene al proposito nostro, che ragionevolmente si debba credere che quello che si vede accadere in lei, debba ancora accadere nel globo terrestre?
Simp. Sin qui mi è parso di sì; e benchè voi abbiate arrecate alcune piccole disuguaglianze, non mi paion di tal momento che basti a rimuovermi di parere.
Salv. Anzi desidero che voi ci continuiate, e tenghiate saldo che l’effetto della Terra abbia a rispondere a quel della nave, purchè quando ciò si scoprisse progiudiziale al vostro bisogno, non vi venisse umore di mutar pensiero. Voi dite: "Perchè, quando la nave sta ferma, il sasso cade al piè dell’albero, e quando ell’è in moto cade lontano dal piede adunque, per il converso, dal cadere il sasso al piede si inferisce la nave star ferma, e dal caderne lontano s’argumenta la nave muoversi; e perchè quello che occorre della nave deve parimente accader della Terra, però dal cader della pietra al piè della torre si inferisce di necessità l’immobilità del globo terrestre". Non è questo il vostro discorso?
Simp. È per appunto, ridotto in brevità, che lo rende agevolissimo ad apprendersi.
Salv. Or ditemi: se la pietra lasciata dalla cima dell’albero, quando la nave cammina con gran velocità, cadesse precisamente nel medesimo luogo della nave nel quale casca quando la nave sta ferma, qual servizio vi presterebber queste cadute circa l’assicurarvi se ’l vassello sta fermo o pur se cammina?
Simp. Assolutamente nissuno: in quel modo che, per esempio, dal batter del polso non si può conoscere se altri dorme o è desto, poichè il polso batte nell’istesso modo ne’ dormienti che ne i vegghianti.
Salv. Benissimo. Avete voi fatta mai l’esperienza della nave?
Simp. Non l’ho fatta; ma ben credo che quelli autori che la producono, l’abbiano diligentemente osservata: oltre che si conosce tanto apertamente la causa della disparità, che non lascia luogo di dubitare.
Salv. Che possa esser che quelli autori la portino senza averla fatta, voi stesso ne sete buon testimonio, che senza averla fatta la recate per sicura e ve ne rimettete a buona fede al detto loro: sì come è poi non solo possibile, ma necessario, che abbiano fatto essi ancora, dico di rimettersi a i suoi antecessori, senza arrivar mai a uno che l’abbia fatta; perchè chiunque la farà, troverà l’esperienza La pietra cadente dall' albero della nave batte nell' istesso ìuogo, muovasi la nave o stia ferma.mostrar tutto ’l contrario di quel che viene scritto: cioè mostrerà che la pietra casca sempre nel medesimo luogo della nave, stia ella ferma o muovasi con qualsivoglia velocità. Onde, per esser la medesima ragione della Terra che della nave, dal cader la pietra sempre a perpendicolo al piè della torre non si può inferir nulla del moto o della quiete della Terra.
Simp. Se voi mi rimetteste ad altro mezo che all’esperienza, io credo bene che le dispute nostre non finirebber per fretta; perchè questa mi pare una cosa tanto remota da ogni uman discorso, che non lasci minimo luogo alla credulità o alla probabilità.
Salv. E pur l’ha ella lasciato in me.
Simp. Che dunque voi non n’avete fatte cento, non che una prova, e l’affermate così francamente per sicura? Io ritorno nella mia incredulità, e nella medesima sicurezza che l’esperienza sia stata fatta da gli autori principali che se ne servono, e che ella mostri quel che essi affermano.
Salv. Io senza esperienza son sicuro che l’effetto seguirà come vi dico, perchè così è necessario che segua; e più v’aggiungo che voi stesso ancora sapete che non può seguire altrimenti, se ben fingete, o simulate di fingere, di non lo sapere. Ma io son tanto buon cozzon di cervelli, che ve lo farò confessare a viva forza. Ma il signor Sagredo sta molto cheto: mi pareva pur di vedervi far non so che moto, per dir alcuna cosa.
Sagr. Volevo veramente dir non so che; ma la curiosità che mi ha mossa questo sentir dire di far tal violenza al signor Simplicio, che palesi la scienza che e’ ci vuole occultare, mi ha fatto deporre ogni altro desiderio: però vi prego ad effettuare il vanto.
Salv. Purchè il signor Simplicio si contenti di rispondere alle mie interrogazioni, io non mancherò.
Simp. Io risponderò quel che saprò, sicuro che avrò poca briga, perchè delle cose che io tengo false non credo di poterne saper nulla, essendochè la scienza è de’ veri, e non de’ falsi.
Salv. Io non desidero che voi diciate o rispondiate di saper niente altro che quello che voi sicuramente sapete. Però ditemi: quando voi aveste una superficie piana, pulitissima come uno specchio e di materia dura come l’acciaio, e che fusse non parallela all’orizonte, ma alquanto inclinata, e che sopra di essa voi poneste una palla perfettamente sferica e di materia grave e durissima, come, v. g., di bronzo, lasciata in sua libertà che credete voi che ella facesse? non credete voi (sì come credo io) che ella stesse ferma?
Simp. Se quella superficie fusse inclinata?
Salv. Sì, chè così già ho supposto.
Simp. Io non credo che ella si fermasse altrimente, anzi pur son sicuro ch’ella si moverebbe verso il declive spontaneamente.
Salv. Avvertite bene a quel che voi dite, signor Simplicio, perchè io son sicuro ch’ella si fermerebbe in qualunque luogo voi la posaste.
Simp. Come voi, signor Salviati, vi servite di questa sorte di supposizioni, io comincierò a non mi maravigliar che voi concludiate conclusioni falsissime.
Salv. Avete dunque per sicurissimo ch’ella si moverebbe verso il declive spontaneamente?
Simp. Che dubbio?
Salv. E questo lo tenete per fermo, non perchè io ve l’abbia insegnato (perchè io cercavo di persuadervi il contrario), ma per voi stesso e per il vostro giudizio naturale.
Simp. Ora intendo il vostro artifizio: voi dicevi così per tentarmi e (come si dice dal vulgo) per iscalzarmi, ma non che in quella guisa credeste veramente.
Salv. Così sta. E quanto durerebbe a muoversi quella palla, e con che velocità? E avvertite che io ho nominata una palla perfettissimamente rotonda ed un piano esquisitamente pulito, per rimuover tutti gli impedimenti esterni ed accidentarii: e così voglio che voi astragghiate dall’impedimento dell’aria, mediante la sua resistenza all’essere aperta, e tutti gli altri ostacoli accidentarii, se altri ve ne potessero essere.
Simp. Ho compreso il tutto benissimo: e quanto alla vostra domanda, rispondo che ella continuerebbe a muoversi in infinito, se tanto durasse la inclinazione del piano, e con movimento accelerato continuamente; chè tale è la natura de i mobili gravi, che vires acquirant eundo: e quanto maggior fusse la declività, maggior sarebbe la velocità.
Salv. Ma quand’altri volesse che quella palla si movesse all’insù sopra quella medesima superficie, credete voi che ella vi andasse?
Simp. Spontaneamente no, ma ben strascinatavi o con violenza gettatavi.
Salv. E quando da qualche impeto violentemente impressole ella fusse spinta, quale e quanto sarebbe il suo moto?
Simp. Il moto andrebbe sempre languendo e ritardandosi, per esser contro a natura, e sarebbe più lungo o più breve secondo il maggiore o minore impulso e secondo la maggiore o minore acclività.
Salv. Parmi dunque sin qui che voi mi abbiate esplicati gli accidenti d’un mobile sopra due diversi piani; e che nel piano inclinato il mobile grave spontaneamente descende e va continuamente accelerandosi, e che a ritenervelo in quiete bisogna usarvi forza; ma sul piano ascendente ci vuol forza a spignervelo ed anco a fermarvelo, e che ’l moto impressogli va continuamente scemando, sì che finalmente si annichila. Dite ancora di più che nell’un caso e nell’altro nasce diversità dall’esser la declività o acclività del piano, maggiore o minore; sì che alla maggiore inclinazione segue maggior velocità, e, per l’opposito, sopra ’l piano acclive il medesimo mobile cacciato dalla medesima forza in maggior distanza si muove quanto l’elevazione è minore. Ora ditemi quel che accaderebbe del medesimo mobile sopra una superficie che non fusse nè acclive nè declive.
Simp. Qui bisogna ch’io pensi un poco alla risposta. Non vi essendo declività, non vi può essere inclinazione naturale al moto, e non vi essendo acclività, non vi può esser resistenza all’esser mosso, talchè verrebbe ad essere indifferente tra la propensione e la resistenza al moto: parmi dunque che e’ dovrebbe restarvi naturalmente fermo. Ma io sono smemorato, perchè non è molto che ’l signor Sagredo mi fece intender che così seguirebbe.
Salv. Così credo, quando altri ve lo posasse fermo; ma se gli fusse dato impeto verso qualche parte, che seguirebbe?
Simp. Seguirebbe il muoversi verso quella parte.
Salv. Ma di che sorte di movimento? di continuamente accelerato, come ne’ piani declivi, o di successivamente ritardato, come negli acclivi?
Simp. Io non ci so scorgere causa di accelerazione nè di ritardamento, non vi essendo nè declività nè acclività.
Salv. Sì. Ma se non vi fusse causa di ritardamento, molto meno vi dovrebbe esser di quiete: quanto dunque vorreste voi che il mobile durasse a muoversi?
Simp. Tanto quanto durasse la lunghezza di quella superficie nè erta nè china.
Salv. Adunque se tale spazio fusse interminato, il moto in esso sarebbe parimente senza termine, cioè perpetuo?
Simp. Parmi di sì, quando il mobile fusse di materia da durare.
Salv. Già questo si è supposto, mentre si è detto che si rimuovano tutti gl’impedimenti accidentarii ed esterni, e la fragilità del mobile, in questo fatto, è un degli impedimenti accidentarii. Ditemi ora: quale stimate voi la cagione del muoversi quella palla spontaneamente sul piano inclinato, e non, senza violenza, sopra l’elevato?
Simp. Perchè l’inclinazion de’ corpi gravi è di muoversi verso ’l centro della Terra, e solo per violenza in su verso la circonferenza; e la superficie inclinata è quella che acquista vicinità al centro, e l’acclive discostamento.
Salv. Adunque una superficie che dovesse esser non declive e non acclive, bisognerebbe che in tutte le sue parti fusse egualmente distante dal centro. Ma di tali superficie ve n’è egli alcuna al mondo?
Simp. Non ve ne mancano: ècci quella del nostro globo terrestre, se però ella fusse ben pulita, e non, quale ella è, scabrosa e montuosa; ma vi è quella dell’acqua, mentre è placida e tranquilla.
Salv. Adunque una nave che vadia movendosi per la bonaccia del mare, è un di quei mobili che scorrono per una di quelle superficie che non sono nè declivi nè acclivi, e però disposta, quando le fusser rimossi tutti gli ostacoli accidentarii ed esterni, a muoversi, con l’impulso concepito una volta, incessabilmente e uniformemente
Simp. Par che deva esser così.
Salv. E quella pietra ch’è su la cima dell’albero non si muov’ella, portata dalla nave, essa ancora per la circonferenza d’un cerchio intorno al centro, e per conseguenza d’un moto indelebile in lei, rimossi gli impedimenti esterni? e questo moto non è egli così veloce come quel della nave?
Simp. Sin qui tutto cammina bene. Ma il resto?
Salv. Cavatene in buon’ora l’ultima conseguenza da per voi, se da per voi avete sapute tutte le premesse.
Simp. Voi volete dir per ultima conclusione, che movendosi quella pietra d’un moto indelebilmente impressole, non l’è per lasciare, anzi è per seguire la nave, ed in ultimo per cadere nel medesimo luogo dove cade quando la nave sta ferma; e così dico io ancora che seguirebbe quando non ci fussero impedimenti esterni, che sturbassero il movimento della pietra dopo esser posta in libertà: li quali impedimenti son due; l’uno è l’essere il mobile impotente a romper l’aria col suo impeto solo, essendogli mancato quello della forza de’ remi, del quale era partecipe, come parte della nave, mentre era su l’albero; l’altro è il moto novello del cadere a basso, che pur bisogna che sia d’impedimento all’altro progressivo.
Salv. Quanto all’impedimento dell’aria, io non ve lo nego; e quando il cadente fusse materia leggiera, come una penna o un fiocco di lana, il ritardamento sarebbe molto grande; ma in una pietra grave, è piccolissimo: e voi stesso poco fa avete detto che la forza del più impetuoso vento non basta a muover di luogo una grossa pietra; or pensate quel che farà l’aria quieta incontrata dal sasso, non più veloce di tutto ’l navilio. Tuttavia, come ho detto, vi concedo questo piccolo effetto, che può dependere da tale impedimento; sì come so che voi concederete a me che quando l’aria si movesse con l’istessa velocità della nave e del sasso, l’impedimento sarebbe assolutamente nullo. Quanto all’altro, del sopravegnente moto in giù, prima è manifesto che questi due, dico il circolare intorno al centro e ’l retto verso ’l centro, non son contrarii nè destruttivi l’un dell’altro nè incompatibili, perchè, quanto al mobile, ei non ha repugnanza alcuna a cotal moto: chè già voi stesso avete conceduto, la repugnanza esser contro al moto che allontana dal centro, e l’inclinazione, verso il moto che avvicina al centro; onde necessariamente segue che al moto che non appressa nè discosta dal centro, non ha il mobile nè repugnanza nè propensione nè, in conseguenza, cagione di diminuirsi in lui la facultà impressagli: e perchè la causa motrice non è una sola, che si abbia, per la nuova operazione, a inlanguidire, ma son due tra loro distinte, delle quali la gravità attende solo a tirare il mobile al centro, e la virtù impressa a condurlo intorno al centro, non resta occasione alcuna d’impedimento.
Simp. Il discorso veramente è in apparenza assai probabile, ma in essenza turbato un poco da qualche intoppo mal agevole a superarsi. Voi in tutto ’l progresso avete fatta una supposizione, che dalla scuola peripatetica non di leggiero vi sarà conceduta, essendo contrariissima ad Aristotile: e questa è il prender come cosa notoria e manifesta che ’l proietto separato dal proiciente continui il moto per virtù impressagli dall’istesso proiciente, la qual virtù impressa è tanto esosa nella peripatetica filosofia, quanto il passaggio d’alcuno accidente d’uno in un altro suggetto: nella qual filosofia si tiene, Il proietto, secondo Aristotile, non è mosso da virtù impressa, ma dal mezo.come credo che vi sia noto, che ’l proietto sia portato dal mezo, che nel nostro caso viene ad esser l’aria e però se quel sasso, lasciato dalla cima dell’albero, dovesse seguire il moto della nave, bisognerebbe attribuire tal effetto all’aria, e non a virtù impressagli: ma voi supponete che l’aria non séguiti il moto della nave, ma sia tranquilla. Oltre che colui che lo lascia cadere, non l’ha a scagliare nè dargli impeto col braccio, ma deve semplicemente aprir la mano e lasciarlo: e così, nè per virtù impressagli dal proiciente, nè per benefizio dell’aria, potrà il sasso seguire ’l moto della nave, e però resterà indietro.
Salv. Parmi dunque di ritrar dal vostro parlare, che non venendo la pietra cacciata dal braccio di colui, la sua non venga altrimenti ad essere una proiezione.
Simp. Non si può propriamente chiamar moto di proiezione.
Salv. Quello dunque che dice Aristotile del moto, del mobile e del motore de i proietti, non ha che fare nel nostro proposito; e se non ci ha che fare, perchè lo producete?
Simp. Producolo per amor di quella virtù impressa, nominata ed introdotta da voi, la quale, non essendo al mondo, non può operar nulla, perchè non entium nullae sunt operationes; e però non solo del moto de i proietti, ma di ogn’altro che non sia naturale, bisogna attribuirne la causa motrice al mezo, del quale non si è avuta la debita considerazione; e però il detto sin qui resta inefficace.
Salv. Orsù tutto in buon’ora. Ma ditemi: già che la vostra instanza si fonda tutta su la nullità della virtù impressa, quando io vi abbia dimostrato che ’l mezo non ha che fare nella continuazion del moto de’ proietti, dopo che son separati dal proiciente, lascierete voi in essere la virtù impressa, o pur vi moverete con qualch’altr’assalto alla sua destruzione?
Simp. Rimossa l’azione del mezo, non veggo che si possa ricorrere ad altro che alla facultà impressa dal movente.
Salv. Sarà bene, per levare il più che sia possibile le cause dell’andarsene in infinito con le altercazioni, che voi quanto si può distintamente spianiate qual sia l’operazione del mezo nel continuar il moto al proietto.
Simp. Operazione del mezo nel continuare il moto al proietto.Il proiciente ha il sasso in mano; muove con velocità e forza il braccio, al cui moto si muove non più il sasso che l’aria circonvicina, onde il sasso, nell’esser abbandonato dalla mano, si trova nell’aria che già si muove con impeto, e da quella vien portato: che se l’aria non operasse, il sasso cadrebbe dalla mano al piede del proiciente.
Salv. E voi sete stato tanto credulo che vi sete lasciato persuader queste vanità, mentre in voi stesso avevi i sensi da confutarle e da intenderne il vero? Però ditemi: quella gran pietra e quella palla d’artiglieria che, posata solamente sopra una tavola, restava immobile contro a qualsivoglia impetuoso vento, secondo che voi poco fa affermaste, se fusse stata una palla di sughero o altrettanta bambagia, credete che il vento l’avesse mossa di luogo?
Simp. Anzi so certo che l’averebbe portata via, e tanto più velocemente, quanto la materia fusse stata più leggiera; chè per questo veggiamo noi le nugole esser portate con velocità pari a quella del vento stesso che le spigne.
Salv. E ’l vento che cosa è?
Simp. Il vento si definisce, non esser altro che aria mossa.
Salv. Adunque l’aria mossa molto più velocemente e ’n maggior distanza traporta le materie leggierissime che le gravissime?
Simp. Sicuramente.
Salv. Ma quando voi aveste a scagliar col braccio un sasso, e poi un fiocco di bambagia, chi si moverebbe con più velocità e in maggior lontananza?
Simp. La pietra assaissimo; anzi la bambagia mi cascherebbe a i piedi.
Salv. Ma se quel che muove il proietto, doppo l’esser lasciato dalla mano, non è altro che l’aria mossa dal braccio, e l’aria mossa più facilmente spigne le materie leggiere che le gravi, come dunque il proietto di bambagia non va più lontano e più veloce di quel di pietra? bisogna pure che nella pietra resti qualche cosa, oltre al moto dell’aria. Di più, se da quella trave pendessero due spaghi lunghi egualmente, e in capo dell’uno fusse attaccata una palla di piombo, e una di bambagia nell’altro, ed amendue si allontanassero egualmente dal perpendicolo, e poi si lasciassero in libertà, non è dubbio che l’una e l’altra si moverebbe verso ’l perpendicolo, e che spinta dal proprio impeto lo trapasserebbe per certo intervallo, e poi vi ritornerebbe. Ma qual di questi due penduli credete voi che durasse più a muoversi, prima che fermarsi a piombo?
Simp. La palla di piombo andrà in qua e ’n là mille volte, e quella di bambagia dua o tre al più.
Salv. Talchè quell’impeto e quella mobilità, qualunque se ne sia la causa, più lungamente si conserva nelle materie gravi che nelle leggieri. Vengo ora a un altro punto, e vi domando: perchè l’aria non porta via adesso quel cedro ch’è su quella tavola?
Simp. Perchè ella stessa non si muove.
Salv. Bisogna dunque che il proiciente conferisca il moto all’aria, col quale ella poi muova il proietto. Ma se tal virtù non si può imprimere, non si potendo far passare un accidente d’un subbietto in un altro, come può passare dal braccio nell’aria? non è forse l’aria un subbietto altro dal braccio?
Simp. Rispondesi che l’aria, per non esser nè grave nè leggiera nella sua regione, è disposta a ricevere facilissimamente ogni impulso ed a conservarlo ancora.
Salv. Ma se i penduli adesso adesso ci hanno mostrato che il mobile, quanto meno participa di gravità, tanto è meno atto a conservare il moto, come potrà essere che l’aria, che in aria non ha punto di gravità, essa sola conservi il moto concepito? Io credo, e so che voi ancora credete al presente, che non prima si ferma il braccio, che l’aria attornogli. Entriamo in camera, e con uno sciugatoio agitiamo quanto più si possa l’aria, e fermato il panno conducasi una piccola candeletta accesa nella stanza, o lascivisi andare una foglia d’oro volante; che voi dal vagar quieto dell’una e dell’altra v’accorgerete dell’aria ridotta immediatamente a tranquillità. Io potrei addurvi mille esperienze, ma dove non bastasse una di queste, si potrebbe aver la cura per disperata affatto.
Sagr. Quando si tira una freccia contr’al vento, quanto è incredibil cosa che quel filetto d’aria, spinto dalla corda vadia al dispetto della fortuna accompagnando la freccia! Ma io ancora vorrei sapere un particolare da Aristotile, per il quale prego il signor Simplicio che mi favorisca di risposta. Quando col medesimo arco fussero tirate due freccie, una per punta al modo consueto, e l’altra per traverso, cioè posandola per lo lungo su la corda, e così distesa tirandola, vorrei sapere qual di esse andrebbe più lontana. Favoritemi in grazia di risposta, benchè forse la dimanda vi paia più tosto ridicola che altrimenti; e scusatemi, perchè io, che ho, come voi vedete, anzi del grossetto che no, non arrivo più in alto con la mia speculativa.
Simp. Io non ho veduto mai tirar le freccie per traverso: tuttavia credo che intraversata non andrebbe nè anco la ventesima parte di quel ch’ella va per punta.
Sagr. E perchè io ho creduto l’istesso, quindi è che mi è nata occasione di metter dubbio tra ’l detto d’Aristotile e l’esperienza. Perchè, quanto all’esperienza, s’io metterò sopra quella tavola due freccie in tempo che spiri vento gagliardo, una posata per il filo del vento e l’altra intraversata il vento porterà via speditamente questa e lascierà star l’altra: ed il medesimo par che dovesse accadere, quando la dottrina d’Aristotile fusse vera, delle due tirate con l’arco; imperocchè la traversa vien cacciata da una gran quantità dell’aria mossa dalla corda, cioè da tanta quanta è la sua lunghezza, dove che l’altra freccia non riceve impulso da più aria che si sia il piccolissimo cerchietto della sua grossezza: ed io non so immaginarmi la cagione di tal diversità, e desidererei di saperla.
Simp. La causa mi par assai manifesta, ed è perchè la freccia tirata per punta ha a penetrar poca quantità d’aria, e l’altra ne ha da fender tanta quanta è tutta la sua lunghezza.
Sagr. Adunque le freccie tirate hanno a penetrar l’aria? Oh se l’aria va con loro, anzi è quella che le conduce, che penetrazione vi può essere? non vedete voi che a questo modo bisognerebbe che la freccia si movesse con maggior velocità che l’aria? e questa maggior velocità, chi la conferisce alla freccia? vorrete voi dir che l’aria le dia velocità maggiore della sua propria? Intendete dunque, signor Simplicio, che ’l negozio procede per l’appunto a rovescio di quel che dice Aristotile, Il mezo impedisce 'l moto de' proietti, e non lo conferisce.e che tanto è falso che ’l mezo conferisca il moto al proietto, quanto è vero che egli solo è che gli arreca impedimento: e inteso questo, intenderete senza trovar difficultà che quando l’aria si muove veramente, molto meglio porta seco la freccia per traverso che per lo dritto, perchè molta è l’aria che la spigne in quella postura, e pochissima in questa; ma tirate con l’arco, perchè l’aria sta ferma, la freccia traversa, percotendo in molt’aria, molto viene impedita, e l’altra per punta facilissimamente supera l’ostacolo della minima quantità d’aria che se le oppone.
Salv. Quante proposizioni ho io notate in Aristotile (intendendo sempre nella filosofia naturale), che sono non pur false, ma false in maniera, che la sua diametralmente contraria è vera, come accade di questa! Ma seguitando il nostro proposito, credo che il signor Simplicio resti persuaso che dal veder cader la pietra nel medesimo luogo sempre, non si possa conietturare circa il moto o la stabilità della nave; e quando il detto sin qui non gli bastasse, ci è l’esperienza di mezo, che lo potrà del tutto assicurare: nella quale esperienza, al più che e’ potesse vedere, sarebbe il rimanere indietro il mobile cadente, quando e’ fusse di materia assai leggiera e che l’aria non seguisse il moto della nave; ma quando l’aria si movesse con pari velocità, niuna immaginabil diversità si troverebbe nè in questa nè in qualsivoglia altra esperienza, come appresso son per dirvi. Or, quando in questo caso non apparisca diversità alcuna, che si deve pretender di veder nella pietra cadente dalla sommità della torre, dove il movimento in giro è alla pietra non avventizio e accidentario, ma naturale ed eterno, e dove l’aria segue puntualmente il moto della torre, e la torre quel del globo terrestre? Avete voi, signor Simplicio, da replicar altro sopra questo particulare?
Simp. Non altro, se non che non veggio sin qui provata la mobilità della Terra.
Salv. Né io tampoco ho preteso di provarla, ma solo di mostrare come dall’esperienza portata da gli avversarii per argomento della fermezza non si può cavar nulla; sì come credo mostrar dell’altre.
Sagr. Di grazia, signor Salviati, prima che passare ad altro, concedetemi che io metta in campo certa difficultà che mi si è raggirata per la fantasia mentre voi stavi con tanta flemma sminuzolando al signor Simplicio questa esperienza della nave.
Salv. Noi siam qui per discorrere, ed è bene che ogn’uno muova le difficultà che gli sovvengono, chè questa è la strada per venir in cognizion del vero. Però dite.
Sagr. Quando sia vero che l’impeto col quale si muove la nave resti impresso indelebilmente nella pietra, dopo che s’è separata dall’albero, e sia in oltre vero che questo moto non arrechi impedimento o ritardamento al moto retto all’ingiù, naturale alla pietra, Accidente maraviglioso nel moto de' proietti.è forza che ne segua un effetto meraviglioso in natura. Stia la nave ferma, e sia il tempo della caduta d’un sasso dalla cima dell’albero due battute di polso: muovasi poi la nave, e lascisi andar dal medesimo luogo l’istesso sasso, il quale, per le cose dette, metterà pur il tempo di due battute ad arrivare a basso, nel qual tempo la nave avrà, v. g., scorso venti braccia, talchè il vero moto della pietra sarà stato una linea trasversale, assai più lunga della prima retta e perpendicolare, che è la sola lunghezza dell’albero: tuttavia la palla l’avrà passata nel medesimo tempo. Intendasi di nuovo il moto della nave accelerato assai più, sì che la pietra nel cadere dovrà passare una trasversale ancor più lunga dell’altra; ed insomma, crescendosi la velocità della nave quanto si voglia, il sasso cadente descriverà le sue trasversali sempre più e più lunghe, e pur tutte le passerà nelle medesime due battute di polso: ed a questa similitudine, quando in cima di una torre fusse una colubrina livellata, e con essa si tirassero tiri di punto bianco, cioè paralleli all’orizonte, per poca o molta carica che si desse al pezzo, sì che la palla andasse a cadere ora lontana mille braccia, or quattro mila, or sei mila, or dieci mila etc., tutti questi tiri si spedirebbero in tempi eguali tra di loro, e ciascheduno eguale al tempo che la palla consumerebbe a venire dalla bocca del pezzo sino in terra, lasciata, senz’altro impulso, cadere semplicemente giù a perpendicolo. Or par meravigliosa cosa che nell’istesso breve tempo della caduta a piombo sino in terra dall’altezza, v. g., di cento braccia, possa la medesima palla, cacciata dal fuoco, passare or quattrocento, or mille, or quattromila, ed or diecimila braccia, sì che la palla in tutti i tiri di punto bianco si trattenga sempre in aria per tempi eguali.
Salv. La considerazione per la sua novità è bellissima, e quando l’effetto sia vero, è meraviglioso: e della sua verità io non ne dubito; e quando non ci fusse l’impedimento accidentario dell’aria, io tengo per fermo che se nell’uscir la palla del pezzo si lasciasse cader un’altra dalla medesima altezza giù a piombo, amendue arriverebbero in terra nel medesimo instante, ancorchè quella avesse camminato diecimila braccia di distanza, e questa cento solamente; intendendo che il piano della Terra fusse eguale, che per sicurezza si potrebbe tirare sopra qualche lago. L’impedimento poi che potesse venir dall’aria, sarebbe nel ritardar il moto velocissimo del tiro. Or, se così vi piace, venghiamo alle soluzioni degli altri argomenti, già che il signor Simplicio resta (per quanto io mi creda) ben capace della nullità di questo primo, preso da i cadenti da alto a basso.
Simp. Io non mi sento rimossi tutti gli scrupoli; e forse il difetto è mio, per non esser di così facile e veloce apprensiva come il signor Sagredo. E parmi che quando questo moto participato dalla pietra, mentre era su l’albero della nave, s’avesse, come voi dite, a conservar indelebilmente in lei, dopo ancora che si trova separata dalla nave, bisognerebbe che similmente quando alcuno, sendo sopra un cavallo che corresse velocemente, si lasciasse cader di mano una palla, quella, caduta in terra, continuasse il suo moto e seguitasse il corso del cavallo senza restargli a dietro: il quale effetto non credo io che si vegga, se non quando colui ch’è sul cavallo la gettasse con forza verso la parte del corso; ma senza questo, credo ch’ella resterà in terra dov’ella percuote.
Salv. Io credo che voi v’inganniate d’assai, e son sicuro che l’esperienza vi mostrerà il contrario, e che la palla, arrivata che sia in terra, correrà insieme col cavallo, nè gli resterà indietro se non quanto l’asprezza ed inegualità della strada l’impedirà: e la ragione mi par pure assai chiara. Imperocchè, quando voi, stando fermo, tiraste per terra la medesima palla, non continuerebbe ella il moto anco fuor della vostra mano? e per tanto più lungo intervallo, quanto la superficie fusse più eguale, sì che, v. g., sopra il ghiaccio andrebbe lontanissima?
Simp. Questo non ha dubbio, quando io gli do impeto col braccio; ma nell’altro caso si suppone che colui che è sul cavallo la lasci solamente cadere.
Salv. Così voglio io che segua. Ma quando voi la tirate col braccio, che altro rimane alla palla, uscita che ella vi è di mano, che il moto concepito dal vostro braccio, il quale, in lei conservato, continua di condurla innanzi? ora, che importa che quell’impeto sia conferito alla palla più dal vostro braccio che dal cavallo? mentre che voi sete a cavallo, non corre la vostra mano, ed in conseguenza la palla, così veloce come il cavallo stesso? certo sì; adunque, nell’aprir solamente la mano, la palla si parte col moto già concepito non dal vostro braccio per moto vostro particolare, ma dal moto dependente dall’istesso cavallo, che vien comunicato a voi, al braccio, alla mano, e finalmente alla palla. Anzi voglio dirvi di più, che se colui nel correre getterà col braccio la palla al contrario del corso, ella, arrivata che sia in terra, talvolta, ancorchè scagliata al contrario, pur seguiterà il corso del cavallo, e talvolta resterà ferma in terra, e solamente si muoverà all’opposito del corso, quando il moto ricevuto dal braccio superasse in velocità quello della carriera. Ed è una vanità quella di alcuni che dicono, potersi dal cavaliere lanciare una zagaglia per aria verso la parte del corso, e col cavallo seguirla e raggiugnerla e finalmente ripigliarla: e dico una vanità, perchè a far che il proietto vi torni in mano, bisogna tirarlo all’insù, nel modo medesimo che se altri stesse fermo; perchè, sia pure il corso quanto si voglia veloce, purchè sia uniforme ed il proietto non sia una cosa leggierissima, sempre ricaderà in mano al proiciente, e sia pur gettato in alto quanto si voglia.
Sagr. Problemi diversi e curiosi intorno a i moti de' proietti.Da questa dottrina io vengo in cognizione di alcuni problemi assai curiosi, in materia di questi proietti; il primo de’ quali dovrà parer molto strano al signor Simplicio. E il problema è questo: ch’io dico che è possibile che lasciata cader semplicemente la palla da uno che in qualsivoglia modo corra velocemente, arrivata che ella sia in terra, non solo segua il corso di colui, ma di assai lo anticipi; il qual problema è connesso con questo, che il mobile lanciato dal proiciente sopra il piano dell’orizonte, può acquistar nuova velocità, maggiore assai della conferitagli da esso proiciente. Il quale effetto ho io più volte con ammirazione osservato nello stare a veder costoro che giuocano a tirar con le ruzzole, le quali si veggono, uscite che son della mano, andar per aria con certa velocità, la qual poi se gli accresce assai nell’arrivare in terra; e se ruzzolando urtano in qualche intoppo che le faccia sbalzare in alto, si veggono per aria andar assai lentamente, e ricadute in terra pur tornano a muoversi con velocità maggiore: ma quel che è ancora più stravagante, ho io ancora osservato che non solamente vanno sempre più veloci per terra che per aria, ma di due spazi fatti amendue per terra, tal volta un moto nel secondo spazio è più veloce che nel primo. Or che direbbe qui il signor Simplicio?
Simp. Direi, la prima cosa, di non aver fatta cotale osservazione; secondariamente, direi di non la credere; direi poi, nel terzo luogo, che, quando voi me ne accertaste e che demostrativamente me l’insegnaste, voi fuste un gran demonio.
Sagr. Di quelli però di Socrate, non di quei dell’Inferno. Ma voi pur tornate su questo insegnare; io vi dico che quando uno non sa la verità da per sé, è impossibile che altri gliene faccia sapere; posso bene insegnarvi delle cose che non son nè vere nè false, ma le vere, cioè le necessarie, cioè quelle che è impossibile ad esser altrimenti, ogni mediocre discorso o le sa da sé o è impossibile che ei le sappia mai: e così so che crede anco il signor Salviati. E però vi dico che de i presenti problemi le ragioni son sapute da voi, ma forse non avvertite.
Simp. Lasciamo per ora questa disputa, e concedetemi ch’io dica che non intendo nè so queste cose che si trattano, e vedete pur di farmi restar capace de’ problemi.
Sagr. Questo primo depende da un altro; il quale è, onde avvenga che, tirando la ruzzola con lo spago, assai più lontano ed in conseguenza con maggior forza va, che tirata con la semplice mano.
Simp. Aristotile ancora fa non so che problemi intorno a questi proietti.
Salv. Sì, e molto ingegnosi, ed in particolare quello onde avvenga che le ruzzole tonde vanno meglio che le quadre.
Sagr. E di questo, signor Simplicio, non vi darebbe l’animo di sapere la ragione, senza altrui insegnamento?
Simp. Sì bene, sì bene; ma lasciamo le beffe.
Sagr. Tanto sapete ancora la ragion di quest’altro. Ditemi dunque: sapete che una cosa che si muova, quando vien impedita si ferma?
Simp. Sollo; quando però l’impedimento è tanto che basti.
Sagr. Sapete voi che maggiore impedimento arreca al mobile l’avere a muoversi per terra che per aria, essendo la terra scabrosa e dura, e l’aria molle e cedente?
Simp. E perchè so questo, so che la ruzzola andrà più veloce per aria che per terra; talchè il mio sapere è tutto all’opposito di quel che voi stimavi.
Sagr. Adagio, signor Simplicio. Sapete voi che nelle parti di un mobile che giri intorno al suo centro, si ritrovano movimenti verso tutte le bande? sì che altre ascendono altre descendono, altre vanno innanzi, altre all’indietro?
Simp. Lo so, ed Aristotile me l’ha insegnato.
Sagr. E con qual dimostrazione? ditemela di grazia.
Simp. Con quella del senso.
Sagr. Adunque Aristotile vi ha fatto vedere quel che senza lui non avereste veduto? avrebbev’egli prestato mai i suoi occhi? Voi volevi dire che Aristotile ve l’aveva detto, avvertito, ricordato, e non insegnato. Quando dunque una ruzzola, senza mutar luogo, gira in se stessa, non parallela, ma eretta all’orizonte, alcune sue parti ascendono, le opposte descendono, le superiori vanno per un verso, l’inferiori per il contrario. Figuratevi ora una ruzzola che, senza mutar luogo, velocemente giri in se stessa e stia sospesa in aria, e che, in tal guisa girando, sia lasciata cadere in terra a perpendicolo: credete voi che arrivata che ella sarà in terra, seguiterà di girare in se stessa senza mutar luogo, come prima?
Simp. Signor no.
Sagr. Ma che farà?
Simp. Correrà per terra velocemente.
Sagr. E verso qual parte?
Simp. Verso quella dove la porterà la sua vertigine.
Sagr. Nella sua vertigine ci son delle parti, cioè le superiori, che si muovono al contrario delle inferiori; però bisogna dire a quali ella ubidirà: chè quanto alle parti ascendenti e descendenti, l’une non cederanno all’altre, nè ’l tutto andrà in giù, impedito dalla terra, nè in su, per esser grave.
Simp. Andrà la ruzzola girando per terra verso quella parte dove tendono le parti sue superiori.
Sagr. E perchè non dove tendono le contrarie, cioè quelle che toccan terra?
Simp. Perchè quelle di terra vengono impedite dall’asprezza del toccamento, cioè dall’istessa scabrosità della terra; ma le superiori, che sono nell’aria tenue e cedente, sono impedite pochissimo o niente, e però la ruzzola andrà per il loro verso.
Sagr. Talchè quell’attaccarsi, per così dire, le parti di sotto alla terra, fa ch’elle restano, e solo si spingono avanti le superiori.
Salv. E però quando la ruzzola cadesse sul ghiaccio o altra superficie pulitissima, non così bene scorrerebbe innanzi, ma potrebbe per avventura continuar di girare in se stessa, senza acquistar altro moto progressivo.
Sagr. È facil cosa che così seguisse; ma almeno non così speditamente andrebbe ruzzolando, come cadendo su la superficie alquanto aspra. Ma dicami il signor Simplicio: quando la ruzzola, girando velocemente in se stessa, vien lasciata cadere, perchè non va ella anche per aria innanzi, come fa poi quando è in terra?
Simp. Perchè, avendo aria di sopra e di sotto, nè queste parti nè quelle hanno dove attaccarsi, e non avendo occasione di andar più innanzi che indietro, cade a piombo.
Sagr. Talchè la sola vertigine in se stessa, senz’altro impeto, può spigner la ruzzola, arrivata che sia in terra, assai velocemente. Or venghiamo al resto. Quello spago che il ruzzolante si lega al braccio, e col quale, avvolto intorno alla ruzzola, e’ la tira, che effetto fa in essa?
Simp. La costringe a girare in se stessa, per isvilupparsi dalla corda.
Sagr. Talchè quando la ruzzola arriva in terra, ella vi giugne girando in se stessa, mercé dello spagno. Non ha ella dunque cagione in se stessa di muoversi più velocemente per terra, che ella non faceva mentre era per aria?
Simp. Certo sì: perchè per aria non aveva altro impulso che quel del braccio del proiciente, e se ben aveva ancora la vertigine, questa (come si è detto) per aria non spigne punto; ma arrivando in terra, al moto del braccio s’aggiugne la progressione della vertigine, onde la velocità si raddoppia. E già intendo benissimo che rimbalzando la ruzzola in alto, la sua velocità scemerà, perchè l’aiuto della circolazione gli manca; e nel ricadere in terra lo viene a racquistare, e però torna a muoversi più velocemente che per aria. Restami solo da intender che in questo secondo moto per terra ella vadia più velocemente che nel primo, perchè così ella si moverebbe in infinito, accelerandosi sempre.
Sagr. Io non ho detto assolutamente che questo secondo moto sia più veloce del primo, ma che può talvolta accader ch’e’ sia più veloce.
Simp. Questo è quello ch’io non capisco e ch’io vorrei intendere.
Sagr. E questo ancora sapete per voi stesso. Però ditemi: quando voi vi lasciaste cader la ruzzola di mano senza che ella girasse in se stessa, che farebbe percotendo in terra?
Simp. Niente, ma resterebbe quivi.
Sagr. Non potrebb’egli accadere che nel percuotere in terra ella acquistasse moto? pensateci meglio.
Simp. Se noi non la lasciassimo cadere su qualche pietra che avesse pendio, come fanno i fanciulli con le chiose, e che battendo a sbiescio su la pietra pendente acquistasse movimento in se stessa in giro, col quale poi ella seguitasse di muoversi progressivamente in terra, non saprei in qual altra maniera ella potesse far altro che fermarsi dove ella battesse.
Sagr. Ecco pure che in qualche modo ella può acquistar nuova vertigine. Quando dunque la ruzzola sbalzata in alto ricade in giù, perchè non può ella abbattersi a dare su lo sbiescio di qualche sasso fitto in terra e che abbia il pendio verso dove è il moto, ed acquistando, per tal percossa, nuova vertigine, oltre a quella prima dello spago, raddoppiar il suo moto, e farlo più veloce che non fu nel suo primo battere in terra?
Simp. Ora intendo che ciò può facilmente seguire. E vo considerando che quando la ruzzola si facesse girare al contrario, nell’arrivare in terra farebbe contrario effetto, cioè il moto della vertigine ritarderebbe quel del proiciente.
Sagr. E lo ritarderebbe, e l’impedirebbe tal volta del tutto, quando la vertigine fusse assai veloce. E di qui nasce la soluzione di quell’effetto che i giuocatori di palla a corda più esperti fanno con lor vantaggio, cioè d’ingannar l’avversario col trinciar (che tale è il loro termine) la palla, cioè rimetterla con la racchetta obliqua, in modo che ella acquisti una vertigine in se stessa contraria al moto proietto; dal che ne séguita che, nell’arrivare in terra, il balzo che, quando la palla non girasse, andrebbe verso l’avversario, porgendoli il consueto tempo di poterla rimettere, resta come morto, e la palla si schiaccia in terra, o meno assai del solito ribalza, e rompe il tempo della rimessa. Per questo anco si veggono quelli che giuocano con palle di legno a chi più s’accosta a un segno determinato, quando giuocano in una strada sassosa e piena d’intoppi, da far deviar in mille modi la palla nè punto andar verso il segno, per isfuggirli tutti, gettar la palla non ruzzolando per terra, ma di posta per aria, come se avessero a gettare una piastra piana; ma perchè nel gettar la palla ella esce di mano con qualche vertigine conferitale dalle dita, tuttavoltachè la mano si tenesse sotto la palla, come comunemente si tiene, onde la palla, nel percuotere in terra presso al segno, tra ’l moto del proiciente e quel della vertigine scorrerebbe assai lontana, per far ch’ella si fermi, abbrancano artifiziosamente la palla, tenendo la mano di sopra e la palla di sotto, alla quale nello scappar vien conferita dalle dita la vertigine al contrario, per la quale, nel battere in terra vicino al segno, quivi si ferma o poco più avanti scorre. Ma per tornar al principal problema, che è stato causa di far nascer questi altri, dico che è possibile che uno mosso velocissimamente si lasci uscir una palla di mano la quale, giunta che sia in terra, non solo séguiti il moto di colui, ma lo anticipi ancora, movendosi con velocità maggiore. E per vedere un tal effetto, voglio che il corso sia d’una carretta, alla quale per banda di fuori sia fermata una tavola pendente, sì che la parte inferiore resti verso i cavalli e la superiore verso le ruote di dietro. Ora, se nel maggior corso della carretta alcuno, che vi sia dentro, lascerà cadere una palla giù per il pendio di quella tavola, ella nel venir giù ruzzolando acquisterà vertigine in se stessa, la quale, aggiunta al moto impresso dalla carretta, porterà la palla per terra assai più velocemente della carretta: e quando si accomodasse un’altra tavola pendente all’opposito, si potrebbe temperare il moto della carretta in modo, che la palla scorsa giù per la tavola, nell’arrivare in terra, restasse immobile, ed anco talvolta corresse al contrario della carretta. Ma troppo lungamente ci siam partiti dalla materia; e se il signor Simplicio resta appagato della soluzione del primo argomento contro alla mobilità della Terra, preso da i cadenti a perpendicolo, si potrà venire a gli altri.
Salv. Le digressioni fatte sin qui non son talmente aliene dalla materia che si tratta, che si possan chiamar totalmente separate da quella; oltrechè dependono i ragionamenti da quelle cose che si vanno destando per la fantasia non a un solo, ma a tre, che anco, di più, discorriamo per nostro gusto, nè siamo obligati a quella strettezza che sarebbe uno che ex professo trattasse metodicamente una materia, con intenzione anco di publicarla. Non voglio che il nostro poema si astringa tanto a quella unità, che non ci lasci campo aperto per gli episodii, per l’introduzion de’ quali dovrà bastarci ogni piccolo attaccamento, e quasi che noi ci fussimo radunati a contar favole, quella sia lecito dire a me, che mi farà sovvenire il sentir la vostra.
Sagr. Questo a me piace grandemente: e già che noi siamo in questa larghezza, siami lecito, prima che passare più innanzi, ricercar da voi, signor Salviati, se mai vi è venuto pensato qual si possa credere che sia la linea descritta dal mobile grave, naturalmente cadente dalla cima della torre a basso; e se vi avete fatto sopra reflessione, ditemi in grazia il vostro pensiero.
Salv. Io ci ho talvolta pensato: e non dubito punto che quando altri fusse sicuro della natura del moto col quale il grave descende per condursi al centro del globo terrestre, mescolandolo poi col movimento comune circolare della conversion diurna, si troverrebbe precisamente qual sorte di linea sia quella che dal centro della gravità del mobile vien descritta nella composizion di tali due movimenti.
Sagr. Del semplice movimento verso il centro, dependente dalla gravità, credo che si possa assolutamente senza errore credere che sia per linea retta, quale appunto sarebbe quando la Terra fusse immobile.
Salv. Quanto a questa parte, non solamente possiamo crederla, ma l’esperienza ce ne rende certi.
Sagr. Ma come ce ne assicura l’esperienza, se noi non veggiamo mai altro moto che il composto delli due, circolare ed in giù?
Salv. Anzi pur, signor Sagredo, non veggiamo noi altro che il semplice in giù, avvenga che l’altro circolare, comune alla Terra alla torre ed a noi, resta impercettibile e come nullo, e solo ci resta notabile quello della pietra, non participato da noi; e di questo il senso dimostra che sia per linea retta, venendo sempre parallelo alla stessa torre, che sopra la superficie terrestre è fabbricata rettamente ed a perpendicolo.
Sagr. Avete ragione, e ben troppo dappoco mi son dimostrato, mentre non m’è sovvenuto una cosa sì facile. Ma già che questo è notissimo, che altro dite voi di desiderare per intender la natura di questo movimento a basso?
Salv. Non basta intender che sia retto, ma bisogna sapere se sia uniforme o pure difforme, cioè se mantenga sempre un’istessa velocità o pur si vadia ritardando o accelerando.
Sagr. Già è chiaro che si va accelerando continuamente.
Salv. Né questo basta, ma converrebbe sapere secondo qual proporzione si faccia tal accelerazione: problema, che sin qui non credo che sia stato saputo da filosofo nè da matematico alcuno, ancorchè da filosofi, ed in particolare Peripatetici, sieno stati volumi intieri, e grandissimi, scritti intorno al moto.
Simp. I filosofi si occupano sopra gli universali principalmente; trovano le definizioni ed i più comuni sintomi, lasciando poi certe sottigliezze e certi tritumi, che son poi più tosto curiosità, a i matematici: ed Aristotile si è contentato di definire eccellentemente che cosa sia il moto in universale, e del locale mostrare i principali attributi, cioè che altro è naturale, altro violento, che altro è semplice, altro è composto, che altro è equabile, altro accelerato; e dell’accelerato si è contentato di render la ragione dell’accelerazione, lasciando poi l’investigazione della proporzione di tale accelerazione e di altri più particolari accidenti al mecanico o ad altro inferiore artista.
Sagr. Tutto bene, signor Simplicio mio. Ma voi, signor Salviati, calandovi talvolta dal trono della maestà peripatetica, avete mai scherzato intorno all’investigazione di questa proporzione dell’accelerazione del moto de’ gravi descendenti?
Salv. Non mi è stato bisogno di pensarvi, attesochè l’Accademico, nostro comun amico, mi mostrò già un suo trattato del moto, dove era dimostrato questo, con molti altri accidenti; ma troppo gran digressione sarebbe se per questo volessimo interromper il presente discorso, che pure esso ancora è una digressione, e far, come si dice, una commedia in commedia.
Sagr. Mi contento d’assolvervi da tal narrazione per al presente, con patto però che questa sia una delle proposizioni riservata da esaminarsi tra le altre in altra particolar sessione, perchè tal notizia è da me desideratissima: ed intanto torniamo alla linea descritta dal grave cadente dalla sommità della torre sino alla sua base.
Salv. Quando il movimento retto verso il centro della Terra fusse uniforme, essendo anco uniforme il circolare verso oriente,. si verrebbe a comporre di amendue un moto per una linea spirale, di quelle definite da Archimede nel libro delle sue spirali, che sono quando un punto si muove uniformemente sopra una linea retta, mentre essa pur uniformemente si gira intorno a un de i suoi estremi punti, fisso come centro del suo rivolgimento. Ma perchè il moto retto del grave cadente è continuamente accelerato, è forza che la linea del composto de i due movimenti si vadia sempre con maggior proporzione allontanando successivamente dalla circonferenza di quel cerchio che avrebbe disegnato il centro della gravità della pietra quando ella fusse restata sempre sopra la torre; e bisogna che questo allontanamento sul principio sia piccolo, anzi minimo, anzi pur minimissimo, avvengachè il grave descendente, partendosi dalla quiete, cioè dalla privazion del moto a basso, ed entrando nel moto retto in giù, è forza che passi per tutti i gradi di tardità che sono tra la quiete e qualsivoglia velocità, li quali gradi sono infiniti, sì come già a lungo si è discorso e concluso.
La linea descritta dal cadente naturale, supposto IL moto dela Terra circa 'l proprio centro, sarebbe probabilmente circonferenza di cerchio. Stante dunque che tale sia il progresso dell’accelerazione, ed essendo oltre di ciò vero che il grave descendente va per terminare nel centro della Terra, bisogna che la linea del suo moto composto sia tale, che ben si vadia sempre con maggior proporzione allontanando dalla cima della torre, o, per dir meglio, dalla circonferenza del cerchio descritto dalla cima della torre per la conversion della Terra, ma che tali discostamenti sieno minori e minori in infinito, quanto meno e meno il mobile si trova essersi scostato dal primo termine dove posava. Oltre di ciò è necessario che questa tal linea del moto composto vadia a terminar nel centro della Terra. Or, fatti questi due presupposti, venni già descrivendo intorno al centro A col semidiametro AB il cerchio BI, rappresentantemi il globo terrestre; e prolungando il semidiametro AB in C, descrissi l’altezza della torre BC, la quale, portata dalla Terra sopra la circonferenza BI, descrive con la sua sommità l’arco CD; divisa poi la linea CA in mezo in E, col centro E, intervallo EC, descrivo il mezo cerchio CIA, per il quale dico ora che assai probabilmente si può credere che una pietra, cadendo dalla sommità della torre C, venga movendosi del moto composto del comune circolare e del suo proprio retto. Imperocchè, segnando nella circonferenza CD alcune parti eguali CF, FG, GH, HL, e da i punti F, G, H, L tirate verso il centro A linee rette, le parti di esse intercette fra le due circonferenze CD, BI ci rappresenteranno sempre la medesima torre CB, trasportata dal globo terrestre verso DI, nelle quali linee i punti dove esse vengono segate dall’arco del mezo cerchio CI sono i luoghi dove di tempo in tempo la pietra cadente si ritrova; li quali punti si vanno sempre con maggior proporzione allontanando dalla cima della torre, che è quello che fa che il moto retto fatto lungo la torre ci si mostra sempre più e più accelerato. Vedesi ancora come, mercè della infinita acutezza dell’angolo del contatto delli due cerchi DC, CI, il discostamento del cadente dalla circonferenza CFD, cioè dalla cima della torre, è verso il principio piccolissimo, che è quanto a dire il moto in giù esser lentissimo, e più e più tardo in infinito secondo la vicinità al termine C, cioè allo stato della quiete; e finalmente s’intende come in ultimo tal moto andrebbe a terminar nel centro della Terra A.
Sagr. Intendo perfettamente il tutto, nè posso credere che ’l mobile cadente descriva col centro della sua gravità altra linea che una simile.
Salv. Ma piano, signor Sagredo; chè io ho da portarvi ancora tre mie meditazioncelle, che forse non vi dispiaceranno. Mobile cadente dal- la cima della torre si muove per la circon- ferenza d un cerchio.La prima delle quali è, che se noi ben consideriamo, il mobile non si muove realmente d’altro che di un moto semplice circolare, sì come quando posava sopra la torre pur si muoveva di un moto semplice e circolare. Non si muove più nè meno che se fusse restato là su.La seconda è ancora più bella: imperocchè egli non si muove punto più o meno che se fusse restato continuamente su la torre, essendo che a gli archi C F, F G, G H, etc., che egli avrebbe passati stando sempre su la torre, sono precisamente eguali gli archi della circonferenza C I rispondenti sotto gli stessi C F, F G, G H, etc. Dal che ne séguita la terza meraviglia: Si muove di moto equabile, e non acce- lerato.che il moto vero e reale della pietra non vien altrimenti accelerato, ma è sempre equabile ed uniforme, poichè tutti gli archi eguali notati nella circonferenza C D ed i loro corrispondenti segnati nella circonferenza C I vengono passati in tempi eguali. Talchè noi venghiamo liberi di ricercar nuove cause di accelerazione o di altri moti, poichè il mobile, tanto stando su la torre quanto scendendone, sempre si muove nel modo medesimo, cioè circolarmente, con la medesima velocità e la medesima uniformità. Or ditemi quel che vi pare di questa mia bizzarria.
Sagr. Dicovi che non potrei a bastanza con parole esprimer quanto ella mi par maravigliosa: e per quanto al presente mi si rappresenta all’intelletto, io non credo che il negozio passi altrimenti; e volesse Dio che tutte le dimostrazioni de’ filosofi avesser la metà della probabilità di questa. Vorrei bene, per mia intera sodisfazione, sentir la prova come quelli archi sieno eguali.
Salv. La dimostrazion è facilissima. Intendete esser tirata questa linea I E; ed essendo il semidiametro del cerchio C D, cioè la linea C A, doppio del semidiametro C E del cerchio C I, sarà la circonferenza doppia della circonferenza, ed ogn’arco del maggior cerchio doppio di ogni arco simile del minore, ed in conseguenza la metà dell’arco del cerchio maggiore eguale all’arco del minore: e perchè l’angolo C E I, fatto nel centro E del minor cerchio e che insiste su l’arco C I, è doppio dell’angolo C A D, fatto nel centro A del cerchio maggiore, al quale suttende l’arco C D, adunque l’arco C D è la metà dell’arco del maggior cerchio simile all’arco C I, e però sono li due archi C D, C I eguali: e nell’istesso modo si dimostrerrà di tutte le parti. Ma che il negozio, quanto al moto de i gravi descendenti, proceda così puntualmente, io per ora non lo voglio affermare; ma dirò bene che se la linea descritta dal cadente non è questa per l’appunto, ella gli è sommamente prossima.
Sagr. Ma io, signor Salviati, vo pur ora considerando un’altra cosa mirabile: e questa è, che stanti queste considerazioni, il moto retto vadia del tutto a monte e che la natura mai non se ne serva, Moto retto par del tutto escluso in natura.poichè anco quell’uso che da principio gli si concedette, che fu di ridurre al suo luogo le parti de i corpi integrali quando fussero dal suo tutto separate e però in prava disposizione costituite, gli vien levato, ed assegnato pur al moto circolare.
Salv. Questo seguirebbe necessariamente quando si fusse concluso, il globo terrestre muoversi circolarmente, cosa che io non pretendo che sia fatta, ma solamente si è andato sin qui, e si andrà, considerando la forza delle ragioni che vengono assegnate da i filosofi per prova dell’immobilità della Terra: delle quali questa prima, presa da i cadenti a perpendicolo, patisce le difficultà che avete sentite; le quali non so di quanto momento sieno parse al signor Simplicio, e però, prima che passare al cimento de gli altri argomenti, sarebbe bene ch’ei producesse se cosa ha da replicare in contrario.
Simp. Quanto a questo primo, confesso veramente aver sentito varie sottigliezze alle quali non avevo pensato, e come che elle mi giungono nuove, non posso aver le risposte così in pronto. Ma questo, preso da i cadenti a perpendicolo, non l’ho per de i più gagliardi argomenti per l’immobilità della Terra, e non so quello che accaderà de i tiri dell’artiglierie, e massime di quelli contro al moto diurno.
Sagr. Tanto mi desse fastidio il volar de gli uccelli, quanto mi fanno difficultà le artiglierie e tutte le altre esperienze arrecate di sopra! Ma questi uccelli, che ad arbitrio loro volano innanzi e ’n dietro e rigirano in mille modi, e, quel che importa più, stanno le ore intere sospesi per aria, questi, dico, mi scompigliano la fantasia, nè so intendere come tra tante girandole e’ non ismarriscano il moto della Terra, o come e’ possin tener dietro a una tanta velocità, che finalmente supera a parecchi e parecchi doppi il lor volo.
Salv. Veramente il dubitar vostro non è senza ragione, e forse il Copernico stesso non ne dovette trovar scioglimento di sua intera sodisfazione, e perciò per avventura lo tacque; se ben anco nell’esaminar l’altre ragioni in contrario fu assai conciso, credo per altezza d’ingegno, e fondato su maggiori e più alte contemplazioni, nel modo che i leoni poco si muovono per l’importuno abbaiar de i picciol cani. Serberemo dunque l’instanza de gli uccelli in ultimo, e ’n tanto cercheremo di dar sodisfazione al signor Simplicio nell’altre, col mostrargli, al modo solito, che egli stesso ha le soluzioni in mano, se bene non se n’accorge. E facendo principio da i tiri di volata, fatti, col medesimo pezzo polvere e palla, l’uno verso oriente e l’altro verso occidente, dicami qual cosa sia quella che lo muove a credere che ’l tiro verso occidente (quando la revoluzion diurna fusse del globo terrestre) dovrebbe riuscir più lungo assai che l’altro verso levante.
Simp. Motivo per il quale par che 'l tiro d'artìigilieria verso ponente debba riuscir più lungo che quello verso lenante.Muovomi a così credere, perchè nel tiro verso levante la palla, mentre che è fuori dell’artiglieria, viene seguita dall’istessa artiglieria, la quale, portata dalla Terra pur velocemente corre verso la medesima parte, onde la caduta della palla in terra vien poco lontana dal pezzo. All’incontro nel tiro occidentale, avanti che la palla percuota in terra, il pezzo si è ritirato assai verso levante, onde lo spazio tra la palla e’l pezzo, cioè il tiro, apparirà più lungo dell’altro quanto sarà stato il corso dell’artiglieria, cioè della Terra, ne’ tempi che amendue le palle sono state per aria.
Salv. Io vorrei che noi trovassimo qualche modo di far una esperienza corrispondente al moto di questi proietti, come quella della nave al moto de i cadenti da alto a basso, e vo pensando la maniera.
Sagr. Esperienza di una carrozza corrente, per vedere la differenza de' tiri.Credo che prova assai accomodata sarebbe il pigliare una carrozzetta scoperta, ed accomodare in essa un balestrone da bolzoni a meza elevazione, acciò il tiro riuscisse il massimo di tutti, e mentre i cavalli corressero, tirare una volta verso la parte dove si corre, e poi un’altra verso la contraria, facendo benissimo notare dove si trova la carrozza in quel momento di tempo che ’l bolzone si ficca in terra, sì nell’uno come nell’altro tiro; chè così potrà vedersi per appunto quanto l’uno riesce maggior dell’altro.
Simp. Parmi che tale esperienza sia molto accomodata; e non ho dubbio che ’l tiro, cioè che lo spazio tra la freccia e dove si trova la carrozza nel momento che la freccia si ficca in terra, sarà minore assai quando si tira verso il corso della carrozza, che quando si tira per l’opposito. Sia, per esempio, il tiro in se stesso trecento braccia, e ’l corso della carrozza, nel tempo che il bolzone sta per aria, sia braccia cento: adunque, tirandosi verso il corso, delle trecento braccia del tiro la carrozzetta ne passa cento, onde nella percossa del bolzone in terra lo spazio tra esso e la carrozza sarà braccia dugento solamente; ma all’incontro nell’altro tiro, correndo la carrozza al contrario del bolzone, quando il bolzone arà passate le sue trecento braccia e la carrozza le sua cento altre in contrario, la distanza traposta si troverà esser di braccia quattrocento.
Salv. Sarebbec’egli modo alcuno per far che questi tiri riuscissero eguali?
Simp. Io non saprei altro modo che col far star ferma la carrozza.
Salv. Questo si sa: ma io domando, facendo correr la carrozza a tutto corso.
Simp. Chi non ingagliardisse l’arco nel tirar secondo il corso, e poi l’indebolisse per tirar contro al corso.
Salv. Ecco dunque che pur ci è qualch’altro rimedio. Ma quanto bisognerebbe ingagliardirlo di più, e quanto poi indebolirlo?
Simp. Nell’esempio nostro, dove aviamo supposto che l’arco tirasse trecento braccia, bisognerebbe, per il tiro verso il corso, ingagliardirlo sì che tirasse braccia quattrocento, e per l’altro indebolirlo tanto che non tirasse più di dugento, perchè così l’uno e l’altro tiro riuscirebbe di braccia trecento in relazione alla carrozza, la quale col suo corso di cento braccia, che ella sottrarrebbe al tiro delle quattrocento e l’aggiugnerebbe a quel delle dugento, verrebbe a ridurgli amendue alle trecento.
Salv. Ma che effetto fa nella freccia la maggior o minor gagliardia dell’arco?
Simp. L’arco gagliardo la caccia con maggior velocità, e ’l più debole con minore; e l’istessa freccia va tanto più lontana una volta che l’altra, con quanta maggior velocità ella esce della cocca l’una volta che l’altra.
Salv. Talchè per far che la freccia tirata tanto per l’uno quanto per l’altro verso s’allontani egualmente dalla carrozza corrente, bisogna che se nel primo tiro dell’esempio proposto ella si parte, v. g., con quattro gradi di velocità, nell’altro tiro ella si parta con due solamente. Ma se si adopra il medesimo arco, da esso ne riceve sempre tre gradi.
Simp. Così è; e per questo, tirando con l’arco medesimo, nel corso della carrozza i tiri non posson riuscire eguali.
Salv. Mi ero scordato di domandar con che velocità si suppone, pur in questa esperienza particolare, che corra la carrozza.
Simp. La velocità della carrozza bisogna supporla di un grado, in comparazione di quella dell’arco, che è tre.
Salv. Sì, sì, così torna il conto giusto. Ma ditemi: quando la carrozza corre, non si muovono ancora con la medesima velocità tutte le cose che son nella carrozza?
Simp. Senza dubbio.
Salv. Adunque il bolzone ancora, e l’arco, e la corda su la quale è teso.
Simp. Così è.
Salv. Adunque, nello scaricare il bolzone verso il corso della carrozza l’arco imprime i suoi tre gradi di velocità in un bolzone che ne ha già un grado, mercé della carrozza che verso quella parte con tanta velocità lo porta, talchè nell’uscir della cocca e’ si trova con quattro gradi di velocità; ed all’incontro, tirando per l’altro verso, il medesimo arco conferisce i suoi medesimi tre gradi in un bolzone che si muove in contrario con un grado, talchè nel separarsi dalla corda non gli restano altro che dua soli gradi di velocità. Ma già voi stesso avete deposto che per fare i tiri eguali bisogna che il bolzone si parta una volta con quattro gradi e l’altra con due: adunque, senza mutar arco, l’istesso corso della carrozza è quello che aggiusta le partite, e l’esperienza è poi quella che le sigilla a coloro che non volessero o non potessero esser capaci della ragione. Ora applicate questo discorso all’artiglieria, e troverete che, muovasi la Terra o stia ferma, Sciogiiesi l' argomento primo de i tiri d'artiglieria verso levante e verso ponente.i tiri fatti dalla medesima forza hanno a riuscir sempre eguali, verso qualsivoglia parte indrizzati. L’errore di Aristotile, di Tolomeo, di Ticone, vostro, e di tutti gli altri, ha radice in quella fissa e inveterata impressione, che la Terra stia ferma, della quale non vi potete o sapete spogliare nè anco quando volete filosofare di quel che seguirebbe, posto che la Terra si movesse; e così nell’altro argomento, non considerando che mentre che la pietra è su la torre, fa, circa il muoversi o non muoversi, quel che fa il globo terrestre, perchè avete fisso nella mente che la Terra stia ferma, discorrete intorno alla caduta del sasso sempre come se si partisse dalla quiete, dove che bisogna dire: Se la Terra sta ferma, il sasso si parte dalla quiete e scende perpendicolarmente; ma se la Terra si muove, la pietra altresì si muove con pari velocità, nè si parte dalla quiete, ma dal moto eguale a quel della Terra, col quale mescola il sopravegnente in giù e ne compone un trasversale.
Simp. Ma, Dio buono, come, se ella si muove trasversalmente, la veggo io muoversi rettamente e perpendicolarmente? questo è pure un negare il senso manifesto; e se non si deve credere al senso, per qual altra porta si deve entrare a filosofare?
Salv. Rispetto alla Terra, alla torre e a noi, che tutti di conserva ci moviamo, col moto diurno, insieme con la pietra, il moto diurno è come se non fusse, resta insensibile, resta impercettibile, è senza azione alcuna, e solo ci resta osservabile quel moto del quale noi manchiamo, che è il venire a basso lambendo la torre. Voi non sete il primo che senta gran repugnanza in apprender questo nulla operar il moto tra le cose delle quali egli è comune.
Sagr. Ora mi sovviene di certo mio fantasticamento, che mi passò un giorno per l’immaginativa Caso notabile del Sagredo per mostrare il nulla operare del moto continuo.mentre navigava nel viaggio di Aleppo, dove andava consolo della nostra nazione; e forse potrebb’esser di qualche aiuto, per esplicar questo nulla operare del moto comune ed esser come se non fusse per tutti i participanti di quello: e voglio, se così piace al signor Simplicio, discorrer seco quello che allora fantasticava da me solo.
Simp. La novità delle cose che sento mi fa curioso, non che tollerante, di ascoltare: però dite pure.
Sagr. Se la punta di una penna da scrivere, che fusse stata in nave per tutta la mia navigazione da Venezia sino in Alessandretta, avesse avuto facultà di lasciar visibil segno di tutto il suo viaggio, che vestigio, che nota, che linea avrebb’ella lasciata?
Simp. Avrebbe lasciato una linea distesa da Venezia sin là, non perfettamente diritta o, per dir meglio, distesa in perfetto arco di cerchio, ma dove più e dove meno flessuosa, secondo che il vassello fusse andato or più or meno fluttuando; ma questo inflettersi in alcuni luoghi un braccio o due, a destra o a sinistra, in alto o a basso, in una lunghezza di molte centinaia di miglia piccola alterazione arebbe arrecato all’intero tratto della linea, sì che a pena sarebbe stato sensibile, e senza error di momento si sarebbe potuta chiamare una parte d’arco perfetto.
Sagr. Sì che il vero, vero, verissimo moto di quella punta di penna sarebbe anco stato un arco di cerchio perfetto, quando il moto del vassello, tolta la fluttuazion dell’onde, fusse stato placido e tranquillo. E se io avessi tenuta continuamente quella medesima penna in mano, e solamente l’avessi talvolta mossa un dito o due in qua o in là, qual alterazione arei io arrecata a quel suo principale e lunghissimo tratto?
Simp. Minore di quella che arrecherebbe a una linea retta lunga mille braccia il declinar in varii luoghi dall’assoluta rettitudine quanto è un occhio di pulce.
Sagr. Quando dunque un pittore nel partirsi dal porto avesse cominciato a disegnar sopra una carta con quella penna, e continuato il disegno sino in Alessandretta, avrebbe potuto cavar dal moto di quella un’intera storia di molte figure perfettamente dintornate e tratteggiate per mille e mille versi, con paesi, fabbriche, animali ed altre cose, se ben tutto il vero, reale ed essenzial movimento segnato dalla punta di quella penna non sarebbe stato altro che una ben lunga ma semplicissima linea; e quanto all’operazion propria del pittore, l’istesso a capello avrebbe delineato quando la nave fusse stata ferma. Che poi del moto lunghissimo della penna non resti altro vestigio che quei tratti segnati su la carta, la cagione ne è l’essere stato il gran moto da Venezia in Alessandretta comune della carta e della penna e di tutto quello che era in nave; ma i moti piccolini, innanzi e ’n dietro, a destra ed a sinistra, comunicati dalle dita del pittore alla penna e non al foglio, per esser proprii di quella, potettero lasciar di sé vestigio su la carta, che a tali movimenti restava immobile. Così parimente è vero, che movendosi la Terra, il moto della pietra, nel venire a basso, è stato realmente un lungo tratto di molte centinaia ed anco di molte migliaia di braccia, e se avesse potuto segnare in un’aria stabile o altra superficie il tratto del suo corso, averebbe lasciata una lunghissima linea trasversale; ma quella parte di tutto questo moto che è comune del sasso, della torre e di noi, ci resta insensibile e come se non fusse, e solo rimane osservabile quella parte della quale nè la torre nè noi siamo partecipi, che è in fine quello con che la pietra, cadendo, misura la torre.
Salv. Sottilissimo pensiero per esplicar questo punto, assai difficile per esser capito da molti. Or, se il signor Simplicio non vuol replicar altro, possiamo passare all’altre esperienze, lo scioglimento delle quali riceverà non poca agevolezza dalle cose dichiarate sin qui.
Simp. Io non ho che dir altro, ed era mezo astratto su quel disegno, e sul pensare come quei tratti tirati per tanti versi, di qua, di là, in su, in giù, innanzi, in dietro, e ’ntrecciati con centomila ritortole, non sono, in essenza e realissimamente, altro che pezzuoli di una linea sola tirata tutta per un verso medesimo, senza verun’altra alterazione che il declinar dal tratto dirittissimo talvolta un pochettino a destra e a sinistra e il muoversi la punta della penna or più veloce ed or più tarda, ma con minima inegualità: e considero che nel medesimo modo si scriverebbe una lettera, e che questi scrittori più leggiadri, che, per mostrar la scioltezza della mano, senza staccar la penna dal foglio, in un sol tratto segnano con mille e mille ravvolgimenti una vaga intrecciatura, quando fussero in una barca che velocemente scorresse, convertirebbero tutto il moto della penna, che in essenza è una sola linea tirata tutta verso la medesima parte e pochissimo inflessa o declinante dalla perfetta drittezza, in un ghirigoro: ed ho gran gusto che il signor Sagredo m’abbia destato questo pensiero. Però seguitiamo innanzi, chè la speranza di poterne sentir de gli altri mi terrà più attento.
Sagr. Quando voi aveste curiosità di sentir di simili arguzie, che non sovvengono così a ognuno, non ce ne mancano, e massime in questa cosa della navigazione. Sottiglieze assai insipide ironicamente dette, e cavate da certa enciclopedia.E non vi parrà un bel pensiero quello che mi sovvenne pur nella medesima navigazione, quando mi accorsi che l’albero della nave, senza rompersi o piegarsi, aveva fatto più viaggio con la gaggia, cioè con la cima, che col piede? perchè la cima, essendo più lontana dal centro della Terra che non è il piede, veniva ad aver descritto un arco di un cerchio maggiore del cerchio per il quale era passato il piede.
Simp. E così, quand’un uomo cammina, fa più viaggio col capo che co i piedi?
Sagr. L’avete da per voi stesso e di vostro ingegno penetrata benissimo. Ma non interrompiamo il signor Salviati.
Salv. Mi piace di veder che il signor Simplicio si va addestrando, se però il pensiero è suo, e non l’ha imparato da certo libretto di conclusioni, dove ne sono parecchi altri non men vaghi e arguti. Instanza contro al moto diurno della Terra, presa dal tiro perpendicolare dell'artiglieria,Segue che noi parliamo dell’artiglieria eretta a perpendicolo sopra l’orizonte, cioè del tiro verso il nostro vertice, e finalmente del ritorno della palla per l’istessa linea sopra l’istesso pezzo, ancorchè nella lunga dimora che ella sta separata dal pezzo, la Terra l’abbia per molte miglia portato verso levante, e par che per tanto spazio dovrebbe la palla cader lontana dal pezzo verso occidente; il che non accade; adunque l’artiglieria, senza essersi mossa, l’ha aspettata. Si risponde all'instanza, mostrando l'equivoco.La soluzione è l’istessa che quella della pietra cadente dalla torre, e tutta la fallacia e l’equivocazione consiste nel suppor sempre per vero quello che è in quistione; perchè l’avversario ha sempre fermo nel concetto che la palla si parta dalla quiete, nel venir cacciata dal fuoco fuor del pezzo, e partirsi dallo stato di quiete non può esser se non supposta la quiete del globo terrestre, che è poi la conclusione di che si quistioneggia. Replico per tanto che quelli che fanno la Terra mobile, rispondono che l’artiglieria e la palla che vi è dentro participano il medesimo moto che ha la Terra, anzi che questo, insieme con lei, hann’eglino da natura, e che però la palla non si parte altrimenti dalla quiete, ma congiunta co ’l suo moto intorno al centro, il quale dalla proiezione in su non le vien nè tolto nè impedito, ed in tal guisa, seguitando il moto universale della Terra verso oriente, sopra l’istesso pezzo di continuo si mantiene, sì nell’alzarsi come nel ritorno: e l’istesso vedrete voi accadere facendo l’esperienza in nave di una palla tirata in su a perpendicolo con una balestra, la quale ritorna nell’istesso luogo, muovasi la nave o stia ferma.
Sagr. Questo sodisfà benissimo al tutto: ma perchè ho veduto che il signor Simplicio prende gusto di certe arguzie da chiappar (come si dice) il compagno, Altra soluzione alla medesima istanza.gli voglio domandare se, supposto per ora che la Terra stia ferma, e sopra essa l’artiglieria eretta perpendicolarmente e drizzata al nostro zenit, egli ha difficultà nessuna in intender che quello è il vero tiro a perpendicolo, e che la palla nel partirsi e nel ritorno sia per andar per l’istessa linea retta, intendendo sempre rimossi tutti gli impedimenti esterni ed accidentarii.
Simp. Io intendo che il fatto deva succeder così per appunto.
Sagr. Ma quando l’artiglieria si piantasse non a perpendicolo, ma inclinata verso qualche parte, qual dovrebbe essere il moto della palla? andrebbe ella forse, come nell’altro tiro, per la linea perpendicolare, e ritornando anco poi per l’istessa?
Simp. Questo non farebb’ella, ma uscita del pezzo seguiterebbe il suo moto per la linea retta che continua la dirittura della canna, se non in quanto il proprio peso la farebbe declinar da tal dirittura verso terra.
Sagr. Talchè la dirittura della canna è la regolatrice del moto della palla, Proietti continuano il moto per la linea retta retta che segue la direzione del moto che fecero insieme col proiciente, mentre con esso erano congiunti,nè fuori di tal linea si muove, o muoverebbe, se ’l peso proprio non la facesse declinare in giù: e però, posta la canna a perpendicolo e cacciata la palla in su, ella ritorna per l’istessa linea retta in giù, perchè il moto della palla dependente dalla sua gravità è in giù per la medesima perpendicolare. Il viaggio dunque della palla fuor del pezzo continua la dirittura di quella particella di viaggio che ella ha fatto dentro al pezzo: non sta così?
Simp. Così pare a me.
Sagr. Ora figuratevi la canna eretta a perpendicolo, e che la Terra si volga in se stessa co ’l moto diurno e seco porti l’artiglieria: ditemi qual sarà il moto della palla dentro alla canna, dato che si sia fuoco?
Simp. Sarà un moto retto e perpendicolare, essendo la canna drizzata a perpendicolo.
Sagr. Considerate bene, perch’io credo ch’e’ non sarà perpendicolare altrimenti. Sarebbe bene a perpendicolo se la Terra stesse ferma, perchè così la palla non avrebbe altro moto che quello che le venisse dal fuoco; Posta la vertigine della Terra, la palla nell'artiglieria eretta a perpendicolo non i muove per linea perpendicolare, ma per una inclinata.ma quando la Terra giri, la palla che è nel pezzo ha essa ancora il moto diurno, talchè, sopravvenendole l’impulso del fuoco, ella cammina, dalla culatta del pezzo alla bocca, di due movimenti, dal composto de’ quali ne risulta, il moto fatto dal centro della gravità della palla essere una linea inclinata. E per più chiara intelligenza, sia l’artiglieria AC eretta, ed in essa la palla B: è manifesto che stando il pezzo immobile, e datogli fuoco, la palla uscirà per la bocca A, ed avrà co ’l suo centro, camminando per il pezzo, descritta la linea perpendicolare BA, e quella dirittura andrà seguitando fuor del pezzo, movendosi verso il vertice. Ma quando la quando la Terra andasse in volta, ed in conseguenza seco portasse l’artiglieria, nel tempo che la palla cacciata dal fuoco si muovesse per la canna, l’artiglieria portata dalla Terra passerebbe nel sito DE, e la palla B nello sboccare sarebbe alla gioia D, ed il moto del centro della palla sarebbe stato secondo la linea BD, non più perpendicolare, ma inclinata verso levante; e dovendo (come già s’è concluso) continuar la palla il suo moto per l’aria secondo la direzion del moto fatto nel pezzo, il moto seguirà conforme all’inclinazion della linea BD: e così non sarà altrimenti perpendicolare, ma inclinato verso levante, verso dove ancora cammina il pezzo, onde potrà la palla seguire il moto della Terra e del pezzo. Or eccovi, Sig. Simplicio, mostrato come il tiro che pareva dover esser a perpendicolo, non è altrimenti.
Simp. Io non resto ben capace di questo negozio; e voi, signor Salviati?
Salv. Io ne resto in parte; ma vi ho non so che scrupolo, che Dio voglia ch’io lo sappia spiegare. E’ mi pare che, conforme a questo che si è detto, quando il pezzo sia a perpendicolo e la Terra si muova, la palla non solo non avrebbe a ricader, come vuole Aristotile e Ticone, lontana dal pezzo verso occidente, ma nè anco, come volete voi, sopra il pezzo, anzi assai lontano verso levante; perchè, conforme alla vostra esplicazione, ella avrebbe due moti, li quali concordemente la caccerebbero verso quella parte, cioè il moto comune della Terra, che porta l’artiglieria e la palla da C A verso E D, ed il fuoco, che la caccia per la linea inclinata B D, moti amendue verso levante, e però superiori al moto della Terra.
Sagr. No, Signore. Il moto che porta la palla verso levante vien tutto dalla Terra, ed il fuoco non ve ne ha parte alcuna; il moto che spigne la palla in su, è tutto del fuoco, nè vi ha che far punto la Terra: e che sia vero, non date fuoco, che mai non uscirà la palla fuor del pezzo, nè pur si alzerà un capello: come ancora, fermate la Terra e date fuoco; la palla, senza punto inclinarsi, andrà per la perpendicolare. Avendo dunque la palla due moti, uno in su e l’altro in giro, de’ quali si compone il traversale B D, l’impulso in su è tutto del fuoco, il circolare vien tutto dalla Terra ed a quel della Terra è eguale; e perchè gli è eguale, la palla si mantien sempre a perpendicolo sopra la bocca dell’artiglieria, e finalmente in quella ricade; e mantenendosi sempre sopra la dirittura del pezzo, apparisce ancora continuamente sopra il capo di chi è vicino al pezzo, e però ci pare che ella giusto a perpendicolo salga verso il nostro vertice.
Simp. A me resta un’altra difficultà, ed è che, per esser il moto della palla nel pezzo velocissimo, non par possibile che in quel momento di tempo la trasposizion dell’artiglieria da C A in E D conferisca inclinazion tale alla linea trasversale C D, che mercé di essa la palla poi per aria possa tener dietro al corso della Terra.
Sagr. Voi errate in più conti. E prima, l’inclinazion della trasversale C D credo che sia molto maggiore di quello che voi vi immaginate, perchè tengo senza dubbio che la velocità del moto terrestre, non solo sotto l’equinoziale, ma nel nostro parallelo ancora, sia maggior che quella della palla, mentre si muove dentro al pezzo; sì che l’intervallo C E sarebbe assolutamente maggiore che tutta la lunghezza del pezzo, e l’inclinazione della traversale maggiore, in conseguenza, di mezzo angolo retto. Ma, o sia poca o sia molta la velocità della Terra in comparazione di quella del fuoco, questo non importa niente, perchè, se la velocità della Terra è poca, ed in conseguenza poca l’inclinazione della trasversale, di poca inclinazione ci è anco di bisogno per far che la palla continui di mantenersi nella sua volata sopra il pezzo: ed insomma, se voi attentamente andrete considerando, comprenderete che il moto della Terra, co ’l trasferir seco il pezzo da C A in E D, conferisce alla trasversale C D quel di meno o di più inclinazione che si ricerca per aggiustare il tiro al suo bisogno. Ma errate secondariamente, mentre voleste riconoscer la facultà del tener dietro la palla al moto della Terra dall’impeto del fuoco, e ricadete nell’errore in che pareva esser incorso poco fa il signor Salviati; perchè il tener dietro alla Terra è l’antichissimo e perpetuo moto participato indelebilmente ed inseparabilmente da essa palla, come da cosa terrestre e che per sua natura lo possiede e lo possederà in perpetuo.
Salv. Quietiamoci pur, signor Simplicio, perchè il negozio cammina giustamente così. Ed ora da questo discorso vengo a intender la ragione di un problema venatorio di questi imberciatori Imberciatori come ammazzino gli uccelli per aria.che con l’archibuso ammazzano gli uccelli per aria: e perchè io mi era immaginato che per còrre l’uccello fermassero la mira lontana dall’uccello, anticipando per certo spazio, e più o meno secondo la velocità del volo e la lontananza dell’uccello, acciò che sparando ed andando la palla a dirittura della mira venisse ad arrivar nell’istesso tempo al medesimo punto, essa co ’l suo moto e l’uccello co ’l suo volo, e così si incontrassero; domandando ad uno di loro se la lor pratica fusse tale, mi rispose di no, ma che l’artifizio era assai più facile e sicuro, e che operano nello stesso modo per appunto che quando tirano all’uccello fermo, cioè che aggiustano la mira all’uccel volante, e quello co ’l muover l’archibuso vanno seguitando, mantenendogli sempre la mira addosso sin che sparano, e che così gli imberciano come gli altri fermi. Bisogna dunque che quel moto, benchè lento, che l’archibuso fa nel volgersi, secondando con la mira il volo dell’uccello, si comunichi alla palla ancora e che in essa si congiunga con l’altro del fuoco, sì che la palla abbia dal fuoco il moto diritto in alto, e dalla canna il declinar secondando il volo dell’uccello, giusto come pur ora si è detto del tiro d’artiglieria; dove la palla ha dal fuoco l’andare in alto verso il vertice, e dal moto della Terra il piegar verso oriente e di amendue farne un composto che segua il corso della Terra e che a chi la guarda apparisca solo di andare a dritto in su, ritornando per la medesima linea di poi in giù. Il tener dunque la mira continuamente indirizzata verso lo scopo fa che il tiro va a ferir giusto: e per tener la mira a segno, se lo scopo sta fermo, anco la canna converrà che si tenga ferma; e se il berzaglio si muoverà, la canna si terrà a segno co ’l moto. E di qui depende la propria risposta all’altro argomento del tirar con l’artiglieria al berzaglio posto verso mezogiorno o verso settentrione; dove si instava che quando la Terra si movesse, i tiri riuscirebber tutti costieri verso occidente, perchè nel tempo che la palla, uscita del pezzo, va per aria al segno, quello, portato verso levante, si lascia la palla per ponente. Rispondo dunque domandando se, aggiustata che si sia l’artiglieria al segno e lasciata star così, ella continua a rimirar sempre l’istesso segno, muovasi la Terra o stia ferma. Convien rispondere che la mira non si muta altrimenti, perchè, se lo scopo sta fermo, l’artiglieria parimente sta ferma, e se quello, portato dalla Terra, si muove, muovesi con l’istesso tenore l’artiglieria ancora; e mantenendosi la mira, il tiro riesce sempre giusto, come per le cose dette di sopra è manifesto.
Sagr. Fermate un poco in grazia, signor Salviati, sin che io proponga alcun pensiero che mi si è mosso intorno a questi imberciatori d’uccelli volanti: il modo dell’operar de’ quali credo che sia qual voi dite, e credo che l’effetto parimente segua del ferir l’uccello; ma non mi par già che tale operazione sia del tutto conforme a questa de i tiri dell’artiglieria, li quali debbon colpire tanto nel moto del pezzo e dello scopo, quanto nella quiete comune di amendue: e le difformità mi paion queste. Nel tiro dell’artiglieria, essa e lo scopo si muovono con velocità eguale, sendo portati amendue dal moto del globo terrestre; e se ben tal volta l’esser il pezzo piantato più verso il polo che il berzaglio, ed in conseguenza il suo moto alquanto più tardo, come fatto in minor cerchio, tal differenza è insensibile, per la poca lontananza dal pezzo al segno: ma nel tiro dell’imberciatore il moto dell’archibuso, col quale va seguitando l’uccello, è tardissimo in comparazion del volo di quello; dal che mi par che ne séguiti che quel piccol moto che conferisce il volger della canna alla palla che vi è dentro, non possa, uscita che ella è, multiplicarsi per aria sino alla velocità del volo dell’uccello, in modo che essa palla se gli mantenga sempre indirizzata, anzi par ch’e’ debba anticiparla e lasciarsela alla coda. Aggiugnesi che in questo atto l’aria per la quale debbe passar la palla non si suppone che abbia il moto dell’uccello; ma ben nel caso dell’artiglieria essa e ’l berzaglio e l’aria intermedia participano egualmente il moto universal diurno. Talchè del colpire dell’imberciatore crederei che ne fusser cagioni, oltre al secondar il volo col moto della canna, l’anticiparlo alquanto, con tener la mira innanzi, ed oltr’a ciò il tirar (com’io credo) non con una sola palla, ma con buon numero di palline, le quali, allargandosi per aria, occupano spazio assai grande, ed oltre a questo l’estrema velocità con la quale dall’uscita della canna si conducono all’uccello.
Salv. Ed ecco di quanto il volo dell’ingegno del signor Sagredo anticipa e previene la tardità del mio, il quale forse arebbe avvertite queste disparità, ma non senza una lunga applicazion di mente. Ora, tornando alla materia, ci restano da considerar i tiri di punto bianco Risposta all'argomento preso da i tiri di punto bianco, orientali ed occidentali.verso levante e verso ponente: i primi de’ quali, quando la Terra si muovesse, dovrebbon riuscir sempre alti sopra il berzaglio, e i secondi bassi, avvengachè le parti della Terra orientali, per il moto diurno, si vanno continuamente abbassando sotto la tangente parallela all’ orizonte, che però ci appariscono le stelle orientali elevarsi, ed all’incontro le parti occidentali si vengono alzando, onde le stelle occidentali mostrano di abbassarsi; e però i tiri che son aggiustati secondo la detta tangente allo scopo orientale, il qual, mentre la palla vien per la tangente, si abbassa, doverebber riuscir alti, e gli occidentali bassi, mediante l’alzamento del berzaglio mentre la palla corre per la tangente. Soluzione dell' instanza presa da i tiri verso levante e verso lo ponente.La risposta è simile all’altre: perchè, sì come lo scopo orientale per il moto della Terra si va continuamente abbassando sotto una tangente che restasse immobile, così anco il pezzo per la medesima ragione si va continuamente inclinando, e seguitando di rimirar sempre l’istesso scopo, onde i tiri ne riescon giusti. I seguaci del Coperte ammettono come vere alcune proposizioni assai dubbiose.Ma qui mi par opportuna occasione di avvertir certa larghezza che vien fatta, forse con soverchia liberalità, da i seguaci del Copernico alla parte avversa: dico di concedergli come sicure e certe alcune esperienze che gli avversarii veramente non hanno mai fatte, come, v. g., quella de i cadenti dall’albero della nave mentre è in moto, ed altre molte; tra le quali tengo per fermo che una sia questa del far prova se i tiri d’artiglieria orientali riescon alti, e gli occidentali bassi. E perchè credo che non l’abbiano mai fatta, vorrei che mi dicessero qual diversità e’ credono che si dovrebbe scorgere tra i medesimi tiri, posta la Terra immobile o postala mobile; e per loro risponda adesso il signor Simplicio.
Simp. Io non mi voglio arrogere di risponder così fondatamente come forse qualche altro più intendente di me, ma dirò quello che penso così all’improviso che risponderebbero, che è in effetto quello che già è stato prodotto: cioè che quando la Terra si movesse, i tiri orientali riuscirebber sempre alti, etc., dovendo, come par verisimile muoversi la palla per la tangente.
Salv. Ma s’io dicessi che così segue in effetto, come fareste a reprovare il mio detto?
Simp. Converrebbe venir all’esperienza per chiarirsene.
Salv. Ma credete voi che si trovasse bombardier così pratico, che togliesse a dar nel berzaglio ogni tiro nella distanza, v. g., di cinquecento braccia?
Simp. Signor no: e credo che non sarebbe alcuno, per esperto che fusse, che si promettesse di non errar ragguagliatamente più d’un braccio.
Salv.Come dunque ci potremmo con tiri così fallaci assicurar in quello di che dubitiamo?
Simp. Potremmoci assicurar in due modi: l’uno, co ’l tirar molti tiri; e l’altro, perchè rispetto alla gran velocità del moto della Terra la deviazion dallo scopo sarebbe, per mio parer, grandissima.
Salv. Grandissima, cioè assai più d’un braccio; già che il variar di tanto, ed anco di più, si concede che accaschi ordinariamente anco nella quiete del globo terrestre.
Simp. Credo fermamente che la variazion sarebbe assai maggiore.
Salv. Calcolo di quanto i tiri d'artiglieria dovrebbero svariar dal segno, posto il moto della Terra.Or voglio che per nostro gusto facciamo così alla grossa un poco di calcolo, se così vi piace, che ci servirà anco (se il computo batterà, come spero) per avvertimento di non se ne andar in altre occorrenze, come si dice, così facilmente preso alle grida, e porger l’assenso a tutto quello che prima ci si rappresenta alla fantasia. E per dare ancora tutti i vantaggi a i Peripatetici e Ticonici, voglio che ci figuriamo esser sotto l’equinoziale, per tirar con una colubrina di punto bianco verso occidente al berzaglio in cinquecento braccia di distanza. Prima cerchiamo, così (come ho detto) a un di presso, quanto può essere il tempo nel quale la palla, uscita dal pezzo, giugne al segno, che sappiamo esser brevissimo, ed al sicuro non è più di quello nel quale un pedone cammina due passi; e questo è ancor manco di un minuto secondo d’ora, perchè, posto che il pedone cammini tre miglia per ora, che sono braccia novemila, essendo che un’ora contiene tremila seicento minuti secondi, vengono a farsi in un secondo passi dua e mezo: un secondo dunque è più che il tempo del moto della palla. E perchè la rivoluzion diurna è ventiquattr’ore, l’orizonte occidentale si alza quindici gradi per ora, cioè quindici minuti primi di grado per un minuto primo di ora, cioè quindici secondi di grado per un secondo d’ora; e perchè un secondo è il tempo del tiro, adunque in questo tempo si alza l’orizonte occidentale quindici secondi di grado, e tanto ancora il berzaglio: quindici secondi però di quel cerchio, del quale il semidiametro sia di braccia cinquecento (che tanta si è posto esser la lontananza del berzaglio dalla colubrina). Or guardiamo nella tavola de gli archi e corde (che ecco qui appunto il libro del Copernico), qual parte è la corda di quindici secondi del semidiametro che sia braccia cinquecento: qui si vede, la corda di un minuto primo esser manco di trenta parti di quelle che il semidiametro è centomila; adunque delle medesime la corda di un minuto secondo sarà manco di mezo, cioè manco di una parte di quali il semidiametro sia dugentomila, e però la corda di quindici secondi sarà manco di quindici delle medesime dugentomila parti. Ma quello che di dugentomila è manco di quindici, è ancor più di quello che di cinquecento è quattro centesimi; adunque l’alzamento del berzaglio nel tempo del moto della palla è manco di quattro centesimi, cioè di un venticinquesimo di braccio; sarà dunque circa un dito: ed un sol dito, in conseguenza, sarà lo svario di ciascun tiro occidentale, quando il moto diurno fusse della Terra. Ora s’io vi dirò che questo svario effettivamente accade in tutti i tiri (dico di dar più basso un dito di quel che darebbono se la Terra non si movesse), come fareste, signor Simplicio, a convincermi, mostrandomi con l’esperienze ciò non accadere? non vedete voi che non è possibile ributtarmi, se prima non trovate una maniera di tirar a segno tanto esatta, che mai non s’erri d’un capello? perchè, mentre che i tiri riusciranno variabili di braccia, come de facto sono, io dirò sempre che in ciascheduno di quelli svarii vi è contenuto quello di un dito, cagionato dal moto della Terra.
Sagr. Perdonatemi, signor Salviati; voi sete troppo liberale; Con gran sottigiiezza si mostra, che pòsto il moto della Terra, l'artiglieria non deve variar più che nella quiete perchè io direi a i Peripatetici, che quando bene ogni tiro investisse il centro stesso del berzaglio, ciò non contrarierebbe punto al moto della Terra: imperocchè i bombardieri si sono esercitati sempre in aggiustar la mira al berzaglio, ed hanno fatto la pratica di mettere il pezzo a segno in modo che ci dien dentro, stante il moto della Terra; e dico che se la Terra si fermasse, i tiri non riuscirebbon giusti, ma gli occidentali riuscirebbon alti, e bassi gli orientali. Or convincami il signor Simplicio.
Salv. Sottigliezza degna del signor Sagredo. Ma abbiasi a vedere questa variazione nel moto o nella quiete della Terra, non potendo ella esser se non piccolissima, non può se non rimaner sommersa nelle grandissime che per molti accidenti continuamente accascano. E tutto questo sia detto e conceduto per buona misura al signor Simplicio, Conviene esser molto cauto nel conceder per vere le esperienze a quelli che mai non l'hanno fatte.e solo per avvertimento di quanto bisogni andar cauto nel conceder come vere molte esperienze a quelli che mai non l’hanno fatte, ma animosamente le producono quali bisognerebbe che fussero per servir alla causa loro. Dico che questo si dà per giunta al signor Simplicio, perchè la verità schietta è che circa gli effetti di questi tiri il medesimo deve accadere puntualmente tanto nel moto quanto nella quiete del globo terrestre; Esperienze e ragioni contro al moto della Terra in tanto appariscono concludenti, in quanto ci tengono tra gli equivochi.sì come accaderà di tutte l’altre esperienze addotte e che addur si possono, le quali in tanto hanno nel primo aspetto qualche sembianza di vero, in quanto l’antiquato concetto dell’immobilità della Terra ci mantiene tra gli equivoci.
Sagr. Io per la parte mia resto sin qui sodisfatto a pieno, ed intendo benissimo che chiunque si imprimerà nella fantasia questa general comunicanza della diurna conversione tra tutte le cose terrestri, alle quali tutte ella naturalmente convenga, in quel modo che nel vecchio concetto stimavano convenirgli la quiete intorno al centro, senza veruno intoppo discernerà la fallacia e l’equivocazione che faceva parer gli argomenti prodotti esser concludenti. Restami solamente qualche scrupolo, come di sopra ho accennato, intorno al volar de gli uccelli; i quali, avendo, come animati, facultà di muoversi a lor piacimento di centomila moti, e di trattenersi, separati dalla Terra, lungamente per aria, e qui con disordinatissimi rivolgimenti andar vagando, non resto ben capace come tra sì gran mescolanza di movimenti non si abbia a confondere e smarrir il primo moto comune, ed in qual modo, restati che ne sieno spogliati, e’ lo possano compensare e ragguagliar co ’l volo, e tener dietro alle torri ed a gli alberi che di corso tanto precipitoso fuggono verso levante: dico tanto precipitoso, che nel cerchio massimo del globo è poco meno di mille miglia per ora, delle quali il volo delle rondini non credo che ne faccia cinquanta.
Salv. Quando gli uccelli avessero a tener dietro al corso de gli alberi con l’aiuto delle loro ali, starebbero freschi; e quando e’ venisser privati dell’universal conversione, resterebbero tanto in dietro, e tanto furioso apparirebbe il corso loro verso ponente, a chi però gli potesse vedere, che supererebbe di assai quel d’una freccia; ma credo che noi non gli potremmo scorgere, sì come non si veggono le palle d’artiglieria, mentre, cacciate dalla furia del fuoco, scorron per aria. Ma la verità è che il moto proprio de gli uccelli, dico del lor volare, non ha che far nulla co ’l moto universale, al quale nè apporta aiuto nè disaiuto: e quello che mantiene inalterato cotal moto ne gli uccelli, è l’aria stessa per la quale e’ vanno vagando, la quale, seguitando naturalmente la vertigine della Terra, sì come conduce seco le nugole, così porta gli uccelli ed ogn’altra cosa che in essa si ritrovasse pendente: talchè, quanto al seguir la Terra, gli uccelli non v’hanno a pensare, e per questo servizio potrebbero dormir sempre.
Sagr. Che l’aria possa condur seco le nugole, come materie facilissime per la lor leggerezza ad esser mosse e come spogliate d’ogn’altra inclinazione in contrario, anzi pur come materie participanti esse ancora delle condizioni e proprietà terrene, capisco io senza difficultà veruna; ma che gli uccelli, che, per esser animati, posson muoversi di moto anco contrario al diurno, interrotto che l’abbiano, l’aria lo possa loro restituire, mi pare alquanto duretto: e massime che son corpi solidi e gravi; e noi, come di sopra s’è detto, veggiamo i sassi e gli altri corpi gravi restar contumaci contro all’impeto dell’aria, e quando pure si lascino superare, non acquistano mai tanta velocità quanto il vento che gli conduce.
Salv. Non diamo, signor Sagredo, sì poca forza all’aria mossa, la qual è potente a muovere e condurre i navili ben carichi ed a sbarbar le selve e rovinar le torri, quando rapidamente ella si muove; nè però in queste sì violenti operazioni si può dire che il moto suo sia a gran lunga così veloce come quello della diurna revoluzione.
Simp. Ecco dunque che l’aria mossa potrà ancora continuar il moto a i proietti, conforme alla dottrina d’Aristotile: e ben mi pareva strana cosa che egli avesse auto a errare in questo particolare.
Salv. Potrebbe senza dubbio, quando ella potesse continuarlo in se stessa; ma, sì come cessato il vento nè le navi camminano nè gli alberi si spiantano, così non si continuando il moto nell’aria doppo che la pietra è uscita della mano e fermatosi il braccio, resta che altro sia che l’aria quel che fa muover il proietto.
Simp. E come, cessato il vento, cessa il moto della nave? anzi si vede che fermato il vento, ed anco ammainate le vele, il vassello dura a scorrer le miglia intere.
Salv. Ma questo è contro di voi, signor Simplicio, poichè fermata l’aria, che ferendo le vele conduceva il navilio, ad ogni modo senza l’aiuto del mezo ei continua il corso.
Simp. Si potrebbe dire che fusse l’acqua il mezo che conducesse la nave e le mantenesse il moto.
Salv. Potrebbesi veramente dire, per dir tutto l’opposito del vero; perchè la verità è che l’acqua, con la sua gran resistenza all’esser aperta dal corpo del vassello, con gran fremito gli contrasta, nè gli lascia concepir a gran pezzo quella velocità che il vento gli conferirebbe, quando l’ostacolo dell’acqua non vi fusse. Voi, signor Simplicio, non dovete mai aver posto mente con qual furia l’acqua venga strisciando intorno alla barca, mentre ella velocemente spinta da i remi o dal vento, scorre per l’acqua stagnante; chè quando voi aveste badato a un tal effetto, non vi verrebbe ora in pensiero di produr simil vanità: e vo comprendendo che voi siate sin qui stato del gregge di coloro che per apprender come passino simili negozi e per acquistar le notizie de gli effetti di natura, e’ non vadano su barche o intorno a balestre e artiglierie, ma si ritirano in studio a scartabellar gl’indici e i repertorî per trovar se Aristotile ne ha detto niente, ed assicurati che si sono del vero senso del testo, nè più oltre desiderano, nè altro stimano che saper se ne possa.
Sagr. Felicità grande, e da essere invidiata, di quelli che si persuadono di sapere ogni cosa.Felicità grande, e da esser loro molto invidiata; perchè se il sapere è da tutti naturalmente desiderato, e se tanto è l’essere quanto il darsi ad intender d’essere, essi godono di un ben grandissimo, e posson persuadersi d’intendere e di saper tutte le cose, alla barba di quelli che conoscendo di non saper quel ch’e’ non sanno, ed in conseguenza vedendosi non saper nè anco una ben minimissima particella dello scibile, s’ammazzano con le vigilie, con le contemplazioni, e si macerano intorno a esperienze ed osservazioni. Ma di grazia torniamo a’ nostri uccelli: nel proposito de’ quali voi avevi detto che l’aria mossa con grandissima velocità poteva loro restituir quella parte del movimento diurno che tra gli scherzi de’ loro voli potessero avere smarrita; sopra di che io replico che l’aria mossa non par che possa conferire in un corpo solido e grave una velocità tanta quanta è la sua propria; e perchè quella dell’aria è quanto quella della Terra, non pareva che l’aria fusse bastante a ristorar il danno della perdita nel volo de gli uccelli.
Salv. Il discorso vostro ha in apparenza molto del probabile, ed il dubitar a proposito non è da ingegni dozinali; tuttavia, levatane l’apparenza, credo che in esistenza e’ non abbia un pelo più di forza che gli altri già considerati e sciolti.
Sagr. E’ non è dubbio alcuno, che quando e’ non sia concludente necessariamente, la sua efficacia non può esser se non nulla assolutamente, perchè quando la conclusione è necessariamente in questo modo solo, non si può produr per l’altra parte ragion che vaglia.
Salv. L’aver voi maggior difficultà in questa che nell’altre instanze, pare a me che dependa dall’esser gli uccelli animati, e poter per ciò usar forza a lor piacimento contro al primario moto ingenito nelle cose terrene, nel modo appunto che gli veggiamo, mentre son vivi, volar anco all’insù, moto impossibile ad essi come gravi, dove che morti non posson se non cadere a basso; e perciò stimate voi che le ragioni che hanno luogo in tutte le sorti de i proietti detti di sopra, non possano averlo ne gli uccelli; e quest’è verissimo, e perchè è vero, però non si vede, signor Sagredo, fare a quei proietti quel che fanno gli uccelli: chè se voi dalla cima della torre lascerete cadere un uccel morto e un vivo, il morto farà quell’istesso che fa una pietra, cioè seguiterà prima il moto generale diurno, e poi il moto a basso, come grave; ma se l’uccello lasciato sarà vivo, chi gli vieta che, restando sempre in lui il moto diurno, e’ non si getti, co ’l batter le ale, verso qual parte dell’orizonte più gli piacerà? e questo nuovo moto, come suo particolare e non participato a noi, ci si deve far sensibile. E quando e’ si sia co ’l suo volo mosso verso occidente, chi gli ha da vietare che con altrettanto batter di penne e’ non ritorni in su la torre? sì risolve l' argomento preso dal volar de gli uccelli contro al moto della Terra.Perchè, finalmente, lo spiccar il volo verso ponente non fu altro che un detrar dal moto diurno, che ha, v. g., dieci gradi di velocità, un sol grado, onde glie ne rimanevano nove, mentre volava; e quando si fusse posato in terra, gli ritornavano i dieci comuni, a i quali co ’l volar verso levante poteva aggiugnerne uno, e con li undici ritornar su la torre: ed in somma, se noi ben considereremo e più intimamente contempleremo gli effetti del volar de gli uccelli, non differiscono in altro da i proietti verso tutte le parti del mondo, salvo che nell’esser questi mossi da un proiciente esterno, Esperienza con la qual sola si mostra la nullità di tutte le prpdotte contro al moto della Terra.e quelli da un principio interno. E qui, per ultimo sigillo della nullità di tutte le esperienze addotte, mi par tempo e luogo di mostrar il modo di sperimentarle tutte facilissimamente. Riserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio, e quivi fate d’aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti; siavi anco un gran vaso d’acqua, e dentrovi de’ pescetti; sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vadia versando dell’acqua in un altro vaso di angusta bocca, che sia posto a basso: e stando ferma la nave, osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della stanza; i pesci si vedranno andar notando indifferentemente per tutti i versi; le stille cadenti entreranno tutte nel vaso sottoposto; e voi, gettando all’amico alcuna cosa, non più gagliardamente la dovrete gettare verso quella parte che verso questa, quando le lontananze sieno eguali; e saltando voi, come si dice, a piè giunti, eguali spazii passerete verso tutte le parti. Osservate che avrete diligentemente tutte queste cose, benchè niun dubbio ci sia che mentre il vassello sta fermo non debbano succeder così, fate muover la nave con quanta si voglia velocità; chè (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti, nè da alcuno di quelli potrete comprender se la nave cammina o pure sta ferma: voi saltando passerete nel tavolato i medesimi spazii che prima, nè, perchè la nave si muova velocissimamente, farete maggior salti verso la poppa che verso la prua, benchè, nel tempo che voi state in aria, il tavolato sottopostovi scorra verso la parte contraria al vostro salto; e gettando alcuna cosa al compagno, non con più forza bisognerà tirarla, per arrivarlo, se egli sarà verso la prua e voi verso poppa, che se voi fuste situati per l’opposito; le gocciole cadranno come prima nel vaso inferiore, senza caderne pur una verso poppa, benchè, mentre la gocciola è per aria, la nave scorra molti palmi; i pesci nella lor acqua non con più fatica noteranno verso la precedente che verso la sussequente parte del vaso, ma con pari agevolezza verranno al cibo posto su qualsivoglia luogo dell’orlo del vaso; e finalmente le farfalle e le mosche continueranno i lor voli indifferentemente verso tutte le parti, nè mai accaderà che si riduchino verso la parete che riguarda la poppa, quasi che fussero stracche in tener dietro al veloce corso della nave, dalla quale per lungo tempo, trattenendosi per aria, saranno state separate; e se abbruciando alcuna lagrima d’incenso si farà un poco di fumo, vedrassi ascender in alto ed a guisa di nugoletta trattenervisi, e indifferentemente muoversi non più verso questa che quella parte. E di tutta questa corrispondenza d’effetti ne è cagione l’esser il moto della nave comune a tutte le cose contenute in essa ed all’aria ancora, che per ciò dissi io che si stesse sotto coverta; chè quando si stesse di sopra e nell’aria aperta e non seguace del corso della nave, differenze più e men notabili si vedrebbero in alcuni de gli effetti nominati: e non è dubbio che il fumo resterebbe in dietro, quanto l’aria stessa; le mosche parimente e le farfalle, impedite dall’aria, non potrebber seguir il moto della nave, quando da essa per spazio assai notabile si separassero; ma trattenendovisi vicine, perchè la nave stessa, come di fabbrica anfrattuosa, porta seco parte dell’aria sua prossima, senza intoppo o fatica seguirebbon la nave, e per simil cagione veggiamo tal volta, nel correr la posta, le mosche importune e i tafani seguir i cavalli, volandogli ora in questa ed ora in quella parte del corpo; ma nelle gocciole cadenti pochissima sarebbe la differenza, e ne i salti e ne i proietti gravi, del tutto impercettibile.
Sagr. Queste osservazioni, ancorchè navigando non mi sia caduto in mente di farle a posta, tuttavia son più che sicuro che succederanno nella maniera raccontata: in confermazione di che mi ricordo essermi cento volte trovato, essendo nella mia camera, a domandar se la nave camminava o stava ferma, e tal volta, essendo sopra fantasia, ho creduto che ella andasse per un verso, mentre il moto era al contrario. Per tanto io sin qui resto sodisfatto e capacissimo della nullità del valore di tutte l’esperienze prodotte in provar più la parte negativa che l’affirmativa della conversion della Terra. Resta ora l’instanza fondata su ’l veder per esperienza come una vertigine veloce ha facultà di estrudere e dissipare le materie aderenti alla machina che va in volta; per lo che pareva a molti, ed anco a Tolomeo, che quando la Terra si rigirasse in se stessa con tanta velocità, i sassi e gli animali dovessero esser scagliati verso le stelle, e che le fabbriche non potessero con sì tenace calcina esser attaccate a i fondamenti, che esse ancora non patissero un tale eccidio.
Salv. Prima che venire allo scioglimento di questa instanza, non posso tacer quello che mille volte ho osservato, e non senza riso, cadere nella mente quasi di tutti gli uomini nel primo motto che sentono di questo muoversi la Terra, creduta da loro talmente fissa ed immota, che non solamente di tal quiete mai non hanno dubitato, ma fermamente creduto che tutti gli altri uomini insieme con loro l’abbiano stimata creata immobile e tale mantenutasi in tutti i secoli decorsi; e fermatisi in questo concetto, stupiscono poi nel sentire che alcuno le conceda il moto, stupidità di alcuni che stimano, la Terra essersi cominciata a muovere quando Pittagora cominciò a dire che ella si moveva.quasi che, dopo averla egli tenuta immobile, scioccamente pensi, allora, e non prima, essersi ella messa in moto, quando Pitagora o chi altro si fusse il primo a dir che ella si muoveva. Ora, che tale stoltissimo pensiero (dico di credere che quelli che ammettono il moto della Terra, l’abbiano prima creduta stabile dalla sua creazione sino al tempo di Pitagora, e solo fattola poi mobile dopo che Pitagora la stimò tale) trovi luogo nelle menti de gli uomini vulgari e di senso leggiero, io non me ne maraviglio; ma che gli Aristoteli e i Tolomei siano essi ancora incorsi in questa puerizia, mi par veramente assai più strana ed inescusabil semplicità.
Sagr. Adunque, signor Salviati, voi credete che Tolomeo pensasse di dover, disputando, mantener la stabilità della Terra contro a uomini li quali, concedendo quella essere stata immobile sino al tempo di Pitagora, allora solamente affermassero essersi ella fatta mobile, quando esso Pitagora le attribuì il moto?
Salv. Aristotile e Tolomeo par che confutino la mobilita della Terra contro a chi avesse creduto che, essendo ella stata lungo tempo ferma, cominciasse a muoversi al tempo di Pitagora.Non si può credere altrimenti, se noi ben consideriamo la maniera ch’e’ tiene in confutare il detto loro: la confutazione del quale consiste nella demolizion delle fabbriche, e nello scagliamento delle pietre, de gli animali e de gli uomini stessi verso il cielo; e perchè tal rovina e sbalestramento non si può fare di edifizii e di animali che prima non sieno in Terra, nè in Terra possono collocarsi uomini e fabbricarsi edifizii se non quando ella stesse ferma, di qui dunque è manifesto che Tolomeo procede contro a quelli che avendo per alcun tempo conceduto la quiete alla Terra, cioè allora che gli animali, le pietre e i muratori potetter dimorarvi, e fabbricar i palazzi e le città, la fanno poi precipitosamente mobile, alla rovina e distruzione delle fabbriche e de gli animali, etc. Ché quando egli avesse preso assunto di disputar contro a chi avesse attribuito alla Terra tal vertigine dalla sua prima creazione, l’avrebbe confutata co ’l dire che se la Terra si fusse sempre mossa, mai non si sarebbe potuto costituir in essa nè fiere nè uomini nè pietre, e molto meno fabbricare edifizii e fondar città, etc.
Simp. Non resto ben capace di questa Aristotelica e Tolemaica sconvenevolezza.
Salv. Tolomeo o arguisce contro a quelli che hanno stimata la Terra mobile sempre, o contro a chi ha stimato che ella sia stata per alcun tempo ferma e che poi si è messa in moto: se contro a i primi, doveva dire: "La Terra non si è mossa sempre, perchè mai non sarebbero stati uomini nè animali nè edifizii in Terra, non permettendo loro la terrestre vertigine il dimorarvi"; ma già che egli argumentando dice: "La Terra non si muove, perchè le fiere gli uomini e le fabbriche, già poste in Terra, precipiterebbono", suppone la Terra essersi una volta trovata in tale stato, che abbia ammesso alle fiere e a gli uomini il dimorarvi e ’l fabbricarvi; il che si tira in conseguenza l’essere stata ella alcun tempo ferma, cioè atta alla dimora de gli animali ed alla fabbrica de gli edifizii. Restate voi ora capace di quanto io ho voluto dire?
Simp. Resto e non resto: ma questo poco importa al merito della causa, nè un erroruzzo di Tolomeo, commesso per inavvertenza, può esser bastante a muover la Terra, quando ella sia immobile. Ma lasciati gli scherzi, venghiamo pure al nervo dell’argomento, che a me pare insolubile.
Salv. Ed io, signor Simplicio, lo voglio ancora annodare e strigner da vantaggio, co ’l mostrar ancor più sensatamente come sia vero che i corpi gravi, La vertigine veloce ha facultà di estrudere e dissipare.girati con velocità intorno a un centro stabile, acquistano impeto di muoversi allontanandosi da quel centro, quando anco e’ sieno in stato di aver propensione di andarvi naturalmente. Leghisi in capo di una corda un secchiello, dentrovi dell’acqua, e tenendo forte in mano l’altro capo, e fatto semidiametro la corda e ’l braccio, e centro la snodatura della spalla, facciasi andare intorno velocemente il vaso, sì che egli descriva la circunferenza di un cerchio; il quale o sia parallelo all’orizonte, o siagli eretto, o in qualsivoglia modo inclinato, in tutti i casi seguirà che l’acqua non cascherà fuori del vaso, anzi colui che lo gira sentirà sempre tirar la corda e far forza per allontanarsi più dalla spalla; e se nel fondo del secchiello si farà un foro, si vedrà l’acqua zampillar fuori non meno verso il cielo che lateralmente e verso la terra; e se in cambio d’acqua si metteranno pietruzze, girando nell’istesso modo, si sentirà far loro l’istessa forza contro alla corda; e finalmente si veggono i fanciulli tirar i sassi in gran lontananza co ’l muover in giro un pezo di canna, in cima della quale sia incastrato il sasso: argomenti tutti della verità della conclusione, cioè che la vertigine conferisce al mobile impeto verso la circonferenza, quando il moto sia veloce; e perchè, quando la Terra girasse in se stessa, il moto della superficie, e massime verso il cerchio massimo, come incomparabilmente più veloce che i nominati, dovrebbe estruder ogni cosa contro al cielo.
Simp. L’instanza mi par molto bene stabilita e annodata, e gran cosa ci vorrà, per mio credere, a rimuoverla e sciorla.
Salv. Lo scioglimento suo depende da alcune notizie non meno sapute e credute da voi che da me; ma perchè elle non vi sovvengono, però non vedete lo scioglimento. Senza dunque ch’io ve lo insegni, perchè già voi le sapete, co ’l semplice ricordarvele farò che voi stesso risolverete l’instanza.
Simp. Io ho posto mente più volte al vostro modo di ragionare, il quale mi ha destato qualche pensiero che voi incliniate a quella opinion di Platone, che il nostro sapere è un certo ricordarsi, secondo Platone.nostrum scire sit quoddam reminisci: però, di grazia, cavatemi di questo dubbio, dicendomi ’l vostro senso.
Salv. Quel ch’io senta dell’opinion di Platone, posso significarvelo con parole ed ancora con fatti. Già ne’ ragionamenti avuti sin qui mi son io più d’una volta dichiarato con fatti: seguirò l’istesso stile nel particolare che aviamo per le mani, che potrà poi servirvi come esempio a più agevolmente comprendere il mio concetto circa l’acquisto della scienza, quando però ci avanzi tempo per un altro giorno e non sia di noia al signor Sagredo che noi facciamo questa digressione.
Sagr. Anzi mi sarà gratissimo, perchè mi ricordo che quando studiavo logica, mai non potetti restar capace di quella tanto predicata dimostrazion potissima di Aristotile.
Salv. Seguitiamo dunque: e dicami il signor Simplicio qual sia il moto che fa quel sassetto stretto nella cocca della canna, mentre il fanciullo la muove per tirarlo lontano.
Simp. Il moto del sasso sin che è nella cocca è circolare cioè va per un arco di cerchio, il cui centro stabile è la snodatura della spalla, e il semidiametro la canna co ’l braccio.
Salv. E quando la pietra scappa dalla canna, qual è il suo moto? séguit’ella di continuare ’l suo precedente circolare, o pur va per altra linea?
Simp. Non séguit’altrimenti di muoversi in giro, perchè così non si discosterebbe dalla spalla del proiciente, dove che noi la veggiamo andar lontanissima.
Salv. Di che moto dunque si muove ella?
Simp. Lasciate ch’io ci pensi un poco, perchè non ci ho più fatto fantasia.
Salv. Signor Sagredo, udite all’orecchio: ecco il quoddam reminisci in campagna, bene inteso. Voi ci pensate molto, signor Simplicio!
Simp. Moto impresso dal proiciente è solo per linea retta. Secondo me il moto concepito nell’uscir della cocca non può esser se non per linea retta; anzi pur è egli necessariamente per linea retta, intendendo del puro impeto avventizio. Mi dava un poco di fastidio il vedergli descriver un arco; ma perchè tal arco piega sempre all’ingiù, e non verso altra parte, comprendo che quel declinare vien dalla gravità della pietra, che naturalmente la tira al basso. L’impeto impresso dico senz’altro ch’è per linea retta.
Salv. Ma per qual linea retta? perchè infinite e verso tutte le bande se ne posson produrre dalla cocca della canna e dal punto della separazion della pietra dalla canna.
Simp. Muovesi per quella che è alla dirittura del moto che ha fatto la pietra con la canna.
Salv. Il moto della pietra, mentre era nella cocca, già avete detto che è stato circolare; ora repugna l’esser circolare e a dirittura, non essendo nella linea circolare parte alcuna di retto.
Simp. Io non intendo che ’l moto proietto sia a dirittura di tutto il circolare, ma di quell’ultimo punto dove terminò il moto circolare. Io mi intendo dentro di me, ma non so ben esplicarmi.
Salv. Ed io ancora mi accorgo che voi intendete la cosa, ma non avete i termini proprii da esprimerla: or questi ve gli posso ben insegnar io; insegnarvi, cioè, delle parole, ma non delle verità, che son cose. E per farvi toccar con mano che voi sapete la cosa e solo vi mancano i termini da esprimerla, ditemi: quando voi tirate una palla con l’archibuso, verso che parte acquist’ella impeto di andare?
Simp. Acquista impeto di andare per quella linea retta che segue la dirittura della canna, cioè che non declina nè a destra nè a sinistra, nè in su nè in giù.
Salv. Che in somma è quanto a dire, che non fa angolo nessuno con la linea del moto retto fatto per la canna.
Simp. Così ho voluto dire.
Salv. Se dunque la linea del moto del proietto si ha da continuar senza far angolo sopra la linea circolare descritta da lui mentre fu co ’l proiciente, e se da questo moto circolare deve passar al moto retto, qual dovrà esser questa linea retta?
Simp. Non potrà esser se non quella che tocca il cerchio nel punto della separazione, perchè tutte l’altre mi par che, prolungate, segherebbono la circonferenza, e però conterrebber con essa qualche angolo.
Salv. Voi benissimo avete discorso, e vi sete dimostrato mezo geometra. Ritenete dunque in memoria che il vostro concetto reale si spiega con queste parole: cioè che il proietto acquista impeto di muoversi per la tangente l’arco3 descritto dal moto del proiciente nel punto della separazione di esso proietto dal proiciente.
Simp. Intendo benissimo, e quest’è quel ch’io volevo dire.
Salv. D’una linea retta che tocchi un cerchio, quale de’ suoi punti è il più vicino di tutti al centro di quel cerchio?
Simp. Quel del contatto senza dubbio; perchè quello è nella circonferenza del cerchio, e gli altri fuora, ed i punti della circonferenza son tutti egualmente lontani dal centro.
Salv. Adunque un mobile partendosi dal contatto e movendosi per la retta tangente, si va continuamente discostando dal contatto ed anco dal centro del cerchio.
Simp. Così è sicuramente.
Salv. Or, se voi avete tenuto a mente le proposizioni che mi avete dette, ricongiugnetele insieme e ditemi ciò che se ne raccoglie.
Simp. Io non credo però d’esser tanto smemorato, ch’io non me n’abbia a ricordare. proietto si muove per la tangente il cerchio dei moto precedente nel punto della separazione.Dalle cose dette si raccoglie che il proietto, mosso velocemente in giro dal proiciente, nel separarsi da quello ritiene impeto di continuare il suo moto per la linea retta che tocca il cerchio descritto dal moto del proiciente nel punto della separazione; per il qual moto il proietto si va sempre discostando dal centro del cerchio descritto dal moto del proiciente.
Salv. Voi dunque sin ora sapete la ragione del venir estrusi i gravi aderenti alla superficie d’una ruota mossa velocemente; estrusi, dico, e lanciati oltre alla circonferenza, sempre più lontani dal centro.
Simp. Di questo mi par di restar assai ben capace; ma questa nuova cognizione più tosto mi accresce che mi scemi l’incredulità che la Terra possa muoversi in giro con tanta velocità, senza estruder verso il cielo le pietre, gli animali, etc.
Salv. Nell’istesso modo che voi avete saputo sin qui, saprete, anzi sapete, anco il resto: e co ’l pensarvi sopra ve ne ricordereste ancora da per voi; ma, per abbreviar il tempo, vi aiuterò io a ricordarvelo. Sin qui avete per voi stesso saputo che il moto circolare del proiciente imprime nel proietto impeto di muoversi (quando avviene ch’e’ si separino) per la retta tangente il cerchio del moto nel punto della separazione, e, continuando per essa il moto, vien sempre allontanandosi dal proiciente; ed avete detto che per tal linea retta continuerebbe il proietto di muoversi, quando dal proprio peso non gli fusse aggiunta inclinazione all’in giù, dalla quale deriva l’incurvazione della linea del moto. Parmi ancora che voi abbiate saputo da per voi che questa piegatura tende sempre verso il centro della Terra, perchè là tendon tutti i gravi. Ora passo un poco più avanti, e vi domando se il mobile dopo la separazione, nel continuar il suo moto retto, si va sempre allontanando egualmente dal centro, o volete dalla circonferenza, di quel cerchio del qual il moto precedente fu parte; che tanto è a dir se un mobile che partendosi dal punto della tangente, e movendosi per essa tangente, si allontani egualmente dal punto del contatto e dalla circonferenza del cerchio.
Simp. Signor no, perchè la tangente vicino al punto del contatto si scosta pochissimo dalla circonferenza, con la quale ella contiene un angolo strettissimo, ma nell’allontanarsi più e più, l’allontanamento cresce sempre con maggior proporzione; sì che in un cerchio che avesse, verbigrazia, dieci braccia di diametro, un punto della tangente che fusse lontano dal contatto due palmi, si troverebbe lontano dalla circonferenza del cerchio tre o quattro volte più che un punto che fusse discosto dal toccamento un palmo; e ’l punto che fusse lontano mezo palmo, parimente credo che a pena si discosterebbe la quarta parte della distanza del secondo; sì che vicino al contatto per un dito o due, appena si scorge che la tangente sia separata dalla circonferenza.
Salv. Talchè il discostamento del proietto dalla circonferenza del precedente moto circolare in su ’l principio è piccolissimo?
Simp. Quasi insensibile.
Salv. Or ditemi un poco: il proietto che dal moto del proiciente riceve impeto di muoversi per la retta tangente, e che vi andrebbe ancora se il proprio peso non lo tirasse in giù, quanto sta, doppo la separazione, a cominciar a declinare a basso?
Simp. Proietto grave, subito che è separato dai proiciente, comincia a declinareCredo che cominci subito, perchè non avendo chi lo sostenti, non può esser che la propria gravità non operi.
Salv. Talchè, se quel sasso che scagliato da quella ruota mossa in giro con velocità grande, avesse così propension naturale di muoversi verso il centro dell’istessa ruota sì come e’ l’ha di muoversi verso il centro della Terra, sarebbe facil cosa che e’ ritornasse alla ruota, o più tosto che e’ non se ne partisse; perchè essendo, su ’l principio della separazione, l’allontanamento tanto minimissimo, mediante l’infinita acutezza dell’angolo del contatto, ogni poco poco d’inclinazione che lo ritirasse verso il centro della ruota, basterebbe a ritenerlo sopra la circonferenza.
Simp. Io non ho dubbio alcuno che, supposto quello che non è nè può essere, cioè che l’inclinazione di quei corpi gravi fusse di andare al centro di quella ruota, e’ non verrebbero estrusi nè scagliati.
Salv. Né io ancora suppongo, nè ho bisogno di supporre, quel che non è, perchè non voglio negare che i sassi vengano scagliati; ma dico così per supposizione, acciò voi mi diciate il resto. Figuratevi ora che la Terra sia la gran ruota, che, mossa con tanta velocità, abbia a scagliar le pietre. Già voi mi avete molto ben saputo dire che il moto proietto dovrà esser per quella linea retta che toccherà la Terra nel punto della separazione: e questa tangente come si va ella allontanando notabilmente dalla superficie del globo terrestre?
Simp. Credo che in mille braccia non s’allontani un dito.
Salv. Ed il proietto non dite voi che, tirato dal proprio peso, declina dalla tangente verso il centro della Terra?
Simp. Hollo detto: e dico anco il resto e intendo perfettamente che la pietra non si separerà dalia Terra, poichè il suo allontanarsene su ’l principio sarebbe tanto e tanto minimo che ben mille volte più vien ad esser l’inclinazione che ha il sasso di muoversi verso il centro della Terra; il qual centro in questo caso è anco il centro della ruota. E veramente è forza concedere che le pietre, gli animali e gli altri corpi gravi non posson esser estrusi: ma mi fanno ora nuova difficultà le cose leggierissime, le quali hanno debolissima inclinazione di calare al centro, onde, mancando in loro la facultà di ritirarsi alla superficie, non veggo che elle non avessero a esser estruse; voi poi sapete che ad destruendum sufficit unum.
Salv. Daremo sodisfazione anco a questo. Però ditemi in prima quel che voi intendete per cose leggiere, cioè se voi intendete materie così leggiere veramente che vadano all’insù, o pur non assolutamente leggiere, ma così poco gravi che ben vengano a basso, ma lentamente; perchè se voi intendete delle assolutamente leggiere, ve le lascerò esser estruse più che voi non volete.
Simp. Io intendo di queste seconde, quali sarebbono penne, lana, bambagia e simili, a sollevar le quali basta ogni minima forza: tuttavia si veggono starsene in Terra molto riposatamente.
Salv. Come questa penna abbia qualche natural propensione di scender verso la superficie della Terra, per minima ch’ella sia, vi dico che ell’è bastante a non la lasciar sollevare; e questo non è ignoto nè anco a voi. Però ditemi: quando la penna fusse estrusa dalla vertigine della Terra, per che linea si moverebb’ella?
Simp. Per la tangente nel punto della separazione.
Salv. E quando ella dovesse tornar a riunirsi, per qual linea si muoverebbe?
Simp. Per quella che va da lei al centro della Terra.
Salv. Talchè qui cascano in considerazione due moti: uno della proiezione, che comincia dal punto del contatto e segue per la tangente; e l’altro dell’inclinazione all’ingiù, che comincia dal proietto e va per la segante verso il centro: ed a voler che la proiezione segua, bisogna che l’impeto per la tangente prevaglia all’inclinazione per la segante: non sta così?
Simp. Così mi pare.
Salv. Ma che cosa pare a voi che sia necessaria che si trovi nel moto proiciente, acciò che e’ prevaglia a quel dell’inclinazione, onde ne segua lo staccamento e l’allontanamento della penna dalla Terra?
Simp. Io non lo so.
Salv. Come non lo sapete? qui il mobile è il medesimo, cioè la medesima penna; or come può il medesimo mobile superare nel moto e prevalere a se stesso?
Simp. Io non intendo che e’ possa prevalere o cedere a se medesimo nel moto, se non co ’l muoversi or più veloce e or più tardo.
Salv. Ecco dunque che voi pur lo sapevi. Se dunque deve seguir la proiezione della penna e prevalere il suo moto per la tangente al moto per la segante, quali bisogna che sieno le velocità loro?
Simp. Bisogna che il moto per la tangente sia maggior di quell’altro per la segante. Oh povero a me! o non è egli anco centomila volte maggiore, e non solamente del moto in giù della penna, ma anco di quello della pietra? ed io, ben da semplice davvero, mi ero lasciato persuadere che le pietre non potrebber esser estruse dalla vertigine della Terra! Torno dunque a ridirmi, e dico che quando la Terra si muovesse, le pietre, gli elefanti, le torri e le città volerebbero verso il cielo per necessità; e perchè ciò non segue, dico che la Terra non si muove.
Salv. Oh, signor Simplicio, voi vi sollevate così presto, ch’io comincerò a temer più di voi che della penna. Quietatevi un poco, e ascoltate. Se per ritener la pietra o la penna annessa alla superficie della Terra ci fusse di bisogno che ’l suo descender a basso fusse più o tanto quanto è il moto fatto per la tangente, voi areste ragione a dir che bisognasse che ella si movesse altrettanto o più velocemente per la segante all’ingiù che per la tangente verso levante; ma non mi avete voi detto poco fa, che mille braccia di distanza per la tangente dal contatto non rimuovono appena un dito dalla circonferenza? Non basta, dunque, che il moto per la tangente, che è quel della vertigine diurna, sia semplicemente più veloce del moto per la segante, che è quel della penna all’ingiù; ma bisogna che quello sia tanto più veloce, che ’l tempo che basta a condur la penna, verbigrazia, mille braccia per la tangente, sia poco per il muoversi un sol dito all’ingiù per la segante: il che vi dico che non sarà mai, fate pur quel moto veloce, e questo tardo, quanto vi piace.
Simp. E perchè non potrebbe esser quello per la tangente tanto veloce, che non desse tempo alla penna d’arrivar alla superficie della Terra?
Salv. Provate a mettere il caso in termini, ed io vi risponderò. Dite adunque quanto vi par che bastasse far quel moto più veloce di questo.
Simp. Dirò, per esempio, che quando quello fusse un milion di volte più veloce di questo, la penna e anco la pietra verrebbero estruse.
Salv. Voi dite così, e dite il falso, solo per difetto non di logica o di fisica o di metafisica, ma di geometria: perchè, se voi intendeste solo i primi elementi sapreste che dal centro del cerchio si può tirare una retta linea sino alla tangente, che la tagli in modo che la parte della tangente tra ’l contatto e la segante sia uno, due e tre milioni di volte maggior di quella parte della segante che resta tra la tangente e la circonferenza; e di mano in mano che la segante sarà più vicina al contatto, questa proporzione si fa maggiore in infinito: onde non è da temere che, per veloce che sia la vertigine e lento il moto in giù, la penna, o altro più leggiero, possa cominciare a sollevarsi, perchè sempre l’inclinazione in giù supera la velocità della proiezione.
Sagr. Io non resto interamente capace di questo negozio.
Salv. Dimostrazione geometrica per provare l'impossibilità dell'estrusione mediante la vertigine terrestre. Io ve ne farò una dimostrazione universalissima, e anco assai facile. Sia data proporzione quella che ha la BA alla C, e sia BA maggior di C quanto esser si voglia; e sia il cerchio il cui centro D, dal quale bisogni tirare una segante, sì che la tangente ad essa segante abbia la proporzione che ha BA alla C: prendasi delle due BA, C la terza proporzionale AI, e come BI ad IA, così si faccia il diametro FE ad EG, e dal punto G tirisi la tangente GH4: dico esser fatto quanto bisognava, e come BA a C, così essere HG a GE. Imperocchè, essendo come BI ad IA così FE ad EG, sarà, componendo, come BA ad AI così FG a GE; e perchè la C è media proporzionale tra BA, AI, e la GH è media tra FG, GE, però come BA a C, così sarà FG a GH, cioè HG a GE, che è quel che bisognava fare.
Sagr. Resto capace di questa dimostrazione; tuttavia non mi si toglie interamente ogni scrupolo, anzi mi sento rigirar per la mente certa confusione, la quale, a guisa di nebbia densa ed oscura, non mi lascia discerner, con quella lucidità che suole esser propria delle ragioni matematiche, la chiarezza e necessità della conclusione. E quello in che io mi confondo, è questo. È vero che gli spazii tra la tangente e la circonferenza si vanno diminuendo in infinito verso ’l contatto; ma è anco vero, all’incontro, che la propensione del mobile al descendere si va facendo in esso sempre minore quanto egli si trova più vicino al primo termine della sua scesa, cioè allo stato di quiete, sì come è manifesto da quello che voi ci dichiaraste, mostrando che il grave descendente partendosi dalla quiete debbe passar per tutti i gradi di tardità mezani tra essa quiete e qualsivoglia segnato grado di velocità, li quali sono minori e minori in infinito. Aggiugnesi che essa velocità e propensione al moto si va per un’altra ragione diminuendo pure in infinito, e ciò avviene dal potersi in infinito diminuire la gravità di esso mobile: talchè le cagioni che diminuiscono la propensione allo scendere, ed in conseguenza favoriscono la proiezione, son due, cioè la leggerezza del mobile e la vicinità al termine di quiete, ed amendue agumentabili in infinito; le quali hanno, all’incontro, il contrasto di una sola causa del far la proiezione, la quale, benchè essa parimente agumentabile in infinito, non comprendo come essa sola non possa restar vinta dall’unione ed accoppiamento dell’altre, che son due pure agumentabili in infinito.
Salv. Dubitazione degna del Sig. Sagredo; e per dilucidarla, sì che più chiaramente venga da noi compresa, poichè voi ancora dite d’averla in confuso, la verremo distinguendo con ridurla in figura, la quale anco forse ci arrecherà agevolezza nel risolverla. Segniamo dunque una linea perpendicolare verso il centro, e sia questa AC, ed ad essa sia ad angoli retti la orizontale AB, sopra la quale si farebbe il moto della proiezione e vi continuerebbe d’andare il proietto con movimento equabile, quando la gravità non lo inclinasse a basso. Intendasi ora dal punto A prodotta una linea retta, la quale con la AB contenga qualsivoglia angolo, e sia questa AE, e notiamo sopra la AB alcuni spazii eguali AF, FH, HK, e da essi tiriamo le perpendicolari FG, HI, KL sino alla AE. E perchè, come altra volta si è detto, il grave cadente, partendosi dalla quiete, va acquistando sempre maggior grado di velocità di tempo in tempo, secondo che l’istesso tempo va crescendo, possiamo figurarci gli spazii AF, FH, HK rappresentarci tempi eguali, e le perpendicolari FG, HI, KL gradi di velocità acquistati in detti tempi, sì che il grado di velocità acquistato in tutto il tempo AK sia come la linea KL rispetto al grado HI acquistato nel tempo AH, e ’l grado FG nel tempo AF, li quali gradi KL, HI, FG hanno (come è manifesto) la medesima proporzione che i tempi KA, HA, FA; e se altre perpendicolari si tireranno da i punti ad arbitrio notati nella linea FA, sempre si troverranno gradi minori e minori in infinito, procedendo verso il punto A, rappresentante il primo instante del tempo e il primo stato di quiete: e questo ritiramento verso A ci rappresenta la prima propensione al moto in giù, diminuita in infinito per l’avvicinamento del mobile al primo stato di quiete, il quale avvicinamento è agumentabile in infinito. Troveremo adesso l’altra diminuzion di velocità, che pure si può fare in infinito per la diminuzion della gravità del mobile; e questo si rappresenterà col produrre altre linee dal punto A, le quali contengano angoli minori dell’angolo BAE, qual sarebbe questa AD, la quale, segando le parallele KL, HI, FG ne’ punti M, N, O, ci figura i gradi FO, HN, KM acquistati ne i tempi AF, AH, AK, minori de gli altri gradi FG, HI, KL acquistati ne i medesimi tempi, ma questi come da un mobile più grave, e quelli da un più leggiero. Ed è manifesto che col ritirar la linea EA verso AB, ristrignendo l’angolo EAB (il che si può fare in infinito, sì come la gravità in infinito si può diminuire), si vien parimente a diminuire in infinito la velocità del cadente, ed in conseguenza la causa che impediva la proiezione: e però pare che dall’unione di queste due ragioni contro alla proiezione, diminuite in infinito, non possa ella esser impedita. E riducendo tutto l’argomento in brevi parole, diremo: Col ristrigner l’angolo EAB si diminuiscono i gradi di velocità LK, IH, GF; ed in oltre col ritirar le parallele KL, HI, FG verso l’angolo A si diminuiscono pure i medesimi gradi, e l’una e l’altra diminuzione si estende in infinito: adunque la velocità del moto in giù si potrà ben diminuir tanto e tanto (potendosi doppiamente diminuire in infinito), che ella non basti per restituire il mobile sopra la circonferenza della ruota, e per fare, in conseguenza, che la proiezione venga impedita e tolta. All’incontro poi, per far che la proiezion non segua, bisogna che gli spazii per i quali il proietto deve scendere per riunirsi alla ruota, si facciano così brevi ed angusti, che per tarda, anzi pur diminuita in infinito, che sia la scesa del mobile, ella pur basti a ricondurvelo; e però bisognerebbe che si trovasse una diminuzione di essi spazii non solo fatta in infinito, ma di una infinità tale che superasse la doppia infinità che si fa nella diminuzion della velocità del cadente in giù. Ma come si diminuirà una magnitudine più di un’altra che si diminuisce doppiamente in infinito? Ora noti il Sig. Simplicio quanto si possa ben filosofare in natura senza geometria! I gradi della velocità diminuiti in infinito, sì per la diminuzion della gravità del mobile sì per l’avvicinamento al primo termine del moto, cioè allo stato di quiete, sempre son determinati, e proporzionatamente rispondono alle parallele comprese tra due linee rette concorrenti in un angolo, conforme all’angolo BAE o BAD o altro in infinito più acuto, ma però sempre rettilineo; ma la diminuzione degli spazii per li quali il mobile ha da ricondursi sopra la circonferenza della ruota è proporzionata ad un’altra sorte di diminuzione, compresa dentro a linee che contengono un angolo infinitamente più stretto ed acuto di qualsivoglia acuto rettilineo, quale sarà questo. Piglisi nella perpendicolare AC qualsivoglia punto C, e fattolo centro, descrivasi con l’intervallo CA un arco AMP, il quale taglierà le parallele determinatrici de i gradi di velocità, per minime che elle siano e comprese dentro ad angustissimo angolo rettilineo; delle quali parallele le parti che restano tra l’arco e la tangente AB sono le quantità de gli spazii e de i ritorni sopra la ruota, sempre minori, e con maggior proporzione minori quanto più s’accostano al contatto, minori, dico, di esse parallele, delle quali son parti. Le parallele comprese tra le linee rette, nel ritirarsi verso l’angolo, diminuiscono sempre con la medesima proporzione, come, v. g., essendo divisa la AH in mezo nel punto F, la parallela HI sarà doppia della FG, e suddividendo la FA in mezo, la parallela prodotta dal punto della divisione sarà la metà della FG, e continuando la suddivisione in infinito, le parallele sussequenti saranno sempre la metà delle prossime precedenti: ma non così avviene delle linee intercette tra la tangente e la circonferenza del cerchio; imperocchè, fatta l’istessa suddivisione nella FA e posto, per esempio, che la parallela che vien dal punto H fusse doppia di quella che vien da F, questa sarà poi più che doppia della seguente, e continuamente quanto verremo verso il toccamento A troveremo le precedenti linee contenere le prossime seguenti tre, quattro, dieci, cento, mille, centomila, e cento milioni, e più in infinito. La brevità, dunque, di tali linee si riduce a tale, che di gran lunga supera il bisogno per far che il proietto, per leggerissimo che sia, ritorni, anzi pur si mantenga, sopra la circonferenza.
Sagr. Io resto molto ben capace di tutto il discorso e della forza con la quale egli strigne: tuttavia mi pare che chi volesse travagliarlo ancora, potrebbe muoverci qualche difficultà, con dire che delle due cause che rendono la scesa del mobile più e più tarda in infinito, è manifesto che quella che depende dalla vicinità al primo termine della scesa, cresce sempre con la medesima proporzione, sì come sempre mantengono l’istessa proporzione tra di loro le parallele etc.; ma che la diminuzion della medesima velocità dependente dalla diminuzion della gravità del mobile (che era la seconda causa) si faccia essa ancora con la medesima proporzione, non par così manifesto. E chi ci assicura che ella non si faccia secondo la proporzione delle linee intercette tra la tangente e la circonferenza, o pur anco con proporzion maggiore?
Salv. Io avevo preso come per vero che le velocità de i mobili naturalmente descendenti seguitassero la proporzione delle loro gravità, in grazia del signor Simplicio e d’Aristotile, che in più luoghi l’afferma come proposizione manifesta; voi, in grazia dell’avversario, ponete ciò in dubbio, ed asserite poter esser che la velocità si accresca con proporzion maggiore, ed anco maggiore in infinito, di quella della gravità, onde tutto il discorso passato vadia per terra; resta a me, per sostenerlo, il dire che la proporzione delle velocità è molto minore di quella delle gravità, e così non solamente sollevare, ma fortificare, quanto si è detto: e di questo ne adduco per prova l’esperienza, la quale ci mostrerà che un grave anco ben trenta e quaranta volte più di un altro, qual sarebbe, per esempio, una palla di piombo ed una di sughero non si moverà nè anco a gran pezzo più veloce il doppio. Ora, se la proiezione non si farebbe quando ben la velocità del cadente si diminuisse secondo la proporzione della gravità, molto meno si farà ella tutta volta che poco si scemi la velocità per molto che si detragga del peso. Ma posto anco che la velocità si diminuisse con proporzione assai maggiore di quella con che si scemasse la gravità, quando ben anco ella fusse quella stessa con la quale si diminuiscono quelle parallele tra la tangente e la circonferenza, io non penetro necessità veruna che mi persuada doversi far la proiezione di materie quanto si vogliano leggierissime, anzi affermo pure che ella non si farà, intendendo però di materie non propriamente leggierissime, cioè prive di ogni gravità e che per lor natura vadano in alto, ma che lentissimamente descendano ed abbiano pochissima gravità: e quello che mi muove a così credere è che la diminuzione di gravità, fatta secondo la proporzione delle parallele tra la tangente e la circonferenza, ha per termine ultimo ed altissimo la nullità di peso, come quelle parallele hanno per ultimo termine della lor diminuzione l’istesso contatto, che è un punto indivisibile; ora la gravità non si diminuisce mai sino al termine ultimo, perchè così il mobile non sarebbe grave; ma ben lo spazio del ritorno del proietto alla circonferenza si riduce all’ultima piccolezza, il che è quando il mobile posa sopra la circonferenza nell’istesso punto del contatto, talchè per ritornarvi non ha bisogno di spazio quanto: e però, sia quanto si voglia minima la propensione al moto in giù, sempre è ella più che a bastanza per ricondurre il mobile su la circonferenza, dalla quale ei dista per lo spazio minimo, cioè per niente.
Sagr. Veramente il discorso è molto sottile, ma altrettanto concludente; ed è forza confessare che il voler trattar le quistioni naturali senza geometria è un tentar di fare quello che è impossibile ad esser fatto.
Salv. Ma il signor Simplicio non dirà così; se bene io non credo ch’ei sia di quei Peripatetici che dissuadono i lor discepoli dallo studio delle mattematiche, come quelle che depravano il discorso e lo rendono meno atto alla contemplazione.
Simp. Io non farei questo torto a Platone, ma direi bene con Aristotile che ei s’immerse troppo e troppo s’invaghì di quella sua geometria; perchè finalmente queste sottigliezze mattematiche, signor Salviati, son vere in astratto, ma applicate alla materia sensibile e fisica non rispondono: perchè dimostrerranno ben i mattematici con i lor principii, per esempio, che sphaera tangit planum in puncto, proposizione simile alla presente; ma come si viene alla materia, le cose vanno per un altro verso: e così voglio dire di quest’angoli del contatto e di queste proporzioni, che tutte poi vanno a monte quando si viene alle cose materiali e sensibili.
Salv. Adunque voi non credete altrimenti che la tangente tocchi la superficie del globo terrestre in un punto?
Simp. Non solo in un punto, ma credo che molte e molte decine e forse centinaia di braccia vadia una linea retta toccando la superficie anco dell’acqua, non che della Terra, prima che separarsi da lei.
Salv. Ma s’io vi concedo questa cosa, non v’accorgete voi che tanto peggio è per la causa vostra? perchè, se posto che la tangente, da un sol punto in fuori, fusse separata dalla superficie della Terra, si è ad ogni modo dimostrato che per la grande strettezza dell’angolo della contingenza (se però si deve chiamar angolo) il proietto non si separerebbe, quanto meno avrà egli causa di separarsi se quell’angolo si chiuda affatto e la superficie e la tangente procedano unitamente? Non vedete voi che a questo modo la proiezione si farebbe su l’istessa superficie della Terra, che tanto è quanto a dire che ella non si farebbe? Il vero talora acquista forze dalle contradizioni. Vedete adunque qual sia la forza del vero, che mentre voi cercate d’atterrarlo, i vostri medesimi assalti lo sollevano e l’avvalorano. Ma già che vi ho tratto di questo errore, non vorrei già lasciarvi in quest’altro, che voi stimaste che una sfera materiale non tocchi un piano in un sol punto; e vorrei pur che la conversazione, ancor che di poche ore, avuta con persone che hanno qualche cognizion di geometria vi facesse comparir un poco più intelligente tra quei che non ne sanno niente. Or, per mostrarvi quanto sia grande l’error di coloro che dicono che una sfera, verbigrazia, di bronzo, non tocca un piano, verbigrazia, d’acciaio, in un punto, ditemi qual concetto voi vi formeresti di uno che dicesse e costantemente asseverasse che la sfera non fusse veramente sfera.
Simp. Lo stimerei per privo di discorso affatto.
Salv. In questo stato è colui che dice che la sfera materiale La sfera, benchè materiale, tocca 'l piano materiale in un sol punto.non tocca un piano, pur materiale, in un punto, perchè il dir questo è l’istesso che dire che la sfera non è sfera. E che ciò sia vero, ditemi in quello che voi costituite l’essenza della sfera, cioè che cosa è quella che fa differir la sfera da tutti gli altri corpi solidi.
Simp. Definizione della sfera.Credo che l’essere sfera consista nell’aver tutte le linee rette, prodotte dal suo centro sin alla circonferenza eguali.
Salv. Talchè quando tali linee non fussero eguali, quel tal solido non sarebbe altrimenti una sfera.
Simp. Signor no.
Salv. Ditemi appresso, se voi credete che delle molte linee che si posson tirar tra due punti, ve ne possa essere altro che una retta sola.
Simp. Signor no.
Salv. Ma voi intendete pure che questa sola retta sarà poi per necessità la brevissima di tutte l’altre.
Simp. L’intendo, e ne ho anche la dimostrazion chiara, arrecata da un gran filosofo peripatetico; e parmi, se ben mi ricorda, ch’ei la porti riprendendo Archimede, che la suppone come nota, potendola dimostrare.
Salv. Questo sarà stato un gran matematico, avendo potuto dimostrar quel che nè seppe nè potette dimostrare Archimede; e se ve ne sovvenisse la dimostrazione, la sentirei volentieri, perchè mi ricordo benissimo che Archimede ne i libri della sfera e del cilindro mette cotesta proposizione tra i postulati, e tengo per fermo che l’avesse per indimostrabile.
Simp. Credo che mi sovverrà, perch’ella è assai facile e breve.
Salv. Tanto sarà maggior la vergogna d’Archimede, e la gloria di cotesto filosofo.
Simp. Io farò la sua figura. Dimostrazione d'un Peripatetico per provar che la linea retta è la brevissima di tutte.Tra i punti A, B tira la linea retta AB e la curva ACB, delle quali ei vuol provare la retta esser più breve; e la prova è tale. Nella curva piglia un punto, che sarebbe C, e tira due altre rette AC, CB, le quali due sono più lunghe della sola AB, che così dimostra Euclide; ma la curva ACB è maggiore delle due rette AC, CB; adunque a fortiori la curva ACB sarà molto maggiore della retta AB, che è quello che si doveva dimostrare.
Salv. Io non credo Paralogismo dei medesimo Peripatetico, che prova ignotum per ignotius.che a cercar tutti i paralogismi del mondo si potesse trovare il più accomodato di questo per dare un esempio della più solenne fallacia che sia tra tutte le fallacie, cioè di quella che prova ignotum per ignotius.
Simp. In che modo?
Salv. Come in che modo? la conclusione ignota, che voi volete provare, non è che la curva A C B sia più lunga della retta A B? il mezo termine, che si piglia per noto, non è che la curva A C B sia maggior delle due A C, C B, le quali è noto esser maggior della A B? e se vi è ignoto che la curva sia maggiore della sola retta A B, come non sarà egli assai più ignoto che ella sia maggiore delle due rette A C, C B, che si sa esser maggiori della sola A B? e voi lo prendete per noto?
Simp. Io non intendo ancor bene dove consista la fallacia.
Salv. Come le due rette sien maggiori della A B (sì come è noto per Euclide), tuttavolta che la curva sia maggior delle due rette A C, C B, non sarà ella molto maggiore della sola retta A B?
Simp. Signor sì.
Salv. Esser maggiore la curva A C B della retta A B è la conclusione, più nota del mezo termine, che è l’esser la medesima curva maggior delle due rette A C, C B: ora, quando il mezo è manco noto della conclusione, si domanda provare ignotum per ignotius. Or torniamo al nostro proposito: basta che voi intendete, la retta esser la brevissima di tutte le linee che si posson tirare fra due punti. E quanto alla principal conclusione, voi dite che la sfera materiale non tocca il piano in un sol punto: qual è dunque il suo contatto?
Simp. Sarà una parte della sua superficie.
Salv. E il contatto parimente d’un’altra sfera eguale alla prima, sarà pure una simil particella della sua superficie?
Simp. Non ci è ragione che non deva esser così.
Salv. Adunque ancor le due sfere, toccandosi, si toccheranno con le due medesime particelle di superficie, perchè, adattandosi ciascheduna di esse all’istesso piano, è forza che si adattino ancor fra di loro. Dimostrazione come la sfera tocca il piano in un sol punto. Imaginatevi ora le due sfere, i cui centri A, B, che si tocchino, e congiungansi i lor centri con la retta linea AB, la quale passerà per il toccamento. Passi per il punto C, e preso nel toccamento un altro punto D, congiungansi le due rette AD, BD, sì che si constituisca il triangolo ADB, del quale i due lati AD, DB saranno eguali all’altro solo ACB, contenendo, tanto quelli quanto questi, due semidiametri, che per la definizion della sfera sono tutti eguali: e così la retta AB, tirata tra i due centri A, B, non sarà la brevissima di tutte, essendoci le due AD, DB eguali a lei; il che per le vostre concessioni è assurdo.
Simp. Questa dimostrazione conclude delle sfere in astratto, e non delle materiali.
Salv. Assegnatemi dunque in che cosa consiste la fallacia del mio argomento, già che non conclude nelle sfere materiali, ma sì bene nelle immateriali e astratte.
Simp. Le sfere materiali son soggette a molti accidenti, Perchè la sfera in astratto tocchi il piano in un punto, ma non la materiale e in concreto.a i quali non soggiacciono le immateriali. E perchè non può esser che, posandosi una sfera di metallo sopra un piano, il proprio peso non calchi in modo che il piano ceda qualche poco, o vero che l’istessa sfera nel contatto si ammacchi? In oltre, quel piano difficilmente potrà esser perfetto, quando non per altro, almeno per esser la materia porosa; e forse non sarà men difficile il trovare una sfera così perfetta, che abbia tutte le linee dal centro alla superficie egualissime per l’appunto.
Salv. Oh tutte queste cose ve le concedo io facilmente, ma elle sono assai fuor di proposito; perchè mentre voi volete mostrarmi che una sfera materiale non tocca un piano materiale in un punto, voi vi servite d’una sfera che non è sfera e d’un piano che non è piano, poichè, per vostro detto, o queste cose non si trovano al mondo, o se si trovano si guastano nell’applicarsi a far l’effetto. Era dunque manco male che voi concedeste la conclusione. ma condizionatamente, cioè che se si desse in materia una sfera e un piano che fussero e si conservassero perfetti, si toccherebber in un sol punto, e negaste poi ciò potersi dare.
Simp. Io credo che la proposizione de i filosofi vadia intesa in cotesto senso, perchè non è dubbio che l’imperfezion della materia fa che le cose prese in concreto non rispondono alle considerate in astratto.
Salv. Come non si rispondono? Anzi quel che voi stesso dite al presente prova che elle rispondon puntualmente.
Simp. In che modo?
Salv. Non dite voi che per l’imperfezion della materia quel corpo che dovrebbe esser perfetto sferico, e quel piano che dovrebbe esser perfetto piano, non riescono poi tali in concreto quali altri se gli immagina in astratto?
Simp. Così dico.
Salv. Adunque, tuttavolta che in concreto voi applicate una sfera materiale a un piano materiale, voi applicate una sfera non perfetta a un piano non perfetto; e questi dite che non si toccano in un punto. Ma io vi dico che anco in astratto una sfera immateriale, che non sia sfera perfetta, può toccare un piano immateriale, che non sia piano perfetto, non in un punto, ma con parte della sua superficie; talchè sin qui quello che accade in concreto, accade nell’istesso modo in astratto: Le cose in astratto riescono precisamente quali in concreto.e sarebbe ben nuova cosa che i computi e le ragioni fatte in numeri astratti, non rispondessero poi alle monete d’oro e d’argento e alle mercanzie in concreto. Ma sapete, signor Simplicio, quel che accade? Sì come a voler che i calcoli tornino sopra i zuccheri, le sete e le lane, bisogna che il computista faccia le sue tare di casse, invoglie ed altre bagaglie, così, quando il filosofo geometra vuol riconoscere in concreto gli effetti dimostrati in astratto, bisogna che difalchi gli impedimenti della materia; che se ciò saprà fare, io vi assicuro che le cose si riscontreranno non meno aggiustatamente che i computi aritmetici. Gli errori dunque non consistono nè nell’astratto nè nel concreto, nè nella geometria o nella fisica, ma nel calcolatore, che non sa fare i conti giusti. Però, quando voi aveste una sfera ed un piano perfetti, benchè materiali, non abbiate dubbio che si toccherebbero in un punto; e se questo era ed è impossibile ad aversi, molto fuor di proposito fu il dire che sphaera aenea non tangit in puncto. Ma più vi aggiungo, signor Simplicio: concedutovi che non si possa dare in materia una figura sferica perfetta nè un piano perfetto, credete voi che si possano dare due corpi materiali di superficie in qualche parte e in qualche modo incurvata, anco quanto si voglia irregolatamente?
Simp. Di questi non credo che ce ne manchino.
Salv. Come ve ne siano di tali, questi ancora si toccheranno in un punto, chè il toccarsi in un sol punto non è miga privilegio Toccarsi in un punto non è proprio delle sfere perfette solamente, ma di tutte le figure curve. particolare del perfetto sferico e del perfetto piano. Anzi chi più sottilmente andasse contemplando questo negozio, troverebbe che più difficile assai è il trovar due corpi che si tocchino con parte delle lor superficie, che con un punto solo: È più difficile il trovar figure, che si tocchino con parte di lor superficie, che con un punto solo.perchè a voler che due superficie combagino bene insieme, bisogna o che amendue sieno esattamente piane, o che se una è colma, l’altra sia concava, ma di una incavatura che per appunto risponda al colmo dell’altra; le quali condizioni son molto più difficili a trovarsi, per la lor troppo stretta determinazione, che le altre, che nella casual larghezza son infinite.
Simp. Adunque voi credete che due pietre o due ferri, presi a caso e accostati insieme, il più delle volte si tocchino in un sol punto?
Salv. Ne gli incontri casuali5 credo di no, sì perchè per lo più sopra essi sarà qualche poco d’immondizia cedente, sì perchè non si usa diligenza in applicargli insieme senza qualche percossa, ed ogni poca basta a far che l’una superficie ceda qualche poco all’altra, sì che scambievolmente si figurino, almeno in qualche minima particella, l’una all’impronta dell’altra: ma quando le superficie loro fussero ben terse, e che posati amendue sopra una tavola, acciocchè l’uno non gravasse sopra all’altro, si spingessero pian piano l’uno verso l’altro, io non ho dubbio che potrebbero condursi al semplice contatto in un sol punto.
Sagr. Egli è forza che con vostra licenza io proponga certa mia difficultà, natami nel sentir proporre al signor Simplicio la impossibilità che è nel potersi trovare un corpo materiale e solido che abbia perfettamente la figura sferica, e nel veder il signor Salviati prestargli in certo modo, non contradicendo, l’assenso. Però vorrei sapere se la medesima difficultà si trovi nel figurare un solido di qualche altra figura, cioè, per dichiararmi meglio, se maggior difficultà si trovi in voler ridurre un pezzo di marmo in figura d’una sfera perfetta, che d’una perfetta piramide o d’un perfetto cavallo o d’una perfetta locusta.
Salv. Per questa prima risposta, la darò io: e prima mi scuserò dell’assenso che vi pare ch’io abbia prestato al signor Simplicio, il quale era solamente per a tempo, perchè io ancora avevo in animo, avanti che entrare in altra materia, dir quello che per avventura sarà l’istesso o assai conforme al vostro pensiero. E rispondendo alla vostra prima interrogazione, dico che se figura alcuna si può dare a un solido, Figura sferica più facilmente s'imprime d'ogni altra.la sferica è la facilissima sopra tutte l’altre, sì come è anco la semplicissima e tiene tra le figure solide quel luogo che il cerchio tiene tra le superficiali: la descrizion del qual cerchio, come più facile di tutte le altre, essa sola è stata giudicata da i matematici degna d’esser posta tra i postulati Figura circolare posta sola fra i postulati.xattenenti alle descrizioni di tutte l’altre figure. Ed è talmente facile la formazion della sfera, che se in una piastra piana di metallo duro si caverà un vacuo circolare, dentro al quale si vadia rivolgendo casualmente qualsivoglia solido assai grossamente tondeggiato, per se stesso senz’altro artifizio si ridurrà in figura sferica, quanto più sia possibile perfetta, purchè quel tal solido non sia minore della sfera che passasse per quel cerchio; e quel che ci è anche di più degno di considerazione è Figure sferiche di diverse grandezze si possono formare con un solo strumento.che dentro a quel medesimo incavo si formeranno sfere di diverse grandezze. Quello poi che ci voglia per formare un cavallo o (come voi dite) una locusta, lo lascio giudicare a voi, che sapete che pochissimi scultori si troveranno al mondo atti a poterlo fare; e credo che il signor Simplicio in questo particolare non dissentirà da me.
Simp. Non so se io dissenta punto da voi. L’oppinion mia è che nessuna delle nominate figure si possa perfettamente ottenere; ma per avvicinarsi quanto si possa al più perfetto grado, credo che incomparabilmente sia più agevole il ridurre il solido in figura sferica, che in forma di cavallo o di locusta.
Sagr. E questa maggior difficultà da che credete voi che ella dependa?
Simp. Sì come la grand’agevolezza nel formar la sfera deriva dalla sua Forme irregolari difficili a introdursi.assoluta semplicità ed uniformità, così la somma irregolarità rende difficilissimo l’introdur l’altre figure.
Sagr. Adunque, come l’irregolarità è causa di difficultà, anco la figura di un sasso rotto con un martello a caso sarà delle difficili a introdursi, essendo essa ancora irregolare forse più di quella del cavallo?
Simp. Così deve essere.
Sagr. Ma ditemi: quella figura, qualunque ella si sia, che ha quel sasso, hall’egli perfettissimamente o pur no?
Simp. Quella che egli ha, l’ha tanto perfettamente, che nessun’altra le si assesta tanto puntualmente.
Sagr. Adunque, se delle figure irregolari, e perciò difficili a conseguirsi, pur se ne trovano infinite perfettissimamente ottenute, con qual ragione si potrà dire che la semplicissima, e per ciò facilissima più di tutte, sia impossibile a ritrovarsi?
Salv. Signori, con vostra pace, mi par che noi siamo entrati in una disputa non molto più rilevante che quella della lana caprina, e dove che i nostri ragionamenti dovrebber continuar di esser intorno a cose serie e rilevanti, noi consumiamo il tempo in altercazioni frivole e di nessun rilievo. Ricordiamoci in grazia che il cercar la costituzione del mondo Costituzione dell'universo è dei più nobili problemi.è de’ maggiori e de’ più nobil problemi che sieno in natura, e tanto maggior poi, quanto viene indrizzato allo scioglimento dell’altro, dico della causa del flusso e reflusso del mare, cercata da tutti i grand’uomini che sono stati sin qui e forse da niun ritrovata: però, quando altro non ci resti da produrre per l’assoluto scioglimento dell’instanza presa dalla vertigine della Terra, che fu l’ultima portata per argomento della sua immobilità circa il proprio centro, potremo passare allo scrutinio delle cose che sono in pro e contro al movimento annuo.
Sagr. Non vorrei, signor Salviati, che voi misuraste gl’ingegni di noi altri con la misura del vostro: voi, avvezzo sempre ad occuparvi in contemplazioni altissime, stimate frivole e basse tal una di quelle che a noi paiono degno cibo de’ nostri intelletti; però talvolta, per sodisfazione nostra, non vi sdegnate di abbassarvi a concedere qualcosa alla nostra curiosità. Quanto poi allo scioglimento dell’ultima instanza, presa dallo scagliamento della vertigine diurna, per sodisfare a me bastava assai meno di quello che si è prodotto; tuttavia le cose che si son dette soprabbondantemente, mi son parse tanto curiose, che non solo non mi hanno stancata la fantasia, ma me l’hanno con le loro novità trattenuta sempre con diletto tale che maggior non saprei desiderarne: però se qualche altra specolazione resta a voi da aggiugnervi, producetela pure, ch’io per la parte mia molto volentieri la sentirò.
Salv. Io nelle cose trovate da me ho sempre sentito grandissimo diletto, e doppo questo, che è il massimo, provo gran piacere nel conferirle con qualche amico che le capisca e che mostri di gustarle: or, poichè voi sete uno di questi, allentando un poco la briglia alla mia ambizione, che gode dentro di sé quando io mi mostro più perspicace di qualche altro reputato di acuta vista, produrrò, per colmo e buona misura della discussion passata, un’altra fallacia de i seguaci di Tolomeo e d’Aristotile, presa nel già prodotto argomento.
Sagr. Ecco che io avidamente mi apparecchio a sentirla.
Salv. Noi aviamo sin qui trapassato e conceduto a Tolomeo come effetto indubitabile, che procedendo lo scagliamento del sasso dalla velocità della ruota mossa intorno al suo centro, tanto si accresca la causa di esso scagliamento, quanto la velocità della vertigine si agumenta; dal che si inferiva che essendo la velocità della terrestre vertigine sommamente maggiore di quella di qualsivoglia macchina che noi artifiziosamente possiam far girare, l’estrusione in conseguenza delle pietre e de gli animali etc. dovesse esser violentissima. Ora io noto che in questo discorso è una grandissima fallacia, mentre noi indifferentemente ed assolutamente paragoniamo le velocità tra di loro. È vero che s’io fo comparazione delle velocità della medesima ruota o di due ruote eguali tra di loro, quella che più velocemente sarà girata, con maggior impeto scaglierà le pietre, e crescendo la velocità, con la medesima proporzione crescerà anco la causa della proiezione; La causa della proiezione non cresce secondo la proporzione della velocità accresciuta per far la ruota maggiore.ma quando la velocità si facesse maggiore non con l’accrescer velocità nell’istessa ruota, che sarebbe co ’l fargli dar numero maggiore di conversioni in tempi eguali, ma co ’l crescere il diametro e far la ruota maggiore, sì che ritenendo il medesimo tempo di una conversione tanto nella piccola quanto nella gran ruota, e solo nella grande la velocità fusse maggiore per esser la sua circonferenza maggiore, non sia chi creda che la causa dello scagliamento nella gran ruota crescesse secondo la proporzione della velocità della sua circonferenza verso la velocità della circonferenza della minor ruota, perchè questo è falsissimo, come per adesso una speditissima esperienza ci potrà mostrar così alla grossa: chè tal pietra potremmo noi scagliare con una canna lunga un braccio, che con una lunga sei braccia non potremo, ancorchè il moto dell’estremità della canna lunga, cioè della pietra incastratavi, fusse più veloce il doppio del moto della punta della canna più corta; che sarebbe quando le velocità fussero tali, che nel tempo di una conversione intera della canna maggiore, la minore ne facesse tre. SAGR Questo, signor Salviati, che voi mi dite, già comprendo io dovere necessariamente succeder così; ma non mi sovvien già prontamente la causa perchè eguali velocità non abbiano a operare egualmente in estruder i proietti, ma assai più quella della ruota minore che l’altra della ruota maggiore: però vi prego a dichiararmi come il negozio cammina.
Simp. Voi, signor Sagredo, questa volta vi sete dimostrato dissimile a voi medesimo, che solete in un momento penetrar tutte le cose, ed ora trapassate una fallacia posta nell’esperienza delle canne, la quale ho io potuto penetrare; e questa è la diversa maniera di operare nel far la proiezione or con la canna breve ed or con la lunga: perchè a voler che la pietra scappi fuor della cocca, non bisogna continuar uniformemente il suo moto, ma allora ch’egli è velocissimo, convien ritenere il braccio e reprimer la velocità della canna, perlochè la pietra, che già è in moto velocissimo, scappa e con impeto si muove; ma tal ritegno non si può far nella canna maggiore, la quale, per la sua lunghezza e flessibilità, non ubbidisce interamente al freno del braccio, ma, continuando di accompagnare il sasso per qualche spazio, co ’l dolcemente frenarlo se lo ritien congiunto, e non, come se in un duro intoppo avesse urtato, da sé lo lascia fuggire: chè quando amendue le canne urtassero in un ritegno che le fermasse, io credo che la pietra parimente scapperebbe dall’una e dall’altra, ancorchè i movimenti loro fussero egualmente veloci.
Sagr. Con licenzia del signor Salviati, risponderò io alcuna cosa al signor Simplicio, poichè egli a me si è rivoltato: e dico che nel suo discorso vi è del buono e del cattivo; buono, perchè quasi tutto è vero; cattivo, perchè non fa in tutto al proposito nostro. Verissimo è, che quando quello che con velocità porta le pietre, urtasse in un ritegno immobile, esse con impeto scorrerebbero innanzi, seguendone quell’effetto che tutto il giorno si vede accadere in una barca che, scorrendo velocemente, arreni o urti in qualche ostacolo, che tutti quelli che vi son dentro, colti all’improvviso, repentinamente traboccano e cascano verso dove correva il navilio; e quando il globo terrestre Dato che la vertigine diurna fusse della Terra e che ella per qualche repentino ostacolo intoppo si fermasse, le fabbriche e le montagne stesse e forse tutto 'l globo si dissolverebbe.incontrasse un intoppo tale che del tutto resistesse alla sua vertigine e la fermasse, allora sì ch’io credo che non solamente le fiere, gli edifizii e le città, ma le montagne, i laghi e i mari si sovvertirebbero, e pur che il globo stesso non si dissipasse: ma niente di questo fa al proposito nostro, che parliamo di quel che possa seguire al moto della Terra girata uniformemente e placidamente in se stessa, ancorchè con velocità grande. Quello parimente che voi dite delle canne, è in parte vero, ma non fu portato dal signor Salviati come cosa che puntualmente si assesti alla materia di cui trattiamo, ma solamente come un esempio che così alla grossa possa destarci la mente a più accuratamente considerare, se crescendosi la velocità in qualsivoglia modo, con l’istessa proporzione si accresca la causa della proiezione, sì che, verbigrazia, se una ruota di dieci braccia di diametro, movendosi in maniera che un punto della sua circonferenza passasse in un minuto d’ora cento braccia, e perciò avesse impeto di scagliare una pietra, tale impeto si accresce centomila volte in una ruota che avesse un milion di braccia di diametro: il che nega il signor Salviati, ed io inclino a creder l’istesso; ma non ne sapendo la ragione, l’ho da esso richiesta, e con desiderio la sto attendendo.
Salv. Eccomi per darvi quella sodisfazione che dalle mie forze mi sarà conceduta; e benchè nel mio primo parlare vi sia per parer ch’io vadia ricercando cose aliene dal proposito nostro, tuttavia credo che nel progresso del ragionamento troverremo che pur non saranno tali. Però dicami il signor Sagredo in quali cose egli ha osservato consister la resistenza di alcun mobile all’esser mosso.
Sagr. Io per adesso non veggo esser nel mobile resistenza interna all’esser mosso se non la sua naturale inclinazione e propensione al moto contrario, come ne’ corpi gravi, che hanno propensione al moto in giù, la resistenza è al moto in su: ed ho detto resistenza interna, perchè di questa credo che voi intendiate, e non dell’esterne, che sono accidentali e molte.
Salv. Così ho voluto dire, e la vostra perspicacità ha prevalso al mio avvedimento. Ma s’io sono stato scarso nell’interrogare, dubito che il signor Sagredo non abbia, con la risposta, adequata a pieno la domanda, e che nel mobile, oltre alla naturale inclinazione al termine contrario, sia un’altra pure intrinseca e naturale qualità che lo faccia renitente al moto. Però ditemi di nuovo: non credete voi L'inclinazione de i gravi al moto in giù uguale alla resistenza al moto in su.che l’inclinazione, v. g., de i gravi di muoversi in giù sia eguale alla resistenza de i medesimi all’essere spinti in su?
Sagr. Credo che ella sia tale per l’appunto; e per questo veggo nella bilancia due pesi eguali restar fermi nell’equilibrio, resistendo la gravità dell’uno all’esser alzato alla gravità con la quale l’altro, premendo in giù, alzar lo vorrebbe.
Salv. Benissimo; sì che a voler che l’uno alzasse l’altro, bisognerebbe accrescer peso al premente, o scemarlo all’altro. Ma se nella sola gravità consiste la resistenza al moto in su, onde avviene che nella bilancia di braccia diseguali, cioè nella stadera, talvolta un peso di cento libbre, co ’l suo gravare in giù, non è bastante a alzarne uno di quattro libbre, che gli contrasterà; e potrà questo di quattro, abbassandosi alzare quello di cento? chè tale è l’effetto dei romano verso il grave peso che noi vogliam pesare. Se la resistenza all’esser mosso risiede nella sola gravità, come può il romano, co’l suo peso di quattro libbre sole, resistere al peso di una balla di lana o di seta, che sarà ottocento o mille, anzi pure potrà egli vincere co ’l suo momento la balla e sollevarla? Bisogna pur, signor Sagredo, dire che qui si lavori con altra resistenza e con altra forza, che con quella della semplice gravità.
Sagr. È necessario che sia così: però ditemi qual è questa seconda virtù.
Salv. È quello che non era nella bilancia di braccia eguali. Considerate qual novità è nella stadera, ed in questa di necessità consiste la causa del nuovo effetto.
Sagr. Credo che ’l vostro tentare mi abbia fatto sovvenir non so che. In amendue gli strumenti si lavora co ’l peso e co ’l moto: nella bilancia i movimenti sono eguali, e però l’un peso bisogna che superi l’altro in gravità per muoverlo; nella stadera il peso minore non moverà il maggiore se non quando questo si muova poco, essendo appeso nella minor distanza, e quello si muova molto, pendendo da distanza maggiore: bisogna dunque dire che ’l minor peso superi la resistenza del maggiore co ’l muoversi molto, mentre l’altro si muova poco.
Salv. Che tanto è quanto a dire che la velocità del mobile meno grave compensa la gravità del mobile più grave e meno veloce.
Sagr. La maggior velocità compensa precisamente la maggior gravita.Ma credete voi che la velocità ristori per l’appunto la gravità? cioè che tanto sia il momento e la forza di un mobile, v. g., di quattro libbre di peso, quanto quella di un di cento, qualunque volta quello avesse cento gradi di velocità e questo quattro gradi solamente?
Salv. Certo sì, come io vi potrei con molte esperienze mostrare: ma per ora bastivi la confermazione di questa sola della stadera, nella quale voi vedrete il poco pesante romano allora poter sostenere ed equilibrare la gravissima balla, quando la sua lontananza dal centro, sopra il quale si sostiene e volgesi la stadera, sarà tanto maggiore dell’altra minor distanza dalla quale pende la balla, quanto il peso assoluto della balla è maggior di quel del romano. E di questo non poter la gran balla co ’l suo peso sollevare il romano, tanto men grave, altro non si vede poterne esser cagione che la disparità de i movimenti che e quella e questo far dovrebbero, mentre che la balla con l’abbassarsi un sol dito facesse alzare il romano cento dita (posto che la balla pesasse per cento romani, e la distanza del romano dal centro della stadera fusse cento volte più della distanza tra ’l medesimo centro e ’l punto della sospension della balla): il muoversi poi lo spazio di cento dita il romano, nel tempo che la balla si muove per un sol dito, è l’istesso che ’l dire, esser la velocità del moto del romano cento volte maggior della velocità del moto della balla. Ora fermatevi bene nella fantasia, come principio vero e notorio, che la resistenza che viene dalla velocità del moto compensa quello che depende dalla gravità d’un altro mobile: sì che, in conseguenza, tanto resiste al l’esser frenato un mobile d’una libbra, che si muova con cento gradi di velocità, quanto un altro mobile di cento libbre, la cui velocità sia d’un grado solo; ed all’esser mossi due mobili eguali resisteranno egualmente, se si avranno a far muovere con egual velocità; ma se uno doverà esser mosso più velocemente dell’altro, farà maggior resistenza, secondo la maggior velocità che se gli vorrà conferire. Dichiarate queste cose, venghiamo all’esplicazion del nostro problema; e per più facile intelligenza facciamone un poco di figura. E siano due ruote diseguali intorno a questo centro A, e della minore sia la circonferenza BG, e della maggiore CEH, ed il semidiametro ABC sia eretto all’orizonte, e per i punti B, C segniamo le rette linee tangenti BF, CD, e ne gli archi BG, CE sieno prese due parti eguali BG, CE; ed intendasi le due ruote esser girate sopra i lor centri con eguali velocità, sì che due mobili, li quali sariano, v. g., due pietre, poste ne’ punti B e C, vengano portate per le circonferenze BG, CE con eguali velocità, talchè nell’istesso tempo che la pietra B scorrerebbe per l’arco BG, la pietra C passerebbe l’arco CE: dico adesso che la vertigine della minor ruota è molto più potente a far la proiezion della pietra B, che non è la vertigine della maggior ruota della pietra C. Imperocchè dovendosi, come già si è dichiarato, far la proiezione per la tangente, quando le pietre B, C dovessero separarsi dalle lor ruote e cominciare il moto della proiezione da i punti B, C, verrebbero dall’impeto concepito dalla vertigine scagliate per le tangenti BF, CD: per le tangenti dunque BF, CD hanno, le due pietre, eguali impeti di scorrere, e vi scorrerebbero se da qualche altra forza non ne fussero deviate. Non sta così, Sig. Sagredo?
Sagr. Così mi par che cammini il negozio.
Salv. Ma qual forza vi par che possa esser quella che devii le pietre dal muoversi per le tangenti, dove l’impeto della vertigine veramente le caccia?
Sagr. È o la propria gravità, o qualche colla che le ritien posate o attaccate sopra le ruote.
Salv. Ma a deviare un mobile dal moto dove egli ha impeto, non ci vuol egli maggior forza o minore, secondo che la deviazione ha da esser maggiore o minore? cioè, secondochè nella deviazione egli dovrà nell’istesso tempo passar maggiore o minore spazio?
Sagr. Sì, perchè già di sopra fu concluso che a far muovere un mobile, con quanta maggior velocità si ha da far muovere, tanto bisogna che sia maggiore la virtù movente.
Salv. Ora considerate come per deviar la pietra della minor ruota dal moto della proiezione, che ella farebbe per la tangente B F, e ritenerla attaccata alla ruota, bisogna che la propria gravità la ritiri per quanto è lunga la segante F G, o vero la perpendicolare tirata dal punto G sopra la linea B F; dove che nella ruota maggiore il ritiramento non ha da esser più che si sia la segante D E, o vero la perpendicolare tirata dal punto E sopra la tangente D C, minor assai della F G, e sempre minore e minore secondo che la ruota si facesse maggiore: e perchè questi ritiramenti si hanno a fare in tempi eguali, cioè mentre che si passano li due archi eguali B G, C E, quello della pietra B, cioè il ritiramento F G, doverà esser più veloce dell’altro D E, e però molto maggior forza si ricercherà per tener la pietra B congiunta alla sua piccola ruota, che la pietra C alla sua grande; ch’è il medesimo che dire, che tal poca cosa impedirà lo scagliamento nella ruota grande, che non lo proibirà nella piccola. È manifesto, dunque, che quanto più si cresce la ruota, tanto si scema la causa della proiezione.
Sagr. Da questo che ora intendo mercé del vostro lungo sminuzzamento, mi par di poter far restar pago il mio intelletto con assai breve discorso: perchè, venendo dalla velocità eguale delle due ruote impresso impeto eguale in amendue le pietre per le tangenti, si vede la gran circonferenza co ’l poco separarsi dalla tangente, andar secondando in un certo modo e con dolce morso suavemente raffrenando nella pietra l’appetito, per così dire, di separarsi dalla circonferenza, sì che qualunque piccol ritegno, o della propria inclinazione o di qualche glutine, basta a mantenervela congiunta; il quale poi resta invalido a ciò poter fare nella piccola ruota, la quale, co ’l poco secondare la direzione della tangente, con troppa ingorda voglia cerca ritenere a sé la pietra, e non essendo il freno e ’l glutine più gagliardo di quello che manteneva l’altra pietra unita con la maggior ruota, si strappa la cavezza, e si corre per la tangente. Per tanto io non solamente resto capace dell’aver tutti quelli errato, che hanno creduto crescersi la cagione della proiezione secondo che si accresce la velocità della vertigine; ma di più vo considerando, che scemandosi la proiezione nell’accrescersi la ruota, tuttavoltachè si mantenga la medesima velocità in esse ruote, forse potrebbe esser vero che a voler che la gran ruota scagliasse come la piccola, bisognasse crescerle tanto di velocità, quanto se le cresce di diametro, che sarebbe quando le intere conversioni si finissero in tempi eguali, e così si potrebbe stimare che la vertigine della Terra non più fusse bastante a scagliare le pietre, che qualsivoglia altra piccola ruota che tanto lentamente si girasse, che in ventiquattr’ore desse una sola rivolta.
Salv. Non voglio per ora che noi cerchiamo tant’oltre; basta che assai abbondantemente abbiamo (s’io non m’inganno) mostrato l’inefficacia dell’argumento, che nel primo aspetto pareva concludentissimo, e tale era stato stimato da grandissimi uomini: ed assai bene speso mi parrà il tempo e le parole, se anco nel concetto del signor Simplicio averò guadagnato qualche credenza, non dirò della mobilità della Terra, ma almanco del non esser l’opinion di coloro che la credono, tanto ridicola e stolta, quanto le squadre de’ filosofi comuni la tengono.
Simp. Le soluzioni addotte sin qui all’instanze fatte contro a questa diurna revoluzion della Terra, prese da i gravi cadenti dalla sommità d’una torre, e da i proietti a perpendicolo in su o secondo qualsivoglia inclinazione lateralmente, verso oriente, occidente, mezzogiorno o settentrione etc., mi hanno in qualche parte scemata l’antiquata incredulità concepita contro a tale opinione: ma altre maggiori difficultà mi si aggirano adesso per la fantasia, dalle quali io assolutamente non mi saprei mai sviluppare, nè forse credo che voi medesimi ve ne potrete disciorre; e può anco essere che venute non vi sieno all’orecchie, perchè sono assai moderne. Altre opposizioni ai due autori moderni contro al Copernico.E queste sono le opposizioni di due autori che ex professo scrivono contro al Copernico: le prime si leggono in un libretto di conclusioni naturali; le altre sono d’un gran filosofo e matematico insieme, inserte in un trattato che egli fa in grazia d’Aristotile e della sua opinione intorno all’inalterabilità del cielo, dove ei prova che non pur le comete, ma anco le stelle nuove, cioè quella del settantadua in Cassiopea e quella del seicentoquattro nel Sagittario, non erano altrimenti sopra le sfere de i pianeti, ma assolutamente sotto il concavo della Luna nella sfera elementare; e ciò dimostra egli contro a Ticone, Keplero e molti altri osservatori astronomi, e gli abbatte con le loro armi medesime, cioè per via delle parallassi. Io, se vi è in piacere, produrrò le ragioni dell’uno e dell’altro, perchè le ho lette più d’una volta con attenzione; e voi potrete esaminar la lor forza e dirne il vostro parere.
Salv. Essendochè il nostro principal fine è di produrre e ponderar tutto quello che è stato addotto in pro e contro a i due sistemi Tolemaico e Copernicano, non è bene passar cosa alcuna delle scritte in cotal materia.
Simp. Comincerò dunque dall’instanze contenute nel libretto delle conclusioni, e poi verrò all’altre. Prima opposizione dei libretto dell'autor moderno delle conclusioni.Primieramente, dunque, l’autore con grand’acutezza va calcolando quante miglia per ora fa un punto della superficie terrestre posto sotto l’equinoziale, e quante si fanno da altri punti posti in altri paralleli; e non contento di investigar tali movimenti in tempi orarii, gli trova anco in un minuto d’ora, nè contento del minuto, lo ritrova sino a uno scrupolo secondo; ma più, e’ va insino a mostrar apertissimamente quante miglia farebbe in tali tempi una palla d’artiglieria, posta nel concavo dell’orbe lunare, suppostolo anco tanto grande quanto l’istesso Copernico se lo figura, per levar tutti i sutterfugii all’avversario: e fatta quest’ingegnosissima ed esquisitissima supputazione, una palla d'artiglieria consumerebbe più di sei giorni nel cader dal concavo della Luna sino al centro della Terra, secondo l'opinione dell'0autoir moderno delle conclusioni.dimostra che un grave cadente di lassù consumerebbe assai più di sei giorni per arrivar sino al centro della Terra, dove naturalmente tendono tutte le cose gravi. Ora, quando dall’assoluta potenza divina o da qualche angelo fusse miracolosamente trasferita lassù una grossissima palla di artiglieria, e posta nel nostro punto verticale e di lì lasciata in sua libertà, è ben, per suo e mio parere, incredibilissima cosa che ella nel descendere a basso si andasse sempre mantenendo nella nostra linea verticale, continuando di girare con la Terra intorno al suo centro per tanti giorni, descrivendo sotto l’equinoziale una linea spirale nel piano di esso cerchio massimo, e sotto altri paralleli linee spirali intorno a coni, e sotto i poli cadendo per una semplice linea retta. Stabilisce poi e conferma questa grand’improbabilità co ’l promover, per modo di interrogazioni, molte difficultà impossibili a rimuoversi da i seguaci del Copernico; e sono, se ben mi ricorda...
Salv. Piano un poco: di grazia, signor Simplicio, non vogliate avvilupparmi con tante novità in un tratto; io ho poca memoria, e però mi bisogna andar di passo in passo. E perchè mi sovviene aver già voluto calcolare in quanto tempo un simil grave, cadendo dal concavo della Luna, arriverebbe nel centro della Terra, e mi par ricordare che il tempo non sarebbe sì lungo, sarà bene che voi ci dichiate con qual regola quest’autore abbia fatto il suo computo.
Simp. Hallo fatto, per provare il suo intento a fortiori, vantaggioso assai per la parte avversa, supponendo che la velocità del cadente per la linea verticale verso il centro della Terra fusse eguale alla velocità del suo moto circolare fatto nel cerchio massimo del concavo dell’orbe lunare, al cui ragguaglio verrebbe a fare in un’ora dodicimila seicento miglia tedesche, cosa che veramente ha dell’impossibile; tuttavia, per abbondare in cautela e dar tutti i vantaggi alla parte, ei la suppone per vera, e conclude il tempo della caduta dovere ad ogni modo esser più di sei giorni.
Salv. E quest’è tutto il suo progresso? e con questa dimostrazione prova, il tempo di tal cascata dover esser più di sei giorni?
Sagr. Parmi che e’ si sia portato troppo discretamente, poichè essendo in poter del suo arbitrio dar qual velocità gli piaceva a un tal cadente, ed in conseguenza farlo venire in Terra in sei mesi ed anco in sei anni, si è contentato di sei giorni. Ma di grazia, signor Salviati, racconciatemi un poco il gusto co ’l dirmi in qual maniera procedeva il vostro computo, già che voi dite averlo altra volta fatto; chè ben son sicuro che se ’l quesito non ricercava qualche operazione spiritosa, voi non vi areste applicata la mente.
Salv. Non basta, signor Sagredo, che la conclusione sia nobile e grande, ma il punto sta nel trattarla nobilmente. E chi non sa che nel resecar le membra di un animale si possono scoprir meraviglie infinite della provida e sapientissima natura? tuttavia, per uno che il notomista ne tagli, mille ne squarta il beccaio; ed io, nel cercar ora di sodisfare alla vostra domanda, non so con quale delli due abiti sia per comparire in scena: pur, preso animo dalla comparsa dell’autor del signor Simplicio, non resterò di recitarvi (se mi sovverrà) il modo che io tenevo. Ma prima ch’io metta mano ad altro, non posso lasciar di dire che dubito grandemente che il signor Simplicio non abbia fedelmente referito il modo co ’l quale questo suo autore trova che la palla d’artiglieria, nel venir dal concavo della Luna sino al centro della Terra, consumerebbe più di sei giorni; perchè, s’egli avesse supposto che la sua velocità nello scendere fusse stata eguale a quella del concavo (come dice il signor Simplicio che e’ suppone), si sarebbe dichiarato ignudissimo anco delle prime e più semplici cognizioni di geometria: anzi mi maraviglio che l’istesso signor Simplicio nell’ammetter la supposizione ch’egli dice, non vegga l’esorbitanza immensa che in quella si contiene.
Simp. Ch’io abbia equivocato nel riferirla, potrebbe essere; ma che io vi scuopra dentro fallacia, non è sicuramente.
Salv. Forse non ho ben appreso quel che avete riferito. Non dite voi che quest’autore fa la velocità del moto della palla nello scendere eguale a quella ch’ell’aveva nello andare in volta, stando nel concavo lunare, e che calando con tal velocità si condurrebbe al centro in sei giorni?
Simp. Così mi par ch’egli scriva.
Salv. Esorbitanza immensa nell'argomento preso dalla palla cadente dal concavo della luna.E non vedete un’esorbitanza sì grande? Ma voi certo la dissimulate: chè non può esser che non sappiate che ’l semidiametro del cerchio è manco che la sesta parte della circonferenza; e che in conseguenza il tempo nel quale il mobile passerà il semidiametro, sarà manco della sesta parte del tempo nel quale, mosso con la medesima velocità, passerebbe la circonferenza; e che però la palla, scendendo con la velocità con la quale si muoveva nel concavo, arriverà in manco di quattr’ore al centro, posto che nel concavo compiesse una revoluzione in ore ventiquattro, come bisogna ch’ei supponga per mantenersi sempre nella medesima verticale.
Simp. Intendo ora benissimo l’errore; ma non glie lo vorrei attribuire immeritamente, ed è forza ch’io abbia errato nel recitar il suo argomento: e per fuggir di non gli n’addossar de gli altri, vorrei avere il suo libro, e se ci fusse chi andasse a pigliarlo, l’averei molto caro.
Sagr. Non mancherà un lacchè, che anderà volando; ed appunto si farà senza perdimento di tempo, chè intanto il signor Salviati ci favorirà del suo computo.
Simp. Potrà andare, che lo troverà aperto su ’l mio banco insieme con quello dell’altro che pur argomenta contro al Copernico.
Sagr. Faremo portar quello ancora, per più sicurezza; ed in tanto il signor Salviati farà il suo calculo. Ho spedito un servitore.
Salv. Computo fatto del tempo della caduta della palla d'artiglieria dal concavo della Luna sino al centro della Terra.Avanti di ogni altra cosa, bisogna considerare come il movimento de i gravi descendenti non è uniforme, ma partendosi dalla quiete vanno continuamente accelerandosi; effetto conosciuto ed osservato da tutti, fuor che dal prefato autore moderno, il quale, non parlando di accelerazione, lo fa equabile. Ma questa general cognizione è di niun profitto, quando non si sappia secondo qual proporzione sia fatto questo accrescimento di velocità, conclusione stata sino a i tempi nostri ignota a tutti i filosofi, e primieramente ritrovata e dimostrata dall’Accademico, nostro comun amico: il quale, in alcuni suoi scritti non ancor pubblicati, ma in confidenza mostrati a me e ad alcuni altri amici suoi, Accelerazione del moto naturale de i gravi si fa secondo i numeri impari cominciando dall'unità.dimostra come l’accelerazione del moto retto de i gravi si fa secondo i numeri impari ab unitate, cioè che segnati quali e quanti si voglino tempi eguali, se nel primo tempo, partendosi il mobile dalla quiete, averà passato un tale spazio, come, per esempio, una canna, nel secondo tempo passerà tre canne, nel terzo cinque, nel quarto sette, e così conseguentemente secondo i succedenti numeri caffi, che in somma è l’istesso che il dire che gli spazii passati dal mobile, partendosi dalla quiete, hanno tra di loro proporzione duplicata di quella che hanno i tempi ne’ quali Gli spazii passati dal grave cadente sono come i quadrati de' tempitali spazii son misurati, o vogliam dire che gli spazii passati son tra di loro come i quadrati de’ tempi.
Sagr. Mirabil cosa sento dire. E di questo dite esserne dimostrazion matematica?
Salv. Matematica purissima, e non solamente di questa, ma di molte altre bellissime passioni attenenti a i moti naturali e a i proietti ancora, tutte ritrovate e dimostrate dall’amico nostro: ed io le ho vedute e studiate tutte con mio grandissimo gusto e meraviglia, vedendo suscitata una nuova cognizione intera, Intera e nuova scienza dell'Accademico intorno ai moto locale.intorno ad un suggetto del quale si sono scritti centinaia di volumi; e nè pur una sola dell’infinite conclusioni ammirabili che vi son dentro, è stata osservata e intesa da alcuno prima che dal nostro amico
Sagr. Voi mi fate fuggir la voglia d’intender più oltre de i nostri cominciati discorsi, e solo sentire alcuna delle dimostrazioni che mi accennate; però, o ditemele al presente, o almeno datemi ferma parola di farne meco una particolare sessione, ed anco presente il signor Simplicio, se avrà gusto di sentire le passioni ed accidenti del primario effetto della natura.
Simp. Averollo indubitatamente, ancorchè, per quanto appartiene al filosofo naturale, io non credo che il descendere a certe minute particolarità sia necessario, bastando una general cognizione della definizion del moto e della distinzione di naturale e violento, equabile e accelerato, e simili; chè quando questo non fusse bastato, io non credo che Aristotile avesse pretermesso di insegnarci tutto quello che fusse mancato.
Salv. Può essere. Ma non perdiamo più tempo in questo, ch’io prometto spenderci una meza giornata appartatamente per vostra sodisfazione, anzi pur ora mi sovviene avervi un’altra volta promesso di darvi questa medesima sodisfazione. E tornando al nostro cominciato calcolo del tempo nel quale il grave cadente verrebbe dal concavo della Luna sino al centro della Terra, per proceder non arbitrariamente e a caso, ma con metodo concludentissimo, cercheremo prima di assicurarci, con l’esperienza più volte replicata, in quanto tempo una palla, verbigrazia, di ferro venga in Terra dall’altezza di cento braccia.
Sagr. Pigliando però una palla di un tal determinato peso, e quella stessa sopra la quale noi vogliamo far il computo del tempo della scesa dalla Luna.
Salv. Questo non importa niente, perchè palle di una, di dieci, di cento, di mille libbre, tutte misureranno le medesime cento braccia nell’istesso tempo.
Simp. Oh questo non cred’io, nè meno lo crede Aristotile, che scrive che le velocità de i gravi descendenti hanno tra di loro la medesima proporzione delle loro gravità.
Salv. Errore d'Aristotile nell'affermare i gravi cadenti muoversi secondo la proporzione della gravità loro.Come voi, signor Simplicio, volete ammetter cotesto per vero, bisogna che voi crediate ancora, che lasciate nell’istesso momento cader due palle della medesima materia, una di cento libbre e l’altra d’una, dall’altezza di cento braccia, la grande arrivi in Terra prima che la minore sia scesa un sol braccio: ora accomodate, se voi potete, il vostro cervello a imaginarsi di veder la gran palla giunta in Terra quando la piccola sia ancora a men d’un braccio vicina alla sommità della torre.
Sagr. Che questa proposizione sia falsissima, io non ne ho un dubbio al mondo; ma che anco la vostra sia totalmente vera, non ne son ben capace: tuttavia la credo, poichè voi risolutamente l’affermate; il che son sicuro che non fareste quando non ne aveste certa esperienza o ferma dimostrazione.
Salv. Honne l’una e l’altra, e quando tratteremo la materia de i moti separatamente, ve la comunicherò: intanto, per non avere occasione di più interrompere il filo, ponghiamo di voler fare il computo sopra una palla di ferro di cento libbre, la quale per replicate esperienze scende dall’altezza di cento braccia in cinque minuti secondi d’ora. E perchè, come vi ho detto, gli spazii che si misurano dal cadente, crescono in duplicata proporzione, cioè secondo i quadrati de’ tempi, essendochè il tempo di un minuto primo è duodecuplo del tempo di cinque secondi, se noi multiplicheremo le cento braccia per il quadrato di 12, cioè per 144, averemo 14400, che sarà il numero delle braccia che il mobile medesimo passerà in un minuto primo d’ora; e seguitando la medesima regola, perchè un’ora è 60 minuti, multiplicando 14400, numero delle braccia passate in un minuto, per il quadrato di 60, cioè per 3600, ne verrà 51840000, numero delle braccia da passarsi in un’ora, che sono miglia 17280. E volendo sapere lo spazio che si passerebbe in 4 ore, multiplicheremo 17280 per 16 (che è il quadrato di 4), e ce ne verranno miglia 276480: il qual numero è assai maggiore della distanza dal concavo lunare al centro della Terra, che è miglia 196000, facendo la distanza del concavo 56 semidiametri terrestri, come fa l’autor moderno, ed il semidiametro della Terra 3500 miglia di braccia 3000 l’uno, quali sono le nostre miglia italiane. Adunque, signor Simplicio, quello spazio dal concavo della Luna al centro della Terra, che il vostro computista diceva non potersi passare se non in assai più di sei giorni, vedete come, facendo il computo sopra l’esperienza e non su per le dita, si passerebbe in assai meno di 4 ore; e facendo il computo esatto, si passa in ore 3, minuti primi 22 e 4 secondi.
Sagr. Di grazia, caro Signor, non mi defraudate di questo calculo esatto, perchè bisogna che sia cosa bellissima.
Salv. Tale è veramente. Però avendo (come ho detto) con diligente esperienza osservato come un tal mobile passa, cadendo, l’altezza di 100 braccia in 5 secondi d’ora, diremo: Se 100 braccia si passano in 5 secondi, braccia 588 000 000 (che tante sono 56 semidiametri della Terra) in quanti secondi si passeranno? La regola per quest’operazione è che si multiplichi il terzo numero per il quadrato del secondo; ne viene 14 700 000 000, il quale si deve dividere per il primo, cioè per 100, e la radice quadrata del quoziente, che è 12 124, è il numero cercato, cioè 12 124 minuti secondi d’ora, che sono ore 3, minuti primi 22 e 4 secondi.
Sagr. Ho veduta l’operazione, ma non intendo niente della ragione del così operare, nè mi par tempo adesso di domandarla.
Salv. Anzi ve la voglio dire, ancorchè non la ricerchiate, perchè è assai facile. Segniamo questi tre numeri con le lettere A primo, B secondo, C terzo; A, C sono i numeri de gli spazii, B è ’l numero del tempo: si cerca il quarto numero, pur del tempo. E perchè noi sappiamo, che qual proporzione ha lo spazio A allo spazio C, tale deve avere il quadrato del tempo B al quadrato del tempo che si cerca, però, per la regola aurea, si multiplicherà il numero C per il quadrato del numero B, ed il prodotto si dividerà per il numero A, ed il quoziente sarà il quadrato del numero, che si cerca, e la sua radice quadrata sarà l’istesso numero cercato. Or vedete come è facile da intendersi.
Sagr. Tali sono tutte le cose vere, doppo che son trovate; ma il punto sta nel saperle trovare. Io resto capacissimo, e vi ringrazio; e se altra curiosità vi resta in questa materia, vi prego a dirla, perchè, s’io debbo parlar liberamente, dirò, con licenzia del signor Simplicio, che da i vostri discorsi imparo sempre qualche bella novità, ma da quelli de’ suoi filosofi non so d’aver sin ora imparato cose di gran rilievo.
Salv. Pur troppo ci resterebbe da dire in questi movimenti locali; ma conforme al convenuto ci riserberemo ad una sessione appartata, e per ora dirò qualche cosa attenente all’autor proposto dal signor Simplicio: al quale par d’aver dato un gran vantaggio alla parte nel concederle che quella palla d’artiglieria, nel cader dal concavo della Luna, possa venir con velocità eguale alla velocità con la quale si sarebbe mossa in giro restando lassù e movendosi alla conversion diurna. Ora io gli dico che quella palla, cadendo dal concavo sino al centro, acquisterà grado di velocità assai più che doppio della velocità del moto diurno del concavo lunare; e questo mostrerò io con supposti verissimi, e non arbitrarii. Il mobile cadente, quando si movesse, col grado di velocità acquistato, per altrettanto tempo con moto uniforme, passerebbe spazio doppio del passato col moto accelerato.Dovete dunque sapere, come il grave cadendo, ed acquistando sempre velocità nuova secondo la proporzione già detta, in qualunque luogo egli si trovi della linea del suo moto, ha in sé tal grado di velocità, che se ei continuasse di muoversi con quella uniformemente, senza più crescerla, in altrettanto tempo quanto è stato quello della sua scesa passerebbe spazio doppio del passato nella linea del precedente moto in giù: e così, per esempio, se quella palla nel venir dal concavo della Luna al suo centro ha consumato ore 3, minuti primi 22 e 4 secondi, dico che giunta al centro si trova costituita in tal grado di velocità, che se con quella, senza più crescerla, continuasse di muoversi uniformemente, passerebbe in altre ore 3, minuti primi 22 e 4 secondi il doppio di spazio, cioè quant’è tutto ’l diametro intero dell’orbe lunare. E perchè dal concavo della Luna al centro sono miglia 196000, le quali la palla passa in ore 3, minuti primi 22 e 4 secondi, adunque (stante quello ch’è detto) continuando la palla di muoversi con la velocità che si trova avere nell’arrivare al centro, passerebbe, in altre ore 3, minuti primi 22 e 4 secondi, spazio doppio del detto, cioè miglia 392000: ma la medesima, stando nel concavo della Luna, che ha di circuito miglia 1232000, e movendosi con quello al moto diurno, farebbe nel medesimo tempo, cioè in ore 3, minuti primi 22 e 4 secondi, miglia 172880, che sono assai manco che la metà delle miglia 392000. Ecco dunque come il moto nel concavo non è qual dice l’autor moderno, cioè di velocità impossibile a participarsi dalla palla cadente, etc.
Sagr. Il discorso camminerebbe benissimo e mi quieterebbe, quando mi fusse saldata quella partita del muoversi il mobile per doppio spazio del passato cadendo, in altro tempo eguale a quel della scesa, quando e’ continuasse di muoversi uniformemente co ’l massimo grado della velocità acquistata nel descendere: proposizione anco un’altra volta da voi supposta per vera, ma non dimostrata.
Salv. Quest’è una delle dimostrate dal nostro amico, e la vedrete a suo tempo; ma in tanto voglio con alcune conietture, non insegnarvi cosa nuova, ma rimuovervi da una certa opinione contraria, mostrandovi che forse così possa essere. Sospendendosi con un filo lungo e sottile, legato al palco, una palla di piombo, se noi la allontaneremo dal perpendicolo, lasciandola poi in libertà, non avete voi osservato che ella declinando passerà spontaneamente di là dal perpendicolo poco meno che altrettanto?
Sagr. L’ho osservato benissimo, e veduto (massime se la palla sarà grave assai) che ella sormonta tanto poco meno della scesa, che ho talvolta creduto che l’arco ascendente sia eguale al descendente, e però dubitato che le sue vibrazioni potessero perpetuarsi; Il moto de i penduli gravi si perpetuerebbe, rimossi gl'impedimenti.e crederò che lo farebbero se si potesse levar l’impedimento dell’aria, la quale, resistendo all’esser aperta, ritarda qualche poco ed impedisce il moto del pendolo: ma l’impedimento è ben poco; di che è argomento il numero grande delle vibrazioni che si fanno avanti che il mobile si fermi del tutto.
Salv. Non si perpetuerebbe il moto, signor Sagredo, quando ben si levasse totalmente l’impedimento dell’aria, perchè ve n’è un altro più recondito assai.
Sagr. E qual è? chè altro non me ne sovviene.
Salv. Vi gusterà il sentirlo, ma ve lo dirò poi; intanto seguitiamo. Io vi ho proposta l’osservazione di questo pendolo, acciò che voi intendiate che l’impeto acquistato nell’arco descendente, dove il moto è naturale, è per se stesso potente a sospignere di moto violento la medesima palla per altrettanto spazio nell’arco simile ascendente; è tale, dico, per se stesso, rimossi tutti gl’impedimenti esterni. Credo anco che senza dubitarne s’intenda, che sì come nell’arco descendente si va crescendo la velocità sino al punto infimo del perpendicolo, così da questo per l’altro arco ascendente si vadia diminuendo sino all’estremo punto altissimo, e diminuendo con l’istesse proporzioni con le quali si venne prima agumentando, sì che i gradi delle velocità ne i punti egualmente distanti dal punto infimo sieno tra di loro eguali. Di qui parmi (discorrendo con una certa convenienza) di poter credere, Quando il globo terrestre fosse perforato, un grave descendente per tal foro passerebbe, ascendendo poi oltre il centro, per altrettanto spazio quanto fu quel della scesa.che quando il globo terrestre fusse perforato per il centro, una palla d’artiglieria scendendo per tal pozzo acquisterebbe sino al centro tal impeto di velocità che, trapassato il centro la spignerebbe in su per altrettanto spazio quanto fusse stato quello della caduta, diminuendo sempre la velocità oltre al centro con decrementi simili a gl’incrementi acquistati nello scendere; ed il tempo che si consumerebbe in questo secondo moto ascendente credo che sarebbe eguale al tempo della scesa. Ora, se il mobile co ’l diminuir successivamente, sino alla totale estinzione, il sommo grado della velocità che ebbe nel centro, conduce il mobile in tanto tempo per tanto spazio per quanto in altrettanto tempo era venuto con l’acquisto di velocità dalla total privazione di essa sino a quel sommo grado; par ben ragionevole che quando si movesse sempre co ’l sommo grado di velocità, trapassasse in altrettanto tempo amendue quelli spazii: perchè se noi andremo con la mente dividendo quelle velocità in gradi crescenti e calanti, come, verbigrazia, questi numeri, sì che i primi sino al 10 sieno i crescenti, e gli altri sino all’1 i calanti, e quelli, del tempo della scesa, e gli altri, del tempo della salita, si vede che, congiunti tutti insieme, fanno tanto quanto se una delle due parti di loro fusse stata tutta di gradi massimi; e però tutto lo spazio passato con tutti i gradi delle velocità crescenti e calanti (che è tutto il diametro intero) dev’esser eguale allo spazio passato dalle velocità massime che in numero sono la metà dell’aggregato delle crescenti e delle calanti. Io mi conosco essermi assai duramente spiegato, e Dio voglia ch’io mi lasci intendere.
Sagr. Credo d’avere inteso benissimo, ed anco di poter in brevi parole mostrar ch’io ho inteso. Voi avete voluto dire, che cominciando il moto dalla quiete ed andando successivamente crescendo la velocità con agumenti eguali, quali sono quelli de’ numeri conseguenti, cominciando dall’unità, anzi dal zero, che rappresenta lo stato di quiete, disponendogli così, e conseguentemente quanti ne piacesse, sì che il minimo grado sia il zero e ’l massimo, verbigrazia, 5, tutti questi gradi di velocità, con i quali il mobile si è mosso, fanno la somma di 15; ma quando il mobile si movesse con tanti gradi in numero quanti son questi, e che ciascheduno fusse eguale al massimo, che è 5, l’aggregato di tutte queste velocità sarebbe doppio dell’altre, cioè 30: e però movendosi il mobile per altrettanto tempo, ma con velocità equabile e qual è quella del sommo grado 5, doverà passare spazio doppio di quello che passò nel tempo accelerato, che cominciò dallo stato di quiete.
Salv. Voi, conforme alla vostra velocissima e sottilissima apprensiva, avete spiegato il tutto assai più lucidamente di me, e fattomi anco venire in mente di aggiugnere alcuna cosa di più. Imperocchè, essendo nel moto accelerato l’agumento continuo, non si può compartire i gradi della velocità, la quale sempre cresce, in numero alcuno determinato, perchè, mutandosi di momento in momento, son sempre infiniti: però meglio potremo esemplificare la nostra intenzione figurandoci un triangolo, qual sarebbe questo AB C, pigliando nel lato AC quante parti eguali ne piacerà, AD, DE, EF, FG, e tirando per i punti D, E, F, G linee rette parallele alla base BC; dove voglio che ci imaginiamo, le parti segnate nella linea AC esser tempi eguali, e le parallele tirate per i punti D, E, F, G rappresentarci i gradi delle velocità accelerate e crescenti egualmente in tempi eguali, ed il punto A esser lo stato di quiete, dal quale partendosi il mobile abbia, v. g., nel tempo AD acquistato il grado di velocità DH, nel seguente tempo aver cresciuta la velocità sopra il grado DH sino al grado EI, e conseguentemente fattala maggiore ne i tempi succedenti, secondo i crescimenti delle linee FK, GL, etc. L'accelerazione de i gravi naturalmente descendenti cresce di momento in momento.Ma perchè l’accelerazione si fa continuamente di momento in momento, e non intercisamente di parte quanta di tempo in parte quanta, essendo posto il termine A come momento minimo di velocità, cioè come stato di quiete e come primo instante del tempo susseguente AD, è manifesto che avanti l’acquisto del grado di velocità DH, fatto nel tempo AD, si è passato per altri infiniti gradi minori e minori, guadagnati ne gli infiniti instanti che sono nel tempo DA, corrispondenti a gli infiniti punti che sono nella linea DA: però per rappresentare la infinità de i gradi di velocità che precedono al grado DH, bisogna intendere infinite linee sempre minori e minori, che si intendano tirate da gl’infiniti punti della linea DA, parallele alla DH, la qual infinità di linee ci rappresenta in ultimo la superficie del triangolo AHD; e così intenderemo, qualsivoglia spazio passato dal mobile con moto che, cominciando dalla quiete, si vadia uniformemente accelerando, aver consumato ed essersi servito di infiniti gradi di velocità crescenti, conforme all’infinite linee, che, cominciando dal punto A, si intendono tirate parallele alla linea HD ed alle IE, KF, LG, BC, continuandosi il moto quanto ne piace. Ora finiamo l’intero parallelogrammo A M B C, e prolunghiamo sino al suo lato B M non solo le parallele segnate nel triangolo, ma la infinità di quelle che si intendono prodotte da tutti i punti del lato A C. E sì come la B C era massima delle infinite del triangolo, rappresentanteci il massimo grado di velocità acquistato dal mobile nel moto accelerato, e tutta la superficie di esso triangolo era la massa e la somma di tutta la velocità con la quale nel tempo A C passò un tale spazio, così il parallelogrammo viene ad esser una massa ed aggregato di altrettanti gradi di velocità, ma ciascheduno eguale al massimo B C, la qual massa di velocità viene a esser doppia della massa delle velocità crescenti del triangolo, sì come esso parallelogrammo è doppio del triangolo; e però, se il mobile che cadendo si è servito de i gradi di velocità accelerata, conforme al triangolo A B C, ha passato in tanto tempo un tale spazio, è ben ragionevole e probabile che servendosi delle velocità uniformi, e rispondenti al parallelogrammo, passi con moto equabile nel medesimo tempo spazio doppio al passato dal moto accelerato.
Sagr. Resto interamente appagato. E se voi chiamate questo un discorso probabile, quali saranno le dimostrazioni necessarie? Volesse Dio che in tutta la comune filosofia se ne trovasse pur una delle sì concludenti!
Simp. Nelle scienze naturali non si deve ricercar l'evidenza matematica.Non bisogna nella scienza naturale ricercar l’esquisita evidenza matematica.
Sagr. Ma questa del moto non è quistion naturale? e pur non trovo che di esso Aristotile mi dimostri pur un minimo accidente. Ma non divertiamo più il nostro ragionamento; e voi, signor Salviati, non mancate in grazia di dirmi quello che mi accennaste esser cagione del fermare il pendolo, oltre alla resistenza del mezo all’esser aperto.
Salv. Il pendente da corda più lunga fa le sue vibrazioni più rade, che il pendolo da corda breve.Ditemi: di due pendenti da distanze diseguali, quello che è attaccato a più lunga corda non fa le sue vibrazioni più rare?
Sagr. Sì, quando si movessero per eguali distanze dal perpendicolo.
Salv. Cotesto allontanarsi più o meno non importa niente, perchè il Vibrazioni del medesimo pendolo si fanno con la medesima frequenza, siano esse grandi o piccole.medesimo pendolo fa le sue reciprocazioni sempre sotto tempi eguali, sieno quelle lunghissime o brevissime, cioè rimuovasi il pendolo assaissimo o pochissimo dal perpendicolo; e se pur non sono del tutto eguali, son elleno insensibilmente differenti, come l’esperienza vi può mostrare; ma quando ben le fussero molto diseguali, non disfavorirebbe, ma favorirebbe la causa nostra. Imperocchè segniamo il perpendicolo AB, e penda dal punto A nella corda AC un peso C, ed un altro pur nella medesima più alto, che sia E; e discostata la corda AC dal perpendicolo, e lasciata poi in libertà, i pesi C, E si moveranno per gli archi CBD, EGF: ed il peso E, come pendente da minor distanza, ed anco come (per vostro detto) allontanato meno, vuol ritornare indietro più presto e far le sue vibrazioni più frequenti che il peso C, e però gli impedirà il trascorrere tant’oltre verso il termine D quanto farebbe se fusse libero; Cagione che impedisce il pendolo e lo riduce alla quiete.e così, recandogli in ogni vibrazione continuo impedimento, finalmente lo ridurrà alla quiete. Ora, la corda medesima (levando i pesi di mezo) è un composto di molti pendoli gravi, cioè ciascheduna delle sue parti è un tal pendolo, attaccato più e più vicino al punto A e però disposto a far le sue vibrazioni sempre più e più frequenti; ed in conseguenza è abile ad arrecare un continuo impedimento al peso C. Segno di questo ne è, che se noi osserveremo la corda AC, Corda o catena dove è attaccato il pendolo, si piega in arco quello, e non si distende dirittamente.la vedremo distesa non rettamente, ma in arco; e se noi in cambio di corda piglieremo una catena, vedremo tale effetto assai più manifesto, e massime con l’allontanar assai il grave C dal perpendicolo AB: imperocchè, per esser la catena composta di molte particelle snodate, e ciascheduna assai grave, gli archi AEC, AFD si vedranno notabilmente incurvati. Per questo dunque, che le parti della catena, secondo che son più vicine al punto A, voglion far le lor vibrazioni più frequenti, non lasciano scorrer le più basse quanto naturalmente farebbero; e con il continuo detrar dalle vibrazioni del peso C, finalmente lo fermano, quando ben l’impedimento dell’aria si potesse tor via.
Sagr. Appunto sono arrivati i libri. Pigliate, signor Simplicio, e trovate il luogo del quale si dubita.
Simp. Eccolo qui, dove egli incomincia ad argumentar contro al moto diurno della Terra, avendo egli prima confutato l’annuo: Motus Terrae annuus asserere Copernicanos cogit conversionem eiusdem quotidianam; alias idem Terrae hemispherium continenter ad Solem esset conversum, obumbrato semper averso; e così la metà della Terra non vedrebbe mai il Sole.
Salv. Parmi, per questo primo ingresso, che quest’uomo non si sia ben figurata la posizion del Copernico; perchè s’egli avesse avvertito, come e’ fa star l’asse del globo terrestre perpetuamente parallelo a se stesso, non arebbe detto che la metà della Terra non vedrebbe mai il Sole, ma che l’anno sarebbe stato un sol giorno naturale, cioè che per tutte le parti della Terra si sarebbe auto sei mesi di giorno e sei mesi di notte, come ora accade a gli abitatori sotto ’l polo. Ma questo siagli perdonato, e venghiamo al resto.
Simp. Segue: Hanc autem gyrationem Terrae impossibilem esse, sic demonstramus.Questo appresso è la dichiarazione della seguente figura, dove si veggono dipinti molti gravi descendenti, e leggieri ascendenti, e uccelli che si trattengono per aria, etc.
Sagr. Mostrate, di grazia. Oh che belle figure, che uccelli, che palle, e che altre belle cose son queste?
Simp. Queste son palle che vengono dal concavo della Luna.
Sagr. E questa che è?
Simp. È una chiocciola, che qua a Venezia chiaman buovoli, che ancor essa vien dal concavo della Luna.
Sagr. Sì, sì: quest’è che la Luna ha così grand’efficacia sopra questi pesci ostreacei, che noi chiamiamo pesci armai.
Simp. Quest’è poi quel calcolo ch’io dicevo, di questo viaggio in un giorno naturale, in un’ora, in un minuto primo ed in un secondo, che farebbe un punto della Terra posto sotto l’equinoziale, ed anco nel parallelo di 48 gradi. E poi segue questo, dov’io dubito non avere errato nel referirlo; però leggiamolo: His positis, necesse est, Terra circulariter mota, omnia ex aëre eidem etc. Quod si hasce pilas aequales ponemus pondere, magnitudine, gravitate, et in concavo spherae lunaris positas libero descensui permittamus, si motum deorsum aequemus celeritate motui circum (quod tamen secus est, cum pila A etc.), elabentur minimum (ut multum cedamus adversariis) dies sex: quo tempore sexies circa Terram etc.
Salv. Voi pur troppo avevi fedelmente referita l’instanza di quest’uomo. Di qui potete comprender, signor Simplicio, con quanta cautela dovrebber andar quelli che vorrebber dar a credere altrui quelle cose che forse non credono essi medesimi: perchè mi pare impossibil cosa che quest’autore non si avesse ad accorgere ch’e’ si figurava un cerchio il cui diametro, che appresso i matematici è manco che la terza parte della circonferenza, fusse più di 12 volte maggiore della medesima; errore che pone esser assai più di 36 quello ch’è manco d’uno6.
Sagr. Forse che queste proporzioni matematiche, che son vere in astratto, applicate poi in concreto a cerchi fisici ed elementari non rispondon così per appunto: se ben mi pare che i bottai, per trovare il semidiametro del fondo da farsi per la botte, si servono della regola in astratto de’ matematici, ancorchè tali fondi sien cose assai materiali e concrete. Però dica il signor Simplicio la scusa di quest’autore, e se gli pare che la fisica possa differir tanto dalla matematica.
Simp. La ritirata non mi par suffiziente, perchè lo svario è troppo grande: e in questo caso non saprei che dire altro, se non che quandoque bonus etc. Ma posto che il calcolo del signor Salviati sia più giusto, e che il tempo della scesa della palla non fusse più di tre ore, parmi ad ogni modo che venendo dal concavo della Luna, distante per sì grand’intervallo, mirabil cosa sarebbe che ella avesse instinto da natura di mantenersi sempre sopra ’l medesimo punto della Terra al quale nella sua partita ella soprastava, e non più tosto restar in dietro per lunghissimo intervallo.
Salv. L’effetto può esser mirabile, e non mirabile, ma naturale e ordinario, secondo che sono le cose precedenti. Imperocchè, se la palla (conforme a’ supposti che fa l’autore) mentre si tratteneva nel concavo della Luna aveva il moto circolare delle ventiquattr’ore insieme con la Terra e co ’l resto del contenuto dentro ad esso concavo, quella medesima virtù che la faceva andare in volta avanti lo scendere, continuerà di farla andar anco nello scendere; e tantum abest che ella non sia per secondare il moto della Terra, ma debba restare indietro, che più tosto dovrebbe prevenirlo, essendochè nell’avvicinarsi alla Terra il moto in giro ha da esser fatto continuamente per cerchi minori: talchè, mantenendosi nella palla quella medesima velocità che ell’aveva nel concavo, dovrebbe anticipare, come ho detto, la vertigine della Terra. Ma se la palla nel concavo mancava della circolazione, non è in obbligo nello scendere di mantenersi perpendicolarmente sopra quel punto della Terra che gli era sottoposto quando la scesa cominciò; nè il Copernico nè alcuno de’ suoi aderenti lo dirà.
Simp. Ma l’autore farà instanza, come voi vedete, domandando da qual principio dependa questo moto circolare de’ gravi e de’ leggieri, cioè se da principio interno o esterno.
Salv. Stando nel problema di che si tratta, dico che quel principio che faceva andar la palla in volta mentre era nel concavo lunare, è il medesimo che gli mantiene la circolazione anco nello scendere: lascerò poi che l’autore lo faccia interno o esterno a modo suo.
Simp. L’autore proverà che non può esser nè interno nè esterno.
Salv. Ed io risponderò che la palla nel concavo non si muoveva, e sarò libero dal dover dichiarare come discendendo resti sempre verticale al medesimo punto, attesochè ella non vi resterà.
Simp. Bene; ma come i gravi e i leggieri non possono aver principio nè interno nè esterno di muoversi circolarmente, nè anco il globo terrestre si muoverà di moto circolare; e così avremo l’intento.
Salv. Io non ho detto che la Terra non abbia principio nè esterno nè interno al moto circolare, ma dico che non so qual de’ dua ella si abbia; ed il mio non lo sapere non ha forza di levarglielo. Ma se questo autore sa da che principio sieno mossi in giro altri corpi mondani, che sicuramente si muovono, dico che quello che fa muover la Terra è una cosa simile a quella per la quale si muove Marte, Giove, e che e’ crede che si muova anco la sfera stellata; e se egli mi assicurerà chi sia il movente di uno di questi mobili, io mi obbligo a sapergli dire chi fa muover la Terra. Ma più, io voglio far l’istesso s’ei mi sa insegnare chi muova le parti della Terra in giù.
Simp. La causa di quest’effetto è notissima, e ciaschedun sa che è la gravità.
Salv. Non si ha la maggior cognizion di chi muova i gravi all'ingiù, che di chi muova le stelle in giro, nè di queste cause sappiamo altro che i nomi, impostigli da noi.Voi errate, signor Simplicio; voi dovevi dire che ciaschedun sa ch’ella si chiama gravità. Ma io non vi domando del nome, ma dell’essenza della cosa: della quale essenza voi non sapete punto più di quello che voi sappiate dell’essenza del movente le stelle in giro, eccettuatone il nome, che a questa è stato posto e fatto familiare e domestico per la frequente esperienza che mille volte il giorno ne veggiamo; ma non è che realmente noi intendiamo più, che principio o che virtù sia quella che muove la pietra in giù, di quel che noi sappiamo chi la muova in su, separata dal proiciente, o chi muova la Luna in giro, eccettochè (come ho detto) il nome, che più singulare e proprio gli abbiamo assegnato di gravità, dovechè a quello con termine più generico assegnamo virtù impressa, a quello diamo intelligenza, o assistente, o informante, ed a infiniti altri moti diamo loro per cagione la natura.
Simp. Parmi che quest’autore domandi assai manco di quello a che voi negate la risposta; poichè e’ non vi chiede qual sia particolarmente e nominatamente il principio che muove i gravi e i leggieri in giro, ma, qualunque e’ si sia, cerca solamente se voi lo stimate intrinseco o estrinseco: che se bene, verbigrazia, io non so che cosa sia la gravità, per la quale la Terra descende, so però ch’ell’è principio interno, poichè, non impedito, spontaneamente muove; ed all’incontro so che il principio che la muove in su, è esterno, ancorchè io non sappia che cosa sia la virtù impressale dal proiciente.
Salv. In quante quistioni bisognerebbe divertire, se noi volessimo decidere tutte le difficultà che si vengono attaccando l’una in conseguenza dell’altra! Voi chiamate principio esterno, ed anco lo chiamerete preternaturale e violento, quello che muove il proietto grave all’insù; La virtù che conduce i proietti gravi in alto, non gli è men naturale che la gravità che gli muove in basso.ma forse non è egli meno interno e naturale che quello che lo muove in giù: può chiamarsi per avventura esterno e violento mentre il mobile è congiunto co ’l proiciente; ma separato, che cosa esterna rimane per motore della freccia o della palla? Bisogna pur necessariamente dire che quella virtù che la conduce in alto, sia non meno interna che quella che la muove in giù; ed io ho così per naturale il moto in su de i gravi per l’impeto concepito, come il moto in giù dependente dalla gravità.
Simp. Questo non ammetterò io mai; perchè questo ha il principio interno naturale e perpetuo, e quello, esterno violento e finito.
Salv. Se voi vi ritirate dal concedermi che i principii de i moti de i gravi in giù ed in su sieno egualmente interni e naturali, che fareste s’io vi dicessi che e’ potessero anco essere il medesimo in numero?
Simp. Lo lascio giudicare a voi.
Salv. Principii contrarii non possono riseder naturalmente nel medesimo suggetto.Anzi voglio io voi stesso per giudice. Però ditemi: credete voi che nel medesimo corpo naturale possano riseder principii interni che siano tra di loro contrarii?
Simp. Credo assolutamente di no.
Salv. Della terra, del piombo, dell’oro, ed in somma delle materie gravissime, quale stimate voi che sia la lor naturale intrinseca inclinazione, cioè a qual moto credete voi che ’l lor principio interno le tiri?
Simp. Al moto verso il centro delle cose gravi, cioè al centro dell’universo e della Terra, dove, non impedite, si condurrebbero.
Salv. Talchè, quando il globo terrestre fusse perforato da un pozzo che passasse per il centro di esso, una palla d’artiglieria lasciata cader per esso, mossa da principio naturale ed intrinseco, si condurrebbe al centro; e tutto questo moto farebbe ella spontaneamente e per principio intrinseco: non sta così?
Simp. Così tengo io per fermo.
Salv. Ma giunta al centro, credete voi ch’ella passasse più oltre, o pur che quivi cesserebbe immediatamente dal moto?
Simp. Credo che ella continuerebbe di muoversi per lunghissimo spazio.
Salv. Il moto naturale si converte per se stesso in quello che si chiama preternaturale o violento.Ma questo moto oltre al centro non sarebb’egli all’insù e, per vostro detto, preternaturale e violento? e da qual altro principio lo farete voi dependere, salvochè da quell’istesso che ha condotta la palla al centro, e che voi avete chiamato intrinseco e naturale? trovate voi un proiciente esterno, che gli sopraggiunga di nuovo per cacciarla in su. E questo che si dice del moto per il centro, si vede anco quassù da noi: imperocchè l’impeto interno di un grave cadente per una superficie declive, se la medesima, piegandosi da basso, si refletterà in su, lo porterà, senza punto interrompere il moto, anco all’insù. Una palla di piombo pendente da uno spago, rimossa dal perpendicolo, descende spontaneamente, tirata dall’interna inclinazione, e senza interpor quiete trapassa il punto infimo, e senz’altro sopravvegnente motore si muove in su. Io so che voi non negherete che tanto è naturale ed interno de i gravi il principio che gli muove in giù, quanto de i leggieri quello che gli muove in su: onde io vi metto in considerazione una palla di legno, la quale scendendo per aria da grande altezza, e però movendosi da principio interno, giunta sopra una profondità d’acqua, continua la sua scesa, e senz’altro motore esterno per lungo tratto si sommerge; e pure il moto in giù per l’acqua gli è preternaturale, e con tutto ciò depende da principio che è interno, e non esterno della palla. Eccovi dunque dimostrato come un mobile può esser mosso, da uno stesso principio interno, di movimenti contrarii.
Simp. Io credo che a tutte queste instanze ci sieno risposte, benchè per ora non mi sovvengano. Ma comunque ciò sia, continua l’autor di domandar da qual principio dependa questo moto circolare de i gravi e de i leggieri, cioè se da principio interno o esterno, e seguendo dimostra che non può esser nè l’uno nè l’altro, dicendo: Si ab externo, Deusne illum excitat per continuum miraculum? an vero angelus? an aër? Et hunc quidem multi assignant. Sed contra...
Salv. Non vi affaticate in legger l’instanze, perch’io non son di quelli che attribuisca tal principio all’aria ambiente. Quanto poi al miracolo o all’angelo, più tosto inclinerei in quella parte; perchè quello che comincia da divino miracolo o da operazione angelica, qual è la trasportazione d’una palla d’artiglieria nel concavo della Luna, non ha dell’improbabile che in virtù del medesimo principio faccia anco il resto. Ma quanto all’aria, a me basta che ella non impedisca il moto circolare de i mobili che per essa si dice che si muovono; e per ciò fare, basta (nè più si ricerca) che essa si muova dell’istesso moto, e che con la medesima velocità finisca le sue circolazioni che il globo terrestre.
Simp. Ed egli insurgerà parimente contro a questo, domandando chi conduce intorno l’aria, la natura o la violenza? e confuta la natura, con dire che ciò è contro alla verità, all’esperienza, all’istesso Copernico.
Salv. Contro al Copernico non è altrimenti, il quale non scrive tal cosa, e quest’autor glie l’attribuisce con troppo eccesso di cortesia: anzi egli dice, e per mio parer dice bene, che la parte dell’aria vicina alla Terra, essendo più presto evaporazion terrestre, può aver la medesima natura, e naturalmente seguire il suo moto, o vero, per essergli contigua, seguirla in quella maniera che i Peripatetici dicono che la parte superiore e l’elemento del fuoco seguono il moto del concavo della Luna; sì che a loro tocca a dichiarare se cotal moto sia naturale o violento.
Simp. Replicherà l’autore, che se ’l Copernico fa muovere una parte dell’aria inferiore solamente, mancando di cotal moto la superiore, non potrà render ragione, come quell’aria quieta sia per poter condur seco i medesimi gravi e fargli secondare il moto della Terra.
Salv. La propensione de i corpi elementari in seguir la Terra ha una limitata sfera.Il Copernico dirà che questa propension naturale de i corpi elementari di seguire il moto terrestre ha una limitata sfera, fuor della quale cesserebbe tal naturale inclinazione; oltrechè, come ho detto, non è l’aria quella che porta seco i mobili, i quali, sendo separati dalla Terra, seguano il suo moto; sì che cascano tutte le instanze che questo autor produce per provar che l’aria può non cagionar cotali effetti.
Simp. Come dunque ciò non sia, bisognerà dire che tali effetti dependano da principio interno; contro alla qual posizione oboriuntur dificillimae, immo inextricabiles, quaestiones secundae, che sono le seguenti: Principium illud internum vel est accidens, vel substantia: si primum, quale nam illud? nam qualitas loco motiva circum hactenus nulla videtur esse agnita. (8)
Salv. Come non si ha notizia di alcuna? non ci sono queste, che muovon intorno tutte queste elementari materie, insieme con la Terra? Vedete come quest’autore suppon per vero quello ch’è in quistione.
Simp. Ei dice che ciò non si vede, e parmi che abbia ragione in questo.
Salv. Non si vede da noi, perchè andiamo in volta insieme con loro.
Simp. Sentite l’altra instanza: 7
Salv. Posto per ora che l’acqua e il fuoco sien contrarii, come anche l’aria e la terra (che pur ci sarebbe da dire assai), il più che da questo ne possa seguire, sarà che ad essi non possono esser comuni i moti che tra loro sien contrarii, sì che, verbigrazia, il moto in su, che naturalmente compete al fuoco, non possa competere all’acqua, ma che, sì come essa è per natura contraria al fuoco, così a lei convenga quel moto che è contrario al moto del fuoco, che sarà il moto deorsum: ma il moto circolare, che non è contrario nè al sursum nè al deorsum, anzi che si può mescolare con amendue, come il medesimo Aristotile afferma, perchè non potrà egualmente competere a i gravi ed a i leggieri? I moti poi che non posson esser comuni a i viventi ed a i non viventi, son quelli che dependon dall’anima; ma quelli che son del corpo, in quanto egli è elementare, ed in conseguenza participante delle qualità degli elementi, perchè non hanno ad esser comuni al cadavero ed al vivente? E però, quando il moto circolare sia proprio degli elementi, dovrà esser comune de i misti ancora.
Sagr. È forza che quest’autor creda, che cadendo una gatta morta da una finestra, non possa esser che anco viva ci potesse cadere, non essendo cosa conveniente che un cadavero partecipi delle qualità che convengono ad un vivente.
Salv. Non conclude, dunque, il discorso di quest’autore contro a chi dicesse, il principio del moto circolare de i gravi e de i leggieri esser un accidente interno. Non so quanto e’ sia per dimostrare che non possa esser una sustanza.
Simp. Insurge contro a questo con molte opposizioni, la prima delle quali è questa: Si secundum (nempe si dicas, tale principium esse substantiam), illud est aut materia, aut forma, aut compositum; sed repugnant iterum tot diversae rerum naturae, quales sunt aves, limaces, saxa, sagittae, nives, fumi, grandines, pisces, etc., quae tamen omnia, specie et genere differentia, moverentur a natura sua circulariter, ipsa naturis diversissima, etc.
Salv. Se queste cose nominate sono di nature diverse, e le cose di nature diverse non possono aver un moto comune, bisognerà, quando si debba sodisfare a tutte, pensar ad altro che a due moti solamente in su e in giù; e se se ne deve trovar uno per le freccie, uno per le lumache, un altro per i sassi, uno per i pesci, bisognerà pensare anco a i lombrichi e a i topazii e all’agarico, che non son men differenti di natura tra di loro che la gragnuola e la neve.
Simp. Par che voi ve ne burliate di questi argomenti.
Salv. Anzi no, signor Simplicio; ma già si è risposto di sopra, cioè che se un moto in giù o vero in su può convenire alle cose nominate, potrà non meno convenir loro un circolare. E stando nella dottrina peripatetica, non porrete voi diversità maggiore tra una cometa elementare e una stella celeste, che tra un pesce e un uccello? e pur quelle si muovono amendue circolarmente. Or seguite il secondo argumento.
Simp. Si Terra staret per voluntatem Dei, rotarentne caetera annon? si hoc, falsum est a natura gyrari; si illud, redeunt priores quaestiones; et sane mirum esset, quod gavia pisciculo, alauda nidulo suo et corvus limaci petraeque, etiam volens, imminere non posset.
Salv. Io per me darei una risposta generale: che, dato per volontà di Dio che la Terra cessasse dalla vertigine diurna, quegli uccelli farebber tutto quello che alla medesima volontà di Dio piacesse. Ma se pur cotesto autore desiderasse una più particolar risposta, gli direi che e’ farebber tutto l’opposito di quello che e’ facessero quando, mentre eglino separati dalla Terra si trattenesser per aria, il globo terrestre per volontà divina si mettesse inaspettatamente in un moto precipitosissimo: tocca ora a quest’autore ad assicurarci di quello che in tal caso accaderebbe.
Sagr. Di grazia, signor Salviati, concedete a mia richiesta a quest’autore, che fermandosi la Terra per volontà di Dio, l’altre cose da quella separate continuasser d’andar in volta del natural movimento loro, e sentiamo quali impossibili o inconvenienti ne seguirebbero: perchè io per me non so veder disordini maggiori di questi che produce l’autor medesimo, cioè che l’allodole, ancorchè le volessero, non si potrebber trattener sopra i nidi loro, nè i corbi sopra le lumache o sopra i sassi; dal che ne seguirebbe che a i corbi converrebbe patirsi la voglia delle lumache, e gli allodolini si morrebber di fame e di freddo, non potendo esser nè imbeccati nè covati dalle lor madri: questa è tutta la rovina ch’io so ritrar che seguirebbe, stante il detto dell’autore. Vedete voi, signor Simplicio, se maggiori inconvenienti seguir ne dovessero.
Simp. Io non ne so scorger di maggiori, ma è ben credibile che l’autore ci scorga, oltre a questi, altri disordini in natura, che forse per suoi degni rispetti non ha volsuti produrre. Seguirò dunque la terza instanza: Insuper, quî fit utistae res tam variae tantum moveantur ab occasu in ortum parallelae ad aequatorem? ut semper moveantur, numquam quiescant?.
Salv. Muovonsi da occidente in oriente, parallele all’equinoziale, senza fermarsi, in quella maniera appunto che voi credete che le stelle fisse si muovano da levante a ponente, parallele all’equinoziale, senza fermarsi.
Simp. Quare quo sunt altiores celerius, quo humiliores tardius?
Salv. Perchè in una sfera o in un cerchio che si volga intorno al suo centro, le parti più remote descrivono cerchi maggiori, e le più vicine gli descrivono nell’istesso tempo minori.
Simp. Quare quae aequinoctiali propiores in maiori, quae remotiores in minori, circulo feruntur?
Salv. Per immitar la sfera stellata, nella quale le più vicine all’equinoziale si muovon in cerchi maggiori che le più lontane.
Simp. Quare pila eadem sub aequinoctiali tota circa centrum Terrae ambitu maximo, celeritate incredibili, sub polo vero circa centrum proprium gyro nullo, tarditate suprema, volveretur?
Salv. Per immitar le stelle del firmamento, che farebbon l’istesso se ’l moto diurno fusse loro.
Simp. Quare eadem res, pila v. g. plumbea, si semel Terram circuivit descripto circulo maximo, eamdem ubique non circummigret secundum circulum maximum, sed translata extra aequinoctialem in circulis minoribus agetur? (16)
Salv. Perchè così farebbero, anzi pure hanno fatto in dottrina di Tolomeo, alcune stelle fisse, che già erano vicinissime all’equinoziale e descrivevan cerchi grandissimi, ed ora, che ne son lontane, gli descrivon minori.
Sagr. Oh s’io potessi tenere a mente tutte queste belle cose, mi parrebbe pur d’aver fatto il grand’acquisto! Bisogna, signor Simplicio, che voi me lo prestiate questo libretto, perchè egli è forza che perentro vi sia un mare di cose peregrine ed esquisitissime.
Simp. Io ve ne farò un presente.
Sagr. Oh questo no, io non ve ne priverei mai. Ma son finite ancora le interrogazioni?
Simp. Signor no; sentite pure: Si latio circularis gravibus et levibus est naturalis, qualis est ea quae fit secundum lineam rectam? nam si naturalis, quomodo et is motus qui circum est, naturalis est, cum specie differat a recto? si violentus, quî fit ut missile ignitum, sursum evolans, scintillosum caput sursum a Terra, non autem circum, volvatur, etc.?.
Salv. Già mille volte si è detto che il moto circolare è naturale del tutto e delle parti, mentre sono in ottima disposizione: il retto è per ridurr’all’ordine le parti disordinate; se ben meglio è dire che mai, nè ordinate nè disordinate, non si muovon di moto retto, Del moto misto, noi non veggiamo la parte circolare, perchè di quella iamo partecipi.ma di un moto misto, che anco potrebb’esser circolare schietto; ma a noi resta visibile e osservabile una parte sola di questo moto misto, cioè la parte del retto, restandoci l’altra parte del circolare impercettibile, perchè noi ancora lo participiamo; e questo risponde a i razzi, li quali si muovono in su e in giro, ma noi non possiamo distinguer il circolare, perchè di quello ci moviamo noi ancora. Ma quest’autore non credo che abbia mai capita questa mistione, poichè si vede come egli resolutamente dice che i razzi vanno in su a diritto e non vanno altrimenti in giro.
Simp. Quare centrum spherae delapsae sub aequatore spiram describit in eius plano, sub aliis parallelis spiram describit in cono? sub polo descendit in axe, lineam gyralem decurrens in superficie cylindrica consignatam?
Salv. Perchè delle linee tirate dal centro alla circonferenza della sfera, che son quelle per le quali i gravi descendono, quella che termina nell’equinoziale disegna un cerchio, e quelle che terminano in altri paralleli descrivon superficie coniche, e l’asse non descrive altro, ma si resta nell’esser suo. E se io vi debbo dire il mio parer liberamente, dirò che non so ritrarre da tutte queste interrogazioni costrutto nissuno che rilievi contro al moto della Terra; perchè s’io domandassi a quest’autore (concedutogli che la Terra non si muova) quello che accaderebbe di tutti questi particolari, dato che ella si movesse come vuole il Copernico, son ben sicuro che e’ direbbe che ne seguirebbon tutti questi effetti, che egli adesso oppone come inconvenienti per rimuover la mobilità; talchè nella mente di quest’uomo le conseguenze necessarie vengon reputate assurdi. Ma, di grazia, se ci è altro, spediamoci da questo tedio.
Simp. In questo che segue, ci è contro al Copernico e suoi seguaci, che voglion che il moto delle parti, separate dal suo tutto, sia solo per riunirsi al suo tutto, ma che naturale assolutamente sia il muoversi circolarmente alla vertigine diurna; contro a i quali instà dicendo che, conforme all’oppinion di costoro, si tota Terra, una cum aqua, in nihilum redigeretur, nulla grando aut pluvia e nube decideret, sed naturaliter tantum circumferretur; neque ignis ullus aut igneum ascenderet, cum, illorum non improbabili sententia, ignis nullus sit supra.
Salv. La providenza di questo filosofo è mirabile e degna di gran lode, attesochè e’ non si contenta di pensare alle cose che potrebbon accadere stante il corso della natura, ma vuol trovarsi provvisto in occasione che seguissero di quelle cose che assolutamente si sa che non sono mai per seguire. Io voglio dunque, per sentir qualche bella sottigliezza, concedergli che quando la Terra e l’acqua andassero in niente, nè le grandini nè la pioggia cadessero più, nè le materie ignee andasser più in alto, ma si trattenesser girando: che sarà poi? e che mi opporrà il filosofo?
Simp. L’opposizione è nelle parole che seguono immediatamente; eccole qui: Quibus tamen experientia et ratio adversatur. (20)
Salv. Ora mi convien cedere, poichè egli ha sì gran vantaggio sopra di me, qual è l’esperienza, della quale io manco; perchè sin ora non mi son mai incontrato in vedere che ’l globo terrestre, con l’elemento dell’acqua, sia andato in niente, sì ch’io abbia potuto osservare quel che in questo piccol finimondo faceva la gragnuola e l’acqua. Ma ci dic’egli almanco, per nostra scienza, quel che facevano?
Simp. Non lo dice altrimenti.
Salv. Pagherei qualsivoglia cosa a potermi abboccar con questa persona, per domandargli, se quando questo globo sparì, e’ portò via anco il centro comune della gravità, sì com’io credo; nel qual caso, penso che la grandine e l’acqua restassero come insensate e stolide tra le nugole, senza saper che farsi di loro. Potrebbe anco esser che, attratte da quel grande spazio vacuo, lasciato mediante la partita del globo terrestre, si rarefacesser tutti gli ambienti, ed in particolar l’aria, che è sommamente distraibile, e concorressero con somma velocità a riempierlo; e forse i corpi più solidi e materiali, come gli uccelli, che pur di ragione ne dovevano esser molti per aria, si ritirarono più verso il centro della grande sfera vacua (che par ben ragionevole che alle sustanze che sotto minor mole contengono assai materia, sieno assegnati i luoghi più angusti, lasciando alle più rare i più ampli), e quivi, mortisi finalmente di fame e risoluti in terra, formassero un nuovo globettino, con quella poca di acqua che si trovava allora tra’ nugoli. Potrebbe anco essere che le medesime materie, come quelle che non veggon lume, non s’accorgessero della partita della Terra, e che alla cieca scendessero al solito, pensando d’incontrarla, e a poco a poco si conducessero al centro, dove anco di presente andrebbero se l’istesso globo non l’impedisse. E finalmente, per dare a questo filosofo una meno irrisoluta risposta, gli dico che so tanto di quel che seguirebbe dopo l’annichilazione del globo terrestre, quanto egli avrebbe saputo che fusse per seguir di esso ed intorno ad esso avanti che fusse creato: e perchè io son sicuro ch’e’ direbbe che non si sarebbe nè anco potuto immaginare nissuna delle cose seguite, delle quali la sola esperienza l’ha fatto scienziato, dovrà non mi negar perdono e scusarmi s’io non so quel che egli sa delle cose che seguirebbero doppo l’annichilazione di esso globo, atteso che io manco di quest’esperienza che egli ha. Dite ora se ci è altra cosa.
Simp. Ci è questa figura, che rappresenta il globo terrestre con una gran cavità intorno al suo centro, ripiena d’aria; e per mostrare che i gravi non si muovono in giù per unirsi co ’l globo terrestre, come dice il Copernico, costituisce questa pietra nel centro, e domanda, posta in libertà quel che ella farebbe; ed un’altra ne pone nella concavità di questa gran caverna, e fa l’istessa interrogazione, dicendo quanto alla prima: Lapis in centro constitutus aut ascendet ad Terram in punctum aliquod, aut non: si secundum, falsum est partes ob solam seiunctionem a toto ad illud moveri; si primum, omnis ratio et experientia renititur, neque gravia in suae gravitatis centro conquiescent. Item, si suspensus lapis liberatus decidat in centrum, separabit se a toto, contra Copernicum; si pendeat, refragatur omnis experientia, cum videamus integros fornices corruere.
Salv. Risponderò, benchè con mio disavvantaggio grande, già che son alle mani con chi ha veduto per esperienza ciò che fanno questi sassi in questa gran caverna, cosa che non ho veduta io, e dirò che credo Prima sono le cose gravi che il centro di gravità.che prima siano le cose gravi che il centro comune della gravità, sì che non un centro, che altro non è che un punto indivisibile, e però di nessuna efficacia, sia quello che attragga a sé le materie gravi, ma che esse materie, cospirando naturalmente all’unione, si formino un comun centro, che è quello intorno al quale consistono parti di eguali momenti: onde stimo, che trasferendosi il grande aggregato de i gravi in qualsivoglia luogo, le particelle che dal tutto fusser separate lo seguirebbero, Trasponendosi il grand'aggregato de i gravi, le particelle separate da esso lo seguirebbero.e non impedite lo penetrerebbero sin dove trovassero parti men gravi di loro, ma pervenute sin dove s’incontrassero in materie più gravi, non scenderebber più. E però stimo che nella caverna ripiena d’aria tutta la volta premerebbe, e solo violentemente si sostenterebbe sopra quell’aria, quando la durezza non potesse esser superata e rotta dalla gravità; ma sassi staccati credo che scenderebbero al centro, e non soprannoterebbero all’aria: nè per ciò si potrebbe dire che non si movessero al suo tutto, movendosi là dove tutte le parti del tutto si moverebbero, quando non fussero impedite.
Simp. Quel che resta è certo errore ch’ei nota in un seguace del Copernico, il quale, facendo che la Terra si muova del moto annuo e del diurno in quella guisa che la ruota del carro si muove sopra il cerchio della Terra ed in se stessa, veniva a fare o il globo terrestre troppo grande o l’orbe magno troppo piccolo; attesochè 365 revoluzioni dell’equinoziale son meno assai che la circonferenza dell’orbe magno.
Salv. Avvertite che voi equivocate, e dite il contrario di quello che bisogna che sia scritto nel libretto: imperocchè bisogna dire che quel tale autore veniva a fare il globo terrestre troppo piccolo o l’orbe magno troppo grande, e non il terrestre troppo grande e l’annuo troppo piccolo.
Simp. L’equivoco non è altrimenti mio: ecco qui le parole del libretto: Non videt quod vel circulum annuum aequo minorem, vel orbem terreum iusto multo fabricet maiorem.
Salv. Se il primo autore abbia errato, io non lo posso sapere, poichè l’autor del libretto non lo nomina; ma ben è manifesto e inescusabile l’error del libretto, abbia o non abbia errato quel primo seguace del Copernico, poichè quel del libretto trapassa senza accorgersi un error sì materiale, e non lo nota e non lo emenda8. Ma questo siagli perdonato, come errore più tosto d’inavertenza che d’altro. Oltre che, se non ch’io sono omai stracco e sazio di più lungamente occuparmi e consumare il tempo Non repugna il potersi con la circonferenza di un cerchio piccolo, e poche volte rivoltato, misurare e descrivere una linea maggiore di qual si voglia grandissimo cerchio.con assai poca utilità in queste molto leggieri altercazioni, potrei mostrare come non è impossibile che un cerchio, anco non maggior d’una ruota d’un carro, co ’l dar non pur 365, ma anco meno di 20 revoluzioni, può descrivere o misurare la circonferenza non pur dell’orbe magno, ma di uno mille volte maggiore: e questo dico per mostrare che non mancano sottigliezze assai maggiori di questa, con la quale quest’autore nota l’error del Copernico. Ma, di grazia, respiriamo un poco, per venir poi a quest’altro filosofo, oppositor del medesimo Copernico.
Sagr. Veramente ne ho bisogno io ancora, benchè abbia solamente affaticato gli orecchi; e quando io pensassi di non aver a sentir cose più ingegnose in quest’altro autore, non so s’io mi risolvessi a andarmene a i freschi in gondola.
Simp. Credo che sentirete cose di maggior polso, perchè quest’è filosofo consumatissimo, e anco gran matematico, ed ha confutato Ticone in materia delle comete e delle stelle nuove.
Salv. È egli forse l’autor medesimo dell’Antiticone?
Simp. È quello stesso: ma la confutazione contro alle stelle nuove non è nell’Antiticone, se non in quanto e’ dimostra che elle non erano progiudiziali all’inalterabilità ed ingenerabilità del cielo, sì come già vi dissi: ma doppo l’Antiticone, avendo trovato per via di parallasse modo di dimostrare che esse ancora son cose elementari e contenute dentro al concavo della Luna, ha scritto quest’altro libro: De tribus novis stellis etc., ed inseritovi anco gli argomenti contro al Copernico. Io l’altra volta vi produssi quello ch’egli aveva scritto circa queste stelle nuove nell’Antiticone, dove egli non negava che le fussero nel cielo, ma dimostrava che la lor produzione non alterava l’inalterabilità del cielo, e ciò facev’egli con discorso puro filosofico, nel modo ch’io vi dissi; e non mi sovvenne di dirvi come di poi aveva trovato modo di rimuoverle dal cielo, perchè, procedendo egli in questa confutazione per via di computi e di parallassi, materie poco o niente comprese da me, non l’avevo lette, e solo avevo fatto studio sopra queste instanze contro al moto della Terra, che son pure naturali.
Salv. Intendo benissimo, e converrà, doppo che avremo sentite le opposizioni al Copernico, che sentiamo, o veggiamo almeno, la maniera con la quale per via di parallasse dimostra essere state elementari quelle nuove stelle, che tanti astronomi di gran nome costituiron tutti altissime e tra le stelle del firmamento; e come quest’autore conduce a termine una tanta impresa, di ritirar di cielo le nuove stelle sin dentro alla sfera elementare, sarà ben degno d’esser grandemente esaltato e trasferito esso tra le stelle, o almeno che per fama sia tra quelle eternato il suo nome. Però spediamoci quanto prima da questa parte, che oppone all’oppinion del Copernico, e cominciate a portare le sue instanze.
Simp. Queste non occorrerà leggerle ad verbum, perchè sono molto prolisse; ma io, come vedete, nel leggerle attentamente più volte, ho contrassegnato nella margine le parole dove consiste tutto il nervo della dimostrazione, e quella basterà leggere. Il primo argomento comincia qui: Nella opinion del Copernico si guasta il criterio della filosofiaEt primo, si opinio Copernici recipiatur, criterium naturalis philosophiae, ni prorsus tollatur, vehementer saltem labefactari videtur.Il qual criterio vuole, secondo l’opinione di tutte le sette de’ filosofi, che il senso e l’esperienza siano le nostre scorte nel filosofare; ma nella posizion del Copernico i sensi vengono a ingannarsi grandemente, mentre visibilmente scorgono da vicino, in mezi purissimi, i corpi gravissimi scender rettamente a perpendicolo, nè mai deviar un sol capello dalla linea retta; con tutto ciò per il Copernico la vista in cosa tanto chiara s’inganna, e quel moto non è altrimenti retto, ma misto di retto e circolare.
Salv. Questo è il primo argomento che Aristotile e Tolomeo e tutti i lor seguaci producono: al quale si è abbondantemente risposto, e mostrato il paralogismo, ed assai apertamente dichiarato come il moto comune a noi ed a gli altri mobili è come se non fusse. Il moto comune è come se non fusse.Ma perchè le conclusioni vere hanno mille favorevoli rincontri che le confermano, voglio, in grazia di questo filosofo, aggiunger qualche altra cosa; e voi, signor Simplicio, facendo la parte sua, rispondetemi alle domande. Si confuta in altra maniera l'argomento preso da i cadenti.E prima, ditemi: che effetto fa in voi quella pietra la quale, cadendo dalla cima della torre, è cagione che voi di tal movimento vi accorgiate? perchè se ’l suo cadere nulla di più o di nuovo operasse in voi di quello che si operava la sua quiete in cima della torre, voi sicuramente non vi accorgereste della sua scesa, nè distinguereste il suo muoversi dal suo star ferma.
Simp. Comprendo il suo discendere in relazione alla torre, perchè or la veggo a canto a un tal segno di essa torre, poi ad un basso, e così successivamente, sin che la scorgo giunta in terra.
Salv. Adunque, se quella pietra fusse caduta da gli artigli d’una volante aquila e scendesse per la semplice aria invisibile, e voi non aveste altro oggetto visibile e stabile con chi far parallelo di quella, non potreste il suo moto comprendere?
Simp. Anzi pur me n’accorgerei, poichè, per vederla mentre è altissima, mi converrebbe alzar la testa, Onde si comprende il moto di un cadente.e secondo ch’ella venisse calando, mi bisognerebbe abbassarla, ed in somma muover continuamente o quella o gli occhi, secondando il suo moto.
Salv. Ora avete data la vera risposta. Voi conoscete dunque la quiete di quel sasso, mentre senza muover punto l’occhio ve lo vedete sempre avanti, e conoscete ch’ei si muove, quando, li moto dell'occhio ci arguisce il moto dell'oggetto veduto.per non lo perder di vista, vi convien muover l’organo della vista, cioè l’occhio. Adunque, tuttavoltachè senza muover mai l’occhio voi vi vedeste continuamente un oggetto nell’istesso aspetto, sempre lo giudichereste immobile.
Simp. Credo che così bisognasse necessariamente.
Salv. Figuratevi ora d’esser in una nave, e d’aver fissato l’occhio alla punta dell’antenna: credete voi che, perchè la nave si muovesse anco velocissimamente, vi bisognasse muover l’occhio per mantener la vista sempre alla punta dell’antenna e seguitare il suo moto?
Simp. Son sicuro che non bisognerebbe far mutazion nessuna, e che non solo la vista, ma quando io v’avessi drizzato la mira d’un archibuso, mai per qualsivoglia moto della nave non mi bisognerebbe muoverla un pelo per mantenervela aggiustata.
Salv. E questo avviene perchè il moto che conferisce la nave all’antenna, lo conferisce anche a voi ed al vostro occhio, sì che non vi convien muoverlo punto per rimirar la cima dell’antenna; ed in conseguenza ella vi apparisce immobile9. Ora trasferite questo discorso alla vertigine della Terra ed al sasso posto in cima della torre, nel quale voi non potete discernere il moto, perchè quel movimento che bisogna per seguirlo, l’avete voi comunemente con lui dalla Terra, nè vi convien muover l’occhio; quando poi gli sopraggiugne il moto all’ingiù, che è suo particolare, e non vostro, e che si mescola co ’l circolare, la parte del circolare che è comune della pietra e dell’occhio, continua d’esser impercettibile, e solo si fa sensibile il retto, perchè per seguirla vi convien muover l’occhio abbassandolo. Esperienza che mostra come il moto comune è impercettibile.Vorrei, per tòr d’error questo filosofo, potergli dire che, una volta andando in barca, facesse d’avervi un vaso assai profondo pieno d’acqua, ed avesse accomodato una palla di cera o d’altra materia che lentissimamente scendesse al fondo, sì che in un minuto d’ora appena calasse un braccio, e facendo andar la barca quanto più velocemente potesse, talchè in un minuto d’ora facesse più di cento braccia, leggiermente immergesse nell’acqua la detta palla e la lasciasse liberamente scendere, e con diligenza osservasse il suo moto: egli primieramente la vedrebbe andare a dirittura verso quel punto del fondo del vaso dove tenderebbe quando la barca stesse ferma, ed all’occhio suo ed in relazione al vaso tal moto apparirebbe perpendicolarissimo e rettissimo; e pure non si può dir che non fusse composto del retto in giù e del circolare intorno all’elemento dell’acqua. E se queste cose accaggiono in moti non naturali, ed in materie che noi possiamo farne l’esperienze nel loro stato di quiete e poi nel contrario del moto, e pur, quanto all’apparenza, non si scorge diversità alcuna e par che ingannino il senso, che vogliamo noi distinguere circa alla Terra, la quale perpetuamente è stata nella medesima costituzione, quanto al moto o alla quiete? ed in qual tempo vogliamo in essa sperimentare se differenza alcuna si scorge tra questi accidenti del moto locale ne’ suoi diversi stati di moto e di quiete, se ella in un solo di questi due eternamente si mantiene?
Sagr. Questi discorsi m’hanno racconciato alquanto lo stomaco, il quale quei pesci e quelle lumache in parte mi avevano conturbato; ed il primo m’ha fatto sovvenire la correzione d’un errore, il quale ha tanto apparenza di vero, che non so se di mille uno non l’ammettesse per indubitato. Considerazione sottile circa 'l potersi usare il telescopio con la medesima facilità tanto in cima dell'alberodella nave quanto al piede.E questo fu, che navigando in Soria, e trovandomi un telescopio assai buono, statomi donato dal nostro comune amico, che non molti giorni avanti l’aveva investigato, proposi a quei marinari che sarebbe stato di gran benefizio nella navigazione l’adoperarlo su la gaggia della nave per iscoprir vasselli da lontano e riconoscergli: fu approvato il benefizio, ma opposta la difficultà del poterlo usare mediante il continuo fluttuar della nave, e massime in su la cima dell’albero, dove l’agitazione è tanto maggiore, e che meglio sarebbe stato chi l’avesse potuto adoperare al piede, dove tal movimento è minore che in qualsivoglia altro luogo del vassello. Io (non voglio ascondere l’error mio) concorsi nel medesimo parere, e per allora non replicai altro, nè saprei dirvi da che mosso, tornai tra me stesso a ruminar sopra questo fatto, e finalmente m’accorsi della mia semplicità (ma però scusabile) nell’ammetter per vero quello che è falsissimo: dico falso, che l’agitazion massima della gaggia, in comparazion della piccola del piede dell’albero, debba render più difficile l’uso del telescopio nell’incontrar l’oggetto.
Salv. Io sarei stato compagno de i marinari ed anche vostro, su ’l principio.
Simp. Ed io parimente sarei stato, e sono ancora; nè crederei co ’l pensarvi cent’anni intenderla altrimenti.
Sagr. Potrò dunque io questa volta farvi a tutti due (come si dice) il maestro addosso: e perchè il proceder per interrogazioni mi par che dilucidi assai le cose, oltre al gusto che si ha dello scalzare il compagno, cavandogli di bocca quel che non sapeva di sapere, mi servirò di tale artifizio E prima io suppongo che le navi, fuste o altri legni, che si cerca di scoprire e riconoscere, sieno lontani assai, cioè 4, 6, 10 o 20 miglia, perchè per riconoscer i vicini non c’è bisogno d’occhiali; ed in conseguenza il telescopio può, in tanta distanza di 4 o 6 miglia, comodamente scoprire tutto ’l vassello, ed anco machina assai maggiore. Ora io domando, quali in ispezie e quanti in numero siano i movimenti che si fanno nella gaggia, dependenti dalla fluttuazion della nave.
Salv. Figuriamoci che la nave vadia verso levante: prima, nel mar tranquillissimo, non ci sarebbe altro moto che questo progressivo; Movimenti difforenti dependenti dalla fluttuazione della nave.ma aggiunta l’agitazion dell’onde, ce ne sarà uno che, alzando ed abbassando vicendevolmente la poppa e la prua, fa che la gaggia inclina innanzi e indietro; altre onde, facendo andare il vassello alla banda, piegano l’albero a destra e a sinistra; altre posson girare alquanto la nave e farla defletter, diremo con l’artimone, dal dritto punto orientale or verso greco or verso sirocco; altre, sollevando per di sotto la carina, potrebber far che la nave, senza deflettere, solamente si alzasse ed abbassasse: Due mutazioni fatte nel telescopio, dependenti dall'agitazioned in somma parmi che in spezie questi movimenti sien due, uno, cioè, che muta per angolo la direzion del telescopio, e l’altro che la muta, diremo, per linea, senza mutar angolo, cioè mantenendo sempre la canna dello strumento parallela a se stessa.
Sagr. Ditemi appresso: se noi, avendo prima drizzato il telescopio là a quella torre di Burano, lontana di qua sei miglia, lo piegassimo per angolo a destra o a sinistra, o vero in su o in giù, solamente quanto è un nero d’ugna, che effetto ci farebbe circa l’incontrar essa torre?
Salv. Ce la farebbe immediate sparir dalla vista, perchè una tal declinazione, benchè piccolissima qui, può importar là le centinaia e le migliaia delle braccia.
Sagr. Ma se senza mutar l’angolo, conservando sempre la canna parallela a se stessa, noi la trasferissimo 10 o 12 braccia più lontana, a destra o a sinistra, in alto o a basso, che effetto ci cagionerebbe ella quanto alla torre?
Salv. Assolutamente impercettibile; perchè, sendo gli spazii qui e là contenuti tra raggi paralleli, le mutazioni fatte qui e là convien che sieno eguali; e perchè lo spazio che scuopre là lo strumento è capace di molte di quelle torri, però non la perderemmo altrimenti di vista.
Sagr. Tornando ora alla nave, possiamo indubitabilmente affermare, che il muovere il telescopio a destra o a sinistra, in su o in giù, ed anco innanzi o indietro, 20 o 25 braccia, mantenendolo però sempre parallelo a se stesso, non può sviare il raggio visivo dal punto osservato nell’oggetto più che le medesime 25 braccia; e perchè nella lontananza di 8 o 10 miglia la scoperta dello strumento abbraccia spazio molto più largo che la fusta o altro legno veduto, però tal piccola mutazione non me lo fa perder di vista. L’impedimento dunque e la causa dello smarrir l’oggetto non ci può venire se non dalla mutazion fatta per angolo, già che per l’agitazion della nave la trasportazion del telescopio in alto o a basso, a destra o a sinistra, non può importar gran numero di braccia. Ora supponete d’aver due telescopii fermati uno all’inferior parte dell’albero della nave, e l’altro alla cima non pur dell’albero, ma anco dell’antenna altissima, quando con essa si fa la penna, e che amendue sien drizzati al vassello discosto 10 miglia: ditemi se voi credete che, per qual si sia agitazion della nave e inclinazion dell’albero, maggior mutazione, quanto all’angolo, si faccia nella canna altissima che nella infima. Alzando un’onda la prua, farà ben dare indietro la punta dell’antenna 30 o 40 braccia più che il piede dell’albero, e verrà a ritirar indietro la canna superiore per tanto spazio, e la inferiore un palmo solamente; ma l’angolo tanto si altera nell’uno strumento quanto nell’altro: e parimente un’onda che venga per banda, trasporta a destra ed a sinistra cento volte più la canna alta che la bassa; ma gli angoli o non si mutano o si alterano egualmente; ma la mutazione a destra o a sinistra, innanzi o in dietro, in su o in giù, non reca impedimento sensibile nella veduta de gli oggetti lontani, ma sì bene grandissima l’alterazione dell’angolo: adunque bisogna necessariamente confessare che l’uso del telescopio nella sommità dell’albero non è più difficile che al piede, avvenga che le mutazioni angolari son eguali in amendue i luoghi.
Salv. Quanto bisogna andar circospetto prima che affermare o negare una proposizione! Io torno a dire, che nel sentir pronunziar resolutamente che per il movimento maggiore fatto nella sommità dell’albero che nel piede, ciascuno si persuaderà che grandemente sia più difficile l’uso del telescopio su alto che a basso. E così anco voglio scusar quei filosofi che si disperano e si gettan via contro a quelli che non gli voglion concedere che quella palla d’artiglieria, che e’ veggon chiaramente venire a basso per una linea retta e perpendicolare, assolutamente si muova in quel modo, ma voglion che ’l moto suo sia per un arco, ed anco molto e molto inclinato e trasversale. Ma lasciamogli in quest’angustia, e sentiamo l’altre opposizioni che l’autore che aviamo a mano fa contro al Copernico.
Simp. Continua pur l’autore di mostrare come in dottrina del Copernico bisogna negare i sensi, e le sensazioni massime, qual sarebbe se noi, che sentiamo il ventilar d’una leggierissima aura, Moto annuo della Terra dovrebbe cagionar vento perpetuo e gagliardissimo.non abbiamo poi a sentire l’impeto d’un vento perpetuo che ci ferisce con una velocità che scorre più di 2529 miglia per ora; chè tanto è lo spazio che il centro della Terra co ’l moto annuo trapassa in un’ora per la circonferenza dell’orbe magno, come egli diligentemente calcola, e perchè, come ei dice pur di parer del Copernico, cum Terra movetur circumpositus aër; motus tamen eius, velocior licet ac rapidior celerrimo quocumque vento, a nobis non sentiretur, sed summa tum tranquillitas reputaretur, nisi alius motus accederet. Quid est vero decipi sensum, nisi haec esset deceptio?
Salv. È forza che questo filosofo creda che quella Terra che il Copernico fa andare in giro, insieme con l’aria ambiente, per la circonferenza dell’orbe magno, non sia questa dove noi abitiamo, ma un’altra separata, perchè questa nostra conduce seco noi ancora, con la medesima velocità sua e dell’aria circostante: e qual ferita possiam noi sentire, mentre fuggiamo con egual corso a quello di chi ci vuol giostrare? Questo signore s’è scordato che noi ancora siamo, non men che la Terra e l’aria, menati in volta, e che in conseguenza sempre siamo toccati dalla medesima parte d’aria, la quale però non ci ferisce.
Simp. Anzi no: eccovi le parole che immediatamente seguono: Præterea nos quoque rotamur ex circumductione Terræ etc. (25)
Salv. Ora non lo posso più nè aiutare nè scusare; scusatelo voi e aiutatelo, signor Simplicio.
Simp. Per ora, così improvvisamente, non mi sovvien difesa di mia sodisfazione.
Salv. Ombé, ci penserete stanotte, e difenderetelo poi domani: intanto sentiamo l’altre opposizioni.
Simp. In via dei Copero bisogna negar le sensazioni.Séguita pur l’istessa instanza, mostrando che in via del Copernico bisogna negar le sensazioni proprie. Imperocchè questo principio, per il quale noi andiamo intorno con la Terra, o è nostro intrinseco, o ci è esterno, cioè un rapimento di essa Terra: e se questo secondo è, non sentendo noi cotal rapimento, convien dire che ’l senso del tatto non senta il proprio obietto congiunto, nè la sua impressione nel sensorio; ma se il principio è intrinseco, noi non sentiremo un moto locale derivante da noi medesimi, e non ci accorgeremo mai di una propensione perpetuamente annessa con esso noi.
Salv. Talchè l’instanza di questo filosofo batte qua, che, sia quel principio, per il quale noi ci moviamo con la Terra, o esterno o interno, dovremmo in ogni maniera sentirlo, e non lo sentendo, non è nè l’uno nè l’altro, e però noi non ci moviamo, nè in conseguenza la Terra. Il moto nostro può essere o interno o esterno, senz'esser da noi compreso o sentito.Ed io dico che può essere nell’un modo e nell’altro, senza che noi lo sentiamo. E del poter esser esterno, l’esperienza della barca rimuove ogni difficultà soprabbondantemente: e dico soprabbondantemente, perchè, potendo noi a tutte l’ore farla muovere ed anco farla star ferma, e con grand’accuratezza andare osservando se da qualche diversità, che dal senso del tatto possa esser compresa, noi possiamo imparare ad accorgerci se la si muova o no, vedendo che per ancora non si è acquistata tale scienza, a che maravigliarsi se l’istesso accidente ci resta incognito nella Terra, la quale ci può aver portati perpetuamente, senza potere mai sperimentar la sua quiete? Moto della barca insensibile a quei che ci son dentro, quanto al senso del tatto.Voi sete pur, signor Simplicio, per quel ch’io credo, andato mille volte nelle barche da Padova, e se voi volete confessar il vero, non avete mai sentita in voi la participazione di quel moto, se non quando la barca, arrenando o urtando in qualche ritegno, si è fermata, e che voi con gli altri passeggieri, colti all’improvviso, sete con pericolo traboccati. Bisognerebbe che il globo terrestre incontrasse qualche intoppo che l’arrestasse, che vi assicuro che allora vi accorgereste dell’impeto che in voi risiede, mentre da esso sareste scagliato verso le stelle. Moto della barca sensibile alla vista, congiunta col discorso.Ben è vero che con altro senso, ma accompagnato co ’l discorso, potete accorgervi del moto della barca, cioè con la vista, mentre riguardate gli alberi e le fabbriche poste nella campagna, le quali, essendo separate dalla barca, par che si muovano in contrario: ma se per una tale esperienza voleste restare appagato del moto terrestre, Moto terrestre comprendesi nelle stelle.direi che riguardaste le stelle, che per ciò vi appariscono muoversi in contrario. Il maravigliarsi poi di non sentir cotal principio, posto che fusse nostro interno, è pensiero men ragionevole; perchè se noi non sentiamo un simile che ci vien di fuori e che frequentemente si parte, per qual ragione dovremmo sentirlo quando immutabilmente risedesse di continuo in noi? Ora ècci altro in questo primo argomento?
Simp. Ècci questa esclamazioncella: Ex hac itaque opinione necesse est diffidere nostris sensibus, ut penitus fallacibus vel stupidis in sensibilibus, etiam coniunctissimis, diiudicandis; quam ergo veritatem sperare possumus, a facultate adeo fallaci ortum trahentem?
Salv. Oh io ne vorrei dedur precetti più utili e più sicuri, imparando ad esser più circuspetto e men confidente circa quello che a prima giunta ci vien rappresentato da i sensi, che ci possono facilmente ingannare; e non vorrei che questo autore si affannasse tanto in volerci far comprender co ’l senso, questo moto de i gravi descendenti esser semplice retto e non di altra sorte, nè si risentisse ed esclamasse perchè una cosa tanto chiara manifesta e patente venga messa in difficultà; perchè in questo modo dà indizio di credere che a quelli che dicon, tal moto non esser altrimenti retto, anzi più tosto circolare, paia di veder sensatamente quel sasso andar in arco, già che egli invita più il lor senso che il lor discorso a chiarirsi di tal effetto: il che non è vero signor Simplicio, perchè, sì come io, che sono indifferente tra queste opinioni e solo a guisa di comico mi immaschero da Copernico in queste rappresentazioni nostre, non ho mai veduto, nè mi è parso di veder, cader quel sasso altrimenti che a perpendicolo, così credo che a gli occhi di tutti gli altri si rappresenti l’istesso. Meglio è dunque che, deposta l’apparenza, nella quale tutti convenghiamo, facciamo forza co ’l discorso, o per confermar la realtà di quella, o per iscoprir la sua fallacia.
Sagr. Se io potessi una volta incontrarmi in questo filosofo, che pur mi pare che si elevi assai sopra molti altri seguaci dell’istesse dottrine, vorrei in segno di affetto ricordargli un accidente che assolutamente egli ha ben mille volte veduto, dal quale, con molta conformità di questo che trattiamo, si può comprendere quanto facilmente possa altri restar ingannato dalla semplice apparenza o vogliamo dire rappresentazione del senso. E l’accidente è il parere, a quelli che di notte camminano per una strada, d’esser seguitati dalla Luna con passo eguale al loro, mentre la veggono venir radendo le gronde de i tetti sopra le quali ella gli apparisce, in quella guisa appunto che farebbe una gatta che, realmente camminando sopra i tegoli, tenesse loro dietro: apparenza che, quando il discorso non s’interponesse, pur troppo manifestamente ingannerebbe la vista.
Simp. Veramente non mancano l’esperienze le quali ci rendono sicuri delle fallacie de i semplici sensi; però, sospendendo per ora cotali sensazioni, sentiamo gli argomenti che seguono, che son presi, come e’ dice, ex rerum natura. Argomenti contro al moto della Terra presi ex rerum natura.Il primo de’ quali è, che la Terra non può muoversi di sua natura di tre movimenti grandemente diversi, o vero bisognerebbe rifiutare molte dignità manifeste: Tre dignità che si sovrappongono manifeste.la prima delle quali è, che ogni effetto depende da qualche causa, la seconda; che nessuna cosa produce se medesima, dal che ne segue che non è possibile che il movente e quello che è mosso siano totalmente l’istessa cosa: e questo non solo nelle cose che son mosse da motore estrinseco è manifesto, ma si raccoglie anco da i principii proposti l’istesso accadere nel moto naturale dependente da principio intrinseco; altrimenti, essendo che il movente, come movente, è causa, e ’l mosso, come mosso, è effetto, il medesimo totalmente sarebbe causa ed effetto; adunque un corpo non muove tutto sé, cioè che tutto muova e tutto sia mosso, ma bisogna nella cosa mossa distinguere in qualche modo il principio efficiente della mozione, e quello che di tal mozione si muove. La terza dignità è che, nelle cose suggette a i sensi, uno, in quanto uno, produce una cosa sola; cioè l’anima nell’animale produce ben diverse operazioni cioè la vista, l’udito, l’odorato, la generazione, ma con istrumenti diversi: ed in somma si scorge, nelle cose sensibili le diverse operazioni derivar da diversità che sia nella causa. Ora, se si congiugneranno queste dignità, Un corpo semplice, quale è la Terra, non si può muovere di tre moti diversi.sarà cosa chiarissima che un corpo semplice, qual è la Terra, non si potrà di sua natura muover insieme di tre movimenti grandemente diversi. Imperocchè, per le supposizioni fatte, tutta non muove sé tutta; bisogna dunque distinguere in lei tre principii di tre moti, altrimenti un principio medesimo produrrebbe più moti: ma contenendo in sé tre principii di moti naturali, oltre alla parte mossa, non sarà corpo semplice, ma composto di tre principii moventi e della parte mossa: se dunque la Terra è corpo semplice, non si moverà di tre moti. La Terra non si può muovere d'alcuno de i moti attribuitigli dail Copernico.Anzi, pur non si moverà ella di alcuno di quelli che le attribuisce il Copernico, dovendosi muover d’un solo; essendo manifesto, per le ragioni di Aristotile, che ella si muove al suo centro, come mostrano le sue parti, che scendono ad angoli retti alla superficie sferica della Terra.
Salv. Risposte a gii argomenti contro al moto della Terra presi ex rerum natura.Molte cose sarebbon da dirsi e da considerarsi intorno alla testura di questo argomento; ma già che noi lo possiamo in brevi parole risolvere, non voglio per ora senza necessità diffondermi, e tanto più, quanto la risposta mi vien dal medesimo autore somministrata, mentre egli dice, nell’animale da un sol principio esser prodotte diverse operazioni: onde io per ora gli rispondo, con un simil modo da un sol principio derivare nella Terra diversi movimenti.
Simp. A questa risposta non si quieterà punto l’autore dell’instanza, anzi vien pur ella totalmente atterrata da quello che ei soggiugne immediatamente per maggiore stabilimento dell’impugnazion fatta, sì come voi sentirete. Corrobora, dico, l’argomento con altra dignità, che è questa: Quarta dignità contro al moto della Terra.che la natura non manca, nè soprabbonda, nelle cose necessarie. Questo è manifesto a gli osservatori delle cose naturali e principalmente degli animali, ne’ quali, perchè dovevano muoversi di molti movimenti, la natura ha fatte loro molte flessure, Flessure negli animali necessarie per la diversità de' movimenti loro.e quivi acconciamente ha legate le parti per il moto, come alle ginocchia, a i fianchi, per il camminar de gli animali e per coricarsi a lor piacimento; in oltre nell’uomo ha fabbricate molte flessioni e snodature al gomito ed alla mano, per poter esercitar molti moti. Da queste cose si cava l’argomento contro al triplicato movimento della Terra: Altro argomento contro al triplicato moto della Terra,o vero il corpo uno e continuo, senza essere snodato da flessura nessuna, può esercitar diversi movimenti, o vero non può senza aver le flessure; se può senza, adunque indarno ha la natura fabbricate le flessure negli animali, che è contro alla dignità; ma se non può senza, adunque la Terra, corpo uno e continuo e privo di flessure e di snodamenti, non può di sua natura muoversi di più moti. Or vedete quanto argutamente va a incontrar la vostra risposta, che par quasi che l’avesse prevista.
Salv. Dite voi su ’l saldo, o pur parlate ironicamente?
Simp. Io dico dal miglior senno ch’i’ m’abbia.
Salv. Bisogna dunque che voi vi sentiate d’aver tanto buono in mano, da poter anco sostener la difesa di questo filosofo contro qualche altra replica che gli fusse fatta in contrario: però rispondetemi, vi prego, in sua grazia, già che non possiamo averlo presente. Voi primieramente ammettete per vero che la natura abbia fatti gli articoli, le flessure e snodature a gli animali, acciocchè si possano muover di molti e diversi movimenti; Moti degli animali son tutti d'una sorte.ed io vi nego questa proposizione, e dico che le flessioni son fatte acciocchè l’animale possa muovere una o più delle sue parti, restando immobile il resto, e dico che quanto alle spezie e differenze de’ movimenti, quelli sono di una sola, cioè tutti circolari: I capi de gli ossi sono tutti rotondi.e per questo voi vedete, tutti i capi de gli ossi mobili esser colmi o cavi; e di questi, altri sono sferici, che son quelli che hanno a muoversi per tutti i versi, come fa nella snodatura della spalla il braccio dell’alfiere nel maneggiar l’insegna, e dello strozziere nel richiamar co ’l logoro il falcone, e tal è la flessura del gomito, sopra la quale si gira la mano nel forar col succhiello; altri son circolari per un sol verso e quasi cilindrici, che servono per le membra che si piegano in un sol modo, come le parti delle dita l’una sopra l’altra, etc. Si mostra la necessita dell' esser i capi de gli ossi mobili dell' animale tutti circolari.-Ma senza più particolari incontri, un solo general discorso ne può far conoscer questa verità; e questo è, che di un corpo solido che si muova restando uno de’ suoi estremi senza mutar luogo, il moto non può esser se non circolare: e perchè nel muover l’animale uno delle sue membra non lo separa dall’altro suo conterminale, adunque tal moto è circolare di necessità.
Simp. Io non l’intendo per questo verso; anzi veggo io l’animale muoversi di cento moti non circolari e diversissimi tra loro, e correre e saltare e salire e scendere e notare e molt’altri.
Salv. Moti secondarii del'animale dependenti da i primi.Sta bene: ma cotesti son moti secondarii, dependenti da i primi, che sono de gli articoli e delle flessure. Al piegar delle gambe alle ginocchia e delle cosce a i fianchi, che son moti circolari delle parti, ne viene in conseguenza il salto o il corso, che son movimenti di tutto ’l corpo, e questi posson esser non circolari. Per il moto della Terra non si ricerca flessure.Ora, perchè del globo terrestre non si ha da muovere una parte sopra un’altra immobile, ma il movimento deve esser di tutto il corpo, non ci è bisogno di flessure.
Simp. Questo (dirà la parte) potrebbe esser quando il moto fusse un solo; ma l’esser tre, e diversissimi tra di loro, non è possibile che s’accomodino in un corpo inarticolato.
Salv. Cotesta credo veramente che sarebbe la risposta del filosofo; contro alla quale io insurgo per un’altra banda, e vi domando se voi stimate che per via di articoli e flessure si potesse adattare il globo terrestre alla participazione di tre moti circolari diversi. Voi non rispondete? Già che voi tacete, risponderò io per il filosofo; il quale assolutamente direbbe di sì, perchè altrimenti sarebbe stato superfluo e fuori del caso il metter in considerazione che la natura fa le flessioni acciocchè il mobile possa muoversi di moti differenti, e che però, non avendo il globo terrestre flessure; non può aver i tre moti attribuitigli; perchè, quando egli avesse stimato che nè anco per via di flessure si potesse render atto a tali movimenti, arebbe liberamente pronunziato, il globo non poter muoversi di tre moti. Si desidera sapere per mezo di quali fessure il globo terrestre potrebbe moversi di 3 moti diversi.Ora, stante questo, io prego voi, e per voi, se fusse possibile, il filosofo autor dell’argomento, ad essermi cortese d’insegnarmi in qual maniera bisognerebbe accomodar le flessure, acciocchè i tre moti comodamente potessero esercitarsi; e vi concedo tempo per la risposta quattro e anco sei mesi. Un solo principio può cagionar più moti nella Terra.Intanto a me pare che un principio solo possa cagionar nel globo terrestre più moti, in quella guisa appunto, come dianzi risposi, che un sol principio, co ’l mezo di varii strumenti, produce moti multiplici e diversi nell’animale: e quanto all’articolazione, non ve n’è bisogno, dovendo esser i movimenti del tutto, e non di alcune parti; e perchè hanno ad esser circolari, la semplice figura sferica è la più bella articolazione che domandar si possa.
Simp. Al più che vi si dovesse concedere, sarebbe che ciò potesse accader d’un movimento solo; ma di tre diversi, al parer mio e dell’autore, non è possibile, come egli pur continuando, e corroborando l’instanza, segue scrivendo: Terra Altra instanza contro al triplicato moto della Terra.Figuriamoci co ’l Copernico che la Terra si muova, per propria facultà e da principio intrinseco, da occidente in oriente nel piano dell’eclittica, ed oltre a ciò che ella si rivolga, pur da principio intrinseco, intorno al suo proprio centro da oriente in occidente, e per il terzo moto ch’ella per propria inclinazione si pieghi da settentrione in austro ed all’incontro; essendo ella un corpo continuo e non collegato con flessioni e giunture, potrà mai la nostra stimativa e ’l nostro giudizio comprendere che un medesimo principio naturale e indistinto, cioè che una medesima propensione, si distragga insieme in diversi moti e quasi contrarii? Io non posso credere che alcuno sia per dir tal cosa, se non chi a dritto e a torto avesse preso a sostenere questa posizione.
Salv. Fermate un poco, e trovatemi questo luogo nel libro; mostrate. Fingamus modo cum Copernico, Terram aliqua sua vi et ab indito principio impelli ab occasu ad ortum in eclipticæ plano, tum rursus revolvi ab indito etiam principio circa suimet centrum ab ortu in occasum, tertio deflecti rursus suopte nutu a septentrione in austrum et vicissim. Error grave dell'impugnator ded Copernico.Io dubitavo, signor Simplicio, che voi non aveste preso errore nel riferirci le parole dell’autore; ma veggo che egli stesso, e pur troppo gravemente, si inganna, e con mio dispiacere comprendo ch’e’ si è posto ad impugnar una posizione la quale e’ non ha ben capita; imperocchè questi non sono i movimenti che ’l Copernico attribuisce alla Terra. E donde cava egli che ’l Copernico faccia il moto annuo per l’eclittica contrario al moto circa il proprio centro? bisogna che e’ non abbia letto il «suo libro, che in cento luoghi, ed anco ne i primi capitoli, scrive tali movimenti esser amendue verso le medesime parti, cioè da occidente verso oriente. Ma senza sentirlo da altri, non dovev’egli per se stesso comprendere, che attribuendosi alla Terra i movimenti che si levano l’uno al Sole e l’altro al primo mobile, bisognava che fussero necessariamente fatti pel medesimo verso?
Simp. Guardate pur di non errar voi, ed il Copernico insieme. Arguta ed insieme semplice instanza contro al Copernico.Il moto diurno del primo mobile non è egli da levante a ponente? ed il moto annuo del Sole per l’eclittica non è, per l’opposito, da ponente a levante? come dunque volete che i medesimi, trasferiti nella Terra, di contrarii divengan concordi?
Sagr. Certo che il signor Simplicio ci ha scoperta l’origine dell’error di questo filosofo: è forza che esso ancora abbia fatto l’istesso discorso.
Salv. Or che si può, caviamo d’errore almanco il signor Simplicio. Si manifesta l' errore dell'oppositore, dichiarando come i moti annuo e diurno, essendo della Terra, sono per il medesimo verso, e non contrari!.Il quale, vedendo le stelle nel nascere alzarsi sopra l’orizonte orientale, non arà difficultà nell’intendere che, quando tal moto non fusse delle stelle, bisognerebbe necessariamente dire che l’orizonte con moto contrario si abbassasse, ed in conseguenza che la Terra si volgesse in se stessa al contrario di quel che ci sembrano muoversi le stelle, cioè da occidente verso oriente, che è secondo l’ordine de’ segni del zodiaco. Quanto poi all’altro moto, essendo il Sole fisso nel centro del zodiaco e la Terra mobile per la circonferenza di quello, per far che il Sole ci apparisca muoversi per esso zodiaco secondo l’ordine de i segni, è necessario che la Terra cammini secondo il medesimo ordine attesochè il Sole ci apparisce sempre occupar nel zodiaco il grado opposto al grado nel quale si trova la Terra: e così, scorrendo la Terra, verbigrazia, l’Ariete, il Sole apparirà scorrer la Libra, e passando la Terra per il segno del Toro, il Sole scorrerà per quello dello Scorpione; la Terra per i Gemini, il Sole per il Sagittario: ma quest’è muoversi per il medesimo verso amendue, cioè secondo l’ordine de’ segni, come anco era la revoluzion della Terra circa il proprio centro.
Simp. Ho inteso benissimo, nè saprei qual cosa produr per isgravio d’un tanto errore.
Salv. Ma piano, signor Simplicio, chè ce n’è un altro maggior di questo: Da un altro più grave errore si mostra, l'oppositore aver fatto poco studio nel Copernico.ed è, ch’e’ fa muover la Terra per il moto diurno intorno al proprio centro da oriente verso occidente, e non comprende che quando questo fusse, il movimento delle 24 ore dell’universo ci apparirebbe fatto da ponente verso levante, per l’opposito giusto di quel che noi veggiamo.
Simp. Oh io, che appena ho veduti i primi elementi della sfera, son sicuro che non arei errato sì gravemente.
Salv. Giudicate ora quale studio si può stimare che abbia fatto questo oppositore ne i libri del Copernico, se e’ prende al rovescio questa principale e massima ipotesi, sopra la quale si fonda tutta la somma delle cose nelle quali il Copernico dissente dalla dottrina d’Aristotile e di Tolomeo. Quanto poi a questo terzo moto che l’autore, pur di mente del Copernico, assegna al globo terrestre, non so di quale e’ si voglia intendere: Si dubita che l'oppositore non abbia inteso il terzo moto attribuito dal Copernico alla Terra.quello non è egli sicuramente che il Copernico gli attribuisce congiuntamente con gli altri due, annuo e diurno, che non ha che fare co ’l declinare verso austro e settentrione, ma solo serve per mantener l’asse della revoluzion diurna continuamente parallelo a se stesso; talchè bisogna dire, o che l’oppositore non abbia compreso questo, o l’abbia dissimulato. Ma benchè questo solo grave mancamento bastasse a liberarne dall’obbligo di più occuparci nella considerazione delle sue opposizioni, tuttavia voglio ritenerle in stima, sì come veramente meritano di esser apprezzate assai più che mille altre di altri vani oppositori. Tornando dunque all’instanza, dico che i due movimenti annuo e diurno non sono altrimenti contrarii, anzi son per il medesimo verso, e però posson dependere da un medesimo principio; il terzo vien talmente in conseguenza dell’annuo, da per se stesso e spontaneamente, che non vi bisogna chiamar principio interno nè esterno (come a suo luogo dimostrerò) dal quale, come da causa, venga prodotto.
Sagr. Voglio pur io ancora, scorto dal discorso naturale, dire a questo oppositore qualche cosa. Il qual vuol condennare il Copernico se io non gli so puntualmente risolvere tutti i dubbi e risponder a tutte le opposizioni che ei gli fa, quasi che in conseguenza della mia ignoranza segua necessariamente la falsità della sua dottrina: ma se questo termine di condennar gli scrittori gli par iuridico, non dovrà parergli fuor di ragione se io non approverò Aristotile e Tolomeo, quando egli non risolva meglio di me le difficultà medesime ch’io gli promuovo nella loro dottrina. E’ mi domanda quali siano i principii, per i quali il globo terrestre si muove del moto annuo nel zodiaco, e del diurno per l’equinoziale in se stesso. Risoivesi la medesimz instanza con esempi di movimenti simili i altri corpi celesti.Dicogli che e’ sono una cosa simile a quelli per i quali Saturno si muove per il zodiaco in 30 anni, ed in se stesso in tempo molto più breve secondo l’equinoziale, come lo scoprirsi ed ascondersi de i suoi globi collaterali ci mostra; e una cosa simile a quella per la quale ei concederebbe senza scrupolo che il Sole scorresse l’eclittica in un anno, ed in se stesso si rivolgesse parallelo all’equinoziale in manco d’un mese, come sensatamente mostrano le sue macchie; e una cosa simil a quella per la quale le stelle Medicee scorrono il zodiaco in 12 anni, e tra tanto si volgono in cerchi piccolissimi ed in tempi brevissimi intorno a Giove.
Simp. Quest’autore vi negherà tutte queste cose, come inganni della vista, mediante i cristalli del telescopio.
Sagr. Oh questo sarebbe un volerne troppo per sé, mentre e’ vuole che l’occhio semplice non si possa ingannare nel giudicar il moto retto de’ gravi descendenti, e vuol che e’ si inganni nel comprendere questi altri movimenti, mentre la sua virtù vien perfezionata ed accresciuta a trenta doppii. Diciamogli dunque che la Terra partecipa la pluralità di movimenti in un modo simile e forse il medesimo, co ’l quale la calamita ha il muoversi in giù, come grave, e due moti circolari, uno orizontale e l’altro verticale, sotto il meridiano. Ma che più? ditemi, signor Simplicio, tra chi credete voi che quest’autore mettesse maggior diversità, tra il moto retto e ’l circolare, o tra il moto e la quiete?
Simp. Più differente è il moto dalla quiete, che il moto retto dai circolare.Tra il moto e la quiete sicuramente. E quest’è manifesto; perchè il moto circolare non è contrario al retto per Aristotile, anzi e’ concede che si possano mescolare; il che è impossibile del moto e della quiete.
Sagr. Adunque proposizione meno improbabile è il porre in un corpo naturale due principii interni, uno a ’l moto retto e l’altro al circolare, che due, pur interni, uno al moto e l’altro alla quiete. Più ragionevoimente si possono attribuire alla Terra due princlpii interni al moto retto ed al circolare, che due al moto ed alla quiete.Ora, della naturale inclinazione che risegga nelle parti della Terra, di ritornar al suo tutto quando per violenza ne vengono separate, concordano insieme amendue le posizioni; e solo dissentono nell’operazion del tutto, chè questa vuole che per principio interno stia immobile, e quella gli attribuisce il moto circolare: ma per la vostra concessione e di questo filosofo, due principii, uno al moto e l’altro alla quiete, son incompatibili insieme, sì come incompatibili sono gli effetti; ma non già accade questo de i due movimenti retto e circolare, che nulla repugnanza hanno fra di loro.
Salv. Moto delie parti della Terra, ritornando al suo tutto, può esser circolare.Aggiugnete di più, che probabilissimamente può essere che il movimento che fa la parte della Terra separata, mentre si riconduce al suo tutto, sia esso ancora circolare, come di già si è dichiarato: talchè per tutti i rispetti, in quanto appartiene al presente caso, la mobilità sembra più accettabile che la quiete. Ora seguite, signor Simplicio, quello che resta.
Simp. Fortifica l’autore l’instanza con additarci un altro assurdo, cioè che gli stessi movimenti convengano a nature sommamente diverse: ma l’osservazione ci insegna, l’operazioni e i moti di nature diverse esser diversi; Diversità di moti conferisce a conoscer le diversità di nature.e la ragione lo conferma, perchè altrimenti non avremmo ingresso per conoscere e distinguer le nature, quando elle non avessero i lor moti ed operazioni che ci scorgessero alla cognizione delle sustanze.
Sagr. Io ho dua o tre volte osservato ne i discorsi di quest’autore, che per prova che la cosa stia nel tale e nel tal modo, e’ si serve del dire che in quel tal modo si accomoda alla nostra intelligenza, o che altrimenti non avremmo adito alla cognizione di questo o di quell’altro particolare, o che il criterio della filosofia si guasterebbe, quasi che la natura prima facesse il cervello a gli uomini, e poi disponesse le cose conforme alla capacità de’ loro intelletti. Ma io stimerei più presto, Natura prima fece le cose a modo suo, e poi fabricò i discorsi de gli uomini, abili a intenderle.la natura aver fatte prima le cose a suo modo, e poi fabbricati i discorsi umani abili a poter capire (ma però con fatica grande) alcuna cosa de’ suoi segreti.
Salv. Io son dell’istessa opinione. Ma dite, signor Simplicio: quali sono queste nature diverse, alle quali, contro all’osservazione ed alla ragione, il Copernico assegna moti ed operazioni medesime?
Simp. n Copernico assegna con errore le medesime operazioni a nature diverse.Eccole: l’acqua e l’aria (che pur sono nature diverse dalla terra), e tutte le cose che in tali elementi si trovano, aranno ciascheduna quei tre movimenti che il Copernico finge nel globo terrestre. E segue di dimostrar geometricamente come in via del Copernico una nugola che sia sospesa in aria, e che per lungo tempo ci soprastia al capo senza mutar luogo, bisogna necessariamente ch’ell’abbia tutti tre que’ movimenti che ha il globo terrestre: la dimostrazione è questa, e voi la potete legger da per voi, ch’io non la saprei riferir a mente.
Salv. Io non istarò altrimenti a leggerla, anzi stimo superfluo l’avercela posta, perch’io son sicuro che nessuno de gli aderenti del moto della Terra glie la negherà. Però, ammessagli la dimostrazione, parliamo dell’instanza: la qual non mi pare che abbia molta forza di concluder nulla contro alla posizione del Copernico, avvengachè niente si deroga a quei moti e a quelle operazioni per i quali si viene in cognizione delle nature etc. Rispondetemi in grazia, signor Simplicio: quelli accidenti ne’ quali alcune cose puntualissimamente convengono, ci posson eglin servire per farci conoscer le diverse nature di quelle tali cose?
Simp. Da gli accidenti comuni non si possono conoscere le nature diverse.Signor no, anzi tutto l’opposito, perchè dall’identità delle operazioni e degli accidenti non si può argumentare salvo che una identità di nature.
Salv. Talchè le diverse nature dell’acqua, della terra, dell’aria, e dell’altre cose che sono per questi elementi, voi non l’arguite da quelle operazioni nelle quali tutti questi elementi e loro annessi convengono, ma da altre operazioni: sta così?
Simp. Così è in effetto.
Salv. Talchè quello che lasciasse ne gli elementi tutti quei moti, operazioni ed altri accidenti per i quali si distinguono le lor nature, non ci priverebbe del poter venire in cognizione di esse, ancorchè e’ rimovesse poi quella operazione nella quale unitamente convengono, e che perciò non serve nulla per la distinzione di tali nature.
Simp. Credo che il discorso proceda benissimo.
Salv. Ma che la terra, l’acqua e l’aria siano da natura egualmente costituite immobili intorno al centro, non è opinione vostra, dell’autore, di Aristotile, di Tolomeo e di tutti i lor seguaci?
Simp. È ricevuta come verità irrefragabile.
Salv. Adunque da questa comune natural condizione, di quietare intorno al centro, non si trae argomento delle diverse nature di questi elementi e cose elementari, ma convien apprender tal notizia da altre qualità non comuni; e però chi levasse a gli elementi solamente questa quiete comune e gli lasciasse loro tutte l’altre operazioni, non impedirebbe punto la strada che ne guida alla cognizione delle loro essenze: ma il Copernico non leva loro altro che questa comune quiete, e glie la tramuta in un comunissimo moto, lasciandogli la gravità, la leggierezza, i moti in su, in giù, più tardi, più veloci, la rarità, la densità, le qualità di caldo, freddo, secco, umido, ed in somma tutte l’altre cose: adunque un tal assurdo, qual s’immagina questo autore, il convenir gli eiementi in un moto comune non importa più o meno che il convenire in una quiete comune.non è altrimenti nella posizion Copernicana; nè il convenire in una identità di moto importa più o meno che il convenire in una identità di quiete, circa ’l diversificare o non diversificar nature. Or dite se ci è altro argomento in contrario.
Simp. Corpi dei medesimo genere hanno moti che convengono in genere.Séguita una quarta instanza, presa pur da una naturale osservazione, che è che i corpi del medesimo genere hanno moti che convengono in genere, Altro argomento pur contro al Copernico.o vero convengono nella quiete: ma nella posizione del Copernico, corpi che convengono in genere, e tra di loro similissimi, arebbono in quanto al moto una somma sconvenienza, anzi una diametral repugnanza; imperocchè stelle tanto tra di loro simili, nulladimeno nel moto sarebbero tanto dissimili, poichè sei pianeti andrebbono in volta perpetuamente, ma il Sole e tutte le stelle fisse perpetuamente starebbero immote.
Salv. La forma dell’argomentare mi par concludente, ma credo bene che l’applicazione o la materia sia difettosa; e purchè l’autore voglia persistere nel suo assunto, la conseguenza verrà senz’altro direttamente contro di lui. Il progresso dell’argomento è tale: Tra i corpi mondani, sei ce ne sono che perpetuamente si muovono, e sono i sei pianeti; de gli altri, cioè della Terra, del Sole e delle stelle fisse, si dubita chi di loro si muova e chi stia fermo, essendo necessario che se la Terra sta ferma, il Sole e le stelle fisse si muovano, e potendo anch’essere che il Sole e le fisse stessero immobili, quando la Terra si muovesse; cercasi, in dubbio del fatto, a chi più convenientemente si possa attribuire il moto, ed a chi la quiete. Argomentasi, dall'esser per natura tenebrosa la Terra e lucido il Sole e le stelle fisse, quella esser mobile e questi immobili,Detta il natural discorso, che il moto debba stimarsi essere di chi più in genere ed in essenza conviene con quei corpi che indubitatamente si muovono, e la quiete di chi da i medesimi più dissente; ed essendo che un’eterna quiete e perpetuo moto sono accidenti diversissimi, è manifesto che la natura del corpo sempre mobile convien che sia diversissima dalla natura del sempre stabile; cerchiamo dunque, mentre stiamo ambigui del moto e della quiete, se per via di qualche altra rilevante condizione potessimo investigare chi più convenga con i corpi sicuramente mobili, o la Terra, o pure il Sole e le stelle fisse. Ma ecco, la natura, favorevole al nostro bisogno e desiderio, ci somministra due condizioni insigni, e differenti non meno che ’l moto e la quiete, e sono la luce e le tenebre, cioè l’esser per natura splendidissimo, e l’esser oscuro e privo di ogni luce. Son dunque diversissimi d’essenza i corpi ornati d’un interno ed eterno splendore, da i corpi privi d’ogni luce: priva di luce è la Terra; splendidissimo per se stesso è il Sole, e non meno le stelle fisse; i sei pianeti mobili mancano totalmente di luce, come la Terra; adunque l’essenza loro convien con la Terra, e dissente dal Sole e dalle stelle fisse: mobile dunque è la Terra, immobile il Sole e la sfera stellata.
Simp. Ma l’autore non concederà che i sei pianeti sien tenebrosi, e su tal negativa si terrà saldo, o vero egli argomenterà la conformità grande di natura tra’ sei pianeti e il Sole e le stelle fisse, e la difformità tra questi e la Terra, da altre condizioni che dalle tenebre e dalla luce; anzi, or ch’io m’accorgo, nell’instanza quinta, che segue, Altra differenza tra la Terra e i corpi celesti, presa dalla purità e impurità.ci è posta la disparità somma tra la Terra e i corpi celesti: nella quale egli scrive, che gran confusione e intorbidamento sarebbe nel sistema dell’universo e tra le sue parti secondo l’ipotesi del Copernico; imperocchè tra corpi celesti immutabili ed incorruttibili, secondo Aristotile e Ticone ed altri, tra corpi, dico, di tanta nobiltà, per confessione di ognuno e dell’istesso Copernico, che afferma quelli esser ordinati e disposti in un’ottima costituzione, e che da quelli rimuove ogni inconstanza di virtù, tra corpi, dico, tanto puri, cioè tra Venere e Marte, collocar la sentina di tutte le materie corruttibili, cioè la Terra, l’acqua, l’aria e tutti i misti! Ma quanto più prestante distribuzione e più alla natura conveniente, anzi a Dio stesso architetto, sequestrar i puri da gl’impuri, i mortali da gl’immortali, come insegnano l’altre scuole, che ci insegnano come queste materie impure e caduche son contenute nell’angusto concavo dell’orbe lunare, sopra ’l quale con serie non interrotta s’alzano poi le cose celesti!
Salv. Copernico mette impurità neluniverso dell'Aristotile!.È vero che ’l sistema Copernicano mette perturbazione nell’universo d’Aristotile; ma noi trattiamo dell’universo nostro, vero e reale. Quando poi la disparità d’essenza tra la Terra e i corpi celesti la vuol quest’autore inferire dall’incorruttibilità di quelli e corruttibilità di questa, in via d’Aristotile, dalla qual disparità e’ concluda il moto dover esser del Sole e delle fisse e l’immobilità della Terra, Paralogismo dell'autor dell'Antiticone.va vagando nel paralogismo, supponendo quel che è in quistione; perchè Aristotile inferisce l’incorruttibilità de’ corpi celesti dal moto, del quale si disputa se sia loro o della Terra. Della vanità poi di queste retoriche illazioni, se n’è parlato a bastanza. E qual cosa più insulsa che dire, stoltamente par detto, la Terra esser fuor dal cielo.la Terra e gli elementi esser relegati e separati dalle sfere celesti, e confinati dentro all’orbe lunare? ma non è l’orbe lunare una delle celesti sfere, e, secondo il consenso loro, compresa nel mezo di tutte l’altre? nuova maniera di separare i puri da gl’impuri e gli ammorbati da’ sani, dar a gl’infetti stanza nel cuore della città! io credeva che il lazeretto se le dovesse scostare più che fusse possibile. Il Copernico ammira la disposizione delle parti dell’universo per aver Iddio costituita la gran lampada, che doveva rendere il sommo splendore a tutto il suo tempio, nel centro di esso, e non da una banda. Dell’esser poi il globo terrestre tra Venere e Marte, ne tratteremo in breve; e voi stesso, in grazia di quest’autore, farete prova di rimuovernelo. Ma, di grazia, non intrecciamo questi fioretti rettorici con la saldezza delle dimostrazioni, e lasciamogli a gli oratori o più tosto a i poeti, li quali hanno saputo con lor piacevolezze inalzar con laude cose vilissime ed anco tal volta perniziose; e se altro ci resta, spediamoci quanto prima.
Simp. Ci è il sesto ed ultimo argomento: nel qual ei pone per cosa molto inverisimile che un corpo corruttibile e dissipabile si possa muovere d’un moto perpetuo e regolare; Argomento preso da gli animali, che hanno bisogno di riposo, bechè il moto loro sia naturale.e questo conferma con l’esempio de gli animali, li quali movendosi di moto a loro naturale, pur si straccano, ed hanno bisogno di riposo per restaurare le forze; ma che ha da fare tal movimento con quel della Terra, immenso al paragon del loro? ma, più, farla muovere di tre moti discorrenti e distraenti in parti diverse? chi potrà mai asserir tali cose, salvo che quelli che si fussero giurati lor difensori? Né vale in questo caso quel che produce il Copernico, che per essere questo moto naturale alla Terra, e non violento, opera contrarii effetti da i moti violenti; e che si dissolvon bene, nè posson lungamente sussister, le cose alle quali si fa impeto, ma le fatte dalla natura si conservano nell’ottima loro disposizione; non val, dico, questa risposta, che vien atterrata dalla nostra. Imperocchè l’animale è pur corpo naturale, e non fabbricato dall’arte, ed il movimento suo è naturale, derivando dall’anima, cioè da principio intrinseco; e violento è quel moto il cui principio è fuori, ed al quale niente conferisce la cosa mossa: tuttavia, se l’animal continua lungo tempo il suo moto, si stracca, ed anco si muore, quando si vuole sforzare ostinatamente. Vedete dunque come in natura si incontrano da tutte le bande vestigii contrarianti alla posizione del Copernico, nè mai de’ favorabili. E per non aver a ripigliar più la parte di questo oppositore, sentite quel ch’ei produce contro al Keplero (co ’l quale ei disputa), in proposito di quello che esso Keplero istava contro a quelli a i quali pare inconveniente, anzi impossibil cosa, l’accrescer in immenso la sfera stellata, come ricerca la posizion del Copernico. Instà dunque il Keplero Argomento del Keplero a favor del Copemico.dicendo: Difficilius est accidens praeter modulum subiecti intendere, quam subiectum sine accidente augere: Copernicus igitur verisimilius facit, qui auget orbem stellarum fixarum absque motu, quam Ptolemaeus, qui auget motum fixarum immensa velocitate. L'autor dell'Antiticone insta contro al Keplero.La qual instanza scioglie l’autore, maravigliandosi di quanto il Keplero s’inganni nel dire che nell’ipotesi di Tolomeo si cresca il moto fuor del modello del subietto, imperocchè a lui pare che non si accresca se non conforme al modello, e che secondo il suo accrescimento si agumenti la velocità del moto: Cresce la velocità nel moto circolare secondo che cresce il diametro del cerchio.il che prova egli con figurarsi una macina che dia una revoluzione in 24 ore, il qual moto si chiamerà tardissimo; intendendosi poi il suo semidiametro prolungato sino alla distanza del Sole, la sua estremità agguaglierà la velocità del Sole; prolungatolo sino alla sfera stellata, agguaglierà la velocità delle fisse, benchè nella circonferenza della macina sia tardissimo. Applicando ora questa considerazione della macina alla sfera stellata, intendiamo un punto nel suo semidiametro vicino al centro quant’è il semidiametro della macina; il medesimo moto, che nella sfera stellata è velocissimo, in quel punto sarà tardissimo: ma la grandezza del corpo è quella che di tardissimo lo fa divenir velocissimo, ancorchè e’ continui d’esser il medesimo; e così la velocità cresce non fuor del modello del subietto, anzi cresce secondo quello e la sua grandezza, molto diversamente da quel che stima il Keplero.
Salv. Io non credo che quest’autore si sia formato concetto del Keplero così tenue e basso, che e’ possa persuadersi che e’ non abbia inteso che il termine altissimo d’una linea tirata dal centro sin all’orbe stellato si muove più velocemente che un punto della medesima linea vicino al centro a due braccia: e però è forza che e’ capisca e comprenda Espiicazione del vero senso del detto del Keplero, e sua difesa.che il concetto e l’intenzione del Keplero è stata di dire, minore inconveniente esser l’accrescer un corpo immobile a somma grandezza, che l’attribuire una somma velocità a un corpo pur vastissimo, avendo riguardo al modulo, cioè alla norma ed all’esempio, de gli altri corpi naturali, ne i quali si vede che crescendo la distanza dal centro, si diminuisce la velocità, cioè che i periodi delle lor circolazioni ricercano tempi più lunghi; La grandeza e piccoleza del corpo fanno diversità nei moto, ma non nella quiete.ma nella quiete, che non è capace di farsi maggiore o minore, la grandezza o piccolezza del corpo non fa diversità veruna. Talchè, se la risposta dell’autore debbe andar ad incontrar l’argomento del Keplero, è necessario che esso autore stimi che al principio movente l’istesso sia muover dentro al medesimo tempo un corpo piccolissimo ed uno immenso, essendo che l’augumento della velocità vien senz’altro in conseguenza dell’accrescimento della mole: ma quest’è poi contro alle regole architettoniche della natura, Ordine della natura è il far circolare gli orbi minori in tempi più brevi, ed i maggiori in tempi più lunghi.la quale osserva nel modello delle minori sfere, sì come veggiamo ne i pianeti e sensatissimamente nelle stelle Medicee, di far circolare gli orbi minori in tempi più brevi, onde il tempo della revoluzion di Saturno è più lungo di tutti i tempi dell’altre sfere minori, essendo di 30 anni: ora il passar da questa a una sfera grandemente maggiore, e farla muover in 24 ore, può ben ragionevolmente dirsi uscir delle regole del modello. Sì che, se noi attentamente considereremo, la risposta dell’autore va non contro al concetto e senso dell’argomento, ma contro alla spiegatura e ’l modo del parlare; dove anco l’autore ha il torto nè può negare di non aver ad arte dissimulato l’intelligenza delle parole, per gravar il Keplero d’una troppo crassa ignoranza: ma l’impostura è stata tanto grossolana, che non ha potuto con sì gran tara difalcar del concetto che ha della sua dottrina impresso il Keplero nelle menti de i litterati. Quanto poi all’instanza contro al perpetuo moto della Terra, presa dall’esser impossibil cosa che ella continuasse senza straccarsi, essendo che gli animali stessi, che pur si muovon naturalmente e da principio interno, si straccano ed hanno bisogno di riposo per relassar le membra...
Sagr. Risposta finta dei Keplero, con certa arguzia coperta.Mi par di sentire il Keplero rispondergli, che pur ci sono de gli animali che si rinfrancano dalla stanchezza co ’l voltolarsi per terra, e che però non si deve temer che il globo terrestre si stracchi; anzi ragionevolmente si può dire che e’ goda d’un perpetuo e tranquillissimo riposo, mantenendosi in un eterno rivoltolamento.
Salv. Voi, signor Sagredo, sete troppo arguto e satirico: ma lasciamo pur gli scherzi da una banda, mentre trattiamo di cose serie.
Sagr. Perdonatemi, signor Salviati: questo ch’io dico non è miga così fuor del caso quanto forse voi lo fate; perchè un movimento che serva per riposo e per rimuover la stanchezza a un corpo defatigato dal viaggio, può molto più facilmente servire a non la lasciar venire, sì come più facili sono i rimedii preservativi che i curativi. Gli animali non si stancherebbono,quando il lor moto procedesse come quello che viene attribuito al globo terrestre.E io tengo per fermo, che quando il moto de gli animali procedesse come questo che viene attribuito alla Terra, e’ non si stancherebbero altrimenti, avvenga che lo stancarsi il corpo dell’animale deriva, Cagione dello stancarsi degli animali.per mio credere, dall’impiegare una parte sola per muover se stessa e tutto il resto del corpo: come, verbigrazia, per camminare si impiegano le cosce e le gambe solamente, per portar loro stesse e tutto il rimanente; all’incontro vedrete il movimento del cuore esser come infatigabile, perchè muove sé solo. Moto dell' animale più tosto è da chiamarsi violento che naturale.In oltre, non so quanto sia vero che il movimento dell’animale sia naturale, e non più tosto violento; anzi credo che si possa dir con verità che l’anima muove naturalmente le membra dell’animale di moto preternaturale: perchè, se il moto all’insù è preternaturale a i corpi gravi, l’alzar le gambe e le cosce, che son corpi gravi, per camminare, non si potrà far senza violenza, e però non senza fatica del movente; il salir su per una scala porta il corpo grave, contro alla sua naturale inclinazione, all’in su, onde ne segue la stanchezza, mediante la natural repugnanza della gravità a cotal moto. Ma per muover un mobile di un movimento al quale e’ non ha repugnanza nissuna, qual lassezza o diminuzion di virtù e di forza si deve temer nel movente? Non si scema la forza dove non se ne esercita punto.e perchè si deve scemar la forza dove non se n’esercita punto?
Simp. Sono i moti contrarii, de i quali il globo terrestre si figura muoversi, quelli sopra i quali l’autore fonda la sua instanza.
Sagr. Già si è detto che non sono altrimenti contrarii, e che in questo l’autore si è grandemente ingannato, talchè il vigore di tutta L'instanza deil Chiaramonte si ritorce contro a lui stesso.l’instanza si volge contro l’impugnator medesimo, mentre e’ voglia che il primo mobile rapisca tutte le sfere inferiori contro al moto il quale esse nell’istesso tempo e continuamente esercitano. Al primo mobile, dunque, tocca a stancarsi, che, oltre al muovere se stesso, deve condur tant’altre sfere, le quali, di più, con movimento contrario gli contrastano. Talchè quell’ultima conclusione che l’autor inferiva, con dir che discorrendo per gli effetti di natura s’incontrano sempre cose favorabili per l’opinion d’Aristotile e Tolomeo, e non mai alcuna che non contrarii al Copernico, ha bisogno d’una gran considerazione; e meglio è dire, che sendo una di queste due posizioni vera, e l’altra necessariamente falsa, Per le proposizioni vere si incontrano argementi concludenti, ma non per le false.è impossibile che per la falsa s’incontri mai ragione, esperienza o retto discorso che le sia favorevole, sì come alla vera nessuna di queste cose può esser repugnante. Gran diversità dunque convien che si trovi tra i discorsi e gli argomenti che si producono dall’una e dall’altra parte in pro e contro a queste due opinioni, la forza de i quali lascerò che giudichiate voi stesso, signor Simplicio.
Salv. Voi, signor Sagredo, traportato dalla velocità del vostro ingegno, mi tagliaste dianzi il ragionamento, mentre io volevo dire alcuna cosa in risposta di quest’ultimo argomento dell’autore; e benchè voi gli abbiate più che a sufficienza risposto, voglio ad ogni modo aggiugner non so che, che allora avevo in mente. Egli pone per cosa molto inverisimile che un corpo dissipabile e corruttibile, qual è la Terra, possa perpetuamente muoversi d’un movimento regolare, massime vedendo noi gli animali finalmente stancarsi ed aver necessità di riposo; e gli accresce l’inverisimile il dover essere tal moto di velocità incomparabile e immensa, rispetto a quella de gli animali. Ora io non so intendere perchè la velocità della Terra l’abbia di presente a perturbare, mentre quella della sfera stellata, tanto e tanto maggiore, non gli arreca disturbo più considerabile che se gli arrechi la velocità d’una macine, la quale in 24 ore dia una sola revoluzione. Se per esser la velocità della conversion della Terra su ’l modello di quella della macine non si tira in conseguenza cose di maggior efficacia di quella, cessi l’autore di temer lo stancarsi della Terra perchè nè anco qualsivoglia ben fiacco e pigro animale, dico nè anco un camaleonte, si straccherebbe col muoversi non più di cinque o sei braccia in 24 ore; Pìù è da temersi la stancheza nella sfera stellata che nel globo terrestre.ma se e’ vuol considerar la velocità non più su ’l modello della macine, ma assolutamente, ed in quanto in 24 ore il mobile ha da passare uno spazio grandissimo, molto più si dovrebbe mostrar renitente a concederla alla sfera stellata, la quale con velocità incomparabilmente maggiore di quella della Terra deve condur seco migliaia di corpi, ciaschedun grandemente maggiore del globo terrestre.
Resterebbe ora che noi vedessimo le prove per le quali l’autore conclude, le stelle nuove del 72 e del 604 essere state sublunari, e non celesti, come comunemente si persuasero gli astronomi di quei tempi, impresa veramente grande; ma ho pensato, per essermi tale scrittura nuova, e lunga per i tanti calcoli, che sarà più espediente che io tra stasera e domattina ne vegga quel più ch’io potrò, e domani poi, tornando a i soliti ragionamenti, vi referisca quello che avrò ritratto: e se ci avanzerà tempo, verremo a discorrere del movimento annuo attribuito alla Terra. Intanto, se voi avete da dire alcuna cosa, ed in particolare il signor Simplicio, intorno alle cose attenenti al moto diurno, assai lungamente da me esaminato, ci avanza ancora un poco di tempo da poter discorrere.
Simp. A me non resta altro che dire, se non che i discorsi auti in questo giorno mi son ben parsi ripieni di pensieri molto acuti e ingegnosi, prodotti per la parte del Copernico in confermazion del moto della Terra, ma non mi sento già persuaso a crederlo; perchè finalmente le cose dette non concludon altro se non che le ragioni per la stabilità della Terra non son necessarie, ma non però si è prodotta dimostrazione alcuna per la parte contraria, la quale necessariamente convinca e concluda la mobilità.
Salv. Io non ho mai preso, signor Simplicio, a rimuovervi dalla vostra opinione, nè meno ardirei di definitivamente sentenziar sopra sì gran litigio; ma solamente è stata, e sarà anco nelle disputazioni seguenti, mia intenzione di farvi manifesto, che quelli che hanno creduto che questo moto velocissimo delle 24 ore sia della Terra sola, e non dell’universo trattane la sola Terra, non si erano persuasi che in cotal guisa potesse e dovesse essere, come si dice, alla cieca, ma che benissimo avevano vedute sentite ed esaminate le ragioni della contraria opinione, ed anco non leggiermente rispostole. Con questa medesima intenzione, quando così sia di gusto vostro e del signor Sagredo, potremo passare alla considerazione dell’altro movimento, prima da Aristarco Samio e poi da Niccolò Copernico attribuito al medesimo globo terrestre, il quale è, come credo che voi già abbiate sentito, fatto sotto il zodiaco, dentro allo spazio d’un anno, intorno al Sole, immobilmente collocato nel centro di esso zodiaco.
Simp. La quistione è tanto grande e tanto nobile, che molto curiosamente sentirò discorrerne, presupponendo d’aver a sentir tutto quello che in tal materia si possa dire. Andrò poi meco medesimo facendo con mio comodo reflession maggiore sopra le cose sentite e da sentirsi; e quando altro io non guadagni, non sarà poco il poterne con più fondamento discorrere.
Sagr. Adunque, per non stancar più il signor Salviati, faremo punto a i ragionamenti d’oggi, e domani ripiglieremo, conforme al solito, i discorsi, con isperanza d’aver a sentir gran novità.
Simp. Io lascio il libro delle stelle nuove, ma riporto questo delle conclusioni, per riveder quello che vi è scritto contro al moto annuo, che deve esser la materia de’ ragionamenti di domani.
Note
- ↑ L’Errata corrige che è in fine dell’ edizione originale, emendando un errore occorso in questo passo, indica che si debba togliere l’e davanti a «non si potendo»; ma nell’esemplare posseduto dalla Biblioteca del Seminario di Padova, nel quale la correzione è eseguita di mano di Galileo, siffatto e non è cancellato.
- ↑ L’edizione originale ha al cap. 6; ma nell’esemplare posseduto dalla Biblioteca del Seminario di Padova il 6 è corretto in 14, non è ben certo se di mano di Galileo. E il testo citato è appunto nel lib. II, cap. 14, del De coelo di Aristotile.
- ↑ Nell’esemplare dell’edizione originale posseduto dalla Biblioteca del Seminario di Padova l’arco è corretto a penna in dell’arco; ma questa correzione non è di mano di Galileo. Cfr. nella postilla marginale a lin. 24 della presente pag. 219, per la tangente il cerchio, e a pag. 220, lin. 9, per la retta tangente il cerchio.
- ↑ La lettera H, la quale nell’edizione originale manca nella figura, è stata aggiunta a penna di mano di Galileo nell’esemplare, già più volte citato, di detta edizione, che è oggi posseduto dalla Biblioteca del Seminario di Padova.
- ↑ L’edizione originale ha causali; ma già Galileo, nell’esemplare posseduto ora dalla Biblioteca del Seminario di Padova, corresse a penna casuali.
- ↑ Nell’edizione originale (pag. 228, lin. 12 e 13), in luogo di «12 volte maggiore» si legge «72 volte maggiore», e in luogo di «più di 36» si legge «più di 200», e tale errore non è corretto nell’Erratacorrige. Nell’ esemplare dell’edizione originale posseduto dalla Biblioteca del Seminario di Padova, Galileo aggiunse di proprio pugno nell’Erratacorrige la correzione di «72» in «36», e di «200» in «100». Ma nella lettera a Benedetto Castelli del 17 maggio 1632 (Manoscritti Galileiani presso la Biblioteca Nazionale di Firenze, Par. I, T. IV, car. 80; autografa), Galileo così scrive riguardo a questo stesso passo: «Nel rileggerlo [il mio libro] mi sono incontrato in un error di stampa tralasciato, che è alla faccia 228, versi 12 e 13, dove li numeri 72 e 100 [sic] devono correggersi in 12 e 36». Cfr. pag. 247, lin. 16-31.
- ↑ Quae etiam si esset, quomodo tamen inveniretur in rebus tam contrariis? in igne ut in aqua? in aëre ut in terra? in viventibus ut in anima carentibus?
- ↑ W Neil’esemplare dell’edizione originale posseduto dalla Biblioteca del Seminario di Padova si legge, di pugno di Galileo, la seguente postilla: «Qui è attribuito l’errore all’autor del libretto, ma veramente l’errore non vi è.» la quale è riferita, mediante un segno marginale, a ciò che in questa nostra edizione si legge dalla lin. 11 alla lin. 23 della presente pagina.
- ↑ w NelL’esemplare dell’edizione originaLe posseduto dalla Biblioteca del Seminario di Padova, Galileo annotò, in margine, di suo pugno:«E tanto è che il raggio della vista vadia dall’occhio all’antenna, quanto se una corda fusse legata tra due termini della nave: ora, cento corde sono a diversi termini fermate, e negli stessi posti si conservano, muovasi la nave o stia ferma.»