Diario di Nicola Roncalli/1854

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27 Gennaio. — Nel 1849 alcuni Finanzieri, dipendenti dagli ordini dello Zambianchi, commisero 12 omicidi, 10 dei quali in persone di ecclesiastici. Fra questi furono il P. Sghirla, domenicano, parroco della chiesa della Madonna del Rosario, sul Monte Mario, ed il P. Pellicciala, similmente domenicano, parroco della Minerva, i cui cadaveri insultarono orrendamente ed impudicamente1.

Allorché furono entrate le truppe francesi lo Zambianchi e molti di lui seguaci erano fuggiti. Molti altri ne rimasero, e, tra questi, 130 ne furono arrestati e processati.

Varii, per mancanza di prove, furono rilasciati.

Quindi il tribunale della prima Consulta condannò a morte:

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Antonio Capistoni, romano, d’anni 26.
Ignazio Mancini, di Ascoli, id. 30.
Giovanni Marioni, di Forli, id. 28.
Gustavo Rambelli, di Ravenna, id. 28.

Il Capistoni morì in carcere di tifo, ai 22 settembre 1853.

La decapitazione di tali malfattori seguì la mattina dei 24, alle 7 1|2 antimeridiane, alla Madonna de’ Cerchi.

Allorquando fu comunicata loro la sentenza non si turbarono punto; anzi chiesero di mangiare e bere, e varii caffè. I confortatori fecero inutili sforzi per convertirli, ed in tale contumacia furono tradotti al patibolo.

Dodici tamburi dovettero di continuo battere per confondere, col loro suono, le orrende bestemmie che, lungo la strada, profferirono, e il canto della nota canzone: «Chi per la patria muore, vissuto ha assai — Bello incontrar la morte gridando libertà».

Il primo di essi, senza voler entrare nella conforteria, ascese il palco festevole, e, colà giunto, si pose a ballare, all’usanza romanesca, gridando: Viva l’Italia, viva la repubblica, morte ai preti, forti compagni.

Il secondo, similmente impavido, rinnovò le stesse declamazioni, terminando col dire che moriva per sostegno dell’Italia.

Il terzo poi, giunto sul palco, si pose a fare una calorosa apostrofe ai cadaveri dei suoi compagni con indescrivibile freddezza encomiando il loro eroismo.

I confortatori concepirono qualche speranza di ravvedimento per quest’ultimo, imperciocchè, [p. 282 modifica]appressatogli il Cristo, lo baciò reiterate volte; ma conchiuse coi dire che egli ed i suoi compagni amavano Cristo perchè anch’esso era repubblicano.

Il Rambelli chiese di abboccarsi col detenuto politico Ruspoli; ma gli si negò.

Nella notte dal 25 al 20 corrente furono affissi, in varii punti remoti della città, diversi esemplari manoscritti, contenenti le seguenti parole:

«Il Governo dei preti tiranno massacra i veri seguaci della Repubblica».


10 Febbraio. — Nelle ore pomeridiane del giorno 8 corrente, vigilia dell’anniversario della repubblica romana, a porta del Popolo furono sorpresi due individui con alcuni pacchi di stampe mazziniane, impresse probabilmente in qualche stamperia clandestina, nelle vicinanze di Roma, per affiggersi nella notte.

Nella mattina seguente, ciò non pertanto, si trovarono affisse poche linee di niun interesse, allegoriche alla circostanza e di ricordo ai seguaci della medesima. Sotto si leggeva: «Dalla stamperia nazionale».

Nella notte s’intese anche qualche piccolo sparo.

Nella sera, nel teatro di Tordinona, furono sparsi alcuni foglietti, dove si leggeva Viva la Repubblica.

Nella sera del giorno 9, ad un’ora e mezza di notte, sulla piazza degli Orfanelli, fu ucciso proditoriamente, con una stoccata al cuore, un Andrea Conti, bandista nel concerto dell’artiglieria pontificia. L’assassino resta totalmente ignoto.

[p. 283 modifica]Si crede per spirito di parte, tanto più che godeva fama di spione.


17 Marzo. — Nei decorsi giorni si trovò affisso per Roma il seguente scritto satirico:

«Gasperone2 comanda
» Galli pulisce
» Il popolo languisce
» Accidenti a quando finisce!»

Susseguentemente si parlò d’altra satira che è la seguente:

«Pasquino, dopo aver studiato varii mezzi per sentire il meno possibile l’attuale carestia, suggerì a Martorio di far uso dei così detti strozza preti, unica minestra adattata alle circostanze attuali».

Ai 24 corrente il tribunale della Consulta incomincerà a discutere il processo dell’assassinio di Rossi, accaduto ai 15 novembre 1848. Vi sono in carcere 16 individui, rei di essersi trovati nel crocchio dove il Rossi fu ucciso. Il fisco pretende che tra questi sia l’esecutore materiale, ossia il feritore.

Sembra, d’altronde, che i principali autori della congiura siano fuggiti.


21. — Il comm. Camillo Jacobini mori di pleuritide nel dì 17 corrente.

Come si disse, il Jacobini lasciò memoria di molta onestà.

Pasquino, a proposito di ciò, disse con Martorio, che gli sembrava incredibile la morte del Jacobini.

[p. 284 modifica]Marforio rispose essere cosa provata che senza mangiare si moriva. Jacobini era quello che tra i ministri non mangiava, e per conseguenza era morto.

Allora Pasquino conchiuse che sarebbe stata una vera provvidenza se, invece del pulcino, tosse crepato il gallo ben satollo.

Allude al pro-ministro Galli e al defunto Jacobini, ch’era piccolissimo di statura.

Il Jacobini mori dopo le ore 6 pomeridiane del giorno 17 corrente, in età di 62 anni.

Nella prossima estrazione uscì tutto il terno, cioè: 6, 17, 62.

Il pro-ministro delle finanze, inquieto di questo, voleva citare il defunto per tentato danno al pubblico erario, e dichiarava di essere bene scandalizzato del suo collega, che, dopo morto, facesse ciò che egli avrebbe soltanto fatto finché viveva.

È uscita altra satira, relativa alla morte di Jacobini, ministro dei lavori pubblici, che verificò il nuovo braccio del palazzo delle Finanze che si è costruito.

Il signor Ministro approvò il tutto, e, per conseguenza, non mancando altro che di pagare, così prega che sollecitamente gli sia mandato il proministro delle finanze.


1° Aprile. — Martorio, impaziente di conoscere qualche deliberazione sulla carica vacante del ministero del commercio, interpellò Pasquino.

Questi rispose che Galli si manderà ai lavori pubblici a forza, e che si sta cercando un galantuomo per le finanze.

[p. 285 modifica]A monsignor Delegato di Rieti venne inviata una lettera, a nome della Direzione generale di Polizia, con bollo d’ufficio, nella quale gli si partecipava, confidenzialmente, che, dalle carceri di Roma erano fuggiti sette ladri, e che vi era fondato sospetto che sarebbero passati da Rieti con due carrozze, per recarsi nel vicino regno di Napoli. Perciò lo pregava d’invigilare e farli arrestare, acchiudendosi, per ogni buon effetto, i connotati personali.

Monsignor Delegato diede le opportune disposizioni ed infatti giunsero le due carrozze coi sette individui, corrispondenti ai connotati, ed i gendarmi li arrestarono.

Questi rimasero sorpresi, e palesarono all’istante i loro, nomi, ed erano Galli, pro-ministro delle finanze, l’architetto. ed altri, detti volgarmente soci della Lega Lombarda.....3.


8. — Da varii giorni il tribunale della Consulta si occupa dell’esame del processo relativo all’assassinio del conte Pellegrino Rossi.

Questa mattina, dicesi, proferirà la sentenza.

I carcerati sono 16, e si crede, generalmente, che tra questi saranno condannati a morte Luigi Grandoni, mercante di campagna, romano, già militare, e direttore della esecuzione nell’assassinio, e Sante Costantini di Foligno, scalpellino, militare nel 1848, ed esecutore materiale, ossia feritore. [p. 286 modifica]Risulta che quest’ultimo venne portato in trionfo dalla setta per il felice risultato e mostrò il pugnale, ancora insanguinato, nel pranzo fatto poco dopo consumato il delitto.

Fra i molti compromessi sonvi due fratelli Facciotti, ebanisti ed un Ruggero, colonnello, ex-gendarme napoletano.


15. — Nel processo del conte Rossi la sentenza non è ancora proferita.

Si dice che il Costantini, accusato di essere esecutore materiale, vedendosi convinto, abbia fatto importanti rivelazioni sperando grazia.

I giudici dovettero, perciò, fare ulteriori indagini e la sentenza è differita a dopo le vacanze di Pasqua.


6 Maggio. — La sentenza del processo di Rossi non si conosce legalmente dal pubblico. Si assicura, però, che furono condannati a morte Sante Costantini di Foligno, come esecutore materiale, e Grandoni, romano, come direttore del colpo, tre alla galera in vita, due a 20 anni, altri per tempo minore e sei in libertà provvisoria.

Ai 16 corrente la sentenza sarà esaminata nella revisione.


17. — La sentenza degli assassini di Rossi è tuttora sul tavolino del Papa.


22 Giugno. — I cortigiani del Papa, di servizio in una delle ultime anticamere, raccontano che il S. Padre, nell’uscire il pro-ministro Galli, si era [p. 287 modifica]talmente alterato che anch’egli, senza avvedersene, passò nella contigua camera declamando contro i suoi ministri, conchiudendo che un giorno o l’altro li avrebbe cacciati via tutti.


30. — Nella notte dal 27 al 28 furono gettate alcune materie incendiarie alla polveriera pontificia, presso porta S. Paolo. Gli autori restano ignoti.

Si parla molto dello stato deplorabile in cui fu ridotta l’amministrazione degli ospedali e specialmente quello di S. Spirito.

Sembra che il Papa, disgustato di tali risultati, prendesse il temperamento di togliere il cardinale Morichini e nominarvi un prelato, siccome fece con monsignor Ferrari, sperando da questo una più regolare ed utile direzione.


1° Luglio. — Grandoni, romano, uno dei condannati a morte nel processo del conte Rossi, alle ore 7 antimeridiane del giorno 30 giugno, mediante un fazzoletto di seta, raccomandato al catenaccio della finestra, si appiccò.

Il di lui cadavere, nella notte susseguente, fu asportato presso il vicolo delle Serpi e sotterrato con calce viva, presso gli ultimi tre politici morti impenitenti.


22. — Nella mattina dei 22 venne decapitato, alla Bocca della Verità, Sante Costantini di Foligno, di anni 28, scultore, prevenuto di omicidio, per spirito di parte, a danno del conte Pellegrino Rossi.

[p. 288 modifica]Quello sciagurato cercò di suicidarsi precedentemente col non prendere cibo per circa tre giorni.

Nella sera precedente aveva luogo un assembramento, composto di alcune centinaia di persone sulla piazza di S. Carlo al Corso, allo scopo di fare una dimostrazione in favore del condannato.


25. — L’assembramento che, nella sera dei 21 corrente, era di già composto di alcune centinaia di persone sulla piazza di S. Carlo al Corso, aveva lo scopo di fare una dimostrazione al generale francese onde intercedesse dal Sovrano la grazia al Costantini. Il colonnello Nardoni, con un uffiziale, dissipò facilmente quella inconsiderata riunione, prima che 400 gendarmi giungessero sul luogo per disperderla.

Le sentenze affisse per la città, come di consueto, dando luogo a commenti, d’ordine della Polizia, nella notte dal 23 al 24, furono tutte lacerate».


Relazione del giustiziato Costantini, 25 luglio 1854:

«La Polizia prese, nella sera scorsa, varie ed energiche misure di precauzione sul supposto che potesse aver luogo qualche dimostrazione in favore del Costantini.

» Alle ore 9 pomeridiane, fu intimata al Costantini la sentenza di morte. Egli l’apprese con tutta fermezza e chiese di leggerne il tenore.

» Domandò un sigaro ed un caffè; quindi, con istraordinario sangue freddo, la lesse, e, terminatala, disse: «Sta bene». Poscia, voltosi ai confortatori, [p. 289 modifica]li congedò dicendo che, essendo irremovibile nel non volersi convertire, la loro opera si rendeva inutile.

» Alle 5 e mezza del 22 fu tradotto alla conforteria. Lungo la strada si mostrò ilare e tranquillo e fermo nel suo proposito.

»Un mezzo squadrone di cavalleria, che precedeva il convoglio, disperdeva, nel passare, qualsiasi riunione. Giunto al patibolo, lo guardò sorridendo e gridando a tutta voce: Viva la repubblica.

» Subì la morte alle ore 6 ed un quarto».


5 Agosto. — Anche in Roma assicurano che vennero sequestrati, opportunamente, i proclami mazziniani, il che permise alla Polizia di adottare misure preventive onde distogliere qualche incauto, che si mostrava al pubblico con striscia di lutto sul cappello di paglia bianco.

Il tema giornaliero è il còlerà e non la politica.

Quindi tutti sono occupati dei preservativi, dei bollettini, che sono sempre incerti.

I sacerdoti di Roma, che furono invitati per l’assistenza ai colerici si ricusarono; si dovette ricorrere ai religiosi.


12. — Il Papa disse col dottor Carpi che il vero còlera era nelle finanze.

Alcuni volevano rimproverare il medico, perchè non aveva suggerito di far rinchiudere nel Lazzaretto il pro-ministro.

Anche Pasquino, desideroso di provvedersi di qualche preservativo pel contagio, domandò a Marforio dove si vendesse l’aceto dei sette ladroni.

[p. 290 modifica]Questi gli rispose che andasse dal ministro Galli che ns aveva la privativa.

Stampa clandestina affissa dai sediziosi la notte dal 21 al 22 settembre 1854:


«Romani!

«Quarantanni decorrono che la misera Italia si dibatte nella guerra feroce tra Popolo e Re, carceri, esilio, martirii e morte, non mancarono a propagare la causa.

» Ministri di simile infamia ne avemmo per lo passato.... molti, ma esecrandi come ora, mai!

» Il 15 agosto 1853 fu èra di novello assassinio.

» Roma viene ora a conoscere a quale orribile condanna soggiacciono dei sventurati di niuna colpa rei.

» Tempo è oramai di cessare da tanta infamia. L’occhio di un popolo veglia su voi, o giudici venduti alla pretesca rabbia.... Che ognuno di voi tremi sul venire di un giorno. Condannare l’innocente saria il colmo della miseria.

» Immaginate con l’idea, se potete, un giorno di popolare rivincita: Roma sel ricorda».


25 Novembre . — Il pro-ministro delle finanze, Angelo Galli, fu invitato ad emettere la rinunzia al portafoglio. Subentrerà al medesimo, in qualità di tesoriere, monsignor Ferrari, commendatore di S. Spirito, che ebbe di già il biglietto.

[p. 291 modifica]Sembra che monsignor Ferrari non voglia accettare se prima il Galli non avrà consegnato il rendiconto della sua gestione.


9 Dicembre. — Pasquino, allorché intese la nomina di monsignor Ferrari, commendatore di Santo Spirito, al ministero delle finanze, disse che dallo ospedale di S. Spirito era passato agli Incurabili.







Note

  1. La uccisione di questi e di altri preti avvenne tra gli ultimi di aprile e i primi di maggio. Non occorre dire che tali atti ebbero la disapprovazione dei liberali, e del Governo della repubblica.
  2. Antonelli.
  3. Società della Lega Lombarda chiamavansi in Roma alcuni che s’erano arricchiti a danno dello Stato.