Diario di Nicola Roncalli/1862

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25 Gennaio. — Nella notte dai 17 ai 18 corrente, vigilia della ricorrenza della cattedra di S. Pietro, i soliti promotori delle dimostrazioni papaline affissero varie iscrizioni in ossequio al Papa e promossero una dimostrazione con inviti a stampa.

I liberali, per contrapposto, nella notte precedente, attaccarono diverse bandiere tricolori, due delle quali, grandi, in Borgo e alla Trinità dei Monti, non che motti italici, in grandi caratteri a stampa.

Nella sera successiva, poi, incendiarono varii bengala tricolori nella via del Corso e piazza Colonna.

Pressoio Convertite, nella stessa sera del 18, un Balmas, guardia Palatina, promosse un grido di «Viva Pio IX, pontefice e re».

I gendarmi francesi lo arrestarono ed il popolo applaudì all’arresto, e, tra gli applausi, furono accompagnati sino al quartiere di S. Silvestro.

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1° Marzo. — Il Comitato nazionale romano diramò ordini stampati, in data dei 20 febbraio, coi quali invitò i cittadini ad astenersi di andare per il Corso durante il carnevale e di recarsi, invece, a passeggiare al Foro Romano.

Difatti, nei primi quattro giorni vi fu in Corso pochissima gente, otto o dieci carrettelle soltanto ed i liberali si riunirono a passeggiare al Foro Romano.

Nel giovedì grasso, favorito da tempo magnifico, per il Corso vi fu maggior concorso con qualche maschera del basso popolo e circa 30 carrozze, delle quali alcune con zuavi mascherati, ma minore assai degli anni precedenti.

All’opposto, la moltitudine dei dilettanti a piedi, in carrozza ed a cavallo al Foro Romano si calcolò a 15 mila persone, altri dissero 30 mila1.

[p. 466 modifica]Naturalmente, fu colà inviata molta truppa con pattuglie di cavalleria.

I gendarmi, volendo impedire ad alcune signore emblemi di Savoia, di cui erano ornate, dai Francesi furono fatti allontanare, ed allora si applaudì a quelli e si fischiò strepitosamente agli altri.

Al cadere del giorno, la turba attraversò il Campidoglio e pervenne alla piazza del Gesù, dove tranquillamente si disciolse (1).

Intanto, incontrò qualche maschera con quattro zuavi, e li salutò con fischi ed urli infiniti. La stessa sorte toccò al cardinale Altieri mentre rientrava nel suo palazzo.

II generale de Goyon, sospettando che i passeggiaci al Foro Romano, ieri, venerdì (vacanza di carnevale), andassero per il Corso, presi concerti colla Polizia, alle 3 pomeridiane, lo fece occupare da varii battaglioni, ed i soldati, fino a mezz’ora di notte, impedivano il passaggio tanto alle carrozze, quanto ai pedestri, permettendo a stento il tragitto da una strada all’altra.

Nelle piazze si formarono forti depositi di truppa, e numerose pattuglie ne perlustravano le adiacenze.

La tranquillità pubblica non fu menomamente turbata; una tale misura destò generale ilarità, e presentava un bello spettacolo la lunga via del [p. 467 modifica]Corso sgombra totalmente di persone, i cui numerosi bottegai si videro costretti a chiudere i loro negozi rendendola così più deserta.


Ecco il proclama del 20 di febbraio:

«Romani,

«Il Governo Pontificio vuole che Voi diate spettacolo di Voi stessi nel prossimo carnevale, frequentando il Corso e i Festini; per aver nuova occasione di mentire e di ripetere che Voi siete felicissimi di essergli sudditi. Ma il Governo Pontificio non troverà certo fra i veri figli di Roma chi si presti a dar colore di verità all’impudente menzogna.

» Mentre la sua ostinata cupidigia di potere toglie ancora a Roma quella prosperità onde sarà lieta la capitale d’Italia, mentre tante oneste famiglie piangono ancora i loro cari quale in esilio, quale in carcere, quale privato d’impiego da una trista censura; mentre di queste vittime s’accresce ogni giorno il numero; mentre invece di dar pane al popolo si scialacqua il denaro per riordinare il brigantaggio borbonico, il Governo Pontificio c’invita a far baccanali perchè l’Europa ci creda o stupidi o contenti, e lasci così prolungare la nostra sciagura. È una amara derisione: e il popolo romano tollera con dignità i propri mali, ma non si lascia deridere.

»Il Corso ed i Festini saranno frequentati dai Borbonici che attendono la nuova stagione per tornare agl’incendii ed alle rapine del brigantaggio, da’ Zuavi e da sgherri ai quali De-Merode permette di mutar tante fogge di vestiario quante son le comparse ch’e’ debbono fare; da quegli impiegati o [p. 468 modifica]pusillanimi o disonesti o ignoranti che temono più un occhio bieco de’ loro attuali padroni che non l’avvenire delle loro famiglie; dal servidorame prelatizio e dagli affigliati dei Gesuiti che in grazia del poter temporale hanno convertito oggi in indulgenza quello che prima vietavano come peccato. A tutti farà la spesa l’obolo di S. Pietro, e il prestito de’ cinque milioni che l’onesto Borbone va ora emettendo in cartelle da 100 franchi stampate a Roma colla data di Gaeta: prestito così immorale che certo il Governo Italiano non sarà mai sì stolto da riconoscere.

» Romani! lasciate pure che frequenti il Corso ed i Festini chi si sente degno di sì nobile e scelta compagnia! Per chi ama il proprio decoro; per chi sente all’altezza delle sorti che la Provvidenza ha riserbato all’Italia e alla sua Capitale, l’antico Foro di Roma ed ogni altro luogo dove sono memorie della nostra antica grandezza offre gioie degne di lui. Là ricordando quanto furono grandi i nostri maggiori ha d’onde rallegrarsi il vero cittadino di Roma, poiché vi trova le ragioni del vicino nostro risorgimento dopo tanti secoli di sventure.

»Viva il Pontefice non Re.

»Viva Vittorio Emanuele II Re d’Italia.

» Roma, 20 Febraro 1862.
» Il Comitato Nazionale Romano2».

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4. — Nelle ore pomeridiane dei 4 corrente, il Papa si recò a visitare la chiesa del Gesù, secondo il consueto.

Lungo la strada, i soliti plaudenti gli fecero dimostrazione di applausi, cioè «Viva Pio IX, pontefice e re».

Si aggiunse qualche grido di «Morte a Vittorio Emanuele».

Il S. Padre, al sentire un tal grido, disse: «Questo poi è troppo».


8. — Il cardinale fischiato, nel giorno 27 di febbraio, non fu il cardinale Altieri, come si scrisse nel precedente numero; ma bensì il cardinale Patrizi, il quale, uscendo dalla casa di Tor de’ Specchi, attraversava la piazza di Aracoeli mentre la turba di Campo Vaccino discendeva dal Campidoglio recandosi alla piazza di Gesù.

[p. 470 modifica]Nella sera dello stesso giorno, monsignor De Merode, ministro delle armi, per mezzo del capitano Eligi dei gendarmi, fece procedere all’interessante arresto di Venanzi, dovizioso fornaio, al quale furono trovate molte carte rivoluzionarie tra cui:

      Corrispondenza politica coll’estero,

      Minute di articoli inseriti nei giornali,

      Un protocollo,

      Nota di circa 7000 individui, che si presume copia delle sottoscrizioni agli indirizzi mandati, nell’anno precedente, a Napoleone III e Vittorio Emanuele.

Il Venanzi confessò apertamente di essere il segretario del Comitato nazionale romano, ma che non avrebbe, ad alcun costo, rivelato i membri3.

Vennero eziandio arrestati altri individui non solo dei compromessi col Venanzi, ma eziandio di coloro che andarono alla passeggiata del Foro Romano, tra cui i mercanti di campagna:

De Angelis e
Gualdo,

[p. 471 modifica]non che

Materiali Achille, antiquario,
Manselli Stefano, portiere del Venanzi4.


12 Aprile. — Ai 7 corrente, i Francesi stanziati a Palestrina arrestarono 32 individui avviati verso il confine napolitano.

Trovarono che ciascuno di essi era possessore di sei ducati, che dissero di aver ricevuti in Roma da un prete per andarsi ad arruolare alla banda di Chiavone.

Francesco II fece distribuire ad alcuni militi francesi decorazioni per mezzo del generale Goyon.

Altre ne inviò Vittorio Emanuele per alcuni che si erano distinti in fatti d’armi con i reazionari.

Si dice che il generale Goyon respinse queste ultime.

Si aggiunge da alcuni che sui primi della caduta settimana, mediante ordine dell’imperatore, il generale abbia dovuto ritirare dai diversi suoi soldati le decorazioni di Francesco II e distribuire, invece, quelle di Vittorio Emanuele.

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24 Maggio. — Si lavora per apparare la Chiesa di S. Pietro con disegno dell’architetto Poletti.

I grandi archi della nave di mezzo e della traversa si restringono con due altre colonne di tela, dipinta a marmo giallo, e sopra di esse vi sono architravi che sostengono i quadri rappresentanti le gesta dei Santi, con analoghe iscrizioni.

Dagli architravi pendono tendoni di velluto rosso in cotone, provveduto a Lione, nella quantità di cinquemila metri.

Le pareti della chiesa sono coperte di carta dipinta a giallo antico.

Avanti le statue dei fondatori si collocano altissimi candelabri con grandi piedistalli triangolari 5.

Risulta da tutto ciò che il vastissimo tempio, dovizioso di preziosi marmi, diviene impiccolito e deturpato da carte, di modo che è generale la critica contro il disegno.

Pasquino, essendo di già andato a vedere i preparativi, riferì a Marforio: «Incartano S. Pietro perchè il Papa parte».

Del resto, il preventivo della spesa è di scudi sessanta mila.


24. — Nulla si conosce di preciso sul ritorno a Roma dell’ambasciatore francese La Vallette.

[p. 473 modifica]Intanto, si parla di una protesta del nostro Governo all’imperatore dei Francesi per il seguente motivo:

I liberali avrebbero ideato di fare una grande dimostrazione all’arrivo dell’ambasciatore, la quale sarebbe protetta dalla guarnigione.

Se così fosse, il Papa minaccerebbe di abbandonare Roma.


31. — Ai 22 vi fu Concistoro semi-pubblico.

II Giornale di Roma riferì che il Papa indirizzò al Sacro Consesso infuocate e commoventi parole.

Naturalmente, tutti cercarono di sapere quali fossero state, e, generalmente, si assicura che S. Santità, in sostanza, abbia detto:

«Raccomando a tutti di celebrare una messa secondo la mia intenzione. Questa è per la conversione di un vostro collega che non nomino; ma tutti comprendete chi sia6. Forse questa è l’ultima volta che posso parlarvi liberamente ed in seguito forse non potrò più favellarvi os ad os e neppure corrispondere per iscritto».

Tutti furono agitati ed alcuni cardinali si affrettarono di chiedere al Segretario di Stato, che trovavasi presente, se vi era qualche cosa di nuovo.

Egli assicurò non esservi alcuna novità spaventevole.

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7 Giugno. — Ai 5 il vescovo di Tulle predicò al Colosseo e parlò de omnibus rebus et de quibusdam allis.

In fine della predica si gridò: «Viva i preti, viva la Francia» ed alcuni: «Viva Pio IX, Pontefice e re».

I cardinali, vescovi, presenti in Roma fino al giorno 4 sono 302.

Immenso poi è il numero di preti francesi e spagnoli. Tutti si vestono e si trattano colla più grande semplicità.

Alcuni di questi declamarono pubblicamente sul lusso del clero romano, laddove si era fatto creder loro che vivessero meschinamente.


28. — Nella sera dei 23 corrente partì il reggimento 62° di linea francese alla volta di Civitavecchia e Parigi, quello appunto che si distinse nella battaglia di Solferino e che conserva la bandiera tutta crivellata da palle.

Alla piazza di S. Pietro, e fuori di porta Cavalleggeri, furono abbracciati e salutati da una moltitudine di Romani, e così fraternizzarono clamorosamente tra i bicchieri, alle grida di «Viva la Francia, viva l’Italia, viva Vittorio Emanuele».

Nella mattina dei 24, anniversario della battaglia di Solferino, si trovarono attaccate per la città, col solito mezzo della creta, migliaia di bandierette tricolori in cotone ed una immensità d’iscrizioni, a grossa stampa, della grandezza di un foglio comune, in cui si leggeva «Viva i prodi di Solferino, viva Roma capitale d’Italia e sede del Cattolicismo, viva [p. 475 modifica]Vittorio Emanuele II re d’Italia al Campidoglio, viva la Francia, alleata dell’Italia».

Più, si lanciarono ai muri boccette di vernice liquida con i tre colori nazionali, che, infrangendosi, lasciarono una lunga e quasi indelebile traccia.


12 Luglio. — Nella sera dei 6 corrente furono accesi in molti luoghi di Roma, e specialmente per il Corso, fuochi di bengala, in dimostrazione giuliva del riconoscimento del regno italico, fatto dalla Russia.


29. — Proseguono dimostrazioni di gioia per parte dei liberali onde festeggiare il riconoscimento del governo italico della Prussia.

Nella sera dei 19, presso Colonna Traiana, vi furono bengala a tre colori.

Nella mattina dei 20 si trovarono iscrizioni sui muri di «Viva Vittorio Emanuele», non che l’impronta a vernice dei tre colori.

Nello stesso giorno, presso S. Andrea della Valle e Pozzo delle Cornacchie, si spararono grossi petardi.

All’una pomeridiana dello stesso giorno, a piazza Colonna ed a Monte Citorio, a ridosso del palazzo, si esplosero due grandi botti che sembrarono due colpi di cannone ed intimidirono gli impiegati della Polizia che erano in officio.

Altri simili ne furono esplosi in piazza di San Silvestro, ai Pastini, a Campo Marzo.

Nella sera vi furono altre esplosioni e fuochi di bengala.

[p. 476 modifica]Gli organi del Comitato nazionale dicono che gli spari furono 101.

Nella sera dei 22, circa l'Ave Maria, presso la piazza della Maddalena, dove era l’esposizione del Santissimo, si sparò un forte petardo che danneggiò lievemente il muro.

A 23 ore dello stesso giorno, a S. Marco, se ne esplosero altri due fortissimi.


2 Agosto. — Al Vaticano si riflette che in Sicilia, nell’Alta Italia e nel Parlamento circolano voci di scisma.

I palatini dicono che il Papa ne è afflittissimo.


9. — Nella sera del 1° corrente vi furono, per la città, varii fuochi di bengala.

Nella mattina dei 2 fu trovata una bandiera tricolore al palazzo di Venezia colla iscrizione «Fuori lo straniero; libera proprietà di Vittorio Emanuele».

Nella sera altri fuochi di bengala.

Nella mattina dei 3 si trovarono coccarde attaccate allo stabilimento del S. Monte di Pietà.

Nello stesso giorno fu inalberata una grande bandiera sul monte Testaccio.

Nelle ore pomeridiane si videro due cani per il Corso e via Condotti, col manto bianco e giallo, aventi sulla testa cappellini da prete ed un buzzico di latta alla coda.

Nelle ore pomeridiane e nella sera vi furono numerosi botti, bengala a Ripetta, piazza Barberini, via della Croce, delle Carrozze, ecc.

[p. 477 modifica]Nella sera dei 4, altri botti a piazza Colonna Traiana.

Nella sera dei 6, altri botti a Monte Citorio e piazza Sciarra.

Si arrestarono, come responsabili o sospetti, circa 16 individui.


23. — Le carceri politiche di S. Michele (dove sono 500 detenuti) essendo piene, si aprì un nuovo braccio alle carceri nuove, dove di già ne furono portati circa un centinaio.

Gli arresti politici proseguono e, benché nulla si provi a loro carico, si adotta la massima che quelli che non sono Romani debbano rimpatriare.


16. — Il Comitato nazionale romano, ai 12 del corrente, pubblicò un proclama, raccomandando la pazienza e la tranquillità, poiché i destini della Italia, in ogni modo, sarebbero compiuti.

La Polizia arrestò molti individui, i quali si trovarono possessori di tali proclami.

Nella mattina dei 15, furono fatte volare varie palombelle, aventi sulla coda i nastri a tre colori.

Se ne fermarono alcune sulla piazza di S. Andrea della Valle, della Sapienza, al palazzo Melchiorri.

Ecco il proclama del Comitato nazionale romano:

«Romani,

«Il Re d’Italia ha parlato. Egli ha rivendicato per se il diritto di chiedere all’Europa giustizia intiera per la Nazione: egli ha promesso che quando [p. 478 modifica]l’ora del compimento della grand’opera sarà giunta, la sua voce si farà udir di nuovo tra noi. Fidiamo nella sua parola. Quando il primo soldato d’Italia parla d’indugio, noi possiamo aver fede che se questo è ancora necessario, sarà però breve — e sarà l’ultimo.

» Romani! Più che ad ogni altra città italiana, a Venezia ed a Roma toccò lunga ed acerba la prova della sventura. Ma che questa non abbia domo il vostro coraggio; che abbia ritemprato in voi la maschia virtù del perseverare nei forti propositi, la virtù che sopra tutte ingigantì gli avi nostri, ben lo dicono all’Europa le migliaia de’ nostri fratelli che in carcere o in esilio pagano già da gran tempo il loro tributo di amore all’Italia. Lo dicono altresì quegli indirizzi che di fronte alle minaccio e alle furie pretesche firmaste, or fa un anno, affermando altamente i vostri diritti al Re e all’Imperatore de’ Francesi; lo dicono le 500 nuove famiglie che, dopo quell’epoca, dovettero subire perquisizioni violente o alcuno de’ loro cari imprigionato o esiliato; lo dicono infine le cento dimostrazioni, e più di tutte, quella del Carnevale che obbligò il ministro Billault a confessare solennemente nei Senato Francese che per esso i Romani avevano detto abbastanza, e che il giorno in cui l’armata francese lasciasse Roma, una insurrezione sanguinosa la renderebbe all’Italia.

» Forte del diritto della Nazione e di questi fatti che attestano al Mondo qual sia la forza che vieta a Voi di esercitare il vostro, la voce del Re tuonerà [p. 479 modifica]in Europa reclamando giustizia. Noi crediamo che sarà ascoltata. Che se noi fosse, voi avrete esaurite tutte le prove di saggezza civile che possano chiedersi ad un popolo, perchè si mostri degno de’ suoi alti destini. E chi sarà allora che oserà di tacciare l’Italia e voi di avventatezza se prenderete soltanto consiglio dalla disperata situazione che una ostinata prepotenza ci volesse imporre?

» Romani! noi non dobbiamo dirvi: preparatevi, poiché vi sappiamo già pronti. Noi vi diciamo anche una volta: frenate per poco le giuste ire vostre e la vostra naturale fierezza. Mostrate anche una volta al Mondo che voi siete capaci di dominare voi stessi.

»Noi, lo ripetiamo, abbiam fede che l’ora della giustizia sia vicina a suonare. Ma se la voce del Re vi dica che fu impotente ad ottenerla, voi mostrerete all’Europa che il popolo romano è ben degno di essere il popolo della capitale d’Italia, voi proverete anche una volta che se sapeste usare il senno di Fabio, vi è più facile ricordare che scorre nelle vostre vene il sangue di Decio e di Camillo.

» Viva l’Italia — Viva il Re Vittorio Emanuele.

» Roma, 12 agosto 1862.

» Il Comitato Nazionale»7.


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1° Settembre. — Nella mattina dei 30 di agosto un inviato austriaco chiese solennemente la mano della principessa Maria Immacolata di Borbone per l’Arciduca.

Nelle ore pomeridiane dello stesso giorno giunse in Roma il dispaccio elettrico della disfatta e prigionia di Garibaldi.

La notizia tosto si diffuse per la città e fu accolta con piacere dagli amici dell’ordine e con dispiacere dai faziosi repubblicani e reazionarii.


20. — Il teologo Stellardi, cappellano del re di Italia, venuto a Roma per la dispensa matrimoniale della principessa Maria Pia col re di Portogallo, ebbe tre udienze dal Papa, e fu ricevuto sempre con tutta cortesia. Nell’ultima, il S. Padre gli consegnò una lettera per la sposa, con un pacco. Alcuni dicono che contenga un diadema8.


4 Ottobre. — Nella mattina dei 27 settembre, giorno del matrimonio della principessa Pia col re di Portogallo, alcuni sedicenti deputati del Comitato italiano romano, dell’Università e del popolo romano presentarono al ministro di Portogallo tre grandi mazzi di fiori, ornati con ricchi nastri a tre colori.

Nella sera si accesero fuochi di bengala in varii luoghi della città, uno di questi sul ponte Sant’Angelo; due trasparenti: l’uno incontro al palazzo Caserta, l’altro sulla riva opposta di Ripetta, di contro alla fabbrica nuova del Governo.

[p. 481 modifica]Era alto una canna e largo 12 palmi. Vi erano due bengala ed un gran botto preparato per esplodersi, e vi si leggeva: «Viva Vittorio Emanuele re d’Italia, viva il re di Portogallo».

La Polizia se ne accorse e lo fece togliere.

Al teatro Argentina, dopo il primo atto di musica, dal 4° ordine, furono gettati circa un centinaio di fogli a stampa, tricolori, contenenti una epigrafe in onore della principessa Pia.

Questa era del tenore seguente:

Esultate o Nazioni
Germe fecondo della Gran Madre Latina
Il nodo solenne che avvince
Luigi I Re dei Lusitani
A Maria Pia di Savoia
Figlia diletta
Di Vittorio Emanuele II
Liberatore e Re d’Italia
Restringe i vincoli a noi comuni
D’origine di civiltà di gloria.

Nell’eroica terra dei Camoens e dei Gama
Vanne felice o giovinetta reale
T’accompagnano i voti dei popoli
Dall’invitto tuo padre
Tornati in forza ed unità di Nazione
Dopo secoli di patito servaggio.
Roma
Nell’augurarti costante prosperità
E letizia di prole generosa
Trova conforto all’oppressione
Imposta e mantenuta
Da soverchiante forza straniera.


Note

  1. Ogni condizione di cittadini prese parte a questa imponentissima dimostrazione. Vedevansi, tra la folla, i capi d’illustri famiglie romane, l’ambasciatore francese La Vallette e altri addetti alle ambasciate straniere, che vollero assicurarsi di persona dell’animo dei Romani. Gendarmi a piedi e a cavallo studiaronsi di far nascere disordini; ma i loro bassi sforzi trovarono insuperabile ostacolo nell’alto e innato senno di Roma. Questo, e l’accordo di tanti e illustri cittadini, per l’annessione al regno di Vittorio Emanuele e per la separazione della Chiesa dallo Stato (che tale era lo scopo della dimostrazione) rallegrò assai l’Italia e sorprese grandemente i Governi stranieri e il francese sovra tutti, onde il ministro Billault così ne parlò davanti al Senato francese: «A Rome, il y a deux jours, une manifestation silencieuse mais considérable s’est produite en face des nos soldats». E aggiunse: «La population de Rome, malgré qu’on en dise, malgré l’aveuglement incroyable du gouvernement romain, la population de Rome est dans un tel état d’effervescence que si le drapeau de la France n’ombrageait pas la tiare, la tiare serait immédiatement foulée aux pieds.... Ne nous le diasimulons pas: le jour où la France évacue et laisse le saint-père seul en face de ses peuples, le gouvernement temporel tombe et s’écroule» (Le Moniteur Universel, 4 mars, 1862, pag. 303).
  2. Avvenuta la dimostrazione al Foro, il Comitato publicò il seguente proclama:
    «Romani,
          «Colla dimostrazione di ieri al Foro Romano deste tal luminosa conferma dei vostri sentimenti, che avrà all’estero l’eco che si conviene. » A rompere quell’ordine veramente meraviglioso in sì gran moltitudine non mancarono le arti della polizia papale per dar pretesto ai vostri nemici di gridare non esser voi degni di quella lode di saggezza che la stampa d’ogni paese vi prodigava.
          » Il vostro buon senso deluse quelle arti: ma per impedire ai tristi d’intromettersi tra le nostre Ale, il Comitato Nazionale crede consigliarvi a non più riunire tanta massa di popolo in un sol luogo.
          » Roma offre luoghi bastanti per onesto diporto: seguitando dunque nell’astensione de’ divertimenti a voi estranei, portatevi in luoghi diversi senza attrupparvi, serbando ordine e tranquillità.
          » Il vostro contegno giudicato dall’Europa civile proverà che siete degni cittadini della Capitale d’Italia.
    » Roma, 28 Febraro 1862.

    » Il Comitato Nazionale Romano».

  3. Qui sbaglia il Roncalli e ce ne fornisce manifesta prova la stessa relazione fiscale, nella quale, a pag. 108 (607 del processo), leggonsi le seguenti parole: «Ha impugnata (l’inquisito Venanzi); la cognizione di qualsiasi qualifica, tanto più di esserne di alcuna investito».
          L’egregio patriota dichiarò apertamente (foglio 2489 del suo processo) «esser diretti i suoi desiderii e le sue azioni al solo intento che si accomodassero gli interessi della Chiesa con quelli della Nazione». E fu questo sempre il desiderio del Governo italiano e del Comitato nazionale romano che ne seguì e ne vide trionfare la politica.
  4. Pel processo contro il Venanzi e il Fausti, di iniquità senza esempio, come giustamente lo giudicò il Comitato nazionale romano, e con lui l’Europa civile, noi rimandiamo il lettore alla pubblicazione fattasi dal Comitato stesso col titolo:
          Le rivelazioni impunitarie di Costanza Vaccari Diotallevi nella causa Venanzi-Fausti ed altri documenti relativi, pubblicati con considerazioni e note dal Comitato Nazionale Romano. — Edizione popolare. — 1863.
  5. Cosi fu addobbato S. Pietro per la canonizzazione dei martiri giapponesi e del beato Michele de’ Santi. Delle feste che si fecero in quei giorni e dei due semi-publici Concistori, pei quali convennero in Roma molti prelati, fornisce ampia descrizione la Civiltà Cattolica. (Vol. 2° della serie 5, pag. 737 e segg.).
  6. Crediamo che con queste parole il Papa volesse alludere al cardinale De Andrea, già fin d’allora favorevole ad un accordo del pontefice col Governo italiano.
  7. Non abbiamo bisogno di ricordare al lettore che, in quei giorni, avvenne la malaugurata spedizione garibaldina che finì ad Aspromonte.
  8. Pio IX era stato padrino della principessa.