Didone abbandonata/Intermezzi

Da Wikisource.
Intermezzi

../Atto terzo ../Varianti IncludiIntestazione 5 luglio 2022 100% Da definire

Atto terzo Varianti
[p. 63 modifica]

INTERMEZZI


INTERMEZZO PRIMO

Dorina, poi Nibbio.

Dorina. Via sbrigatevi in fretta,
portate la spinetta e da sedere.
(escono due donne, che portano la spinetta con sopra diverse carte di musica, e due sedie)
Che pazienza ci vuole
con queste cameriere!
Sanno pur che a momenti
aspetto un impresario,
e lasciano ogni cosa in confusione
State attente al balcone
per farmi l’ambasciata,
ché intanto io rivedrò qualche cantata. (partono le donne)
Questa è troppo difficile:
questa è d’autore antico,
senza tremuli, trilli e appoggiature,
troppo contraria alla moderna scuola,
che adorna di passaggi ogni parola.
Questa è al caso... Chi vien? Fatelo entrare. (vedendo venire una delle due donne, che poi se n’entra)
Sará ben ch’io lo vada ad incontrare.
Nibbio. Mia signora Dorina, al suo gran merito
profondissimamente io mi rassegno.
Dorina. Son sua serva umilissima,
e a maggior complimento io non m’impegno.

[p. 64 modifica]

Nibbio. Forse di tanto ardire
si meraviglierá?
Dorina.  Mi fa favore.
Nibbio. Anz’io mi do l’onore
di farle di me stesso, o bene o male,
una dedicatoria universale.
Dorina. Star incomodo piú non è dovere:
sieda Vossignoria.
Nibbio. Con la sua compagnia
incomodo si resta in ogni loco:
si sta vicino a lei sempre sul foco. (siedono)
Dorina. (Che strano complimento!) Almeno io bramo
il suo nome saper.
Nibbio.  Nibbio mi chiamo,
canario di nazione,
e suo buon servitor di professione.
Dorina. Ella è molto obbligante.
Nibbio. Io faccio il mio dovere.
Deve dunque sapere
che un teatro famoso
nell’isole Canarie è stato eretto.
Io vengo a solo oggetto
di far la compagnia;
ed in particolar Vossignoria
ci dovrá favorir, quando non sdegni
la nostra offerta.
Dorina.  Ho quattro o cinque impegni;
ma vedrò di servirla, ove m’accordi
un onorario comodo e decente.
Nibbio. Io sono differente
da tutti gl’impresari,
e precipito a sacchi i miei denari.
Dorina. Dunque il nostro contratto
conchiuder si potrá.
Una difficoltá però mi resta.
Nibbio. Qual è, signora?

[p. 65 modifica]

Dorina.  E questa:
io la lingua non so di quel paese,
e non m’intenderanno.
Nibbio. Eh! non si prenda affanno.
il libretto non deve esser capito;
il gusto è ripulito,
e non si bada a questo:
si canti bene, e non importi il resto.
Dorina. Nell’arie io son con lei,
ma ne’ recitativi è un’altra cosa.
Nibbio. Anzi in questi potrá
cantar con quella lingua che le pare,
ché allor, com’Ella sa,
per solito l’udienza ha da ciarlare.
Dorina. Com’è cosí, va bene.
Nibbio. Or le sue pretensioni
liberamente palesar mi può.
Dorina. Voglio pensarci e poi risolverò.
          Nibbio. Risolva, e le prometto
          che avrá per onorario
          il cor d’un impresario,
          che, pieno di rispetto,
          modesto e melanconico,
          sempre d’amor platonico
          per lei sospirerá.
               Ci pensi e sappia intanto
          che nascono in quell’isole
          passeri che nel canto
          sembrano tanti Orfei;
          e la beltá di lei,
          se vien colá, mi creda,
          gran preda — ne fará.
Dorina. Ell’ha troppa bontá.
Nibbio.  Ma vuol ch’io parta
senza farmi sentire una cantata?
Dorina. Son tanto raffreddata...

[p. 66 modifica]

Nibbio.  Eh! non importa:
per dir un’aria sola
non bisogna gran fiato.
Dorina. Il cembalo è scordato.
Nibbio. Questo non le fará gran pregiudizio.
Dorina. Non sono in esercizio.
Nibbio. Qui canta per suo spasso.
Dorina. Non v’è chi suoni il basso.
Nibbio. Da sé non vuol sonare
per non farmi goder la sua virtú.
Dorina. Ella mi vuol burlare.
Nibbio. Eh! favorisca. (Io non ne posso piú.)
Dorina. Sonerò per servirla; (va alla spinetta)
ma resti in confidenza.
Nibbio. Non dubiti, signora. (Oh che pazienza!)
     Dorina. «Amor prepara»...
Nibbio. Oh cara!
     Dorina. ...«le mie catene»...
Nibbio. Oh bene!
     Dorina. ...«ch’io voglio perdere
     la libertá»...
Nibbio. Bel trillo in veritá!
Che dolce appoggiatura!
È un miracolo, è un mostro di natura.
     Dorina. ...«Tu m’imprigiona»...
Nibbio. Oh buona!
     Dorina. ...«di lacci priva»...
Nibbio. Evviva!
     Dorina. ...«no, che piú vivere
     l’alma non sa».
Nibbio. Da capo, in veritá.
Dorina. Signor Nibbio, perdoni
la debolezza mia.
Nibbio. Burla Vossignoria:
ha una voce pastosa
che sembra appunto un campanel d’argento;

[p. 67 modifica]

ed è miracolosa
nel divorar biscrome a cento a cento.
Dorina. Dal suo parlar comprendo
che di musica è intesa.
Nibbio.  Io me n’intendo,
però quanto è bastante
per picciol ornamento a un dilettante.
Dorina. Dunque non è dovere
ch’io non abbia a godere il gran vantaggio
di sentirla cantare.
Nibbio. Io l’ubbidisco e non mi fo pregare.
 (cava da saccoccia una cantata)
Dorina. Sará la sua cantata
di qualche illustre autore?
Nibbio. Son d’un suo servitore
e musica e parole.
Dorina. È ancor poeta?
Nibbio.  Anzi questo è il mio forte.
Ho una vena terribile,
tanto che al mio paese
feci quindici drammi in men d’un mese.
Dorina. Bella felicitá! Via! favorisca.
Nibbio. Non è mia professione, e compatisca.
 (va alla spinetta a cantare)
     «Lilla, tiranna amata,
     salamandra infocata,
     all’Etna de’ tuoi lumi arder vorrei»...
Noti, questa è per lei.
Dorina.  Grazie le rendo.
(Che testa originale! Io non l’intendo.)
     Nibbio. ...«Fingi meco rigore
     sol per prenderti spasso;
     so c’hai tenero il core,
     bell’ostreca d’amore, e sembri un sasso».
Che ne dice?
Dorina.  È un portento.

[p. 68 modifica]

La sua musa canaria
mi sorprende, o signor.
Nibbio.  Senta quest’aria.
Dorina. Non la voglio stancare.
Nibbio. Se avessi da crepare
io la deggio servir.
Dorina.  Grazie! (Che tedio!
Adesso ci rimedio.)
     Nibbio. «Perché, Lilla, perché
     così crudel con me»...
Dorina.  Che vuoi, Lisetta?
     (finge di esser chiamata, e va alla scena a parlare)
Nibbio. Disgrazia maledetta!
Dorina. Signor Nibbio, mi scusi,
deggio andare a un convito:
non s’aspetta che me; tutti vi sono.
Nibbio. Giusto veniva il buono.
Dorina. Pazienza! Un’altra volta
potrá farmi favore.
Nibbio. Ella perde il migliore.
Dorina. Sará disgrazia mia.
Nibbio. Senta, per cortesia, questa passata
piena di semituoni.
Dorina. Ma se non posso!
Nibbio.  Eh! via.
Dorina.  No, mi perdoni:
scusi la confidenza.
Nibbio. Pazienza!
Dorina. Giá so che mi perdona.
Nibbio. Padrona.
Dorina. Si lasci accompagnare.
Nibbio. Le pare?
S’Ella non entra in camera,
di qui non partirò.
Dorina. Per non tenerla incomoda,
dunque cosí farò.

[p. 69 modifica]

Nibbio. Io vado un poco a spasso,
ma torno adesso adesso.
Dorina. Se non la servo abbasso,
è per ragion del sesso.
Nibbio. Son servitor di casa.
Dorina. Rimanga persuasa
ch’io non ho tale idea.
Nibbio. Ma questa è sua livrea,
o che la voglia o no.

[p. 70 modifica]

INTERMEZZO SECONDO

Dorina vestita da teatro con sartori e cameriere, e poi Nibbio.

Dorina. Quest’abito vi dico che sta male:
da regina non è, non è alla moda:
un manto alla reale
deve aver dieci palmi e piú di coda.
 (in collera co’ sartori)
Nibbio. Mi confermo qual fui:
son qui con la cantata.
Dorina. (Ci mancava costui!) Serva obbligata.
Piú corta questa parte;
tantin piú, per favore.
 (alli suddetti, non guardando Nibbio)
Nibbio. Recita questa sera?
Dorina.  Sì signore.
Presto! presto! Che fate?
Un altro punto qui.
Nibbio. Fará la prima donna?
Dorina.  Signor sí.
Che manica storpiata!
Qui la voglio allargata:
in tutto ci si vede la miseria.
Nibbio. Credo che avrá materia
da poter farsi onore.
Dorina. (Che noia!) Sí signore.
Pare che lo facciate per dispetto.
Larga, larga, vi ho detto.
Che razza di sartore!
Nibbio. L’opera quanto dura?

[p. 71 modifica]

Dorina.  Sí signore.
Nibbio. (Che risposta!)
Dorina.  Partite,
levatevi di qui.
Lo porterò cosí per questa sera.
Nibbio. Ma certo che maniera
è questa di servire una signora?
Via, birbanti, in malora!
 (alli sartori, li quali partono scacciati)
(Cosí la finirá.)
Dorina. Mi creda, in veritá,
che non si può durare:
tutto da sé bisognarebbe fare.
Nibbio. Non gliel niego; ma poi
scorderá questa pena,
allor che su la scena
sentirá da’ vicini e da’ lontani
le sbattute de’ piedi e delle mani.
Dorina. Anzi appunto in teatro
son le pene maggiori.
Tanti diversi umori
a contentar si suda.
Uno cotta la vuole, e l’altro cruda.
          Recitar è una miseria
     parte buffa o parte seria.
     Lá s’inquieta un cicisbeo
     per un guanto o per un neo.
          Qua dispiace a un delicato
     il vestito mal tagliato:
     uno dice: — Mi stordisce; —
     l’altro: — Quando la finisce? —
     E nel meglio in un cantone,
     decidendo, un mio padrone
     si diverte a mormorar.
          Se da un uomo piú discreto
     un di quei ripreso viene,

[p. 72 modifica]

     ché non tagli, ché stia cheto,
     gli risponde, e dice bene:
     — Signor mio, non v’è riparo:
     io qui spendo il mio denaro;
     voglio dir quel che mi par. —
Nibbio. Signora, il suo gran merito
non sta soggetto a critica.
Dorina. Quello che piú mi turba è che nell’opera
ho una scena agitata,
che finge Cleopatra incatenata;
e temo che la collera
m’abbia pregiudicata nella voce.
Nibbio. Ed io, per mia disgrazia,
questa sera ho un impegno,
che mi toglie il piacere
di poterla vedere.
Dorina.  Oh! mi dispiace:
l’approvazion di lei
gradita mi saria.
Nibbio. Potrebbe in grazia mia
farmi godere una scenetta a solo?
Dorina. Lo farei volentier; ma, senza i lumi,
senza scene, istrumenti, e a pian terreno,
manca l’azione e comparisce meno.
Nibbio. Questo non dá fastidio: si figuri
che qui l’orchestra suoni
co’ soliti violini e violoni,
e che sia questa stanza
il fondo d’una torre, o quel che vuole.
Esca pur Cleopatra,
porti seco la perla e l’antimonio:
io son qui, se bisogna, un Marc’Antonio.
Dorina. Non occorre, ché il fatto non è quello:
è una lite che avea con suo fratello.
Nibbio. Sará per me bastante
la parte d’ascoltante.

[p. 73 modifica]

Questo il cerino sia, questo il libretto:
faccia conto ch’io stia dentro un palchetto.
          Dorina. «Ceppi, barbari ceppi, ombre funeste,
     empie mura insensate,
     come non vi spezzate,
     mentre da queste ciglia
     sgorga di pianto un mar?»...
Nibbio.  Povera figlia!
     Dorina. ...«Non vien da strano lido
     barbaro usurpatore a tôrmi il regno:
     è Tolomeo l’infido,
     il germano è l’ingrato
     che mi scaccia dal soglio»...
Nibbio.  Oh che peccato!
     Dorina. ...«Delle catene al peso, al mio tormento
     piú non resisto, e giá languir mi sento»...
Nibbio. Fa da vero, sicuro.
     Dorina. ...«Ah, Tolomeo spergiuro,
     godi del mio martoro:
     prendi il trono che brami; io manco, io moro».
Nibbio. Acqua, poter del mondo!
Comparisse qualcuno!
Dorina. Oh, questa è bella! Io non ho mal nessuno.
Nibbio. La fa sí naturale,
che ingannato mi son: veniamo all’aria.
Dorina. Finisce qui.
Nibbio.  Senz’altro?
Dorina.  Sí signore.
Nibbio. Ma questo è un grand’errore:
il poeta mi scusi. E dove mai
si può trovare occasion piú bella
da mettere un’arietta
con qualche «farfalletta» o «navicella»?
Dorina. Dopo una scena tragica
vogliono certe stitiche persone
che stia male una tal comparazione.

[p. 74 modifica]

Nibbio. No, no, comparazione: in questo sito
una similitudine bastava;
e sa quanto l’udienza rallegrava?
Dorina. (Che sciocco!)
Nibbio.  In un mio dramma io mi ricordo,
dopo una scena simile,
che un’aria mia fu cosí bene accolta,
che la gente gridava: — Un’altra volta! —
Dorina. Me la faccia sentire.
Nibbio. Sí, sí: per lei forse potrá servire.
          «La farfalla, che allo scuro
     va ronzando intorno al muro
     sai che dice a chi l’intende?
     — Chi una fiaccola m’accende,
     chi mi scotta per pietá? —
          Il vascello e la tartana,
     fra scirocco e tramontana,
     con le tavole schiodate
     va sbalzando, — va sparando
     cannonate — in quantitá».
Dorina. (Che poesia curiosa!)
Ella è particolare in ogni cosa.
Nibbio. Piú d’uno me l’ha detto, e dice il vero.
Dorina. Ma del nostro contratto
niente finor si è fatto.
Nibbio.  Anzi è concluso.
Dorina. Come! Se il mio pensiero
non palesai peranco?
Nibbio. Eccole un foglio in bianco
colla mia firma: in esso
stenda pure un processo
di patti e condizioni:
purché venga con me, tutti son buoni.
Dorina. Troppo si fida; esperienza alcuna
di me non ha Vossignoria finora.
Nibbio. Non importa, signora.

[p. 75 modifica]

Dorina. Ci porrò ch’io non recito
se non da prima donna, e che non voglio
che la parte sia corta.
Nibbio. Signora, non importa.
Dorina. Che l’autor de’ libretti
sia sempre amico mio, vi voglio ancora.
Nibbio. Non importa, signora.
Dorina. E che, oltre l’onorario, Ella mi debba
dar sorbetti e caffè,
zucchero ed erba the,
ottima cioccolata con vainiglia,
tabacco di Siviglia,
di Brasile e d’Avana,
e due regali almen la settimana.
Nibbio. Non importa: mi basta che un poco
si ricordi d’un suo servitore.
Dorina. Speri, speri, ché forse il mio core
il suo merto distinguer saprá.
Nibbio. Ah! signora, la sola speranza
non mi serve, non giova per me.
Dorina. Eh! signore; ma troppo s’avanza:
si contenti per ora così.
Nibbio. Ih! ma questa mi par scortesia:
tanta flemma soffrir non si può.
Dorina. Oh! che fretta! Bastar gli potria
di parlarne vicino al Perú.
Nibbio. Uh! Ma tanto tenermi nel foco,
con sua pace mi par crudeltá.
Dorina. Con sua pace, non è crudeltá.
Ma si spieghi: qual è il suo pensiero?
Nibbio. Un affetto modesto e sincero.
Dorina. Me ne parli, ma quando sto in ozio.
Nibbio. Ho paura che il nostro negozio
mai concluso fra noi non sará.
Dorina. Non disperi: vedremo. Chi sa?