Discorsi (Guicciardini)/VII. Del modo di assicurare lo stato alla casa de' Medici

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VII. Del modo di assicurare lo stato alla casa de' Medici

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VII. Del modo di assicurare lo stato alla casa de' Medici
VI. Del governo di Firenze dopo la restaurazione de' Medici nel 1512

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VII

[Del modo di assicurare lo stato alla casa de’ Medici.]

La tornata in Firenze de’ Medici dette grandissima alterazione a tutta la cittá, perché da pochi rovinati e desperati in fuora, quali li desiderorono per estrema necessitá e per non vedere altra via di salute, se ne dolsono non solo li inimici ma tutto lo universale, quale stava volentieri in quello vivere populare. Li amici ancora a chi soleva piacere lo stato innanzi al 94, non se ne rallegrorono giudicando che per la povertá e condizioni loro e’ sarebbono forzati travagliare assai la cittá ed in ultimo a uscirsene con rovina loro e di altri. Successe miraculosamente la creazione del cardinale de’ Medici in Leone decimo; di che subito si mutarono le speranze e disegni di ognuno, e fu opinione che essendo loro per questo pontificato usciti di necessitá e di sospetti, le cose nostre avessino a posare bene: li inimici a assicurarsi e vivere in ragionevole condizione; li amici a gittarsi a favore dello stato con vivacitá e caldezza; el popolo, per la dolcezza della pace e per la speranza di non avere a essere maneggiato colle gravezze e di potere rassettarsi le entrate publiche ed e’ monti, a assicurarsi e ridursi in buona disposizione; e che tutte queste cose avessino colla grandezza di uno pontefice si potente e si giovane a ridursi ogni di in migliore condizione. Nondimeno benché noi siamo giá alla fine de’ tre anni del pontificato, lo effetto [p. 268 modifica] non si vede seguito secondo questa opinione: li amici non si veggono contenti, anzi sono tutti freddi e sospesi; el populo è piú lá che in mala contentezza, pieno di gelosie e sospetti; in modo che stando cosí la condizione della cittá è miserabile e tutto è a danno dello stato, perché è diffícile cosa uno governo dove el populo sia inimico e sia ancora sanza partigiani potenti.

E se bene la grandezza del papato non lascia conoscere questo danno, non è ragione sufficiente a sprezzarlo, perché le qualitá de’ tempi e felicitá si mutono, ed è debole cosa essere tutto fondato in sulla vita di uno uomo solo, quale quando morissi, si vedrebbono li effetti di questi disordini; e possono ancora vivendo lui, nascere molti casi che si arebbe a fare cimento delli uomini, di che si vedde qualche saggio la state passata in sulla venuta de’ franzesi, dove qui multiplicorono tanto le confusione che si vedeva manifesto che a ogni furia che fussi venuta, nessuno era che avessi pensato a resistere, né al beneficio della cittá o dello stato ma solo ciascuno a sé proprio. E però come e’ marinai prudenti quando sono in porto o in bonaccia rassettano el loro legno e tutti li instrumenti di quello per potere resistere alla futura tempesta, cosí chi ha in mano el timone di questo stato doverrebbe in tanto ocio e commoditá rassettare e disporre bene tutte le membre di questo corpo, per potere in ogni accidente che venissi, valersi di tutto el nervo e virtú sua. Il che certo chi considerassi bene le cause e le origine di questi mali, non doverrebbe diffidarsi di potere sanza difficultá grande condurre questo ammalato se non in ottima, almeno in buona disposizione.

El primo fondamento di questa cura è che chi ha lo stato ’ abbi voglia e desiderio grande di farlo; ed a volere che la abbia, bisogna che si persuada averne a trarre assai frutto ed utilitá, perché nessuno metterebbe tempo ed industria in una opera dove non vedessi la sua satisfazione. Che el condurre questi effetti fussi a proposito loro, nessuno qui ne ha dubitato, eccetto quelli che era bene che non ne dubitassino, [p. 269 modifica] cioè e’ Medici medesimi, e’ quali per avere uno pontefice si giovane, hanno posta la mira del crescere si alto, che el governo di questa cittá pare loro piccola cosa, e si vede lo tengono tra’ minori capitali che gli abbino. La prima dimostrazione ne fece Giuliano, che non avendo ancora se non speranze e disegni, lo rinunziò al minore come cosa di poco momento. Né è da questo pensiero, secondo che si intende, stato alieno Lorenzo; la quale opinione è ragionevolmente falsa, perché tenendo questo governo con la autoritá che tengono, sono padroni di questa cittá e di tutto questo dominio, né è da loro a uno signore a bacchetta quasi altra differenzia che nel modo del comandare; perché le parole di quello solo sono legge e deliberazioni, qui etiam si fa quello che vogliono, ma sotto nome di altri e per mezzo de’ magistrati, e’ quali sono creati da loro ed ubidiscono in ogni cosa a ogni minimo cenno.

El disporre di una cittá e dominio a questo modo, dá potenzia e riputazione grande, essendo delle principali cittá e stati d’Italia: possono, vivente el pontefice, valersi assai della oportunitá e potenzia di qui a acquistare stati e colorire e’ loro disegni; morto el pontefice, chi non vede quanto importerá questo braccio a mantenersi quello che aranno acquistato?

Gli altri stati da loro medesimi saranno difficili anzi difficiliimi a conservarli, perché saranno nuovi, aranno tutti opposizione potentissime o di vicini potenti o di chi vi pretenderá su diritto, o di pessime disposizione di populi; in questo, adattandocisi bene drento, non sará difficile el mantenercisi, perché el governare loro questo stato non offende né toglie a persona se non a’ cittadini medesimi, a’ quali satisfare, come di sotto si dirá, non è difficile.

Queste ragione sono in sé medesime si chiare che non hanno bisogno di esempli e quando ne bisognassi non accade andare molto discosto. El primo dominio che gli abbino cominciato a fare è suto in Lombardia, dove giá sono stati necessitati a lasciare Parma e Piacenzia; di Modona e Reggio hanno una possessione incerta, con poca anzi nessuna utilitá e con tanta debolezza, se non si levano dinanzi anche Ferrara, [p. 270 modifica] che loro medesimi hanno piú volte pensato di restituirla al duca di Ferrara. Questo è adunche el vero fondamento ed el piú saldo che possino farsi; sanza questo ogni altra cosa che faranno rovinerá loro col tempo cioè colla prima avversitá sotto; el tenere questo fará giuoco grande a tenere tutti li altri. E quando non tenessino se non questi, non saranno mai chiamati se non grandi, disponendo di uno stato di questa qualitá, e massime da chi si. ricorderá che, benché gli abbino uno papa, e’ non sono però signori naturali, anzi cittadini e discesi di padri che vissono, benché fussino grandi, sempre civilmente e privatamente.

Non voglio in questo loco discorrere se lo animo che gli hanno avuto di farsi colla occasione di questo papato principi grandi, è suto bene considerato o se hanno presa la fallacia; solo dirò questo, che noi abbiamo per esemplo e’ parenti di Calisto e di Pio, e’ quali bastando loro avere cavato del pontificato gradi convenienti e mediocri, non solo gli godettono loro ma li hanno perpetuati sino a oggi ne’ descendenti. In contrario abbiamo lo esemplo del Valentino e la ragione ci è manifesta; perché privati acquistare stati grandi è cosa ardua ma molto piú ardua conservarli, per infinite difficultá che si tira drieto uno principato nuovo, massime in uno principe nuovo. Riusci solo a Francesco Sforza el conservarsi nello stato di Milano ma vi concorsono molte cagione: lui principalmente fu uomo di grande virtú e secondo quelli tempi eccellentissimo capitano; trovò mancata la linea de’ Visconti che erano signori naturali, in modo non ebbe a combattere con chi vi pretendessi diritto, anzi pareva vi avessi colore di iustizia avendo per donna madonna Bianca figliuola del duca Filippo, la quale benché non legittima era rimasta sola della ducale stirpe. Aggiunsesi che trovò uno stato che, benché avessi goduto libertá, era solito a essere signoreggiato da altri, ed a chi era tanto disforme la libertá quanto è disforme a’ populi liberi la servitú; tutte condizioni da fare facilitá grandissima a conservare, e che rare volte si abattono a chi acquista nuovi domini, e’ quali el piú delle volte si tolgono a’ populi liberi [p. 271 modifica] o a’ signori naturali. Lui piú tosto si può dire che occupassi una ereditá vacante, che togliessi nulla di quello di altri; anzi parve a quel populo avere beneficio grande che li pigliassi, vedendosi per quello modo trarre di bocca a’ viniziani, di chi naturalmente erano inimicissimi.

Ma per tornare doppo questa digressione al principale nostro ragionamento, el secondo fondamento di che ha bisogno questa cura è che costoro si persuadino di potere fare in Firenze uno numero di amici buoni, fedeli e veri co’ quali possino ristrignersi ed adoperarli alle cose importanti. E questo fa dua effetti buoni e salutiferi, anzi necessari: l’uno è che ci siano uomini di reputazione, e’ quali avendo credito ed autoritá e beneficati da costoro, sarebbono partigiani gagliardi ed instrumenti di iinportanzia a mantenere loro lo stato e la grandezza, perché ogni stato ed ogni potenzia eminente ha bisogno delle dependenzie sue che abbino diversi gradi e diversi offici, cosí come uno capo ha necessitá di varie membra che lo regghino e servino. L’altro effetto è che costoro, per essere giovani, essere nutriti fuora e non avezzi alle cose nostre, né potendo porci interamente el capo per avere altri disegni e pensieri, non hanno quella notizia de’ modi nostri e di quelle cose che aparterrebbono a governare bene questa cittá, anzi spesse volte deliberono e comandono molte cose le quali sono di danno e di disordine, e non le farebbono quando conoscessino bene quello che importino. E però se qui fussi uno numero di cittadini ne’ quali avessino fede e con chi conferissino, ed a’ quali dessino animo di parlare liberamente el vero, sarebbono avvertiti della importanzia delle cose e non errerebbono se non quando voluntariamente volessino errare.

Li uomini savi e che hanno grande esperienzia e maturitá, si aprofittano assai de’ pareri e consigli di altri, e molto piú adunche e’giovani ed inesperti, con tutto che l’ingegno e iudicio naturale gli serva bene. Questa deputazione, a volerne trarre frutto, bisognerebbe che fussi bene esaminata, cioè che fussino eletti cittadini che avessino buone qualitá nella cittá, fussino amici loro e di buona mente ed intenzione; el modo a [p. 272 modifica] guadagnarli e trattenerli sarebbe carezzarli con dimostrazione e con fatti, communicare con loro le cose occorrenti della cittá e del dominio, ed in maniera che gli intendessino con altro che con cerimonie che fussi avuta fede in loro; perché chi si vede in fede ed amore apresso a altri, è necessario che ancora lui vi vólti lo amore.

Chi ha avuto insino a ora questo governo, gli è parso che la grandezza sua sia tanto maggiore quanto li altri sieno piú bassi, e però tutte le cose della cittá e del dominio ha voluto disporre da sé medesimo; voluto che tutti e’ cittadini e sudditi intendino che non ci sia nessuno altro che possa, e che non bisogni fare capo a’ cittadini ma a lui solo; il che ha tolto riputazione a questi dello stato e nondimeno non ha fatto beneficio alcuno. Perché gli è bene a proposito che si sappia che in fatto ogni cosa si ha a ricognoscere da lui e che e’ cittadini dello stato sono sanza lui niente, ma volendo mantenersi amici bisogna dare loro favore e riputazione, e pensare che si non 1 pascono del nome nudo de’ magistrati sanza amministrazione alcuna, ma che bisogna a volerli contentare che disponghino di qualche cosa; perché che conto ha a fare uno cittadino di essere verbigrazia accopiatore, se in tutto quello magistrato non ara tanto caldo che possi fare uno de’signori? E1 contentarli ed allargarsi con loro in qualche cosa simile farebbe e’ cittadini partigiani, e loro si tirerebbono drieto degli altri partigiani ed amici che tutti servirebbono a beneficio dello stato; e nondimeno come di sotto si dirá, nessuno si potrebbe fare si grande che diventassi periculoso o suspetto.

Questa larghezza e questa fede vorrebbe come tutte le altre cose essere moderata, cioè non si dare loro in preda, né seguitare a occhi chiusi tutto quello che ricordassino, ma tenere sempre la briglia in mano ed udire ed intendere e’ pareri loro con animo e di seguitarli e di lasciarli, secondo che lui che avessi bene udito ogni cosa, poi si resolvessi. Cosí come nello [p. 273 modifica] altro fondamento si dirá, sarebbe necessario non li lasciare anche però scorrere e pigliare animo in modo che gli opprimessino ed usurpassino li impotenti e deboli, cosa che come direno non sarebbe difficile. E perché gli è necessario che li amici si paschino di utilitá, bisognerebbe anche pensare a questo; in che Lorenzo aveva difficultá non volendo che gli usurpassino quello di altri, pure lo faceva, e con li utili onesti che può dare la cittá; e lo avere reputazione, lo arreca eziandio da sé medesimo in molte cose che sono ragionevole e conveniente. Ma costoro lo potrebbono fare meglio e con migliore attitudine, potendo disegnare di pascerli per via di Roma con qualche emolumento di quella sorte che a ogni modo danno a altri ed a persone spesso di che non traggono frutto o benefício alcuno. Questa deputazione fu fatta piú mesi sono, ma per cerimonia ed in modo che non serve né a loro né agli amici; bisognerebbe farla per effetto, e maneggiandola nel mòdo sopra detto sarebbe uno barbacane e fondamento potentissimo a difesa dello stato.

E certo io non credo però che queste ragione non siano in qualche parte cognosciute da loro; ma tra le altre cose che li abbino divertiti dal farlo, la potissima è la poca fede che hanno in noi, la quale credo che sia in dua modi o per dire meglio con dua capi: l’uno che dubitino nella bontá de’ cittadini, e che per valersi negli interessi loro propri ed usurpare, e’ non si portassino male e con carico dello stato. La quale dubitazione non è ragionevole, perché a Firenze è, come in tutti li altri luoghi, uomini buoni e de’ cattivi, ed ècci molti tristi e vólti alli appetiti loro propri; ma ci è ancora di quegli che amano la cittá ed el bene universale, e però questa difficultá si toglie o tutta o in grandissima parte con dua remedi: l’uno di eleggere bene e con prudenzia, l’altro di non si dare, come è detto di sopra, loro in preda totalmente, anzi volere qualche volta intendere e vegghiare le azione loro, e favorirli e disfavorirli secondo e’ portamenti e meriti. La seconda dubitazione che io credo che gli abbino è di piú importanzia, e benché e’ la neghino, la si è scoperta e vista [p. 274 modifica] chiara per el loro maneggio quotidiano; e questo è che non hanno fede in noi, né credono che noi gli amiano tanto che pensino potere fare fondamento in su noi a beneficio del loro stato; ricordonsi essere stati cacciati nel 94, e nello esilio si lungo ci hanno esperimentati pochi amici; la ritornata è stata con forze forestiere e sanza favore alcuno di qui, eccetto che di pochi, e’ quali si ricordano che naturalmente erano loro inimici e sanno molto bene che la disperazione ed estrema necessitá gli fece gittare a quella volta, in modo che di costoro non possono sperare se non varietá ed inconstanzia, nelli altri iudicono o malo animo o freddezza non avendo vista esperienzia nessuna in loro favore.

Questa opinione si vede certo che gli hanno ed è la morte nostra, perché la non li lascia conferire, non allargarsi, non si dimesticare con noi, ma stare sempre in sul tirato e con reservo; e nondimeno se io non mi inganno la è falsa e falsissima. Perché e’ cittadini che si vedessino essere carezzati e tirati in riputazione ed in grandezza di onori e di utilitá, diventerebbono sanza dubio loro partigiani sviscerati: moverebbeli el beneficio e la gratitudine che pure può qualche cosa nelli animi che non sono interamente di ferro; moverebbeli sopra ogni cosa lo interesse loro particulare, che è la maestra che ne mena tutti gli uomini. Questo è quello che li fa affezionati e partigiani; non nego che certe inclinazione naturale o di amore o di odio non possino; ma congiunte a questo sono piú gagliarde e piú efficace, sanza questo facilmente si cancellano. Non sono piú e’ tempi antichi de’ romani e de’ greci, né quegli ingegni generosi e tutti aspiranti alla gloria: nessuno è a Firenze che ami tanto la libertá ed el reggimento populare che, se gli è dato in uno altro vivere piú parte e migliore essere che non pensa di avere in quello, non vi si vólti con tutto lo animo; e tanto piú che e’ sarebbono chiari e toccherebbono con mano che quando si mutassi lo stato, non solo perderebbono la grandigia ma cticivi porterebbono pericolo di una ruina grande. Almeno non vi arebbono luogo da satisfarsene, perché quello stato populare, dal [p. 275 modifica] 94 sino al 12 fu qualche volta vicino a limarsi e pigliare forma di una bella republica e libertá, e massime ne’ principi del magistrato di Piero Sederini; di poi si andò tuttavia allargando e deformando e pigliando abito di qualitá da perdere la speranza che si potessi reformare; ed in ultimo peggiorava tanto alla giornata, che in effetto diventava sanza alcuno dubio uno guazzo ed una confusione, e nondimeno era uno zucchero a petto a quello che diventerebbe se si facessi nuova mutazione, perché a iudicio mio, dalla larghezza che era allora a quella che si introdurrebbe sarebbe tanta differenzia quanta è dalla strettezza che è oggi a quella che era a tempo di Lorenzo.

Cosí causerebbono e’ sospetti, la rabbia e la ignoranzia degli uomini in chi verrebbe lo stato; né sia alcuno che pensi che la fussi mutazione simile a quella del 94, dove li amici de’ Medici, che erano el fiore della cittá, furono conservati e doppo pochi mesi messi insieme con li altri in participazione del governo. Oggi sarebbe pericoloso non si facessi crudelmente, e però chi si vedessi grande ed in buono stato co’ Medici, ed in contrario conoscessi che mutandosi porterebbe pericolo di esilio, di perdita di beni e simili ruine, ò da credere che affezionatamente e vivamente correrebbono a conservare e difendere con ogni forza e’ Medici, perché parrebbe loro conservare e difendere sé medesimi, come sarebbe in fatto la veritá. Né è pericolo che la grandezza di costoro potessi essere tale che fussi sospetta a’ Medici, perché lo stato è venuto in loro si assolutamente, che non ci è cittadino tanto fondato che a ogni cenno loro non diventassi piccolo e non rovinassi. Né sarebbe da dubitare di uno 66, dove e’ Medici ebbono a combattere con quelli che nel 34 erano stati loro amici; né ci è casa a Firenze che sia capace né in chi si comportassi autoritá o grandezza eccessiva, eccetto che nella loro; né ci è cittadino che abbi tante barbe che ogni poco vento non le seccassi; e però non si debbe dubitare che el dare loro favore fussi periculoso, né credere che fussino freddi a beneficio dello stato. Lo esemplo se ne vedde ne’ passati nostri, e’ quali non per altro che per lo interesse loro e per [p. 276 modifica] trovarsi bene di quello reggimento, furono nel 58, nel 66, nel 78 ed in tutti e’ casi dello stato, e colla roba e colle persone e colParme e cogli amici, tanto pronti e caldi quanto si potessi desiderare. Né sia chi in questa parte mi alleghi el 94, perché e’ sinistri modi e mali consigli di Piero alienorono li amici e rovinorono ogni cosa. E per tornare alla conclusione di questa parte, io credo che una deputazione di uno numero di amici eletta bene, maneggiata discretamente, trattenuta amorevolmente e con le circunstanzie soprascritte, non mancherebbe di fede, di amore e di animo in ogni occorrenzia dello stato, e sarebbe cosa di grandissimo frutto e beneficio per lo stato.

El terzo fondamento è che e’ si tenga contento piú che si può el populo e lo universale della cittá, la quale è cosa difficile per essere alla piú parte piaciuto el governo populare, e dispiacere questa grandezza ed autoritá si assoluta che hanno preso costoro. In che sono ancora moleste le dimostrazione, perché se fussi stato possibile che el vivere e conversare con loro fussi stato piú civile e piú equale, a uso di Lorenzo vecchio, nessuno dubiti che questa grandezza darebbe a tutto el populo assai meno fastidio che non la dá. Ora la cosa è transcorsa qui, e non si può el vivere loro moderare in questa parte; e però si doverrebbe ingegnarsi satisfare agli uomini nelle altre cose el piú che fussi possibile, acciò che si tenessino contenti, e se non si potessi levare loro tutto el dispiacere, levarlo almeno in gran parte; e se non si potessi fare che tutti li amassino, almeno che lo facessi una gran parte, e che dove non fussi amore, curare in modo non vi fussi odio, e che dove fussi lo odio non fussi desperazione; cose tutte che se si pigliassi el panno pel verso, per certo non sarebbono difficile. E di tutti questi maneggi e’ tre capi piú importanti sono el danaio del commune, la iustizia delle cose civili, e che e’deboli e meno potenti non sieno oppressi da’ maggiori e piú potenti.

La cosa del danaio importa assai, perché ognuno sa che mancando e’ danari del commune bisogna suplire alle spese [p. 277 modifica] colle borse da’ cittadini, cioè o col porre gravezze o col tenere le paghe del monte; e qui si è governato questa parte in modo che ognuno ne è insospettito. Perché oltre allo essersi redutta la amministrazione del danaio, per via della depositeria, in mano molto strette, e dove per conto del commune non è chi possa rivedere el conto e tutto va al buio, concorse in uno tratto el recarsi Lorenzo in una corte e spesa quasi intollerabile, e quando si aspettava o che la gravezza si diminuissi o che si pensassi a alleggerire e’ monti, surse uno nuovo travaglio di arbitrio posto e distribuito con assai spezialtá e malignitá. Le quali cose ed e’ quali modi feciono credere a ognuno che le superflue spese sforzerebbono costoro, quando bene non volessino, a malmenare le entrate publiche, e che tra questo e la malignitá de’ ministri che maneggiono le entrate publiche, e le gravezze ordinarie non basterebbono, ma bisognerebbe per forza entrare in nuove gravezze ogni giorno. Il che si pensò che gli avessino a fare tanto piú volentieri quanto si era veduto uno saggio che gli erano entrati nella fantasia di battere e’ cittadini con questo modo; di che nacque in uno tratto tanto sospetto e tanta gelosia nelli animi di tutta la cittá, che in uno subito si fermorono li esercizi e le faccende, ognuno rimase attonito e sospeso e la cittá ne aghiadò e perde tutti e’ moti. In che se bene operò ancora la passata de’ franzesi, temendo ognuno di alterazione, pure questa fu la cagione principale e potissima; di che nasce dua effetti pessimi: lo odio universale verso loro anzi desperazione, lo altro che la cittá, fermandosi o raffreddandosi la vita sua, che sono la industria e li esercizi, diventa debole e povera; e quanto piú la cittá è debole ed impotente, tanto piú viene a essere impotente chi ne è padrone, come della ricchezza e riputazione sua ne viene grandezza e reputazione a chi ha lo stato, perché di quanto piú gagliarda cosa può disporre, tanto è piú gagliardo lui. E però a volersi fare amico lo universale, a volere avere piú reputazione per tutta Italia, è molto necessaria questa parte: che si abbi tanta cura al danaio ed alle spese ed al distribuire bene ed utilmente le entrate del commune, che [p. 278 modifica] una volta li animi degli uomini si assicurino ed intendino molto bene per cosa chiara ed in modo che eschino al tutto di gelosia e di sospetto, che ognuno può attendere sicuramente a fare faccende e trafichi ed a guadagnare, e che li uomini non hanno a essere travagliati colle gravezze.

A questa seconda parte si aggiunge la iustizia nelle cose civili; non dico nelle civili per escludere le criminali, benché anche in quelle è necessario si osservi la iustizia, pure vi si può qualche volta andare con piú larghezza; ma nelle civile è necessario tenere una regola ferma e stretta, che le vadino nette e sincere, e che chi ha lo stato in mano non se ne travagli; perché anche questa è una di quelle cose che apartiene alla sicurtá assai, che gli uomini intendino che per mezzo de’ iudici non possi essere tolto loro quello che e’ tengono iustamente, o impedita la recuperazione di quello che fussi usurpato indebitamente da altri. E però sarebbe necessario fare due cose: la una, che le cose civile non fussino per mezzi e favori cavate de’ luoghi ordinari e tirate agli estraordinari, come alla signoria e simili luoghi; la altra, lasciare correre per lo ordinario le cause che pendono al podestá ed alla mercatantia che sono e’ iudici principali di questa cittá e quegli che quando vi si fa iustizia sono el timone ed el nervo della vita e della sicurtá di ognuno. Da questi bisognerebbe, guardarsi sommamente di non si intromettere per alcuna via diretta o indiretta, né con raccomandazione calde né ctíam generale, perché una consuetudine che gli hanno usata di raccomandare la iustizia nella tale causa generalmente, parendo loro non offenderne né Dio né gli uomini, non potrebbe essere piú perniziosa, cum sii che la dia carico e generi sospetto universale in chi vede andare e’ loro ministri per e’ palazzi civili, pensando che vi vadino per dare favori. Ed inoltre fa titubare e’ iudici, e’ quali vedendo raccomandarsi el tale benché della iustizia, non sanno se hanno a pigliare e’ cenni per comandamenti, e però sarebbe necessario levare interamente ogni raccomandazione o sustanzievole o cerimoniosa, anzi sarebbe necessario aiutare questi iudici col fare diligenzia di condurci [p. 279 modifica] giudici di buona fama e sufficienti, e quando ci sono, fare loro intendere vivamente che lo animo di chi governa è che si facci indifferente iustizia, e dimostrarlo cogli effetti e nelle rafferme e ne’ sindicati loro.

Per questi medesimi fini è necessario provedere a una spezie di oppressioni che si fanno per el dominio, che sono di questi nostri rettori ed officiali, e’ quali non pensono ad altro che a arricchire ed a ingrassarsi col fare poca iustizia e rapinare per ogni verso; cosa che non può essere di piú vergogna allo stato né di piú danno, rispetto alla mala disposizione die la fa in tutti e’ sudditi; della quale voglia Dio che in qualche tempo forte noi non abbiamo a fare pruova, che allora si vedrebbe e gusterebbonsi e’ frutti di questi tristi semi. Ed a riparare a questi disordini sarebbe frutto grandissimo se si vedessi che chi governa volessi intendere e’ portamenti ed e’ modi delli uomini, ed in somma che si vedessi di poi fare distinzione da’ buoni a’ tristi, cosa che quando non si faccia come non si fa di presente, da quegli in fuora che per natura stimono molto lo onore o che sono molto buoni, che sono pochissimi, tutti li altri faranno sempre el peggio che sapranno e potranno. Cosí bisogna provedere a questi nostri cittadini privati, e’ quali nel contado col caldo dello stato e della autoritá si mangiono e’ vicini, e sanza danari e capitale fanno le contee. E se si dicessi: se e’ cittadini dello stato non si pascono di qualche cosa, non saranno partigiani e caldi a beneficio dello stato, si risponde che questo modo non potrebbe essere piú dannoso, perché è di infamia grande e fassi di molto inimici, cioè non solo quelli che fieno oppressi ma ctiam tutti quelli che sono da torno e veggono che una tale disonestá sia comportata. Ed a pascere e’ cittadini grandi non manca modo e meno oggi che mai, perché potriano mentre che hanno el pontificato in mano, con molte di quelle utilitá che danno a altri e sanza deletto ed inconsideratamente, farsi partigiani e benivoli non solo e’ capi dello stato ma molti uomini da bene e di buona qualitá; ne’ quali quando el papa si resolvessi a fare beneficio con quella misura e distinzione con quale li [p. 280 modifica] uomini prudenti fanno le cose loro, farebbe uno vivo e gagliardo pignone alla casa sua per ogni tempo e per ogni accidente.

Queste sono le cose principali in quibus consistimi leges et prophetae, e le quali tutte si condurrebbono, ed a mio iudicio con poca difficultá, quando chi ha el pondo de’ casi nostri ci volessi attendere e mettere tempo e diligenzia e durarci drento qualche fatica; la quale, ogni volta che loro stimino la qualitá e fondamento di questa cittá e del governo, tanto quanto ragionevolmente doverrebbono stimare, non parrá loro male collocata, anzi iudicheranno ne resulti ottimo frutto, quando vedranno che la sia causa della soliditá e fermezza loro qui.

E se loro ne fanno poco capitale come hanno dimostro disino a qui, e pare loro che la sia cosa che non meriti el pregio a durare questa fatica, io non saprei che mi dire altro, se non che vadino drieto, ed el line loderá tutto; quale se sará buono, lo areno tanto più caro quanto piú sará fuora della opinione nostra, se sará altrimenti ne areno dispiacere; e massime che per molti conti è da dubitare assai che la ruina loro si tirerebbe drieto la ruina di tutta la cittá ed almeno di quelli che sono tenuti amici o favoriti da loro.

Questi fondamenti bisognerebbe aiutarli e condurli con qualche destrezza: mostrarsi grato ed umano allo universale e vivere con tutti con una piacevolezza conveniente; tenere piú sotto questi loro ministri e cancellieri, la grandezza ed autoritá de’ quali non potrebbe essere piú dispettosa a tutta la cittá ed a loro non reca utilitá alcuna, fa tutto carico e disordine sendo el piú delle volte uomini insolenti e mangiatori e poco esperti de’ modi e vivere nostro. Cosí è di importanza el lasciare li uomini liberi ne’ matrimoni, ne’ quali volere usare la autoritá o nello impedirgli o nel fargli, è cosa di poco frutto e che si tira drieto assai carico ed odio. Farebbe ancora favore assai collo universale el vedere che e’ pensassino qualche volta a’ benefici e commodi di questa cittá collo aiutare le cose de’ monti, li esercizi in su’ quali vive la cittá; riformare con buone legge e’ disordini che ci sono nelli ufici ed in tutti [p. 281 modifica] e’ membri; riformare el vestire e di uomini e di donne, nel quale la cittá è tanto transcorsa sopra le forze sua che non può fare se non effetti pessimi ed in publico ed in privato.

Quando si vedessi voltassino l’animo a queste cose, ne sarebbono aiutati e consigliati, ed in effetto sarebbe portato loro affezione, e sarebbonne amati come padri della cittá; dove ora vedendosi per ognuno che lasciano trascorrere ogni cosa, né pare che el bene o male nostro apartenga a loro, non può fare che anche questo non faccia argumento a quella mala disposizione che ci è ordinariamente. Se queste cose si facessino, io spererei che non solo alla cittá ma etiatn allo stato loro, se ne farebbe piú frutto; non si faccendo, non so che altro dirmi se non che e’ cattivi governi non sogliono partorire effetti buoni.

Non voglio omettere di dire che non è mancato e non manca chi ha avuto opinione ed ha, e forse ha fatto opera di persuaderlo, che sarebbe piú sicurtá di costoro pigliare assolutamente el dominio della cittá’ in fatti ed in titolo, che tenere el governo sotto questa ombra di civilitá e di libertá; cosa che io non intendo disputare ora, ma io per me giudico che non potrebbono pigliare partito piú pernizioso e per loro e per noi, e che questo maneggio riuscirebbe nel processo del tempo pieno di difficultá, di sospetti ed a ultimo di crudeltá.




Note

  1. Cosí il ms.