Discorsi politici (Guicciardini)/II. - Sullo stesso argomento. In contrario per la opinione negativa che prevalse

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II. - Sullo stesso argomento. In contrario per la opinione negativa che prevalse

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II. - Sullo stesso argomento. In contrario per la opinione negativa che prevalse
I. - In favore della lega proposta da Massimiliano alla republica di Venezia III. - Delle condizioni d'Italia dopo la giornata di Ravenna

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II

[Sullo stesso argomento.]

In contrario per la opinione negativa che prevalse.


Io confesso, onorevoli senatori, essere officio vostro e di tutti e’ governatori delle republiche, ancora che la pace sia cosa santissima e desideratissima, non però lasciarsi tanto abbagliare dalla dolcezza sua, che per paura di non la perdere si entri in maggiori guerre e pericoli, che non sarebbe entrato chi non l’avessi amata troppo; e nondimanco ricordo che per ogni timore o sospetto non si debbe pigliare le arme, e per ogni paura di non avere guerra, entrare nella guerra, perché chi fa cosí, spesso, per fuggire pericolo, sanza bisogno entra in pericolo; e non essendo mai pace alcuna tanto sicura, né tanto ferma che manchi di qualche timore di guerra, chi procedessi con questa regola non starebbe mai in pace; anzi entrando di guerra in guerra per desiderio di avere la pace, non la arebbe mai. Però meritano essere laudate quelle republiche, che, quando veggono pericolo manifesto di guerra, non lasciano per la dolcezza della pace di fare le provisioni che convengono; ma non manco biasimate quelle che entrano in guerra per temere piú che bisogni la guerra.

Adunche, avendo noi a consultare sopra quello che è stato proposto, è necessario esaminare diligentemente che pericolo ci sia di guerra in caso che noi non accettiamo le offerte del re de’ romani, e sopra questo fondare le nostre resoluzione; e perché non si può fare giudicio certo delle cose future, bisogna da uno canto pesare le ragione che minacciano la guerra, [p. 75 modifica] da altro quelle che persuadono el contrario, e pesato quali siano piú e piú potente, fondare el punto nostro come se sapessimo certo avere a essere quello che ci si mostra piú verisimile. A me, quanto piú ci penso, non può per conto alcuno essere capace che el re di Francia, o per sospetto di non essere prevenuto da noi, o per cupiditá di recuperare e’ membri antichi dello stato di Milano, si accordi col re de’ romani a farlo venire in Italia a’ danni nostri; perché e’ pericoli e danni che gli seguiterebbono del metterlo in Italia, sono sanza dubio maggiori che non è el pericolo della unione nostra, o che non sono e’ guadagni che può sperare di questa deliberazione; perché oltre alle inimicizie ed ingiurie gravissime che sono tra loro, le quali non si possono cancellare per alcuno accidente, vi è la concorrenzia della degnitá e degli stati, la quale suole generare odii tra quegli che sono amicissimi. Però che el re di Francia chiami in Italia el re de’ romani, non vuole dire altro che chiamarci uno re inimicissimo suo; non vuole dire altro che in luogo di una republica quieta, e che sempre è stata in pace seco, e che non pretende con lui alcuna differenzia, volere per vicino uno re ingiuriato, inquietissimo, e che ha mille cause di contendere seco di autoritá, di stato e di vendetta.

Né sia chi dica che per essere el re de’ romani povero, disordinato e male fortunato, el re di Francia non temerá la sua vicinitá; perché per la memoria delle antiche fazioni ed inclinazioni di Italia, le quali sono ancora verde, spezialmente nello stato di Milano, non può avere piede in Italia uno imperadore che non sia grande, e costui piú che gli altri per avere stato notabile contiguo a Italia, e per avere seco Massimiano Sforza; sanza che, in ogni guerra che avessi col re di Francia, può sperare di avere l’aderenzia del re di Spagna inimicissimo ancora lui ed emulatore de’ franzesi, e che ha coniunzione col re de’ romani almanco perché tutt’a dua hanno una medesima successione. Sa pure lui quanto è potente la Magna; e quando sará giá aperto lo adito in Italia e la speranza della preda sará presente, sará piú facile che si unisca [p. 76 modifica] o tutta o parte alle imprese di Italia che non è ora. E non abbiamo noi veduto che el re di Francia ha temuto sempre e’ moti de’ tedeschi, e di questo re cosí povero e disordinato come è? E molto piú lo temerebbe se lo vedessi in Italia, perché sarebbe certo di avere con lui o guerra pericolosa o pace fastidiosa e di grandissima spesa.

Che abbia voglia e stimulo di recuperare Cremona e le altre terre è verisimile, ma non con modo che sia maggiore la perdita che el guadagno; ed in questo caso io voglio piú presto credere che si governi con la ragione, che indovinare che abbia a fare una pazzia; massime che se noi consideriamo bene la natura di questo re, è stata sempre di fare le cose sue sicuramente, e gli errori che si dice avere fatti, sono stati piú presto per volere procedere con troppa sicurtá che con troppa caldezza. Questa fu la causa per che divise el regno di Napoli, per levarsi gli ostaculi e le difficultá, la quale deliberazione io non dico che fussi savia, ma dico che non nacque dalle cagione che è stato detto; e per la medesima cagione consentí smembrare Cremona e darla a noi, per potere con la unione nostra pigliare el resto sanza colpo di spada. Però s’ha a credere che governandosi con la ragione e governandosi come è consueto nelle altre imprese, non vorrá, per recuperare Cremona, mettere in tanto pericolo lo stato suo; massime che per questo non resterá fuora di speranza di poterla recuperare a altro tempo con piú sicurtá e con migliore occasione, le quali spesso vengono, ed agli uomini ancora è facile el promettersele piú che el conveniente. E chi è uso alle faccende e maneggi grandi, ed ha travagliato a’ suoi dí assai come lui, non può desperare di non vedere varietá nelle cose del mondo, perché le sono use a variare pure troppo spesso.

Né ci debbono a mio giudicio spaventare le pratiche tenute altra volta tra loro e le capitulazione che si dicono fatte, perché è natura de’ principi de’ tempi nostri cercare di aggirare l’uno l’altro, e tôrsi tempo con queste arte e simulazione; e lo effetto ha mostro che le sono state fizione, perché sono continuate tanti anni, che bisogna confessare che siano [p. 77 modifica] pratiche vane, o almanco che vi è qualche difficultá che non si può resolvere. Non abbiamo adunche, se io non mi inganno, causa di temere che el re di Francia per desiderio di acquistare si metta in tanto precipizio, e manco per sospetto che abbia di noi; perché oltre che ha veduto esperienzia lunga che non abbiamo mai mancato alle capitulazione fatte seco, ancora che abbiamo avuti molti stimuli e molte occasione, ed oltre che sa che la natura della republica nostra è di osservare la fede e non pigliare volentieri guerre, le ragione medesime che assicurano noi di lui, possono assicurare lui di noi; e questo è che al nostro stato non potrebbe essere piú pernizioso che el re de’ romani abbia piede in Italia, sí per la autoritá dello imperio, lo augumento del quale è sempre stato alieno da’ progressi nostri, sí per conto della casa di Austria, la quale pretende ragione in molti luoghi che noi tegnamo, sí per la vicinitá della Germania, le inundazione della quale, se avessi aperta la via ed avessi el ricetto in Italia, sono troppo pericolose al nostro dominio. Massime che quello che si dice, di volere lo stato di Milano per Massimiano Sforza, è uno sogno; perché riuscendo la impresa, o el re de’ romani lo attribuirá a sé, o se pure vi metterá lui, sará tanto debole e con sí potenti inimici che per avere la sua protezione bisognerá gli stia sempre sotto; ma piú credibile è che pensi a quello ducato per sé. Sono questi gli inganni e le arte de’ principi: cercare di mutare gli stati sotto nome de’ fuorusciti che vi hanno parte, e poi, riuscite le imprese, attribuire gli effetti della vittoria a sé.

Però non è conveniente che el re di Francia creda sí facilmente che noi, che abbiamo nome di maturare le cose nostre e piú presto errare in tarditá che in troppa prestezza, facciamo una deliberazione sí precipitosa. E se pure noi ci potessimo assicurare facilmente dal sospetto che pretendono questi che consigliano che noi ci uniamo col re de’ romani, io sarei forse di quegli che ci conscenderei, parendomi cosa laudabile assicurarsi da’ sospetti eziandio non necessari, quando l’uomo può farlo con facilitá; ma io credo che chi penserá bene ci vedrá [p. 78 modifica] drento molte difficultá. Principalmente questa guerra bisogna che si cominci e si sostenga co’ danari nostri, co’ quali areno a supplire non solo alle necessitá che ricerca questa impresa, ma ancora a tutte le prodigalitá e disordini del re dei romani, al quale non si può dare uno curatore che spenda bene e’ danari che noi gli dareno, e speso che ará quelli a che ci sareno obligati, sareno necessitati a dargliene degli altri, altrimenti si accorderá cogli inimici, o si ritirerá nella Magna, lasciando a noi soli tutti e’ pesi ed e’ pericoli. Di poi la impresa s’ha a pigliare contro a uno re di Francia potentissimo, e che è duca di Milano e di Genova, copioso di danari, abondante di gente d’arme e di artiglierie; ha con seco e’ svizzeri, la virtú e fama de’ quali vi è nota, e che in questa impresa lo serviranno meglio che in nessuna altra, perché hanno per male ogni augumento degli imperadori e della casa di Austria. E’ popoli dello stato di Milano gli sono amici ed inimici a noi, né desiderranno mai che vinca quella parte, per la vittoria della quale dubitino che noi abbiamo a smembrare un altro pezzo di quello ducato; e questo potrá piú che la inclinazione di quelli che amano Massimiano Sforza, tanto piú che ognuno cognoscerá che gli ará a essere una ombra in quello stato.

Però costoro che si propongono tanta facilitá, non so dove se la fondino; massime che tutti quelli di Italia che pretendono che noi gli occupiamo el suo, e tutti quelli che temono la nostra grandezza si uniranno con lui, parte per speranza di recuperare el suo con la vittoria sua, parte per assicurarsi dalla potenzia nostra. Ed el papa sará el primo, perché oltre a’ rispetti sopradetti, non può mai a alcuno papa piacere la venuta dello imperadore in Italia, sendo tra la Chiesa e lo imperio una inimicizia naturale, né avendo uno pontefice da temere di altri príncipi che del turco che gli è inimico nello spirituale, e dello imperadore che sempre fu e sempre gli sará inimico nel temporale. El pelago adunche in che si entrerrebbe è grandissimo, e forse non minore che quello di che si teme, della unione di tutti contro a noi. Perché dove si accompagnano piú príncipi grandi e che pretendono la equalitá, quanti [p. 79 modifica] piú sono insieme, piú sono le difficultá che sono tra loro; né ci mancherebbe mai in uno simile frangente, trovare modo di accordarsi con qualcuno di loro e rompere quella unione di che abbiamo tanta paura.

Ultimamente io vi ricordo che, doppo la capitulazione che facemo col re di Francia contro a Lodovico Sforza, lui non ha mai fatto con effetto cosa alcuna, per la quale possiamo dire con veritá che ci abbia mancato. Però, pigliandogli ora la guerra contro, non so come ci potreno scusare di non gli rompere la fede, della quale sapete che questa republica ha fatto sempre capitale assai; e per l’onore e per la utilitá de’ maneggi che abbiamo a avere tuttodí con gli altri príncipi, non debbiamo sanza grande causa volerci tirare adosso questa infamia, ed augumentare ogni dí el sospetto che communemente s’ha di noi, che noi aspiriamo alla monarchia di Italia. Volessi Dio che per el passato fussimo andati piú temperati in questo, perché la maggiore parte de’ sospetti che noi abbiamo, è per avere offesi troppi; né è la via di assicurarsi, lo accrescere inconvenienti ed aggiugnersi inimici nuovi, ma piú presto fermarci un poco, né entrare ogni dí in imprese nuove sanza grande necessitá o occasione. Forse che chi fu autore di fare venire in Italia el re di Francia per sbattere Lodovico Sforza, o lo movessi el desiderio di assicurarsi da’ sospetti vani, o la cupiditá di acquistare Cremona, arebbe meglio consigliato alla nostra republica, se l’avessi consigliata andarsi temporeggiando in quelle difficultá, né si lasciare traportare tanto o dallo sdegno o dalla cupiditá o dal timore, che in luogo di uno principe minore di noi ci mettessino a’ confini uno re sí potente. In effetto a me non pare che per uno sospetto di guerra incerta debbiamo pigliare una guerra certissima, né per desiderio di guadagnare debbiamo entrare in infinite spese e pericoli, né sanza manifesta necessitá mancare alla fede nostra e crescere ogni dí la opinione che siamo troppo ambiziosi e cupidi di occupare quello di altri.