Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (1824)/Libro primo/Capitolo 10

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CAPITOLO X


Quanto sono laudabili i fondatori d’una Repubblica o d’un Regno, tanto quelli d’una tirannide sono vituperabili.


Tra tutti gli uomini laudati, sono laudatissimi quelli che sono stati Capi e ordinatori delle Religioni. Appresso dipoi quelli che hanno fondato o Repubbliche o Regni. Dopo costoro sono celebri quelli che, preposti agli eserciti, hanno ampliato o il Regno loro, o quello della patria. A questi si aggiungono gli uomini litterati; e perchè questi sono di più ragioni, sono celebrati ciascuno d’essi secondo il grado suo. A qualunque altro uomo, il numero dei quali è infinito, si attribuisce qualche parte di laude, la quale gli arreca l’arte e l’esercizio suo. Sono per lo contrario infami e detestabili gli uomini destruttori delle Religioni, dissipatori de’ Regni e delle Repubbliche, inimici delle virtù, delle lettere, e d’ogni altra arte, che arrechi utilità e onore alla umana generazione, come sono gli empj, e violenti, gl’ignoranti, gli oziosi, i vili, e i da pochi. E nessuno sarà mai sì pazzo, o sì savio, sì tristo, o sì buono, che propostagli la elezione delle due qualità d’uomini, non laudi quella che è da laudare, e biasimi quella che è da biasimare. Nientedimeno dipoi quasi tutti, ingannati da un falso bene, e da una falsa gloria, si lasciano [p. 54 modifica]andare, o volontariamente o ignorantemente, nei gradi di coloro che meritano più biasimo che laude. E potendo fare con perpetuo loro onore o una Repubblica o un Regno, si volgono alla tirannide, nè si avveggono per questo partito quanta fama, quanta gloria, quanto onore, sicurtà, quiete, con satisfazione d’animo, e’ fuggono, e in quanta infamia, vituperio, biasimo, pericolo e inquietudine incorrono. Ed è impossibile che quelli che in istato privato vivono in una Repubblica, o per fortuna o virtù ne diventano Principi, se leggessero l’Istorie, e delle memorie delle antiche cose facessero capitale, che non volessero quelli tali privati vivere nella lor patria piuttosto Scipioni che Cesari; e quelli che sono Principi, piuttosto Agesilai, Timoleoni e Dioni, che Nabidi, Falari e Dionisj; perchè vedrebbero questi essere sommamente vituperati, e quelli eccessivamente laudati. Vedrebbero ancora come Timoleone e gli altri non ebbero nella patria loro meno autorità che si avessero Dionisio e Falari; ma vedrebbero di lunga avervi avuto più sicurtà. Nè sia alcuno che s’inganni per la gloria di Cesare, sentendolo massime celebrare dagli scrittori: perchè questi che lo laudano, sono corrotti dalla fortuna sua, e spauriti dalla lunghezza dell’Imperio, il quale reggendosi sotto quel nome, non permetteva che gli scrittori parlassero liberamente di lui. Ma chi vuole conoscere quello che gli scrittori liberi ne direbbero, vegga quello che dicono di Catilina. E tanto è più [p. 55 modifica]detestabile Cesare, quanto più è da biasimare quello che ha fatto, che quello che ha voluto fare un male. Vegga ancora con quante laudi celebrano Bruto; talchè non potendo biasimare quello per la sua potenza, e' celebrano il nimico suo. Consideri ancora quello ch'è diventato Principe in una Repubblica quante laudi, poi che Roma fu diventata Imperio, meritarono più quelli Imperadori che vissero sotto le leggi, e come Principi buoni, che quelli che vissero al contrario; e vedrà come a Tito, Nerva, Trajano, Adriano, Antonino e Marco, non erano necessarj i soldati pretoriani, nè la moltitudine delle legioni a difenderli, perché i costumi loro, la benevolenza del Popolo, lo amore del Senato li difendeva. Vedrà ancora come a Caligola, Nerone, Vitellio, ed a tanti altri scellerati Imperadori non bastarono gli eserciti orientali e occidentali a salvarli contro a quelli nimici, che i loro rei costumi, la loro malvagia vita aveva loro generati. E se la Istoria di costoro fusse ben considerata, sarebbe assai buono ammaestramento a qualunque Principe a mostrargli la via della gloria o del biasimo, e della sicurtà o del timore suo. Perché di ventisei Imperadori che furono da Cesare a Massimino, sedici ne furono ammazzati, dieci morirono ordinariamente; e se di quelli che furono morti ve ne fu alcuno buono, come Galba e Pertinace, fu morto da quella corruzione che lo antecessore suo aveva lasciata ne' soldati. E se intra quelli che morirono ordinariamente ve ne fu alcuno scellerato, [p. 56 modifica]come Severo, nacque da una sua grandissima fortuna e virtù, le quali due cose pochi uomini accompagnano. Vedrà ancora per la lezione di questa Istoria come si può ordinare un Regno buono; perché tutti gl’Imperadori, che succederono all’Imperio per eredità, eccetto Tito, furono cattivi; quelli che per adozione, furono tutti buoni, come furono quei cinque da Nerva a Marco. E come l’Imperio cadde negli eredi, ei ritornò nella sua rovina. Pongasi adunque innanzi un principe i tempi da Nerva a Marco, e conferiscagli con quelli che erano stati prima, e che furono poi; e dipoi elegga in quali volesse essere nato, o a quali volesse essere preposto. Perché, in quelli governati da’ buoni, vedrà un principe sicuro in mezzo de’ suoi sicuri cittadini, ripieno di pace e di giustizia il mondo; vedrà il Senato con la sua autorità, i magistrati co’ suoi onori; godersi i cittadini ricchi le loro ricchezze, la nobilità e la virtù esaltata; vedrà ogni quiete ed ogni bene; e, dall’altra parte, ogni rancore, ogni licenza, corruzione e ambizione spenta; vedrà i tempi aurei, dove ciascuno può tenere e difendere quella opinione che vuole. Vedrà, in fine, trionfare il mondo; pieno di riverenza e di gloria il principe, d’amore e sicurtà i popoli. Se considererà, dipoi, tritamente i tempi degli altri imperadori, gli vedrà atroci per le guerre, discordi per le sedizioni, nella pace e nella guerra crudeli: tanti principi morti col ferro, tante guerre civili, tante esterne; l’Italia afflitta, e piena di nuovi [p. 57 modifica]infortunj, rovinate e saccheggiate le città di quella. Vedrà Roma arsa, il Campidoglio da’ suoi cittadini disfatto, desolati gli antichi templi, corrotte le cerimonie, ripiene le città di adulterj: vedrà il mare pieno di esilj, gli scogli pieni di sangue. Vedrà in Roma seguire innumerabili crudeltadi; e la Nobilità, le ricchezze, gli onori, e sopra tutto la virtù, essere imputata a peccato capitale. Vedrà premiare gli accusatori, essere corrotti i servi contro al Signore, i liberti contro al padrone, e quelli a chi fussero mancati i nimici, essere oppressi dagli amici. E conoscerà allora benissimo quanti obblighi Roma, l’Italia, e il mondo, abbia con Cesare. E senza dubbio, se e’sarà nato d’uomo, si sbigottirà da ogni imitazione dei tempi cattivi, ed accenderassi d’uno immenso desiderio di seguire i buoni. E veramente, cercando un principe la gloria del mondo, doverrebbe desiderare di possedere una città corrotta, non per guastarla in tutto come Cesare, ma per riordinarla come Romolo. E veramente i cieli non possono dare agli uomini maggiore occasione di gloria, né gli uomini la possono maggiore desiderare. E se, a volere ordinare bene una città, si avesse di necessità a diporre il principato, meriterebbe, quello che non la ordinasse per non cadere di quel grado, qualche scusa: ma potendosi tenere il principato ed ordinarla, non si merita scusa alcuna. E in somma considerino quelli a chi i cieli danno tale occasione, come sono loro preposte due vie; l’una, che li fa vivere sicuri, e dopo la