Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (1824)/Libro primo/Capitolo 26
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CAPITOLO XXVI
Un Principe nuovo in una Città o Provincia presa da lui, debbe fare ogni cosa nuova.
Qualunque diventa Principe o di una Città o di uno Stato, e tanto più quando i fondamenti
suoi fussero deboli, e non si volga o per via di
Regno o di Repubblica alla vita civile, il migliore
rimedio ch’egli abbia a tenere quel Principato,
è, sendo egli nuovo Principe, fare ogni cosa di
nuovo in quello Stato, come è, nelle Città fare
nuovi Governi con nuovi nomi, con nuova autorità, con nuovi uomini, fare i poveri ricchi, come fece David quando ei diventò Re: qui esurientes implevit bonis, et divites dimisit inanes. Edificare oltra di questo nuove Città, disfare delle
vecchie, cambiare gli abitatori da un luogo ad un
altro, e insomma non lasciare cosa niuna intatta
in quella Provincia, e che non vi sia nè grado,
nè ordine, nè stato, nè ricchezza, che chi la tiene non la riconosca da te: e pigliare per sua mira
Filippo di Macedonia padre di Alessandro, il quale
con questi modi di piccolo Re diventò Principe
di Grecia. E chi scrive di lui, dice, che tramutava gli uomini di Provincia in Provincia, come
i mandriani tramutano le mandrie loro. Sono questi modi crudelissimi, e nimici d’ogni vivere, non
solamente cristiano, ma umano; e debbegli
qualunque uomo fuggire, e volere piuttosto vivere privato, che Re con tanta rovina degli uomini. Nondimeno colui che non vuole pigliare quella prima via del bene, quando si voglia mantenere, conviene che entri in questo male. Ma gli uomini pigliano certe vie del mezzo, che sono dannosissime ; perchè non sanno essere nè tutti buoni, nè tutti cattivi, come nel presente capitolo per esempio si mostrerà.
CAPITOLO XXVII
Sanno rarissime volte gli uomini essere al tutto tristi, o al tutto buoni.
Papa Giulio secondo andando nel 1505 a Bologna per cacciare di quello Stato la Casa de’ Bentivogli, la quale aveva tenuto il Principato di
quella Città cento anni, voleva ancora trarre Giovanpagolo Baglioni di Perugia, della quale era
Tiranno, come quello che aveva congiurato contro a tutti li Tiranni che occupavano le terre
della Chiesa. E pervenuto presso a Perugia con
questo animo e deliberazione nota a ciascuno, non
aspettò di entrare in quella Città con lo esercito
suo che lo guardasse, ma vi entrò disarmato, non
ostante che vi fusse dentro Giovanpagolo con genti
assai, quali per difesa di sè aveva ragunate. Sicchè portato da quel furore con il quale governava tutte le cose, con la semplice sua guardia si