Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (1824)/Libro primo/Capitolo 8

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CAPITOLO VIII


Quanto le accuse sono utili alle Republiche,
tanto sono perniziose le calunnie.

Nonostante che la virtù di Furio Camillo, poi ch’egli ebbe liberato Roma dalla oppressione dei Francesi, avesse fatto che tutt'i cittadini romani, senza parer loro torsi reputazione o grado, cedevano a quello, nondimeno Manlio Capitolino non poteva sopportare che gli fusse attribuito tanto onore [p. 45 modifica]re e tanta gloria; parendogli quanto alla salute di Roma, per avere salvato il Campidoglio, aver meritato quanto Camillo; e quanto all’altre belliche laudi, non essere inferiore a lui. Dimodochè carico d’invidia, non potendo quietarsi per la gloria di quello, e veggendo non potere seminare discordia infra i Padri, si volse alla Plebe, seminando varie opinioni sinistre tra quella. E intra l’altre cose che diceva, era come il tesoro, il quale si era adunato insieme per dare ai Francesi, e poi non dato loro, era stato usurpato da privati cittadini; e quando si riavesse si poteva convertirlo in pubblica utilità, alleggerendo la Plebe dai tributi, o da qualche privato debito. Queste parole poterono assai nella Plebe, talchè cominciò avere concorso, e a fare a sua posta tumulti assai nella città: la qual cosa dispiacendo al Senato, e parendogli di momento e pericolosa, creò un Dittatore, perchè e’ riconoscesse questo caso, e frenasse l’impeto di Manlio. Ondechè subito il Dittatore lo fece citare, e condussonsi in pubblico all’incontro l’uno dell’altro, il Dittatore in mezzo de’ Nobili, e Manlio in mezzo della Plebe. Fu domandato Manlio che dovesse dire, appresso a chi fusse questo tesoro che si diceva, perchè n’era così desideroso il Senato d’intenderlo come la Plebe; a che Manlio non rispondeva particolarmente, ma andando fuggendo, diceva come non era necessario dire loro quello che e’ si sapevano, tantochè il Dittatore lo fece mettere in carcere. È da notare per questo [p. 46 modifica]testo, quanto siano nelle città libere e in ogni altro modo di vivere, detestabili le calunnie, e come per reprimerle si debbe non perdonare a ordine alcuno, che vi faccia a proposito. Nè può essere migliore ordine a torle via, che aprire assai luoghi alle accuse, perchè quanto le accuse giovano alle Repubbliche, tanto le calunnie nuocono: e dall’altra parte è questa differenza, che le calunnie non hanno bisogno di testimoni, nè d’alcun altro particolare riscontro a provarle, in modochè ciascuno da ciascuno può essere calunniato; ma non può già essere accusato, avendo le accuse bisogno di riscontri veri, e di circostanze, che mostrino la verità dell’accusa. Accusansi gli uomini ai Magistrati, ai Popoli, ai Consigli; calunniansi per le piazze, e per le logge. Usasi più questa calunnia, dove si usa meno l’accusa, e dove le città sono meno ordinate a riceverle. Però uno ordinatore di una Repubblica debbe ordinare che si possa in quella accusare ogni cittadino, senz’alcuna paura, o senz’alcun sospetto; e fatto questo e bene osservato, debbe punire acremente i calunniatori; i quali non si possono dolere quando siano puniti, avendo i luoghi aperti a udire le accuse di colui che gli avesse per le logge calunniato. E dove non è bene ordinata questa parte, seguitano sempre disordini grandi; perchè le calunnie irritano, e non gastigano i cittadini; e gl’irritati pensano di valersi, odiando più presto che temendo le cose che si dicono contro di loro. Questa parte, come è [p. 47 modifica]detto, era bene ordinata in Roma, ed è stata sempre male ordinata nella nostra città di Firenze. E come a Roma questo ordine fece molto bene, a Firenze questo disordine fece molto male. E chi legge le Istorie di questa città, vedrà quante calunnie sono state in ogni tempo date a’ suoi cittadini, che si sono adoperati nelle cose importanti di quella. Dell’uno dicevano, ch’egli aveva rubati danari al Comune; dell’altro, che non aveva vinto una impresa, per essere stato corrotto, e che quell’altro per sua ambizione aveva fatto il tale e tale inconveniente. Del che ne nasceva che da ogni parte ne surgeva odio, d’onde si veniva alla divisione, dalla divisione alle Sette, dalle Sette alla rovina. Che se fusse stato in Firenze ordine d’accusare i cittadini, e punire i calunniatori, non seguivano infiniti scandali che sono seguìti; perchè quelli cittadini, o condannati o assoluti che fussero, non arebbono potuto nuocere alla città, e sarebbono stati accusati meno assai, che non ne erano calunniati, non si potendo, come ho detto, accusare come calunniare ciascuno. E intra l’altre cose, di che si è valuto alcun cittadino, per venire alla grandezza sua, sono state queste calunnie, le quali venendo contra a’ cittadini potenti, che allo appetito suo si opponevano, facevano assai per quello; perchè pigliando la parte del Popolo, e confermandolo nella mala opinione ch’egli aveva di loro, se lo fece amico. E benchè se ne potesse addurre assai esempj, voglio essere [p. 48 modifica]contento solo d’uno. Era l’esercito Fiorentino a campo a Lucca, comandato da messer Giovanni Guicciardini, Commissario di quello. Vollono o i cattivi suoi governi, o la cattiva sua fortuna, che la espugnazione di quella città non seguisse. Pur comunque il caso stesse, ne fu incolpato messer Giovanni, dicendo com’egli era stato corrotto da’ Lucchesi; la quale calunnia sendo favorita da’ nimici suoi, condusse messer Giovanni quasi in ultima disperazione. E benché per giustificarsi ei si volesse mettere nelle mani del Capitano, nondimeno non si potette mai giustificare, per non essere modi in quella Repubblica da poterlo fare. Di che ne nacque assai sdegno tra gli amici di messer Giovanni, che erano la maggior parte degli uomini grandi, e infra coloro che desideravano fare novità in Firenze. La qual cosa, e per queste e per altre simili cagioni, tanto crebbe, che ne seguì la rovina di quella Repubblica. Era adunque Manlio Capitolino calunniatore, e non accusatore; e i Romani mostrarono in questo caso appunto, come i calunniatori si debbono punire. Perchè si debbe fargli diventare accusatori, e quando l’accusa si riscontri vera, o premiarli, o non punirli; ma quando la non si riscontri vera, punirli come fu punito Manlio.