Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (1824)/Libro terzo/Capitolo 39

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Libro terzo

Capitolo 39

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Capitolo XXXIX

Che uno capitano debbe essere conoscitore dei siti.


Intra l'altre cose che sono necessarie ad un Capitano d'eserciti, è la cognizione dei siti e dei paesi, perché senza questa cognizione generale e particolare un Capitano d'eserciti non può bene operare alcuna cosa. E perché tutte le scienze vogliono pratica a voler perfettamente possederle, questa è una che ricerca pratica grandissima. Questa pratica, ovvero questa particulare cognizione, s'acquista più mediante le cacce, che per veruno altro esercizio. Però gli antichi scrittori dicono che quelli eroi, che governarono nel loro tempo il Mondo, si nutrirono nelle selve e nelle cacce; perché la caccia, oltre a questa cognizione, t’insegna [p. 219 modifica] cose, che sono nella guerra necessarie. E Senofonte, nella vita di Ciro mostra che andando Ciro ad assaltare il Re d’Armenia, nel divisare quella fazione ricordò a quegli suoi, che questa non era altro, ch'una di quelle cacce, le quali molte volte avevano fatte seco. E ricordava a quelli che mandava in agguato in su i monti, ch'gli erano simili a quelli che andavano a tendere le reti in su i gioghi, ed a quelli che scorrevano per il piano, erano simili a quegli ch'andavano a levare del suo covile la fiera, acciocché cacciata, desse nelle reti. Questo si dice per mostrare come le cacce, secondo che Senofonte approva, sono una immagine di una guerra. E per questo agli uomini grandi tale esercizio è onorevole e necessario. Non si può ancora imparare questa cognizione de’paesi in altro più atto modo che per via di caccia; perché la caccia fa, a colui che l'usa, sapere come sta particularmente quel paese, dove ei l'esercita. E fatto che uno s'è familiare bene una regione, con facilità comprende poi tutti i paesi nuovi; perché ogni paese ed ogni membro di quelli hanno insieme qualche conformità, in modo che dalla cognizione d’uno facilmente si passa alla cognizione dell’altro. Ma chi non ne ha bene pratico uno, con difficultà, anzi non mai, se non con un lungo tempo, può conoscere l’altro. E chi ha questa pratica, in uno voltare d’occhio sa come giace quel piano, come surge quel monte, dove arriva quella valle, e tutte [p. 220 modifica]simili cose, di che elli ha per lo addietro fatto una ferma scienza. E che questo sia vero, ce lo mostra Tito Livio con lo esemplo di Publio Decio; il quale, essendo Tribuno de’ soldati nello esercito che Cornelio consolo conduceva contro ai Sanniti, ed essendosi il Consolo ridotto in una valle, dove lo esercito de’ Romani poteva dai Sanniti essere rinchiuso, e vedendosi in tanto pericolo, disse al Consolo: «Vides tu, Aule Corneli, cacumen illud supra hostem? arx illa est spei salutisque nostrae, si eam (quoniam caeci reliquere Samnites) impigre capimus». Ed innanzi a queste parole, dette da Decio, Tito Livio dice: «Publius Decius tribunus militum, conspicit unum editum in saltu collem, imminentem hostium castris aditu arduum impedito agmini, expeditis haud difficilem». Donde, essendo stato mandato sopra esso dal Consolo con tremila soldati, ed avendo salvo lo esercito romano e disegnando, venente la notte, di partirsi, e salvare ancora sé ed i suoi soldati, gli fa dire queste parole: «Ite mecum, ut, dum lucis aliquid superest, quibus locis hostes praesidia ponant, qua pateat hinc exitus, exploremus. Haec omnia sagulo militari amicus ne ducem circumire hostes notarent, perlustravit». Chi considerrà, adunque, tutto questo testo, vedrà quanto sia utile e necessario a uno capitano sapere la natura de’ paesi: perché, se Decio non gli avesse saputi e conosciuti, non arebbe potuto giudicare quale utile faceva pigliare quel colle, allo esercito Romano, né arebbe [p. 221 modifica]potuto conoscere di discosto, se quel colle era accessibile o no; e condotto che si fu poi sopra esso, volendosene partire per ritornare al Consolo, avendo i nimici intorno, non arebbe dal discosto potuto speculare le vie dello andarsene, e gli luoghi guardati da’ nimici. Tanto che, di necessità conveniva, che Decio avesse tale cognizione perfetta: la quale fece che, con il pigliare quel colle, ei salvò lo esercito romano; dipoi seppe, sendo assediato, trovare la via a salvare sé e quegli che erano stati seco.