Discorso filosofico-politico sopra la carcere de' debitori/Sopra la carcere de' debitori

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19 marzo 2012 100%

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SOPRA


LA CARCERE


DE’ DEBITORI.



LA ricchezza e la povertà sono vicende necessarie nel corpo politico, e chi tentasse di opporvi delle resistenze non tenderebbe, che a sostituire al moto la forza d’inerzia. Se il desiderio di acquistare non fosse sostentato dalla forza pubblica col difendere, e proteggere l’acquisto in tutta la sua estensione, si comprimerebbero i suoi sforzi; si diminuirebbero le sue scoperte, i suoi utili errori, i suoi progressi, e le ragioni, per le quali le arti, e le scienze passano da un popolo [p. 6 modifica]all’altro. È un bene, e non un male, che gli uomini civilizzati stimino ricchezza l’oro e l’argento, e questa illusione è universalmente giovevole, perchè mantiene i popoli in una reciproca dipendenza. Se tutti i popoli fossero semplicemente agricoltori, il superfluo delle nazioni marcirebbe negli stati, e la classe sterile sarebbe circoscritta nella piccola circonferenza de’ bisogni necessarj, e si renderebbe affatto inutile il commercio, che riguarda le nazioni non come tante famiglie separate, ma come tante famiglie, che riunite insieme compongono la famiglia universale. Necessaria è dunque per l’economìa pubblica la classe de’ ricchi, e la classe de’ poveri; necessaria è la illusione, che fa agli uomini il denaro, ed è d’interesse degli [p. 8 modifica]amministratori dell’autorità pubblica la moltiplicazione de’ mezzi tendenti all’acquisto di tali metalli, con accordare a tutti la libertà di usarne a loro talento. I privilegj accordati ad alcuni colla esclusione degli altri sono tanti atti d’ingiustizia per il resto della nazione. Agli occhi del sovrano tutti i sudditi devono comparire uguali, ed il ricco, ed il povero non devono avere, che il resultato de’ rapporti fra loro; ma tanto l’uno, che l’altro devono ubbidire agli atti della volontà generale; e chi ha in mano la potestà esecutiva è in obbligo d’invigilare sulla loro condotta, perchè, altrimenti facendo, il ricco opprime il povero. Che tale oppressione succeda per quell’istinto che ha l’uomo di rapportare tutto a se stesso, è nella natura delle [p. 10 modifica]cose: ma che succeda coll’ajuto delle leggi, mi tocca il cuore, e fremo per la disgraziata umanità. Un povero fa un debito con un ricco, e promette di pagarlo dentro ad un certo tempo, o ad ogni sua richiesta, perchè vede, o spera di potere aver in quel tempo degli assegnamenti per soddisfarlo; resta deluso dalla credenza, e dalla speranza, e si trova racchiuso dentro una carcere per un debito contratto a buona fede con un suo simile. Io non ho inteso, nè intenderò, mai, come quella procedura debba essere autorizzata dalla legge, e che, chi per impotenza, e non per volontà manca alla sua parola, debba esser confuso con chi ha tentato di togliere, o di fatti ha tolto dal pubblico deposito quella porzione di libertà posta [p. 12 modifica]in esso per difesa della rimanente, con abusarne a danno della società.


L’assioma legale qui non habet in ære, luat in corpore ha per fondamento la barbarie, e lede troppo la umanità. I Romani, da’ quali abbiamo appresa la giurisprudenza, non furono, che [p. 14 modifica]conquistatori, e se si vogliono riguardare come legislatori, non si dovrebbero prendere da loro, che i principj generali del giusto, e dell’ingiusto; poichè l’applicazione di questi a’ casi particolari è stata da’ medesimi il più delle volte poco, o punto, o male eseguita1, e sono stati guidati più dallo spirito di ferocia, che di umanità. Per avere un sicuro riscontro della verità del mio detto serve gettare gli occhi sopra le leggi riguardanti la patria potestà, ed i servi: il padre poteva fino vendere i suoi figli, ed aveva sopra di essi il gius di vita, e di morte: il padrone aveva un coeguale diritto sopra i servi, e questi venivano nella classe delle cose, non delle persone. Come dunque si [p. 16 modifica]può trovare una maniera, che leda più la umanità, ed il diritto di natura? Le premure di quel governo erano tutte dirette al vantaggio de’ creditori; ed in danno de’ debitori2, o de’ loro eredi.

[p. 18 modifica]Moriva un debitore, e se l’erede legittimo ricusava per ragione de’ debiti lasciati dal defunto di accettare l’eredità, era ignominia il morire senza erede. Se era istituito erede un servo, egli era costretto all’adizione, perchè necessario: ricuperava la sua libertà, ma le vessazioni de’ creditori del suo padrone erano il prezzo del suo riscatto. Lasciava il defunto dopo di se de’ Figli? questi dovevano essere indispensabilmente eredi, perchè suoi, e necessarj: e se successivamente furono ammessi al benefizio dell’astensione, si doveva ciò riconoscere dall’editto del Pretore, e non dalla disposizione della legge. Ma che? il creditore poteva sequestrare il cadavere del suo debitore nella casa mortuaria. Tal sistema benchè ad ogni uomo, che abbia [p. 20 modifica]qualche sentimento di umanità, paia barbaro, e crudele, è arrivato fino a noi, e si sono trovati degli uomini, che hanno scritto a favore di questo uso. Ah si rispettano troppo i pregiudizj dell’antichità! ed è un gran male politico il credere, che certe leggi fatte in certe determinate circostanze per un certo determinato paese, possano adattarsi altrove, e debbano essere invariabili, e perpetue. Variano i tempi, variano i costumi, sicchè devono variare anche le leggi. Tal verità fu conosciuta dal celebre Locke, il quale nel fare le leggi per la Carolina ordinò, che fossero in osservanza per un secolo solamente. A me piacerebbe, che le leggi fossero fatte a tempo, e che dopo spirato il termine della loro durata si riconfermassero [p. 22 modifica]per altro tempo, quando avessero portato utile allo Stato, perchè allora non vi sarebbe bisogno di abrogarle, sarebbero minori le querele del popolo, e le leggi conserverebbero quella venerazione, che perdono nella riforma, o nella abrogazione.


Nella Toscana vi è una legge crudele sopra i falliti; se il fallito volge le spalle a’ suoi creditori, la legge presume il fallimento doloso, e come doloso, oltre le pene, che incorre il fallito, i figlioli, e descendenti maschi per linea masculina nati al tempo del fallimento sono affetti, ed obbligati colle persone, e beni a [p. 24 modifica]soddisfare i debiti del padre, e dell’avo paterno, senza che li giovi o una preventiva emancipazione, o una successiva repudia, o astensione della eredità, e detti figli, e descendenti maschi per linea masculina nati innanzi, e dopo il fallimento sono notati insieme con tali falliti di perpetua infamia. Ma come dal sottrarsi dagli occhi de’ suoi creditori se ne può indurre il dolo, quando la causa della latitazione può essere il timore della carcere, quale ognuno naturalmente aborre per l’amore della libertà? e perchè la pena del padre, o dell’avo deve passare anche ne’ figli, quando questi non hanno avuto parte ne’ contratti del padre? può essere, che una legge simile fosse creduta opportuna in uno Stato, la di cui floridezza dipendeva dalla mercatura, ed [p. 26 modifica]ove le ricchezze da essa derivate a vantaggio della casa del Legislatore, che di privata ascese al trono, erano tanti ostacoli all'ambizione di altri cittadini; ma cessate quelle cause, e divenuto il governo di turbolento, e sedizioso, quieto, e pacifico, e di vacillante, fermo, e consistente, doveva cessare l'osservanza di questa legge, e per il lustro di una così chiara famiglia, doveva togliersi dalla memoria de' posteri. Ma non ostante che sieno già trascorsi quasi due secoli, si pretende da' creditori essere in osservanza, ed i Giudici medesimi in alcuni casi non hanno avuto il coraggio di recedere dal disposto di leggi così invecchiate.

Bisogna punire il fallito, o il debitore doloso, ma prima di punirlo bisogna, [p. 28 modifica]che costi del dolo, ed il dolo non si presume, ma conviene provarlo. Allora non si punisce il debitore comme debitore, ma come delinquente; poichè essendo il dolo un resultato di un detto, o di un fatto non rispondente al vero, perchè diretto ad ingannare; colui, che se ne prevale è un uomo pericoloso alla società, ed è simile a chi ruba. All’incontro poi chi fa un debito civile deve esser sicuro nella persona, e non deve permettersi, che si faccia servo di pena a piacere di un particolare.


Il fine del patto sociale, che è l’istesso che dire della riunione degli uomini in corpo politico, fu il bene commune; un mezzo per ottenerlo fu la divisione de’ beni comuni, e la proprietà delle quote. [p. 30 modifica]Ma il diritto di proprietà fin dove poteva estendersi? La maggiore estensione, che gli si potesse dare era ristretta dentro il necessario sostentamento di ciascuno individuo. Ognuno dalla natura ha un diritto simile, e se gode di più in proprietà, quello di più si deve alla società, che lo mantiene nel suo dominio. Ma per proteggerlo, e mantenerlo vi vuole una forza, che sia la maggiore delle forze di ciaschedun socio, e questa forza non è, che la somma della forze di tutti gl'individui. Ognuno contribuisce co' suoi talenti, colla sua fatica, colla sua attività, colla sua industria alla formazione di questa forza: come dunque l'autorità publica può permettere, che sia sottratta dalla somma delle forze di tutti una porzione per un creditore in pregiudizio [p. 32 modifica]dello Stato? Parrà ad alcuno che io proponga un paradosso, perchè questa sottrazione sia metafisica, e non reale, ma io sostengo essere vera, e reale. È verità ormai dimostrata, che l'economia pubblica bene amministrata è il nerbo delli Stati, e che dipende da essa la felicità de' sudditi. I moderni Filosofi, che hanno scritto in vantaggio degli uomini sopra l'economia degli Stati hanno divisa la Nazione in tre classi, cioè classe dei proprietari, classe produttiva, e classe sterile, e tutte quelle tre classi unite insieme formano l'oggetto dell'economia pubblica. Se una di queste tre classi si renda inattiva, l'inazione di essa si comunica alle rimanenti: se il proprietario non supplisce, o supplisce meno alle spese occorrenti per la cultura delle terre, [p. 34 modifica]l'opera del lavoratore essendo proporzionale alle spese, la riproduzione annuale o sarà zero, o sarà minore di quello, che si sarebbe potuto avere, e le arti, ed i mestieri daranno poco, o punto profitto allo stato, e prenderanno il partito delle emigrazioni. Molte sono le arti, ed i mestieri, ne' quali s'impiegano le materie riprodotte, e tutte le braccia industriose si sostentano per mezzo della riproduzione. Se una estensione di terre vuole la fatica di venti mani per avere la maggior possibile riproduzione, l'impiegarne un minor numero fa l'effetto di privare il proprietario di una maggior rendita; egli si lamenta, che il frutto delle terre è piccolo in proporzione delle spese, si querela l'agricoltore, perchè le sue fatiche servono appena per il suo [p. 36 modifica]consumo; languisce l'artista, ed il manifattore, perchè vede rallentato il suo lavoro, e trae poco profitto dalla sua industria; ed intanto lo stato resta defraudato di una maggior ricchezza, e cresce in debolezza a misura che la ricchezza diminuisce. Si tolga da qualunque di queste tre classi qualche individuo con porlo in carcere per debito, si sospende l'opera di costui per quel tempo, che piace al creditore, ed intanto lo stato perde quell'utile, che ne averebbe ricavato, se non fosse stato distornato da' suoi affari, ed il creditore non fa che renderlo viepù impotente a soddisfare al suo debito.


[p. 38 modifica]Nè si dica, che la perdita dello stato è piccola, nella sospensione della opera di qualche suddito, e che perciò non è valutabile; poichè rispondo, che sia piccola quanto mai si possa immaginare la perdita, basta che sia qualche cosa per doversi porre in linea di conto: l'economia è affare di calcolo, e dil calcolo deve abbracciar tutto perchè non sia incompleto: anche le frazioni più lontane dall'intero sommate insieme danno il prodotto dell'intero, o vi si approssimano. È da valutarsi ancora, che posti in carcere, e non potendo usare della loro industria per vivere, vivono a spese d'altri, o del pubblico, non tanto essi, [p. 40 modifica]che la loro famiglia, che per sostentarsi è costretta a domandare limosine, e la facilità di trovarle la pone nella inerzia; limosine che si potrebbero meglio impiegare, se si diminuissero i motivi di pietà: e questi motivi resterebbero diminuiti, se i poveri debitori fossero sicuri nella persona. Io offendo la società col delinquere, perchè mi sottraggo dalla volontà generale, e merito un gastigo, che mi richiami alla obbedienza, ma se non manco a' doveri di suddito verso il mio Sovrano, ad alcuno non è lecito farmi soffrire una pena senza ledere l'uguaglianza, che è il fondamento della società. La carcere è una pena, ed una pena troppo sensibile, perchè toglie quel resto di libertà riserbata nello sproprio, che fece ciaschedun uomo, allorchè dallo stato di [p. 42 modifica]natura passò allo stato di società: quanto un mio concittadino ha la facoltà di togliermi questo resto, il sistema politico viene alterato, perchè il vantaggio è tutto per una parte, e tutto il danno è per l’altra.

Che male fa alla società chi contrae un debito civile per meritarne una pena? anzi la società medesima ne ritrae un bene, perchè si rimette nel circolo quel denaro, che il creditore ha sottratto. Ha il debitore forse attaccata la proprietà protetta dall’autorità pubblica? nò certamente; perchè il creditore ha volontariamente passato nelle mani del suo debitore quello che gli si apparteneva.


Nè per elidere la forza di questo ragionamento mi si dica, che la carcere [p. 44 modifica]de' debitori non è una pena data da un privato, ma da un magistrato: poichè è vero, che vien data da un magistrato, ma ad istanza di un privato; ed un magistrato può rilasciare la cattura contro un delinquente, non già contro un innocente, se non nel caso, che si renda disubbidiente a' di lui ordini, perchè in quel momento delinque. Ma se un magistrato mi ordina, che dentro certo tempo io sodisfaccia al mio creditore, e per impotenza non sodisfo, merito forse di esser punito come disubbidiente? Nò certamente, perchè per dichiararmi tale, bisogna che vi concorra la volontà, ed il potere: la volontà è in me, ma il potere dipende da una combinazione di più, e diverse cause estrinseche, e la volontà è ineseguibile senza il potere. Se [p. 46 modifica]poi vi è il potere, e manca la volontà, allora son degno certamente di pena, e devo essere considerato, come debitore doloso.

È inoltre da considerarsi, che ciascuno nella formazione de' popoli ha obbligata la sua persona a tutta la nazione, e non a qualche individuo, e che questa obbligazione, benchè sia di data antichissima, rinasce continuamente per natura dell'atto nel momento dalla nascita di ognuno, essendo di necessità la perpetuazione di essa per la conservazione della società, e dell'ordine. Non può perciò obbligarsi la persona a qualchè individuo senza contravvenire al patto sociale, per cui ne resulta fra tutti un legame scambievole.

Non è l'obbligazione della persona la [p. 48 modifica]causa impulsiva del credito, ma la credibilità nel creditore della sicurezza dell'impiego. Questa proposizione non ha bisogno di prova, perchè i sentimenti di ciascheduno la giustificano abbastanza. Non intendo di escludere le altre cause, che prendono vita ne' sentimenti di pietà, poichè io non ho inteso, nè intendo di far altro, che dalle cose più frequentemente contingibili fissarne una regola generale.


Nè il timore della carcere può servire di sprone al debitore per sodisfare il suo creditore, poichè gli stimoli esterni possono essere utili lì dove mancano gl'interni, ma quando questi esistono, si rendono gli esterni inutili, perchè superflui: l'azione degli uni è continua, l'azione [p. 50 modifica]degli altri è in distanza, o momentanea. Un leggiero esame sulla natura dell’uomo, ed un ritorno sopra se stesso serve per convincersi di tal verità. Chi contrae un debito, contrae una obbligazione col creditore, per la quale obbligazione si rende in qualche forma dipendente. Questa dipendenza qualunque ella sia è contraria alla natura umana, perciò deve essere di stimolo presentaneo per liberarsi da questo stato. Di quì è, che non vede volentieri la faccia del suo creditore quando per sodisfarlo non gli rimane, che un’interna agitazione, perchè vede di non potere ridurre all’atto la di lui volontà. Se l’arresto del debitore fosse un mezzo, per cui rimanesse sodisfatto il suo creditore, converrei, che fosse interesse pubblico il tenere aperte [p. 52 modifica]le carceri a' debitori; ma perchè la carcere non serve ad altro, che aggiungere una pena esterna ad una pena interna, che lo divora, io dirò sempre, che è contro il sistema politico, contro la economia pubblica, e contro i doveri dell'uomo verso degli altri. Nè alcuni esempj di creditori rimasti pagati per mezzo dell'arresto del loro debitore pongono niente in essere; perchè la mendicità di una famiglia è il prezzo della loro durezza. Una moglie, che vede carcerato il suo marito si spropria della sua dote, si priva fino del letto, dà fondo a tutto per liberarlo, ed intanto languisce insieme con lui, e con i teneri figli in una miseria così deplorabile, che manca loro il necessario sostentamento. Si conduca un creditore tanto inumano in una di queste case, e [p. 54 modifica]veda con occhio indifferente, se può, chi manca del necessario per accrescere il suo superfluo. Si potrebbe quì fare una patetica descrizione della miseria, che opprime questi infelici, e formare un quadro di un disgraziato, che non ha altro da sostentarsi, che un pezzo di pane con uno al lato, il quale benchè gozzovigli nella ricchezza, gnene strappa di mano, perchè tutti gridassero al crudele, al disumano, ma siccome gli originali fanno una più forte impressione de' ritratti; e simili originali sono troppo ovvj, si può far passata de' ritratti.


Tutti gli uomini sono portati alla compassione, perchè sono sensibili per natura; la sensibilità cresce, o diminuisce [p. 56 modifica]a misura della vicinanza, o lontananza dallo stato del compassionato, perchè chi vi si avvicina pensa più facilmente a sostituirsi in quel luogo, e diviene allora un sentimento proprio la miseria altrui; laddove chi se ne allontana non può sentire in se gli effetti medesimi, perchè vedendo la gran distanza, che passa fra quell'infelice, e se stesso, non può immaginarsi la contingibilità del caso per sostituirvisi; di qui è, che i ricchi sono meno sensibili de' poveri, ed in conseguenza meno compassionevoli. Se qualche volta un di costoro si sente un poco muovere dalla vista di un miserabile, cerca di togliersi questa molesta impressione con evitarlo, o col richiamarsi alla mente tutti i di lui difetti, e rappresentarselo come un dilapidatore delle sue sostanze, [p. 58 modifica]o uno che vuole sfuggire la fatica per vivere a spese altrui, o uno finalmente, che in vece di meritare compassione è degno di disprezzo, perchè la di lui miseria dipende dalla di lui volontà. Io non nego, che qualcheduno di questi disgraziati non meriti tali rimproveri, ma il numero di essi è il minore: si devono per questo lasciar perire? in ogni ben regolato governo il prodigo si sottopone alla cura di qualche magistrato, ed il mendico si pone in una casa di forza, ove sostentandolo si rende utile a se, ed allo stato, senza indagare le cause della loro respettiva miseria, servendo a chi governa, come padre comune l'attuale disgrazia di un infelice per ripararvi.

[p. 60 modifica]Sono tante, e tali le molle, che agiscono sugli avvenimenti umani da non potersene prevedere gli scatti per prevenirli, che qualunque disgraziato merita compassione; e la umanità richiede, che si sovvenga a’ nostri simili, perchè tutti hanno per natura il diritto alla loro sussistenza.


I creditori che formano il minor numero nello stato, non affidano ad altri, che i loro avanzi, ed il privilegiarli con permetter loro la carcerazione del debitore repugna alla giustizia, ed insieme alla umanità, a cui deve richiamarli l’autorità pubblica per bene dello stato. Poichè [p. 62 modifica]è facile il passaggio dalla umanità alla disumanità. Le frequenti impressioni degli oggetti medesimi sopra i nostri sensi rendono ottusa la sensibilità, e senza di essa non si può essere umani; e se per fortuna non fa argine a questa perdita la potestà legislativa, il maggior numero resta oppresso dal minore.

Prevedde tal cosa il saggio Solone, nel formare le leggi per gli Ateniesi, mentre ordinò, che nessun creditore potesse fare l’arresto della persona del suo debitore per debiti civili; ma per disgrazia del genere umano non è stato immitato. Non resta che confidare ne’ lumi di questo secolo, perchè cessi questa barbarie legale 3.

[p. 64 modifica]Un’anima grande, che per fortuna de’ suoi popoli risiede sul trono, perchè li governa co’ lumi della più sana filosofia, voglio dire CATERINA Imperatrice delle Russie, ha pensato a riparare a questo sconcerto. Ella nelle istruzioni da lei date alla deputazione sopra il nuovo codice da formarsi, pone in veduta la deliberazione di Solone per seguitarsi in quei debiti civili, che si contraggono indipendentemente dal commercio, esprimendosi, che repugna troppo alla umanità l’arresto personale del debitore. Ella dunque ha rivendicata la umanità, e merita le benedizioni degli uomini: piaccia al cielo, che gli altri Sovrani facciano altrettanto per venerarli come benefattori del genere umano. Tutti i Principi, che riseggono in questo secolo [p. 66 modifica]sopra i troni Europei si possono considerare, come tanti padri, che riguardano i sudditi, come figli, perchè a' talenti, che assicurano gli Stati, aggiungono le virtù, che guadagnano i cuori. Hanno riformati alcuni, ed altri pensano a riformare gli abusi, che nuocono all'ordine generale 4; ed è stata tolta in parte quell'antica barbarie, che era nelle nazioni, e se le regole di proporzione [p. 68 modifica]sono adattabili agli atti umani, non dovrebbe passare molto tempo per vederla affatto sbandita. Un residuo di barbarie è certamente la carcere de’ debitori, sicchè ancor questa dovrebbe esser compresa nella riforma, e tantopiù, perchè tocca la umanità. Mi giova così sperare per non credere perduto questo mio tenue lavoro, che qualunque egli sia, è un resultato della mia sensibilità verso i miei simili.

Io prevedo, che qualcheduno mi maledirà, e mi screditerà, come un fanatico distruttore della fede pubblica nel difendere la causa de’ debitori; ma io domanderò a costui, se la fede pubblica sussista senza la giustizia, e senza la umanità? se crede di sì, io gli dirò, che per lui non è buono lo stato della civile società, [p. 70 modifica]e che vada perciò fra selvaggi delle Isole Mariane, ove regna una totale scambievole diffidenza, perchè non hanno idea nè della giustizia, nè della umanità: se poi crede di nò, quello che ho già detto mi giustifica abbastanza. La fede pubblica ne toccherebbe se io dicessi, che i debitori non possano essere astretti a sodisfare i loro creditori, ma guardimi il cielo, che io pronunziassi una simil bestemmia. I debitori sieno pure esecutati ne' loro beni, questi si vendano, o si assegnino in pagamento a' loro creditori se sono mobili ad esclusione de' necessari: se poi sono immobili e beni di suolo, che o per la estensione, o per la fertilità del terreno somministrino al possessore più del necessario sostentamento, questo di più si dia al creditore.

[p. 72 modifica]Ne' beni fidecommessi, &c. si osserva così: o perchè non devesi osservare l'istesso negli altri beni, quando sono tutti egualmente sotto la pubblica vigilanza, e custodia? Io convengo, che mediante l'approvazione della pubblica autorità, questi sieno inalienabili, e non distraibili per le obbligazioni del possessore, per prevenire il danno de' chiamati, e che quelli si possano alienare, e distrarre: ma non convengo, che dagli uni si debbano detrarre gli alimenti ad esclusione degli altri, quando tanto i primi, che i secondi non sono, che porzioni del territorio pubblico occupate preventivamente da' particolari, o [p. 74 modifica]assegnate loro nello stabilimento delle civili società per il necessario sostentamento, a cui ognuno ha il diritto dalla natura. A questo diritto nessuno può rinunziare, perchè una tal renunzia porterebbe la distruzione di se stesso, quando la volontà di ciascuno è diretta alla propria conservazione. Ma in questo caso il creditore non potrà rimaner sodisfatto, che interposte più dilazioni. Così è certamente: Io dico per altro, che si rende migliore la condizione del creditore nel tener vivo il suo debitore con dargli il puro necessario sostentamento, che nel sacrificarlo alla di lui avarizia. Nel primo caso può accadere l'aumento del patrimonio dell'oberato, o per mezzo di qualche eredità, o per qualche sua industria personale, laddove nel secondo [p. 76 modifica]tutto è perduto, e lo stato intanto ne risente il carico. Il capitolo ODOARDO è giusto, perchè vuole, che detratto il necessario per il debitore, l'avanzo sia del creditore, e si potrebbe considerare, come un pezzo di giurisprudenza attinta dalla filosofia, se non vi avesse parte la dignità, la quale non devesi riguardare ne' diritti di natura, perchè questi appartengono a tutti ugualmente. Quei giureconsulti, che dal clerico lo hanno esteso ad alcuni congiunti di sangue, e ad alcune altre persone, non sono rimontati a' principj delle cose, ed hanno ancor essi riguardata più la qualità delle persone, che i diritti annessi alle medesime. Il privilegiare alcuni del necessario ad esclusione degli altri, che vi hanno un gius coequale si oppone alla giustizia, ed [p. 78 modifica]alla umanità: alla giustizia, perchè estendendosi la proprietà di ciascuno individuo dentro i confini del necessario bisogno, viene a ledersi questo diritto: alla umanità, perchè si sostituisce alla pietà, che stringe il nodo sociale la crudeltà che lo scioglie.


[p. 80 modifica]Venga adesso qualche difensore della causa de' creditori, e mi opponga, che tolta la carcere, o la esecuzione personale del debitore; e dato al debitore il necessario sostentamento, non si troverà chi voglia far crediti, ed intanto il bisognoso non potrà sovvenire a' suoi bisogni. Un apologista di tal fatta è poco esperto della natura dell'uomo, ed è un negligente osservatore de' fatti: poiche la natura dell'uomo è tale, che non ha limiti ne' suoi desiderj, e fra questi il massimo è quello di aumentare il suo superfluo; ed i crediti sono un mezzo per l'incremento, mezzo qualchè volta fallace, ma il più delle volte reale, e tanto basta per allontanarne il sospetto del decremento. I fatti convalidano quel che io dico: una nazione è composta di [p. 82 modifica]alcuni ceti di persone, che godono il privilegio della deduzione del necessario, e sono esenti dalla carcere: forse tali specie di gente non trovano da far debiti? si vedono più degli altri oberati. Subitochè gli uomini si legarono fra loro, ne nacque una quantità di rapporti, che non avevano; ma tali rapporti erano necessarj, perchè derivanti dalla natura della società, che ha posto l'uomo in tali circostanze da aver bisogno dell'altro uomo. Dunque gli uomini esseri ragionevoli sono costretti o più, o meno a far uso delle virtù sociali per il proprio particolare interesse. Il reintegrare pertanto l'uomo al diritto naturale del suo necessario sostentamento, ed il restituirlo a quel resto di libertà preservatasi nella unione sociale, non è un [p. 84 modifica]atto di dispotismo, ma un atto, che conviene alla giustizia, ed alla umanità.


Si rifletta ancora, che l'attual sistema contro i debitori non fa, che fomentare gli odj, e le nemicizie fra le famiglie de' debitori, e de' creditori, perchè le reflettute vessazioni non possono non produrre questo funesto effetto. Eppure le premure de' savj sono dirette presentemente a rendere più perfetta la politica, e la morale; ma non si potrà ottenere l'intento, se non si diminuiscano le cause degli odj, e delle nemicizie fra gl'individui, perchè allora diverrà più solida, e consistente l'unione, ed i costumi più [p. 86 modifica]dolci, e pacifici. Togliete a’ creditori la facoltà della esecuzione personale contro i debitori, rendete salvo il puro necessario a’ debitori, e ne verrà certamente un bene allo stato; poichè diminuendosi le cause degli odj, e delle nemicizie, ne nascerà la pietà, che a principio forzata si dilaterà libera nel progresso stante la revoluzione delle cose umane, ed il continuo giro de’ fausti, e degl’infausti avvenimenti.


Pochissime sono state per disgrazia del genere umano quelle leggi positive, che abbiano avuto in mira l’interesse pubblico, o il vantaggio del maggior numero, perchè o apprese ne’ secoli d’ignoranza, o fatte ne’ tempi di anarchia, ove non potevasi intendere il diritto [p. 88 modifica]politico. Tali erano i tempi, ne' quali ebbero vita gli statuti locali, che si possono assomigliare agli editti del Pretore perchè correggono, suppliscono, o confermano il gius civile de' Romani. Questi statuti non sono, che un mosaico di legge barbariche, e romane. Gli stabilimenti de' popoli del nord nelle nostre contrade dovettero variare la nostra maniera di esistere, ed influirono sopra gli usi, ed i costumi in forma, che la più sicura riprova del carattere di un popolo è l'esame della sua particolare legislazione: questa è un quadro, ove sono dipinte a chiaroscuro le inclinazioni de' popoli, ed il genio del legislatore. Si hanno al nostro proposito due diverse disposizioni statutarie intorno alle adizioni delle eredità. L'una vuole [p. 90 modifica]l'accettazione libera dell'eredità, o la repudia, o l'astensione; l'altra ammette l'adizione dell'eredità beneficiata: la prima è a vantaggio de' creditori, ed in danno dell'erede dell'oberato; la seconda rende salvo l'interesse degli uni, e dell'altro, sicchè l'una ingiusta, ed iniqua, l'altra giusta, ed equa. E se è lecito congetturare sopra la diversità di questi due statuti, io ardirei dire, che dagli statuti esclusivi dell'eredità benefiziata si potesse dedurre la finezza, l'astuzia, e la tendenza alla frode del popolo per cui furono fatti; e se furono estesi ad altri popoli per ragione di conquista, o dedizione, non può dirsi, che i popoli soggiogati, o arresi sieno del medesimo carattere del popolo vincitore; ma bensì, che il vincitore abbia giudicato i vinti [p. 92 modifica]secondo il cuor suo, e che perciò credesse necessario, che si estendessero anco a loro tali statuti; mentre è costante l'osservazione, che l'accento del paëse si conserva non tanto nel linguaggio, che nel cuore. È bensì vero, che questi medesimi statuti accordando a' pupilli, a' minori, alle vedove, &c. il benefizio dell'inventario non so comprendere, come non si possa accordare indistintamente a tutti. Forse perchè tali persone sieno incapaci di dolo? Ma se esse sono incapaci, sono per altro capaci i loro tutori, curatori, ed amministratori, quali per lo più sono i loro beneaffetti, o parenti. Eppure con certe cautele viene in effetto riparato, o si presume che sia riparato à tali sospetti o perchè, colle medesime cautele non vi si può riparare in tutti i casi? ah che certi statuti furono [p. 94 modifica]ordinati quando la scienza del governo non era nata! Lo spirito occupato nel dettaglio era incapace a vedere in grande gli oggetti, e per pervenire un male si voleva distruggere l'individuo, simile a quel medico, che vedendo minacciato un braccio, od una gamba da una infiammazione invece di apportarvi un salutevole rimedio, proponesse di tagliare il braccio, o la gamba. Noi siamo fuori di questo caso, ma per disgrazia certe disposizioni sussistono anche presentemente. Eppure siamo in un secolo ove il numero de' progettisti è eccessivo; si propongono de' piani per dare una nuova forma al sistema politico, ed economico, si vogliono da pertutto riforme forse in peggio, che in meglio, ma non si trova alcuno di questi progettisti, che pensi alla umanità; poichè per [p. 96 modifica]l'ordinario il primo loro oggetto è di conformare l'interesse generale al loro proprio particolare interesse. Possono i filosofi alzar la voce in di lei difesa, ma è sorte se qualchè volta sono sentiti, perchè a chi svela l'errore adombrato co' colori di verità non si permette un diretto accesso al trono di chi ci governa. La nascita, e le ricchezze non dieno diritto ad alcuno sopra degli altri, ma le virtù, ed i lumi distinguano gli uomini, ed allora vedremo le leggi formate a vantaggio del più gran numero. Queste leggi, che favoriscono il creditore sono a vantaggio di pochi, ed in danno di molti, e fra queste si possono annoverare queste disposizioni statutarie, che tolgono l'adizione della eredità beneficiata. In dieci eredità che si deferiscano, [p. 98 modifica]possono rimanere rovinate quaranta persone, componendo ogni famiglia di quattro teste, e supponendo mancati quattro capi di famiglia. In un anno secondo le osservazioni fatte sulle tabelle negrologiche (prescindendo dagli anni di epidemie) il numero de’ morti è al numero de’ vivi, come 1 a 33, cioè, che fra trentatre vivi vi è un morto; in conseguenza di che si vede quante eredità si deferiscano in un anno in una grossa popolazione, giacchè dalla moltiplicazione del numero de’ morti per 33 ne resulta quanta sia appresso a poco la popolazione di un paese. Vuole la giustizia, che niuno faccia profitti in altrui danno, ma è altresì ingiustizia, che chi non può godere de’ vantaggi di una eredità, debba risentirne tutti i pregiudizj. [p. 100 modifica]Tale è appunto lo stato di colui, che per ragione di Statuto è costretto ad accettare liberamente la eredità. È vero, che è in sua facoltà l’astenersi dalla medesima, o il repudiarla, ma siccome l’astensione, o la repudia fa l’effetto della liberazione degl’incomodi, è troppo dura cosa il privare de’ comodi, se ve ne sieno, l’astensore, o il repudiante. Ma se vi è un mezzo, che provvede agl’interessi di tutti, quale è l’inventario, deve essere proscritta da ogni governo ben regolato, ogni legge esclusiva di questo benefizio, perchè contraria alla giustizia, ed alla umanità.

Ora mi resta da implorare la giustizia, e la clemenza de’ Principi, che ci governano, e me fortunato, se i clamori della umanità arrivano al trono, poichè [p. 102 modifica]affidato nella tenerezza de’ nostri padri comuni, ne vedrei nascere una felice rivoluzione nel sistema legislativo per bene di noi, e della nostra posterità.


FINE.

Note

  1. Vedasi l’Hotomanno nel suo Anti-Triboniano, o dissertazione de studio legum.
  2. Avevano i Romani una legge, che permetteva, a’ creditori il ridurre in schiavitù i loro debitori; e siccome i creditori facevano sentire troppo il giogo della servitù, i Plebei si rivoltarono più di una volta domandando l’abolizione di tal legge. Valerio figlio del gran Publicola, e Servilio sostennero gl’interessi del popolo a fronte delle opposizioni di Appio Claudio ostinato difensore de’ Patrizj. E benchè nel tempo della prima rivolta del popolo fosse abolita una legge così inumana, il potere de’ Patrizj la fece reviviscere. Ma Veturio ridotto in servitù da Plozio per il debito con lui contratto per fare gli onori funebri à Tito Veturio suo padre, fù la causa dell’ultima rivolta del popolo con essersi rifugiato nel Gianicolo; il Senato allora intimorito, si vidde nella necessità di nominare un Dittatore, e cadde per buona sorte la elezione in Quinto Ortensio, che rivestito della potestà sovrana abolì questa legge.
  3. Anni sono in Firenze fu per pubblica autorità ordinato; che non si potesse carcerare alcun debitore, se il suo debito non arrivava alla somma di scudi due, quando in addietro si poteva carcerare per qualunque piccola somma. Fu questo un primo passo fatto in favore della umanità.
  4. La proibizione del passaggio de' beni nelle mani morte; ed il libero commercio de' grani introdotto in alcuni governi sono sicuri riscontri d'intendere gl'interessi de' popoli, e fanno l'elogio de' Principi, che si son mossi a fare tali provvidenze; stabilimenti i più degni dell'attenzione di un Ministro illuminato, e delle vedute di un Monarca benefico.