Dizionario mitologico ad uso di giovanetti/Mitologia/M

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aenone
, figlio di Esculapio e di Epione, e fratello di Podalirio. Amendue questi fratelli erano famosi medici: Macaone guarì Menelao ferito da un colpo di freccia; egli fu uno de' guerrieri, che si rinchiusero dentro il cavallo di legno. Fu ucciso all'assedio di Troja. I Messenj gli eressero un tempio sulla tomba, ov'erano sotterrate le sue ossa, e lo invocavano nelle loro malattie.

Mani. Così gli antichi nominavano le anime de' morti. Innalzavansi altari in loro onore, e per appagarli, loro offrivansi de' sagrifizj. Sotto il nome generale di Mani gli antichi dinotavano anche gli Dei dell'Inferno, ovvero i genj tutelari de' defonti. Il cipresso era l'albero consagrato ai Mani.

Maraviglie (le sette) del Mondo, opre famose dell'antichità, che superavano tutte le altre in bellezza ed in magnificenza. Desse sono le seguenti.

I giardini di Babilonia.
Le piramidi di Egitto.
La statua di Giove olimpico.
Il colosso di Rodi.
Le mura di Babilonia.
Il tempio di Diana in Efeso.
La tomba di Mausolo, re di Caria.

* Margite, era così deforme che per beffarlo, li si [p. 183 modifica]diceva ch'egli rappresentava nelle parti del suo corpo tutte le illustri famiglie di Roma; cioè nella gran testa i Capitoni; nella spaziosa fronte, i Frontoni; nella mole del naso, i Nasoni; nella tuberosa faccia, e neosa, i Tuberoni, e i Nevii; nelle labbra, i Labeoni; nella irsuta chioma, gl'Irzii; nella smodata pancia, i Crassi, e finalmente nella turpezza del corpo, i Turpilii, i Porcii, i Vitellii, e gli Asinii. Dicesi ch'egli non sapeva contar più di cinque. Ignorava l'uso naturale a cui son destinate le donne; ma ne fu ammaestrato dalla moglie, dandogli a credere di avere una ferita ch'egli solo poteva curare.

Marsia, famoso satiro che aveva molto talento ed industria. Il suo genio si manifestò sopratutto nella invenzione del flauto, in cui seppe unire tutti i suoni che prima trovavansi divisi tra le diverse canne della sampogna. Fu il primo che pose in musica gl'inni consagrati agli Dei. Si attaccò in amicizia a Cibele, l'accompagnò in tutti i suoi viaggi, ed arrivarono amendue a Nisa, ove incontrarono Apollo. Insuperbito delle sue nuove scoverte, ebbe l'ardire di provocare questo Dio intorno alla musica. Apollo accettò la disfida a condizione che il vinto resterebbe a disposizione del vincitore. I Nisei furono eletti giudici. Apollo non senza pena potè superare il suo competitore. Sdegnato per siffatta resistenza, attaccò Marsia ad un albero, e lo scorticò vivo; ma cessato indi il suo sdegno, e pentitosi della sua barbarie, ruppe le corde della sua chitarra, e la depose insieme col flauto in un antro di Bacco, cui consagrò questi strumenti. Marsia per [p. 184 modifica]ordinario è rappresentato con le orecchie di Fauno e con la coda di Sileno.

Marte, dio della guerra e figlio di Giunone. Il suo carro era condotto da Bellona; il terrore e la paura erano i suoi compagni. Ecco ciò che ci vien narrato intorno alla sua nascita. Giunone offesa perchè Giove, battendosi la fronte, aveva fatto nascer Pallade dal suo cervello, senzachè ella ci avesse avuto parte, determinò di fare un viaggio nell'Oriente per ivi apprendere la manìera di poter fare lo stesso. Cammin facendo si assise alla porta del tempio di Flora per riposarsi. Flora la interrogò sul motivo del suo viaggio. Avendolo inteso, le additò un fiore sul quale sedendosi una donna, s'ingravidava all'istante, e che anzi il solo contatto produrrebbe si maraviglioso effetto. Giunone eseguì il consiglio datole da Flora, e già divenne gravida di Marte, il quale in seguito fu adorato qual dio della guerra, e l'arbitro de' combattimenti. Amava appassionatamente Venere, in unione della quale fu colto da Vulcano: in tal rincontro questo dio fabbricò una rete invisibile, ove li chiuse; chiamò indi gli dei per esser testimoni di tale spettacolo; ma questa sciocchezza lo rese ben ridicolo.

Marte viene rappresentato sotto la figura di un uomo armato di elmo, di una picca e di uno scudo con una egida sul petto, in cui vi è la testa di Medusa, ed accanto a lui un gallo, per indicare che traformò in gallo Alettrione, suo favorito, il quale destinato a far la guardia alla porta, mentre questo Dio trattenevasi con Venere, lo lasciò sorprendere. Vedesi anche sopra un carro [p. 185 modifica]tirato da cavalli impetuosi, condotto o da lui medesimo o da Bellona.

Marte era adorato principalmente in Roma, perchè i Romani riguardavano questo Dio come il protettore del loro impero. Augusto gli dedicò un superbo tempio dopo la battaglia di Filippi. Gli s'immolava il toro, il verre ed il montone. I suoi sacerdoti nominavansi Salj. Figura 48.

Mausolo, re di Caria. Dopo la sua morte, Artemisia, sua moglie, fecegli innalzare un sepolcro così superbo che passò per una delle sette maraviglie del Mondo. V'impiegò i più famosi architetti della Grecia. Aveva quattrocento undeci piedi di circonferenza, e cento quaranta di altezza, compresavi una piramide della medesima altezza dell'edifizio. In seguito il nome di Mausolei fu dato a tutt'i sepolci magnifici che s'innalzano ai grandi; e talora alle rappresentazioni delle tompe nelle pompe funebri. Nota 66.

Medea, figlia di Aete o Eete, re della Colchide, e di Ecate. Questa principessa essendosi trovata presente all'arrivo di Giasone con gli Argonauti, restò talmente invaghita del bell'aspetto di questo eroe, che mercè la sua magica arte, lo rese vittorioso di tutt'i mostri che custodivano il Vello d'oro, gli agevolò la conquista di questo tesoro, e se ne fuggì seco. Suo padre la perseguitò; ma ella per ritardarlo nel cammino, trucidò Absirto suo fratello ancor fanciullo, e ne sparse le membra lungo la strada. Giunta in Tessaglia; ringiovinì il vecchio Esone, padre di Giasone, e fece morir Pelia usurpatore del di lui trono. Per riuscire in tal delitto, abusò della credulità delle figlie di Pelia [p. 186 modifica]Diede loro il consiglio di scannare il proprio padre, già vecchio, e di farlo bollire in una caldaja di rame, promettendo loro di farlo rivivere e ringiovinire; ciò che ciecamente eseguirono, ma Medea non adempì la promessa. Giasone, costretto di abbandonar Jolco, ritirossi insieme con Medea a Corinto, ove sposò Glauce o Creusa figliuola di Creonte, re di Corinto. Medea per vendicarsi di tale infedeltà, fece perire Creonte e sua figlia, e trucidò colle sue proprie mani i due figliuoli ch'ella aveva avuti da lui, e dipoi se ne fuggì per l'aria sopra un carro tirato da due draghi alati. Ritornata in seguito nella Colchide, rimise suo padre Eeta sul trono, dal quale era stato desposto in di lei assenza. Nota 67.

Medusa, una delle tre Gorgonidi. Era una giovine molto bella, soprattutto per la sua capellatura. Una folla di amanti si affrettò a chiederla in isposa. Nettuno stesso se ne invaghì, e trasformatosi in uccello, la rapì, e la trasportò in un tempio di Minerva, che fu da essi profanato. Altri dicono ch'ella osò disputare con Minerva intorno alla bellezza. Questa Dea irritossi a segno che cangiò in orribili serpenti i bei capelli, de' quali Medusa facevasi un pregio, e diedi a suoi occhi la forza di trasformare in pietre tutti coloro che la mirassero. Molti provarono i cattivi effetti de' suoi sguardi, e ne furono pietrificati. Gli Dei risoluti di liberar la terra da si feral flagello, mandarono Perseo per ucciderla. Minerva gli diede uno specchio, e Plutone il suo elmo. Questo elmo e questo specchio avevano la proprietà di lasciar vedere a chi li portava tutti gli oggetti, senza che egli potesse essere veduto. Perseo presentossi innanzi a Medusa, senza che ella se ne [p. 187 modifica]accorgesse, e le tagliò la testa, della quale si avvalse, per pietificare i suoi nemici. Così egli cangiò gli abitanti della isola di Serifo in iscogli, ed Atlante in uno smisurato monte. Dal sangue che uscì dalla piaga di Medusa nacque il cavallo Pegaso, che battendo con un piede la terra, ne fece sgorgare il fonte Ippocrene. Perseo dopo aver trionfato di tutt'i suoi nimici consagrò a Minerva la testa di Medusa, che dipoi fu scolpita nella terribile egida di questa Dea. Virgilio la mette anche sulla corazza di Minerva nel sito che cuopriva il di lei petto. In seguito divenne l'ornamento il più ordinario de' scudi degli eroi.

Megara, figlia di Creonte e moglie di Ercole. Mentre questo eroe era disceso, e trattenevasi nell'Inferno, donde credevasi che non ritornasse più, Lico volle impadronirsi di Tebe, e forzar Megara a sposarlo; ma Ercole ritornato a tempo, uccise Lico. Giunone sdegnata per la morte di Lico, e perché sempre avversa ad Ercole qual figlio di una delle concubine di Giove, lo fece cadere in frenesia, e gl'inspirò tal grado di furore, che uccise Megara e i figli che ne aveva avuti.

Megera, una delle tre Furie. Il suo nome esprime il livore e le contese ch'eccitava tra i mortali. Ella affliggeva con la maggior rabbia gli scellerati.

Meleagro, figlio di Oeneo (ovvero Eneo), re di Calidone e di Altea, figlia di Testio. Sua madre, mentre sgravavasi di lui, vide presso il focolare le tre Parche, le quali mettevano un tizzone nel fuoco, [p. 188 modifica]dicendo: questo figliuolo viverà fintantochè durerà questo tizzone.„ dopo di che si ritirarono - Altea subito andò a prendersi il tizzone, lo smorzò, e lo guardò con molta gelosia . Intanto Eneo in un sagrifizio che fece per ringraziare gli Dei del fertile ricolto di quell’anno, obbliò Diana. Questa Dea sdegnata della di lui non curanza, inviò un furioso cinghiale, che devastò le campagne di Calidone . Eneo radunò tutt’i giovani e bravi principi della Grecia con un gran numero di cani, e mise alla testa di essi il di lui figlio Meleagro, il quale uccise il cinghiale, e ne presentò la testa ad Atalanta figlia del re di Arcadia, ch’eragli stata promessa in ìsposa. Gli zii di Meleagro, fratelli di Altea pretesero che dovevasi rendere ad essi un tale onore, e tolsero ad Atalanta la testa di quel cinghiale. Meleagro sdegnato per tale oltraggio, uccise amendue. Altea penetrata dal dolore per la morte de’ suoi fratelli, obbliando di esser madre, tra le più orribili imprecazioni, dedicò suo figlio alle Furie; e gittò nel fuoco quel fatale tizzone, dalla cui conservazione dipendeva il di lui destino. Meleagro si sentì subito divorar le viscere da un fuoco segreto, che li cagionò dolori acerbissimi, e finalmente, allorchè il tizzone fu consumato, morì. Altea non tardò guari a pentirsi della sua crudeltà: ella ne concepì tal cordoglio che si trafisse il seno con un colpo di pugnale. Le sorelle di Meleagro afflitte per la morte del loro fratello, si assisero presso la di lui tomba, e piansero tanto che Diana, per compassione, le cangiò in una specie di galline, che chiamavansi uccelli di Meleagro, perchè credevasi, ch’esse in ciascun anno passassero dall’Africa in Beozia per andare a visitar quella tomba. [p. 189 modifica]

Melicerto, figlio di Atamante e d’Ino. Per evitare il furore di suo padre, che perseguitava lui e sua madre, si precipitò nel mare. Un delfino lo accolse e lo trasportò nell’istmo dì Corinto. Sisifo, avendolo trovato esposto, lo fece seppellire onorevolmente; e cangiando il suo nome in quello di Palemone, instituì in suo onore i giuochi Istmici. Fu egli onorato principalmente nella isola di Tenedo, ov’era considerato come un Dio marino.

Melpomene una delle nove Muse, che presedeva alla tragedia. Per ordinario viene rappresentata sotto la figura di una bella donna, di aspetto serio, vestita riccamente, calzata di un coturno, tenendo degli scettri e delle corone in una mano, ed un pugnale insanguinato nell’altra. Fig. 49.

Memnone, ovvero Mennone, figliuolo di Titano e dell’Aurora, re di Abido in Asia. Recossi in soccorso di Troja con dieci mila Persiani; ed un gran numero di carri. Si distinse per la sua bravura ed uccise Antiloco figliuolo di Nestore; ma Achille combattè contro di lui, e lo fece cadere sotto i suoi colpi. L’Aurora, agitata dal dolore, gittossi a piedi di Giove e lo scongiurò di accordare a suo figliuolo qualche privilegio che lo distinguesse dagli altri morti; altrimenti avrebbe ella privato il Mondo della sua luce. Giove esaudì la sua preghiera. Il rogo, già acceso, sul quale doveva esser consumato il corpo di Memnone, si sprofondò in un istante, e dalle ceneri uscì una immensità di uccelli, i quali dopo aver girato tre volte intorno al rogo, combatterono tra loro con inesprimibile ardore ed [p. 190 modifica]ostinazione, dinotando con ciò ch’essi dovevano la loro nascita ad un uomo ripieno di valore; ritiraronsi in Etiopia, ed ogni anno nella ricorrenza di quel giorno, andavano a visitare la tomba del loro padre. Quest’onore non bastò a calmare il dolore dell’Aurora, e d’allora in poi non ha cessato di versare in ciascun giorno delle lagrime, dalle quali fermasi la rugiada che cade in sul mattino.

Osservavasi a Tebe una statua di Memnone, ch’era molto sorprendente. Allorchè i raggi del Sole la percuotevano, emetteva un suono armonioso. Cambise, volendo comprendere questo mistero, ch’egli credeva un magico effetto, fece rompere questa statua dalla testa sino alla metà del corpo; e ciò non ostante la parte rovesciata continuò a rendere il suono medesimo. Credesi che questa statua rinchiudesse una specie di gravicembalo, le cui corde rallentate dalla umidità della notte, rendevansi tese al calor del Sole, e rompevansi con un frastuono come se fossero corde da viola. I sacerdoti vi avevano forse situato qualche molla, ch’essi facevano agire a lor piacere. Fig. 63.


Meneceo, figliuolo di Creonte, re di Tebe. Tiresia dichiarò a Creonte, a nome degli Deî, che, se voleva salvar Tebe assediata dagli Argivi, bisognava che Meneceo perisse. Creonte volle almeno sapere su qual fondamento gli Dei domandassero il sangue di suo figlio, ed intese che la morte dell’antico dragone consagrato a Marte ed ucciso da Cadmo, n’era la cagione. Il Dio voleva vendicare la sua morte col sangue di un principe uscito da’ denti del dragone. Meneceo era l’ultimo di questa schiatta; egli non era maritato; in una [p. 191 modifica]parola, egli era la vittima che Marte bramava, e dovea bagnar del suo sangue la caverna stessa del dragone. Creonte voleva offrir se stesso per salvar suo figlio, e gli ordinò di fuggire. Meneceo deluse il dolor di suo padre, e partì, determinato di bagnare del proprio sangue l’antro del dragone.

Menelao, fratello di Agamennone, e re di Sparta. Questo principe sposò la famosa Elena figliuola di Tindaro, re di Sparta, e succedette al regno di suo suocero. Qualche tempo dopo, Paride, figliuolo di Priamo, recossi a Sparta in assenza di Menelao, che per alcuni suoi affari trovavasi a Micene, ed avendo colle sue seducenti maniere guadagnato il cuore di Elena, la rapi; ciò che fu cagione della famosa guerra di Troja. Menelao oltraggiato per tale ingiuria, ne die’ l’avviso a tutti principi della Grecia, i quali presero le armi in suo favore. L’armata greca comandata da Agamennone si radunò in Aulide, e tostochè cominciarouo a spirare i venti favorevoli, fece vela, e si recò sotto le mura di Troja. Menelao si segnalò nell’assedio ed avrebbe senza dubbio trionfato di Paride in un duello, se Venere non lo avesse salvato. Ciò non ostante dopo dieci anni di assedio, Troja fu presa e saccheggiata, Elena fu restituita a Menelao, che seco la ricondusse in Grecia per immolarla al suo sdegno ed alle ombre di coloro ch’eran periti in quella guerra; ma Elena si giustificò il meglio che potè, e Menelao la perdonò. Questa principessa mori poco tempo dopo il suo arrivo a Sparta.

Mentore, uno de’ più fedeli amici di Ulisse ed il solo [p. 192 modifica]cui egli affidò la cura di sua famiglia prima di partire per l’assedio di Troja. Minerva spesse volte prese la sua sembianza e la sua voce, per esortare Telemaco a non degenerare dal valore e dalla prudenza di Ulisse. Sotto tal figura accompagnò questo giovine principe, dacchè partì da Itaca per andar cercando suo padre.

Mercurio. Contansi molti Mercurj, mn il più famoso è il figlio di Giove e di Maja. Fra tutti gli Dei del paganesimo egli è quello, cui la Favola attribuisce maggior numero di uffizj, così di giorno che di notte. Interpetre e ministro degli altri Dei ed in particolare di Giove suo padre, servivali cou un zelo indefesso, anche negl’impieghi poco onesti. Egli aveva la cura di tutti gli affari: era incaricato di condurre all’Inferno la anime de’ morti, e non potevasi morire che dopo aver egli rotti i legami, che univano le anime ai corpi. Era inoltre il dio della eloquenza, de’ viaggiatori, de’ mercanti ed anche de’ marinoli. Come ambasciatore e plenipotenziario degli Dei, interveniva a tutt’i trattati di alleanza. Talvolta accompagnava Giunone, o per custodirla o per sorvegliare la sua condotta: talora veniva inviato da Giove per intraprendere degl’intrighi amorosi presso qualche sua novella favorita. Invocavasi ne’ matrimoni, affinchè rendesse felici gli sposi. Sapeva perfettamente la musica. Qual dio de’ mariuoli e de’ furbi, gli si attribuiscono molti furti e trufferie. Mentr’era ancor fanciullo involò il tridente a Nettuno, la lira e le frecce ad Apollo, la spada a Marte ed il cinto a Venere. Rubò anche i buoi ad Apollo e li fece camminare a retrorso per farne perder la traccia. Siccome egli sapeva suonar la lira, si servì di quella di Apollo per [p. 193 modifica]addormentare ed uccidere Argo, che custodiva la vacca Io. Trasformò Batto io pietra di paragone, liberò Marte dalla prigione, in cui avealo rinchiuso Vulcano; e legò Prometeo nel monte Caucaso. Fu molto amato da Venere, da cui ebbe Ermafrodito .

Si dipinge come un giovine di bell’aspetto, ed agile di corpo, tenendo un caduceo in mano, ed alle volte una borsa, e con le ale alla testa ed ai talloni. Fig. 50. Not. 69..

Menenzio, ovvero Mesenzio o Masenzio, re di Etruria, sprezzatore degli dei, esercitava sopra i Suoi sudditi le più orribili crudeltà. Compiaceva si di far distendete un uomo vivo sopra un cadavere, unire insieme bocca a bocca, mani a mani, e tutte le altre membra, affinchè vivi morissero abbracciati ai morti. Gli Etruschi stanchi di ubbidire ad un tiranno così inumano, lo assediarono nel suo palazzo, e vi appiccarono il fuoco. Egli in mezzo alle fiamme scappò, e ricoverossi presso Turno re de’ Rutoli; ma fu assalito ed Ucciso da Enea principe trojano.

Micene, città del Peloponneso, celebre per il nome di Perseo suo fondatore, e per li suoi re Pelope, Tieste, Agamennone.

Mida, figlio di Gordia, e re di Frigia. Ricevette Bacco ne’ suoi stati con tanta cortesia e magnificenza che questo Dio, in ricompensa di sì buon uffizio, gli promise di accordargli tutto ciò che avrebbe chiesto. Mida chiese la grazia di poter cangiare in oro ciò che toccherebbe; ma ben tosto si pentì di aver fatta tale dimanda, poichè vide tutto convertirsi in oro, fino gli stessi [p. 194 modifica]cibi, di maniera che vedevasi, per propria elezione, condannato a morir di fame. Pregò dunque Bacco di rivocare un dono sì fatale, e per ordine di questo Dio andò a lavarsi nel Pattolo, che d’allora in poi menò arene di oro.

A questa prima favola Ovidio ne aggiunge un’altra. Pan vantandosi un giorno in presenza di alcune ninfe, di saper cantare, e di modular dolcemente la sampogna in preferenza dello stesso Apollo, ebbe la temerità di fare una disfida a questo dio sul canto e sul suono, Mida, amico di Pan, eletto giudice tra questi due competitori, giudicò in favore dell’amico. Apollo, per vendicarsene, gli fece crescer le orecchie come quelle dall’asino. Mida era molto attento a nascondere le sue enormi orecchie, e le cuopriva sotto una magnifica tiara. Il barbiere che lo serviva a racconciargli i capelli, se n’era avveduto ma non osava parlarne. Impaziente di custodire il segreto, si recò in un luogo remoto, formò un buco nella terra, vi avvicinò la bocca, e con voce bassa disse che il suo padrone aveva le orecchie di asino: cuoprì indi il buca e ritirossi. Poco dopo ne uscirono alcune canne, che agitate dal vento, ripeterono le parole del barbiere, e palesarono a tutti che Mida aveva le orecchie di asino.


Milone di Crotone, uno de’ più famosi atleti della Grecia. Ben sei volte fu vincitore alla lotta ne’ giuochi Olimpici, e simile successo ebbe ne’ Pizj; ma in seguito non potè più combattere per mancanza di antagonista. Egli aveva una forza straordinaria. Teneva in mano una melagrana e con applicarvi le sole dita, senza comprimere o schiacciare il frutto, tenevalo così [p. 195 modifica]bene che non vi era uomo che potesse strapparglielo Poneva il piede su di un disco ben unto di olio, e perciò molto sdrucciolevole; ciò non ostante, per qualunque sforzo si facesse, non era possibile di smuovernelo, o di fargli rallentare il piede. Cingevasi la testa con una corda in guisa di nastro, riteneva indi la sua respirazione: in questo stato violento, rigurgitando il sangue nella fronte, gli si gonfiavano talmente le vene che la corda si rompeva. Teneva talvolta il braccio dietro al dorso, la mano aperta, il pollice alzato e le dita congiunte, ed in questa posizione un uomo non poteva separare il piccolo dito dagli altri.

La sua voracità era incredibile. Appena saziavasi con venti libbre di carne, con altrettanto di pane, è con quindici bocali di vino in un solo giorno. Avendo percorsa una volta tutta la lunghezza di uno stadio, portando un toro di quattro anni sulle spalle, lo uccise con un colpo di pugno, e lo divorò tutto intero in quel giorno stesso. Mentre egli un giorno ascoltava le lezioni di Pitagora, la colonna che sosteneva il soffitto della sala ove stavano i discepoli, essendosi scossa all’improvista per qualche accidente; egli solo la sostenne, diede tempo ai discepoli di ritirarsi, e dipoi anch’egli si salvò. Finalmente la stessa sua forza gli fu fatale. Volendo un giorno spaccare un albero in due parti, le sue mani restarono prese nell’apertura, cosichè non potendo liberarsele, vi rimase incappato, e quindi fu divorato da lupi.


Mineo (le figlie di), erano tre, Iride, Climene, Alcitoe: ricusarono d’intervenire alla festa delle Orgie, [p. 196 modifica]pretendendo che Bacco non era figlio di Giove; e mentre tutti assistevano alla festività, elleno sole continuarono ad occuparsi de’ loro travagli. In un istante la loro casa videsi illuminata da torce accese e da fuochi risplendenti. Le Mineidi cercarono nascondersi; ma la vendetta di Bacco le colse, e furono cangiate in nottole.


Minerva, figlia di Giove, dea della sapienza, della guerra, delle scienze, e delle arti. Ecco ciò che raccontasi intorno alla sua nascita. Giove prima di sposar Giunone, aveva per moglie Meti. Instruito da un oracolo ch’ella era destinata ad esser madre di un figlio, che diverrebbe il sovrano dell’Universo, ingoiò la madre ed il figliuolo. Bentosto si sentì egli un dolor di testa; e quindi ricorse a Vulcano, che con un colpo di ascia gli spaccò la testa, donde uscì Minerva tutta armata; cosichè potè subito soccorrer suo padre nella guerra de’ giganti e vi si contraddistinse oltremodo. Ebbe a sostenere una contesa con Nettuno sul nome da darsi alla città fondata da Cecopre. I dodici grandi dei, eletti arbitri, decisero che colui che farebbe nascere nalla città la cosa più utile, le darebbe il suo nome. Nettuno con un colpo del suo tridente fece uscir dal seno della terra un cavallo, e Minerva un ulivo tutto fiorito. Gli dei decisero in favor di Minerva, perchè l’ulivo è il simbolo della pace, ed ella appellò questa città Atene, nome che i Greci davano a questa dea. Gli Ateniesi le dedicarono un tempio molto magnifico, e celebravano in suo onore delle feste, la cui solennità richiamava in Atene un immenso numero di spettatori da tutte le parti della Grecia. [p. 197 modifica]Viene rappresentata sotto, la sembianza di una beltà semplice, nobile e grave. Tiene per ordinario F elmo salla testa, la picca in una mano, lo scudo nelF altra e la egida sul pett^. Vedonsi presso a lei una civetta e diversi strumenti di matematica come la dea delle scien* se e delle arti. Fig. 5t. Not. 70.

Minosse, figlio di Giove* Asterìo e di Europa f re di Creta. Governò il suo regno con molta saviezza e mo- derazione. Per dare alle sue leggi maggior autorità, ri. tiràyasi di tempo in. tempo in uua caverna, ov f egli di* ceva che Giove suo padre gliele dettava. La saviezza, del suo governo^ e sopratutto la sua equità, gli han fatto meritare, dopo sua morte, la carica di giudice supremo delF inferno. Minoss e era riguardato come U presidente della corte infernale. Si rappresenta con uni» scettro, assiso in mezzo alle animelle eause delle fna^* li si trattane in sua presenta. Virgilio lo dipinge in al* to di agitare con la sua mano V orna fatale, in cui se racchiude la sorte di tutt' i mortali, citando le -emm* al suo tribunale, e sottomettendo h loro vita intiera a) più severo esame.

Evvi un altro Minosse i ehe fece la guerra agli Ate* Diesi, ed ai Megaresi per vendicare la morte di suo fi- glio Àndrogeo. Costrinse anello gli Ateniesi a consegna-, te nelle sue mani in ciascun anno sette giovani maschi e sette giovinette, destinati ad essar preda del MÙHHr tauro. Not. 71.

Minotauro. mostro meù uomi^ meta toro, nato da Pasife moglie di Minosse e da un toro. Minosse er« {olito lagrificare i» ogni anno a Nettuno il più bel tori Google [p. 198 modifica]i9 6

de\suoi armenti. Troyossene «no così ben formato che Minosse ne sostituì u^i altro di minor pregio. Nettuno sdegnato inspirò nel cuore di Pasife una vergognosa passione per questo, tQrp. II frutto de* loro amori fu 1* nascita del Minotauro. Allora fu che Dedalo foco il fa- moso labirinto di Greta per rinchiudervi questo 'mostro che nutrivasi di carne umana. Gli Ateniesi essendo sta- ti vinti da Minosse, furono obbligali inviare ogni anno a Creta sette giovani maschi ed alti citante giovinette, per! esser divorati dal Minotauro. Minosse a vivagli as- soggettiti a questo crudel tributo, perchè avevano ucci- so suo figlio Androgeo, vincitore nelle Pemienee. Que- sto tributo fu pagato tre yolte, ma alla quarta Teseo sì ofM, per esentarne i suoi concittadini ^ uccise il Mioo- tatfro, e liberò la patria da péna cosi barbara «e disono- re\f\è\ Uscito feli cernente dal labirinto, mercè un go- mitolo di filo datogli da Arianna figlia di Minosse, seco condusse la sua liberatrice, allorché parù da Creta, 5 naa indi a foco la lasciò, nella isola di Nasso Not. 7 a.

Mirmidoni, abitanti della isola di Egina, nel mare Egèo'. Uba- giovinetta nominata Mirmex essendo stata cangiata da Minerva in formica, divenne madre di una moltitudine di formiche. Baco re della isola di Egina eh* era stata desolata' dalla peste, ottenne fla Giove che le form ielle fossero canate in altrettanti uomini « Que- sti nuovi abitanti furono appellati Mirmidoni da Mirmex Joro madre. Questi Mirmidoni non devono confondersi con quelli che accompagnarono Achille air assedio di Troja, poiché questi ultimi abitavano la Tessaglia Not% 73

Mirra, figlia di Ci u ir a. Accesa da rea passione per [p. 199 modifica]suo padre, consegui l'intento mercè il favor della not- te e del disordine di una festa. Cinira avendo fatto re- carsi un lame y la riconobbe, ed avrebbe voluto ucci- derla 5 ma Mirra andò a -cercare un asjlo ne 1 decerti dell' Arabia y ove carica di confusione per si incestuoso delit- to,, pregò gli dei di esser trasformata in una forma che non avesse pè de! viventi nè de' morti. Sensibili gli dei a' suoi rimorsi,. la cangiarono in albero che porta la Wrr%.

Mirtilo 9 cocchiere, di Enojnao e figlio di Mercurio, e àìMirto, una delle amaaoni. Guidava i cavalli del re con tanta destrezza 'che il suo padrone raggiungeva sem- pre coloro, che % per, ottenere Jppo$Un>ia, osavanò en- trare in lizza con lai*;)* c*>s*.riupciyagli di ferirgli poi san dardo » Mirrilo «edotto da Pelope, tradì Enomao, t^fc««d<*. la* chiavetta éù& teneva la»rupf* y temente che essendosi rovesciato il parrò y il re si fracassò la* testa. Pelope invece di dare a Minilo ciò che gli aveva pro- messo ^ le sfittò nel;n*ua> > per ayer tradito il suo padre* nel Altri dicane -eh- egli siasi: vendicato tal,niodo, pesrchè jfiwatQ cocchia** ayeva *rpto,l\ ardire di palesa- re ad Ippodamia.lsh. passiona che aflch,' egU, aveva per lei concepito.: -;* * -u ■>*;» '

Mnemosine, ovvero la dea della memoria. fu f arnata da Giove,:djnem. ebbe le, npye 4fuse che partorì sul monte Pierio; e di qui è che le Muse furono appella- tePiaridi,; r y: %

Momo, figlio, del Sonno e della Nolte, dio* dei mot- teggi o. delie facete. Satirico fino alÌ'ecce»»o non ap[p. 200 modifica]provava alcuni cosa, e stessi dei erano 1' oggetti de* suoi pungenti sarcasmi. Eletto da Nettuno, Vnleano e* Minerva per giudicare sull 1 eccellenza de He loro opere, egli li pose tatti tre in ridipolo. Nettuno, diss' egli ~ avrebbe dovuto situare le con» davanti agli oceki dot toro, per poter colpire c a più sicurezza. La casa di Minerva non gli piacque, perchè troppo massiccia por esser trasportabile, allorché vi fosse un cattivo vicino. In quanto air uomo di Vulcano egli avrebbe voluto t che vi fosse stata un apertura nella parte del cuore, affinchè se ne potessero scoprire t più segreti pensie- ri. Venere stessa non potè esse» al coperto della di lui maldicenza; ma perchè era molto perfetta per dar motivo alla censura, Monto la critico fòt or no alla ina calzatura. Viene rappresentato in atto dì< levarsi la> maschera dal volto, o còq uu bastono io min*, sia*, bolo della pazzia.

\. Morfeo f dio del Sonno y ovvero no de' suoi ipiaktri. Considera vasi. anche nome il primo de* sogni, ed il solo che annunziasse la verità. Prendeva il porta mento, il volto, la presenza e la voce di coloro che voJefa rap- pr» s C ntarei e di qui è che viene appellato Morfeo ^ Oli fi attribuiscono le ale di farfalla, -per esprimere la sua leggerezza, ed una pianta di papavero, eoa lo «pale toccava coloro, cl*e voleva addormenture.

Morti. Un articolo essenziale del culto religioso preo* o f li r^tithi era quello di onorare la memoria do' mcrti; e Tatto il pi> odioso <dc* tiranni era quello d itr vcj.'re clic Ipro si rendi scerò gli ultimi uffizj. St\ in */ kdsa:zuvaqtf v '; si lot crxavauo, or raro si bruciar a qq, Google [p. 201 modifica]ixm maggiore o minor pompa, secondala qualità dèl- ie persone. Generalmente erano tolti onorai sotto il nome di dei Mani. Il rispetto pei morti praticava* presso i popoli i più barbar».

Muse y dee delle scienze e delle arti, figlie di Giove e di Mneraosine. Erano nove, cioè,C#o, che presedeva alla storia*, Melpomene, alla tragedia; fa* /ia, alta comedia \ Euterpe, alla musica; Tersicore, alla danza; JSteJo, alla poesia eroica; Urania, ali* astronomia; P olimaia y alla eloquenza. Cantavano neir Olimpo le ceso mirabili degli Dei; conoscevano 3 passato, il presente e V avvenire, e dilettavano la corte celeste coi lord armoniosi concerti. Erano ver- gini, per dinotare che i vantaggi deìht educazione so - no inalterabili. Furono chiamate Muse con una pa~ rola greca che significa spiegare i misteri } perca £sse hanno, insegnato agli nomini cose interessanti, ma superiori all'intendimento del volgp. Molte cittVdel"" }a Grecia loro offrivano de 9 sagrifizj. Avevano in À£e~ ne un magnifico altare ♦ Roma aveva loro consagrati molti templi. Il Parnaso, V Elicona, il Pindo era* pò i luoghi del loro ordinario seggio rno. Il cavallo Pegaso passava il pih delle volte su questi mopti, e sje>* contomi. Tra i fonti e i fiumi, V Ippocrene, i\ Castalio e£ il Permesso erano loro consagrati \ sicco- me fra gl) alberi la palma e V alloro. Si dipingono giovinette, belle, modeste e vestite con semplicità. Apollo stava alla loro testa con la lira in mano 9 e fQrenate di alloro: