Donne e Uomini della Resistenza/Franco Centro

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Franco Centro

Nato a Bastia Mondovì (Cuneo) il 9 novembre 1930. Fucilato a Benevello (Cuneo) il 15 febbraio 1945, Medaglia d'Oro al V.M. alla memoria.

Tutta la Langa conosceva "Topolino", la staffetta più giovane dei partigiani garibaldini della 99ª brigata. Non era solo una mascotte. Sfidava mille pericoli, portava ordini, notizie, tra marce faticose, notti insonni, rischi innumerevoli. Era un combattente. Tutto era cominciato così... Si chiamava Franco Centro. Aveva solo tredici anni. Nel suo piccolo paese, Bastia di Mondovì, era arrivata l'ombra della guerra. Gli uomini erano andati in montagna per combattere i nazisti. Nel settembre del '44 arrivano i tedeschi nel paese spopolato. Radunano in piazza i vecchi, le donne, i bambini. Perquisiscono le case. Minacciano. "Dove sono i partigiani?". "I nostri uomini non sono tornati dalla guerra", rispondono. I tedeschi increduli distruggono alcune case e minacciano di tornare. E affiggono i manifesti col truce avvertimento: chiunque proteggerà i "banditi" sarà fucilato. Franco assiste sconvolto ai soprusi nazisti. Insieme ad altri ragazzi strappa quei manifesti incollati sui muri. E prende la sua decisione. Se ne andrà di casa. Raggiungerà i partigiani. Dapprima il comandante si oppone al suo arruolamento. "Sei troppo giovane - dice - la guerra non è un gioco. Ti aspettano sofferenze e privazioni". Ma Franco insiste, si offre come staffetta. È coraggioso, conosce i luoghi, può essere utilissimo proprio perché è un ragazzo. Da allora si chiamerà "Topolino". E avrà anch'egli quel distintivo che gli piace tanto: la stella tricolore della "Garibaldi". Avrà anche un paio di scarponi troppo grandi ch'egli riempirà di stracci per adattarli ai piccoli piedi. Come aveva promesso, Franco fu all'altezza dei suoi compiti con l'audacia della sua età, ma anche con la coscienza precoce di una scelta di grande responsabilità. Girò in mezzo ai presidi tedeschi, comunicò gli spostamenti dei nemici. Ormai era noto anche ai fascisti. Il 12 febbraio 1945, all'alba, nella villa di Benevelle vi fu un'imboscata nazista. La sentinella scorse nel tenue chiarore del mattino una fila di uomini che salivano tra la neve. Era un rastrellamento. I partigiani uscirono in fretta dalla villa. Il combattimento durò più di due ore. Anche Franco sparava con il suo moschetto. Ma le forze nemiche erano soverchianti. A Franco fu affidato un importante messaggio per il comando di brigata. Insieme al compagno "Torino" fuggì per le montagne. Marciò per tutto il giorno e gran parte della notte, fino ad una capanna su di un vallone. Qui fu catturato da una pattuglia tedesca. Avevano visto le orme sulla neve. "Topolino" prigioniero non parla. Assiste con dolore alla fucilazione di "Torino". Riesce ad inghiottire il messaggio lacerato in minuscoli frammenti. Le minacce, le promesse di salvezza se tradirà sono inutili. E i fascisti di Alba che lo hanno nelle loro mani comprendono che anche un adolescente come lui può sfidarli con la sua incommensurabile nobiltà morale. "Chiedo solo una grazia. Prima di fucilarmi ridatemi la mia stella garibaldina". Sono le sue ultime parole prima di cadere ucciso.