Donne illustri/Donne illustri/Angelica Kauffmann

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Angelica Kauffmann

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CCaria Anna Angelica Caterina Kaufmann nacque in Coira, nei Grigioni, l’ottobre 1741. Il padre Giovanni Giuseppe Kauffmann, pittore di bassa mano, poco dopo ch’ella nacque fu chiamato a Morbegno in Valtellina, ove si stanziò. Egli la introdusse nella propria arte, e i suoi insegnamenti fecero un’allieva che lo lasciò di gran tratto indietro. Nel 1752 egli abbandonò Morbegno e andò a Como, ove continuò diligentemente l’educazione di sua figlia, a cui fece studiare altresì la storia e la musica.

Era già tenuta un miracolo di sapere e di valore, quando il Vescovo di Como, Negroni, volle ch’essa lo ritraesse. Il [p. 210 modifica] ritratto del venerabile vecchio riuscì a meraviglia. Infiniti vollero allora essere ritratti di sua mano.

Rinaldo d’Este duca di Modena e governatore di Milano, prese a proteggerla. Il padre, chiamato a Costanza dal cardinale di Roth, v’andò con lei, ed ella lo ritrasse mirabilmente. Aveva vent’anni.

Nè meno valeva nella musica, tanto che alcuni amici del padre la consigliarono ad esordire al teatro. Un quadro che ci resta di lei la rappresenta tra la Musica e la Pittura, che si sforzano di trarla a sè con le loro lusinghe. Ella ha scelto il momento in cui fa teneri addii alla Musica. La Pittura la vinse.

Visitò Parma e Firenze; fu a Roma nel 1763, e poi andò a Napoli. Nel 1764 tornò a Roma, e studiò di proposito la prospettiva. Nel 1765 essendo a Venezia, alcuni signori inglesi la invitarono di andare a Londra. Lady Vervort s’offerse a condurvela, e Angelica arrivò in quella metropoli il 22 giugno del 1766. Il gran pittore Reynolds la ammirò, e forse la amò. Ella si fidava per la sua salvezza nello Spirito Santo. Nel 1767 la principessa di Brunswick si fece ritrarre da lei. Delle sue opere ne furono colà incise più di seicento. Ella stessa intagliò 30 rami di varia grandezza.

In questa un impostore, ma bello e di nobili maniere, che si faceva chiamare il conte Federigo di Horn, dal nome d’un signore ai cui servigi era stato, la abbagliò e la indusse a dargli la mano di sposa. Scopertasi la frode, ma troppo tardi, il matrimonio fu annullato (10 settembre 1768).

Fu poi inscritta tra i membri della R. Società di pittura di Londra. Ella ammassò denari. Fu cantata da Klopstock [p. 211 modifica] e da Gessner, e contraccambiò i versi col dono di suoi dipinti. Morto il falso conte di Hom, ella sposò a Londra (14 luglio 1781) il pittore veneziano Antonio Zucchi. Cinque giorni dopo celebrate le nozze partirono per Ostenda. A Venezia dipinse per un inglese La morte di Leonardo spirante fra le braccia di Francesco I, favola ora reietta. Rivide Napoli, e tornò a Roma, vera sede della pittura in quel tempo. Ella piacque senza fine a Giuseppe II, che si trovava allora colà; volle avere alcun lavoro di lei; ella gli destinò Il ritorno d’Arminio, vincitore delle legioni di Varo, e la Pompa funebre onde Enea onora la morte di Pallante.

Un giorno uno straniero avendo chiesto ad Angelica un dipinto non troppo pudico, ella rappresentò una ninfa che, sorpresa nel momento di svestirsi, si ammanta in fretta d’un velo bianco. Così salvò il pudore e contentò lo straniero. Nel 1795 morì lo Zucchi. — Ebbe anche danni nelle facoltà. Venuta l’occupazione francese, si disperava di avere ad essere distratta dagli alloggi militari. Il generale Lespinasse la esentò, ed ella volle fare il ritratto di lui.

Ella scriveva le riflessioni che le venivano mentre era in sul lavoro. In uno di questi fogliolini, datato del 1801, si legge: «Un giorno che io trovava difficoltà ad esprimere quanto io sentiva nella testa di Dio Padre, dissi tra me: Io non voglio tentare di rappresentar cose superiori all’immaginazione umana, e serbo questa impresa pel momento in cui sarò in cielo, se pure in cielo si dipinge.» — Ella era onorata dai migliori e dai più grandi. Ma la sua salute scadeva, e il 5 novembre 1807 morì d’una malattia di languore, e il 7 fu sepolta a Sant’Andrea delle Fratte. [p. 212 modifica]

Gli accademici di San Luca assisterono ai funerali. Come a quelli di Raffaello, furono portati dietro al suo corpo i suoi due ultimi quadri; sulla bara s’era posta la sua destra, modellata in gesso, nell’attitudine di tenere il pennello.

Gherardo de’ Rossi, celebre commediografo e scrittore, ne dettò la vita. (Firenze 1810, in-8).