E fino a quanto inulti (1833)
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VINCENZO DA FILICAJA
CANZONE PINDARICA.
I.
E fino[1] a quanto inulti
Fian, Signore, i tuoi servi? E fino a quanto
De i barbarici insulti
Orgogliosa n’andrà l’empia baldanza?
5Dov’è, dov’è, gran Dio, l’antico vanto
Di tu’ alta possanza!
Su’ campi tuoi, su ’campi tuoi più culti
Semina stragi e morti
Barbaro ferro; e te destar non ponno
10Da sì profondo sonno
Le gravi antiche offese e i nuovi torti?
E tu ’l vedi e ’l comporti?
E la destra di folgori non armi,
O pur gli avventi agl’insensati marmi?
15Mira, ohime!, qual crudele
Nembo d’armi e d’armati, e qual torrente
D’esercito infedele, Corre l’Austria a inondar.
Mira, che il loco
A tant’empito manca, e a tanta gente
20Par che l’Istro sia poco,
E di tant’aste all’ombra il dì si cele.
Tutte son quì le spade
Dell’ultimo Oriente, e alla gran lutta
L’Asia s’unìo quì tutta,
25E quei che’l Tanai solca, e quei che rade
Le Sarmatiche biade,
E quei che calca la Bistonia neve,
E quei che ’l Nilo, che l’Oronte beve.
Di Cristian sangue tinta
30Mira dell’Austria la città reina,
Quasi abbattuta e vinta,
Mille e mille raccor nel fianco infermo
Fulmin temprati all’infernal fucina:
Mira, che frale schermo
35Son per lei l’alte mure, ond’ella è cinta:
Mira le palpitanti
Sue rocche: odi, odi ’l suon, che a morte sfida:
Le disperate strida
Odi, e i singulti e le querele e i pianti
40Delle donne tremanti,
Che al fiero aspetto de’ conun perigli
Stringonsi al seno i vecchi padre, e i figli.
L’onnipotente braccio,
Signor, deh stendi, e sappian gli Empi omai,
45Sappian, che vetro e ghiaccio
Son lor armi a’tuoi colpi, e che sei Dio
Di tue giuste vendette a i caldi rai
Struggasi ’l popol rio.
Qual porga il collo al ferro, quale al laceio;
50E, come fuggitiva
Polve avvien che rabbioso Austro disperga,
Così persegua e sperga
Tuo sdegno i Traci, e sull’augusta riva
Del Danubio si scriva:
55Al vero Giove l’Ottoman Tifèo
Quì tentò di far guerra, e quì eadèo.
Del Re superbo Assìro
Gli aspri Arìeti di Sìon le mura
So pur, che invan colpìro;
60E talpoi monte d’insepolti estinti
Alzasti tu, che inorridì Natura.
Guerrier dispersi e vinti
So, che vide Betulia, e ’l duce Siro
Con memorando esempio
65Trofeo pur fu di feminetta imbelle.
Sulle teste rubelle
Deh rinnovella or tu l’antico scempio:
Non è di lor men empio
Quei, che servaggio or ne minaccia e morte,
70Nè men fidi siam noi, nè tu men forte.
Che s’egli è pur destino,
E ne’ volumi eterni ha scritto il Fato,
Che deggia un dì all’Eusino
Servir l’Ibera e l’Alemanna Teti,
75E ’l suol cui parte l’Appenin gelato:
A’tuoi santi decreti
Pien di timore e d’umiltà m’inchino.
Vinca, se così vuoi,
Vinca lo Scita, e ’l glorioso sangue
80Versi l’Europa esangue
Da ben mille ferite: i voler tuoi
Legge son ferma a noi:
Tu sol se’ buono e giusto, e giusta e buona
Quell’opra è sol, che al tuo voler consuona.
85Ma sarà mai, ch’io veggia
Fender barbaro aratro all’Austria il seno,
E pascolar la greggia
Ove or sorgon cittadi, e senza tema
Starsi gli Arabi armenti in riva al Reno?
90Nella ruina estrema
Fia, che dell’Istro la famosa reggia
D’ostile incendio avvampi,
E dove siede or Vienna abiti l’eco
In solitario speco,
95Le cui deserte arene orma non stampi?
Ah nò, Signor, troppo ampi
Son di tua grazia i fonti, e tal flagello
Se in Cielo è scritto, a tua pietà m’appello.
Ecco d’inni devotiRisuonar gli alti templi, ecco soave
100Tra le preghiere e i voti
Salire a te d’Arabi fumi un nembo:
Già i tesor sacri, ond’ei sol tien la chiave,
Dall’adorato grembo
Versa il grand’Innocenzio[2] e i non mai vuoti
105Erarj apre e comparte:
Già i Cristiani Regnanti alla gran lega
Non pur commove e piega,
Ma in un raccoglie le milizie sparte
Del Teutonico Marte:
110E se tremendo e fier più che mai fosse
Scende il fulmin Polono[3], ei fu che ’l mosse.
Ei dall’Esquilio colle
Ambo in runa dell’orribil Geta,
Mosè novello, estolle
115A te le braccia, che da un lato regge
Speme; e Fede dall’altro. Or chi ti vieta
Il ritrattar tua legge,
E spegner l’ira, che nel sen ti bolle?
Pianse e pregò l’afflitto
120Buon Re di Giuda, e gli crescesti etate:
Lagrime d’umiltate
Ninive sparse, e si cangiò ’l prescritto
Fatale infausto editto:
Ed esser può, che’l tuo Pastor divoto
125Non ti sforzi, pregando, a cangiar voto?
Ma sento, o sentir parme
Sacro furor, che di sè m’empie. Udite,
Udite o voi, che l’arme
Per Dio cingete: al tribunal di Cristo
130Già decisa in prò vostro è la gran lite.
Al glorioso acquisto
Sù, sù pronti movete: in lieto carme
Tra voi canta ogni tromba,
E’l trionfo predice. Ite, abbattete,
135Dissipate, struggete
Quegli Empi, e l’Istro al vinto stuol sia tomba:
D’alti applausi rimbomba
la Terra omai: che più tardate? Aperta
E già la strada, e la vittoria è certa.