Er Bambino de li frati
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ER BAMBINO DE LI FRATI.[1]
S’ha da lodà li frati, perché ffanno
Cuer presepio che ppare un artarino.[2]
Tu lo sai che sso’ ffrati, e vvai scercanno
Si sta notte arimetteno er bambino!
Io vorìa che pparlassi cuer lettino,
Cuele stanzie terrene indóve vanno;
E vvederessi, ventotto de vino,[3]
Che lo vònno arimette tutto l’anno.
Ggià, cche spesce[4] ha da fà cche cco’ la pacchia[5]
Che ggodeno sti poveri torzoni,
Je se gonfi la groppa a la verdacchia?[6]
Ortre ch’ar rivedé li bbardelloni,[7]
E a l’ingrufà ssi ccapita una racchia,[8]
È un gran commido annà ssenza carzoni!
Roma, 27 dicembre 1832.
Note
- ↑ Gli zoccolanti, già nominati nel sonetto precedente. [Quello cioè intitolato: Er presepio ecc., 27 dic. 32. Ma si veda anche l’altro: L’aribbartatura ecc., 10 genn. 38.]
- ↑ Avanti il Mistero sono accesi torchi, come non una campagna, ma un altar maggiore ivi a’ riguardanti si appresentasse.
- ↑ Espressione passata in proverbio, che significa: “sempre una cosa,„ dacchè si narra di un tale, i di cui conti quotidiani dell’oste cominciavano sempre dalla partita Ventotto di vino.
- ↑ Specie, [maraviglia].
- ↑ Vita comoda.
- ↑ [Verdacchia, propriamente, è “una grossa susina, buslunga, ovale e di color verde.„]
- ↑ Far sodomia.
- ↑ Vaga e fiorente giovane.