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Er padrone padrone

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Giuseppe Gioachino Belli

1837 Indice:Sonetti romaneschi VI.djvu sonetti letteratura Er padrone padrone Intestazione 1 gennaio 2025 75% Da definire

A vvoi de sotto La governante der Governatore
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti dal 1828 al 1847

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ER PADRONE PADRONE.

     Era da un pezzo ch’avevo annasato1
Ch’er zor padrone m’uscellava Ghita.
Dico: “Eccellenza, vado ar Caravita„.2
Disce: “Va’ bbello mio: bbravo, Donato.„

     Io m’agguatto in cuscina;3 e appena usscita
La padrona cór zu’ ganzo affamato,
Te li pijjo in gattaccia:4 “Ebbè? ch’è stato?„ —
Disce: “Ggnente... ggiucàmio5 una partita.„

     Dico: “Me pare a mmé cche de sto svario
Se ne pò ffà de meno; e ste su’ vojje
Nun entreno ner conto der zalario.„

     Disce: “Se pò ssapé che vve se ssciojje?6
Oh gguardatelo llì cche ttemerario!
Nun vò cche mmi7 diverti con zua mojje!„

23 dicembre 1837.

Note

  1. Subodorato, preso sospetto.
  2. Oratorio di divozioni notturne. [V. in questo volume la nota 8 del sonetto: L’ingegno ecc., 18 dic. 32.]
  3. Mi pongo in agguato, mi celo in cucina.
  4. Li prendo sul fatto.
  5. Giocavamo.
  6. Si può sapere che vi si scioglie?, cioè: “Si può sapere quali nuove idee vi montano?„ [Forse la frase intera è sciogliersi il brachiere a uno, che vuol dire appunto: “venirgli qualche voglia non ordinaria.„ Cfr. il sonetto: Le bbotteghe ecc., 10 dic. 44, nota 4.]
  7. [Dice mmi invece di mme, e poi con zua mojje invece di co’ ssu’ mojje, per affettare il linguaggio civile del padrone.]