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Er ricurzo ar Presidente

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Giuseppe Gioachino Belli

1833 Indice:Sonetti romaneschi II.djvu corone di sonetti letteratura Er ricurzo ar presidente Intestazione 20 aprile 2025 75% Da definire

Li teatri de mo L'orazzione a la Minerba
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1833

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ER RICURZO AR PRESIDENTE.[1]

[1.]

     Sor Presidente mio, per avé ddetto
Ste poche cose che sso’ ttutte vere,
Cuela[2] nidata llà dde panze-nere[3]
Me minacciòrno inzino er cavalletto.[4]

     Se fesce avanti un bèr[5] cherubbignere,[6]
Me messe, bbontà ssua, le man’ in petto,
E ssenza manco arrènneme[7] er bijjetto
Me cacciò ffòra come un cavajjere.

     Perché, ddich’io, nun fanno come in chiesa,
Che cchi[8] nun vò li bbanchi sc’è la ssedia?
Pe’ pparte mia[9] me la sarebbe[10] presa.

     Ma cquesta intanto come s’arimedia?
Ho da bbuttà l’incommido e la spesa,
E llassajje[11] er testone[12] e la commedia?

Roma, 20 gennaio 1833.


Note

  1. Presidente regionario di Polizia. [Questo sonetto, nell’autografo, porta il numero 3. Ma i due che lo dovrebbero precedere, non li ho trovati. Ne ho trovato invece, ma senza numero d’ordine, uno che evidentemente fa seguito a questo, e che perciò stampo qui appresso.]
  2. Quella.
  3. Gente abbietta, così detta dall’andare colle pance annerite dal sole che le percuote nelle loro nudità. Qui è detto in via di dispregio.
  4. [V. la nota 6 del sonetto: [[
    La ggiustizia è cceca|La Ggiustizzia]][[Categoria:Testi in cui è citato il testo
    La ggiustizia è cceca]] ecc., 7 febb. 32.]
  5. Bel.
  6. Carabiniere: soldato di polizia.
  7. Rendermi.
  8. [Dove per chi ecc.]
  9. In quanto a me.
  10. Sarei.
  11. Lasciar loro.
  12. Vedi la nota... [7] del sonetto... [La penale, 3 dic. 32].
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TUTTE A MMÉ.

[2.]

     Nun zo[1] mmannalla[2] ggiù: ppropio a sto tasto
Me sento diventà llo sputo amaro.
Pussibile ch’io sii sempre er zomaro
Che in oggn’incontro ho da portà ll’immasto?[3]

     So’ ccreditore o nno dder barrozzaro?[4]
J’ho ffatto er pasto, o nnun j’ho ffatto er pasto?[5]
E un Presidente ha da finì er contrasto:
“Abbi un po’ d’impicchea,[6] fijjo mio caro!„

     Che tte ne pare de sta bbell’idea?
Doppo, dio santo, che nnun pijjo un c....,
M’amancassi[7] du’ fronne[8] d’impicchèa!

     E nnun è er medemissimo[9] strapazzo
De cuanno me cacciòrno da pratea?[10]
S’ho da famme impiccà, pprima l’ammazzo.

Roma, 24 gennaio 1833.

Note

  1. So.
  2. Mandarla.
  3. Il basto.
  4. [Barocciaio.]
  5. Fare il pasto, nella favella degli osti, significa: “dare il pranzo.„
  6. Epicheja. [Che nel linguaggio teologico significa: “discrezione, benigno compatimento,„ e nel legale: “benigna interpretazione della legge.„]
  7. Mi mancasse.
  8. Due fronde, cioè: “un tantino.„
  9. Stessissimo.
  10. [V. il sonetto precedente.]