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VIII.
Se ora, nell’imaginazione, noi scegliamo in ogni parte
della sfera Universale una qualunque delle agglomerazioni
considerata nei suoi stadi primari, e supponendo che questa
agglomerazione incipiente abbia avuto luogo in quel punto
in cui esiste il centro del nostro Sole — o, più tosto, in cui
esisteva originariamente, perchè il Sole cambia perpetua-
mente di posizione — noi c’ incontreremo e avanzeremo, per
un po’ di tempo almeno, colla più bella delle teorie — colla
Cosmogonia Nebulare di Laplace: — sebbene il termine « Cosmogonia » sia veramente troppo comprensivo per ciò che
egli realmente tratta — che è, soltanto, la costituzione del
nostro sistema solare — di un solo sistema fra le miriadi di
sistemi simili che compongono l’Universo Propriamente
detto — quella sfera Universale, quel tutto inclusivo e
assoluto Cosmos che forma il soggetto del mio presente
Discorso.
Laplace, confinandosi in una regione evidentemente limitata — quella del nostro sistema solare col suo ambienta
comparativamente immediato — e supponendo semplicemente
— cioè supponendo senza una base qualsiasi, o deduttiva o
induttiva — molto di ciò che ho appunto tentato di mettere
su di una base più stabile della supposizione; ammettendo,
per esempio, che la materia venga diffusa (senza pretendere
di spiegare la diffusione) ovunque, e qualche volta oltre lo,
spazio occupato dal nostro sistema — venga diffusa in . uno
stato di etorogenea nebulosità e obbediente a quell’onni-.
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possente legge di Gravità sul cui principio egli non s’avventurò a tare alcuna congettura; ammettendo tutto ciò
(che, del resto, c assolutamente vero, sebbene egli non
avesse nessun diritto logico di ammetterlo) Laplace ha dimostrato, dinamicamente e matematicamente, che i risultati
che ne derivano in tali casi sono, necessariamente, quelli
e quelli soli che noi troviamo manifestati nella condizione
attuale del sistema stesso.
Mi spiego; — Supponiamo che quella particolare agglomerazione di cui noi abbiamo appunto parlato — quella che
sta al punto segnato dal nostro centro Solare — si sia avanzata tanto che una grande quantità di materia nebulosa
abbia assunto una forma rozzamente sferica; il cui centro
coincideva, naturalmente, col centro del nostro Sole che vi
è ora, o più tosto che vi era originariamente; e la cui periferia si estendeva oltre l’orbita di Nettuno, il più lontano
dei nostri pianeti — in altre parole, supponiamo che il diametro di questa rozza sfera sia stato di circa 6UU0 milioni di
miglia. Per molti secoli questa massa di materia andò subendo delle condensazioni, finché, alla fine, si ridusse alla
dimensione che noi imaginiamo, avendo proceduto gradata-
mente senza dubbio dal suo stato atomico ed impercettibile
fino a ciò che noi intendiamo per nebulosità visibile, palpabile, o in qualche modo apprezzabile.
Ora, la condizione di questa massa implica una rotazione
su di un asse imaginario — una rotazione che cominciando
coll’incipienza assoluta dell'aggregazione andò sempre,
d'allora in poi acquistando velocità. I due atomi primi che
s’incontrarono avvicinandosi reciprocamente da un punto
non diametralmente opposto avrebbero, precipitandosi un
po’ al di là l'uno dall altro, formato un nucleo per il movimento rotatorio già descritto. Come questo movimento
avrebbe aumentato di velocità, si vedrà prontamente I duo
atomi vengono raggiunti da altri e si forma un’aggregazione. La massa continua a roteare mentre si condensa. Ma
un atomo che sia alla circonferenza ha, naturalmente, un
movimento assai più rapido che uno che sia più vicino al
centro. L’atomo esterno, tuttavia, colla sua velocità superiore, si avvicina al centro, portando con sé, mentre va,
questa velocità superiore. Cosi ogni atomo, avanzandosi e
finalmente attaccandosi al centro condensato, aggiunge
qualche cosa alla velocità originale di quel centro — cioè
accresce il movimento rotatorio della massa.
Supponiamo ora questa massa condensata a tale segno
da occupare precisamente lo spazio circoscritto dall'orbita
di Nettuno, e che la velocità con cui la superficie della
massa si muove nella rotazione generale, sia precisamente
quella stessa velocità con cui Nettuno gira ora attorno al
Sole. Allora, a quest'epoca noi comprenderemo che la forza [p. 55modifica]EUREKA
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centrifuga costantemente crescente avendo vinto sulla.forza
centripeta non crescente, doveva sciogliere e separare lo
strato esterno e meno condensato, o anzi diversi strati
esterni e meno condensati all'equatore della sfera, dove la
velocità tangente predominava: cosi che questi strati formarono attorno al corpo principale un anello indipendente
che circondava le regioni equatoriali — appunto come la
parte esterna espulsa, per l’eccessiva velocita di rotazione,
da una mola, formerebbe un anello attorno alla mola stessa,
se non fosse per la solidità della materia della superficie;
se questa fosse cauciù. o qualunque altra materia di uguale
consistenza, si presenterebbe precisamente il fenomeno che
io descrivo.
L'anello così rapidamente roteante lontano dalla massa
nebulosa, compiva il suo giro di rivoluzione, naturalmente,
come un anello separato, con quella stessa velocità con cui
roteava mentre era ancora sulla superficie della massa. < on-
tinuando sempre nello stesso tempo la condensazione, l'intervallo fra l’anello proiettato ed il corpo principale continuava ad aumentare, finché il primo rimase ad una grande
distanza dall’ultimo.
Ora, ammettendo che l’anello abbia posseduto, per qualche
accomodamento in apparenza accidentale dei suoi elementi
eterogenei, una costituzione pressoché uniforme, allora
quest’anello, in tale condizione, non avrebbe mai cessato
di girare attorno al suo corpo principale; ma, come si poteva prevedere, pare che vi siano state delle irregolarità
nella disposizione dei materiali, sufficienti a farli radunare
attorno a dei centri di solidità superiore; e cosi la forma
anulare fu distrutta (1). Senza dubbio la fascia fu subito
rotta in diverse parti, ed una di queste, di massa predominante, assorbì le altre in sé stessa, costituendo il tutto sfericamente in un pianeta. Che quest’ ultimo come pianeta
continuasse il movimento di rivoluzione che lo caratterizzava mentre era anello è sufficientemente chiaro; e che
prendesse sopra di sé anche un movimento addizionale ne la
sua nuova condizione di sfera è prontamente spiegato. Imaginando che l’anello non sia ancora rotto, noi vediamo che
la sua parte esterna, mentre il tutto gira attorno al corpo
generatore, si muove più rapidamente che la parte interna.
Quando avvenne la rottura, dunque, qualche parte di ogni
(il Laplace supponeva eterogenea la sua nebulosità, semplice
mente perchè egli poteva così spiegare il frantumarsi degli anelli;
perchè se la sua nebulosità fosse stata omogenea, non si sarebbero
rotti. Io arrivo allo stesso risultato — l’eterogeneità delle masse
second arie che risulta 'min iJi.it. mente d gli atomi — puramente
da una considerazione s« prmri dei loro scopo generale: — Il Relativo. E. P. [p. 56modifica]EUREKA
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frammento si moveva con maggiore velocità che le altre.
Il moviménto superiore prevalendo deve aver fatto girare
vorticosamente ogni frammento, cioè fu la causa della rotazione; e la direzione della rotazione deve naturalmente
essere stata la direzione della rivoluzione da cui derivò.
Tutti i frammenti essendo diventati soggetti alla rotazione
già descritta, devono, unendosi, averla impartita al pianeta
costituito dalla loro coalescenza. Questo pianeta fu Nettuno. La sua materia prima continuando a subire condensazione, e la forza centrifuga generata nella sua rotazione
ottenendo, alfine, la prevalenza sulla forza centripeta, come
prima nel caso del globo generatore, fu pure proiettato un
anello dalla superficie equatoriale di questo pianeta: quest’anello essendo uniforme nella sua costituzione, fu rotto
in pezzi, ed i suoi diversi frammenti, essendo assorbiti dal
più massiccio, furono collettivamente riuniti sotto forma di
sfera in una luna. Susseguentemente, l’operazione fu ripetuta ed una seconda luna ne fu il risultato. Noi cosi spieghiamo il pianeta Nettuno con i due satelliti che lo accompagnano.
Projettando un anello dall’equatore, il Sole ristabilisce
quell'equilibrio fra le sue due forze centripete e centrifughe
che erano state disturbate nel processo di condensazione ;
ma siccome questa condensazione continuava ancora sempre,
{'‘equilibrio fu di nuovo immediatamente disturbato per l'au-
me tare della rotazione. Mentre la massa si era tanto ristretta da occupare quello spazio sferico che circonscrive
appunto l’orbita di Urano, si comprenderà che la forza
centrifuga aveva ottenuto un ascendente tanto grande che
era necessario un nuovo alleggerimento: un secondo anello
equatoriale fu conseguentemente projettato, il quale divenendo non uniforme, fu rotto come prima nel caso di Nettuno
e i frammenti formarono il pianeta Urano, la velocita della
sua attuale rivoluzione attorno al Sole indica, senza dubbio,
la velocità rotatoria di questa superficie equatoriale del Sole
al momento della separazione. Urano, prendendo la sua
rotazione dalle rotazioni collettive dei frammenti che lo
composero, come si spiegò precedentemente, allora lanciò
anelli dopò anelli, ognuno dei quali, rompendosi, formò
una luna; — altre lune, in epoche differenti, furono formate
in questo modo per mezzo della rottura e della sferizzazione
generale di molti anelli distinti non uniformi.
Mentre il Sole si era ristretto fino ad occupare lo spazio
che circonscrive appunto l’orbita di Saturno, l'equilibrio,
noi supponiamo, fra la sua forza centripeta e la forza centrifuga fu di nuovo tanto disturbato, per l’aumentare della
velocità rotatoria risultante dalla condensazione, che un
terzo sforzo per ristabilire l’equilibrio divenne necessario;
e. fu quindi projettata una fascia anulare, come avvenne [p. 57modifica]EUREKA
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nei due casi precedenti, la quale, rompendosi per mancanzà
d'uniformità, si consolidò nel pianeta Saturno. Quest'ultimo
projettò. in primo luogo, sette fascie unilormi che rompendosi si condensarono sfericamente in altrettante lune; ma
in seguito pare che abbia projettato in tre epoche distinte,
ma non molto lontane, tre anelli la cui costituzione era,
per un’apparente accidentalità, di un’uniformità tanto considerevole da non presentare alcuna occasione di rottura.
Cosi essi continuano a girare come anelli. Io mi servo della
frase « apparente accidentalità », perchè di accidentalità, nel
senso ordinario, non ve n’era, naturalmente, niente affatto
— il termine è applicato giustamente soltanto al risultato di
una legge indistinguibile e non immediatamente tracciabile.
Restringendosi sempre più. fino ad occupare appunto Io
spazio circonscritto dall'orbita di Giove, il Sole allora provò
bisogno di un ulteriore sforzo per ristabilire l’equilibrio
delle sue forze continuamente disturbate dal continuo aumentare della rotazione. In conseguenza Giove fu allora projettato, passando dalla condizione anulare allo stato planetario, ed essendo pervenuto a quest’ ultimo stato, projettò
a sua volta, in quattro epoche differenti, quattro anelli che
finalmente si costituirono in altrettante lune.
Sempre restringendosi fino ad occupare colla sua sfera
appunto lo spazio definito dall'orbita degli Asteroidi, il Sole
allora projettò un anello che pare abbia avuto otto centri
di solidità superiore, e rompendosi pare che si sia separato
in otto frammenti, nessuno dei quali ebbe una massa tanto
predominante da assorbire gli altri. Tutti, quindi, come
pianeti distinti, per quanto comparativamente piccoli, continuarono a roteare in orbite le cui rispettive distanze possono
essere considerate, fino a un certo grado, la misura della
forza che li spinse a separarsi — tutte le orbite, ciononostante,
essendo cosi strettamente vicine da permetterci di considerarli come uno in paragone delle altre orbite planetarie.
Il Sole, continuando a restringersi e divenendo tanto piccolo da riempire l'orbita di Marte, projettò allora questo
pianeta — ben inteso col procedimento già ripetutamente
descritto. Tuttavia, Marte non avendo lune, non avrà lanciato via nessun anello. In fatto, era sopraggiunto allora
un periodo nella carriera del corpo generatore, centro di
tutto il sistema. 11 decrescere della sua nebulosità, che è
Vaccrescere della sua densità, il che è, di nuovo, i! decréscere della sua condensazione, dalla quale sopravveniva il
costante disturbo dell’equilibrio — deve, in quel periodo,
aver raggiunto un punto in cui gli sforzi per ristabilirlo
sarebbero stati sempre ineffettuabili, in proporzione appunto
di quanto essi erano meno frequentemente necessari. Cosi
mirocessi di cui noi abbiamo parlato avrebbero dovunque
opstrato dei segni di esaurimento — primieramente nei pia[p. 58modifica]58 fiURfiKA
neti e secondariamente nella massa generatrice. Noi non
dobbiamo cadere nell’errore di supporre che il decrescere
dell'intervallo osservato tra i pianeti, quando noi ci avviciniamo al Sole, indichi in qualche modo un aumento di
frequenza nei periodi in cui essi furono projettati. E precisamente il fatto inverso che noi dobbiamo comprendere. Il
più lungo intervallo di tempo deve essere trascorso tra la
proiezione dei due pianeti interiori; e il più corto fra quello
dei due esteriori. Ma il diminuire dell’intervallo di spazio
è la misura della densità del Sole e inversamente è la misura della sua condensazione, dal principio alla fine dei
procedimenti fin qui raccontati punto per punto.
La sfera generatrice, essendosi per altro tanto ristretta
da riempire solo l’orbita della nostra Terra, projettò da sé
ancora un altro corpo — la Terra — in una condizione tanto
nebulosa da supporre che questo corpo, a sua volta, ne
abbia progettato ancora un altro, il quale è la nostra Luna
— ma qui terminarono le formazioni Lunari.
Finalmente, diminuendo fino alle orbite, prima di Venere
e poi di Mercurio, il Sole projettò questi due pianeti intcriori; i quali nè l’uno nè l’altro generarono delle lune.
Cosi da questa massa originale— o per parlare più correttamente, dalla condizione nella quale noi l’abbiamo considerata dapprincipio — da una massa nebulare parzialmente
sferica, che possedeva un diametro certamente molto maggiore di 5600 milioni di miglia — il grande astro centrale,
origine del nostro sistema solare-planetare-lunare si è gradatamente ridotto, a cagione della condensazione e per
obbedire alla legge di Gravità, ad un globo di 882 000 miglia di diametro solamente; ma non ne risulta in nessun
modo che la sua condensazione sia però completa o che
non possa più possedere la capacità di projettare un altro
pianeta ancora.