Farsaglia/Libro I

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Marco Anneo Lucano

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Farsaglia Libro II


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LA FARSAGLIA

DI

MARCO ANNEO LUCANO.




LIBRO I.


L A Civil di Farsaglia orrida guerra,
E il fren lentato ai rei delitti io canto,
E un popol forte che la man vittrice
Armò contro se stesso e, sciolti i nodi
5D'ogni amistà, le consanguinee schiere
Coll'intere del mondo armate forze
Guerreggianti alla pubblica rovina,
E tutte contro lor rivolte a zuffa
L'aquile, i dardi e le Romane insegne.
     10Quale furor, o cittadini, e quale1
Desio sì fiero di versar in faccia
Ai popoli nemici il Latin sangue?
E mentre si dovrian ritor le spoglie
A Babele orgogliosa, e invendicata
15Erra l'ombra di Crasso, armar vi piace
In guerre scevre di trionfi il braccio?

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Ahi! Qual col sangue, onde sono molli ancora
Le Civil destre, far poteasi acquisto
In terra e in mare, dove nasce il Sole,
20I campi adugge e dove il verno irsuto
Con gel perenne il mar di Scizia agghiaccia.
I Seri già, già li vedría l'Arasse
Andar incatenato, e se v'ha gente
Su la foce del Nilo. Allor, o Roma,
25Se ti cal tanto una nefanda guerra,
Poiché avrai stretto al giogo il mondo intero2,
Arma contro te stessa il braccio invitto:
Ti germoglian in seno ognor nemici.
Ma mentre rovinose or son le mura
30Dell'Itale cittadi, e l'altre moli
Giaccion prostrate al suolo, e raro appare
L'abitator per le deserte case,
Perchè già da molt'anni orrida, incolta
Giace senza cultor l'Italia e i campi,
35Non tu fier Pirro, nè tu Annibal sei
L'autor di tante stragi: alcun straniero
Non può Roma crollar: dal Civil braccio
L'alta piaga fatal s'aperse in seno.
     Che fe a Nerone altro sentiero i fati3

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40Aprir non ponno, nè può'l Cielo a Giove
Piegar la fronte, se non dopo il fiero
Guerreggiar co' giganti, a noi non lice
Già più lagnarci, o Dei: piace a tal patto
L'empia guerra nefanda; i tristi campi
45Farsaglia inondi, e sazie sian di sangue
L'ombre Cartaginesi, e fin di Monda
Ardan d'orrida zuffa i lidi estremi.
A questi rei destini ancor s'aggiunga
La fame di Perugia, e il Modonese
50Gravoso assedio, e del Leucadio mare
L'armate flotte, e le Trinacrie guerre.
     Molto all'armi Civil debbe pur Roma,
Perchè tu cogli il frutto. Allorchè il corso
Della vita compiuto, andrai fra gli Astri,
55Te del ridente luminoso Cielo
Accoglierà la reggia, o piu ti piaccia
Trattar lo scettro, o fu'l fiammante cocchio
Salir di Febo, e colla vaga luce
La Terra circondar, che nulla pave
60Il nuovo auriga. A te cede ogni Nume,
E al tuo voler concederà Natura
D'esser quel Dio, che brami e dove il regno
Locar del mondo. Ma non già ti piaccia
Sotto la zona Artoa sceglier la fede
65O dove il Polo Austral nel mar s'attuffa,
Onde a Roma tu volga obliquo il guardo.
Se dell'immenso Ciel premi una parte,
Sentirà il peso l'asse. Il foglio inalza
Sotto al dolce Equator: tutta si sgombri
70Quella parte di Ciel limpido e puro,
E di Cesare ai rai fugga ogni nube.
L'armi deposte, allor l'umana schiatta
Pensi al suo bene, e in mutuo amor s'annodi:

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Spieghi l'ale la pace, e imponga il freno
75Del fiero Giano alle ferrate porte.
Ma già mio Nume: e se tuo vate in seno
Te accoglierò, non fia che stanchi il Dio
Agitator delle Cirree pendici,
O dai gioghi di Nisa io Bacco arretri,
80Tu puoi l'estro spirar ai Lazj carmi.
     Animoso pensier a dir m'invita
L'alte cagion di sì gran cose, e s'apre
Un'opra immensa, come all'armi spinto
Fu un popol furibondo, e come scossa
85Del mondo fu la pace. Il ferreo giro
De' fati invidiosi, e la caduca
Sorte de' sommi beni, e la rovina
Sotto all'enorme pondo, e Roma stessa
Indocile di freno. In simil guisa4,
90Allorchè, sciolta ogni compage, al corso
De' secol porrà fine il giorno estremo,
Ritorneran nel lor caosse antico
Tutte le cose; andran misti e confusi
Gli Altri cogli Astri: l'affocate stelle
95Cadran nel mar, nè più stendendo i lidi
La Terra l'onde scoterà dal dorso.
S'opporrà Cinzia al Sol, e disdegnando
Rotar il cocchio per obliqui giri
Per se vorrà la luce, e le sue leggi
100Scompiglierà del conquassato Mondo
La macchina discorde. Da se stesse
Cadono l'alte moli. Han questa meta

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I Numi posto alle felici imprese,
Nè a gente alcuna diè la sorte il vanto
105Di debellar un popolo possente
In terra e in mar: tu sei de' nostri affanni,
Roma, cagion con quel funesto nodo,
Che i Triumviri allaccia, e parte il regno
Infra la turba. O con maligna pace
110Alme concordi, e d'orgogliose idee
Fervide troppo, a che partir vi giova
Fra voi la terra, ed accoppiar le forze?
Mentre cerchio faran i lidi al mare,
L'aria alla terra, e con alterno giro
115Correran i lor segni il giorno e l'ombra,
Non si debbe prestar unqua mai fede
Ai compagni di regno, ed ogni impero
Intollerante di rival sia sempre.
Non sian specchio altre genti, e non si legga
120Altro esempio remoto in sen dei fati:
Già questa mura dal fraterno sangue
Nel lor sorger fur tinte; e non fu allora
Premio del reo furor la terra e il mare,
Ma d'un nascente asìlo il cerchio angusto.
     125Nel suo primo apparir presto si sciolse5
L'amistà non sincera, e fu la pace
Non spontanea ai guerrier, poichè il sol freno
Era allor Crasso alla futura guerra.
Siccome l'Istmo, che col tenue lembo
130Parrendo il doppio mar non lascia insieme
Mischiarsi l'onde, ove s'arretri il suolo,

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L'Jonio coll'Egeo mischia e confonde.
Così tosto che Crasso unico scudo
Ai divisi guerrier con fato acerbo
135Macchiò del Latin sangue i lidi Assiri,
Sciolser il fren le Partiche rovine
Al Romano furore. O degli Arsaci
Prodi germogli, oltre il pensier fatali
Fur vostre schiere: una civile guerra
140Da Voi s'accese in sen de' vinti. Il regno
Si divide coll'armi, e la fortuna
D'un popol regnator del mondo intero
Due non soffrì, poichè dal ferreo dardo
Delle Parche rapita i dolci pegni
145Del sangue unito, e le ferali tede
Porto Giulia tra l'ombre. Ove il destino
Allungava i tuoi dì, frenar tu sola
Quinci potevi il furibondo sposo,
E quindi il padre, ed iscotendo il ferro
150Unir l'armate destre in quella guisa,
Che i suoceri a lor sposi hanno congiunto
Le paciere Sabine. Il lieto nodo
Col tuo morir si scioglie, e mover guerra
Si fa lecito ai Duci. A loro è sprone
155L'emol valor: tu gran Pompeo, paventi
Che gli antichi trionfi il raggio oscuri
Delle novelle imprese, e ai vinti Galli
Ceda il Partico allor. Già te inorgoglia
Il faticoso militar perenne
160Corso di vita, e del secondo grado
Sdegnoso il fiero cor. Cesare alcuno6

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Soffrir non può maggior, nè ugual Pompeo.
Chi brandì l'armi con ragion più giusta
Saper non lice: se ciascun difende
165Con grandi autor: la causa vincitrice
Piacque agli Dei, ed a Caton la vinta7
Ne già scesero uguali al grande arringo:
L'un grave d'anni, e della toga avvezzo
Col lung'uso alla pace ha già dell'armi
170L'arte obbliata, ed avido di fama
Pensa a largir gran doni, ad esser tratto
Dall'aure popolari ai sommi onori,
E del plauso gioir del suo reato;
Nè più gli cal rinovellar le forze.
175L'ombra s'allarga del gran nome e sorge;
Qual alta quercia in un secondo campo
Dei sacri doni e delle spoglie adorna
Del popol vincitor; nè abbarbicata
A profonde radici altera e ferma
180Su'l suo peso si libra, e i nudi rami
Spandendo all'aure coll'immane tronco
Adombra il suolo; ma sebben fra'l denso
Robusto stuol de' fermi pin minacci
Dell'Euro al primo soffio alta rovina,
185Pur si cole ella sola. Ugual non suona
Di Cesare la fama; ma ritroso
È il suo valor di freno, e sol l'arresta

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Nobil pudor di trionfare inerme;
Indomito e feroce, ove lo chiami
190Speme e furor alle battaglie, e ardente
Nell'opre sue, nel secondar gl'influssi
Del Ciel propizio, e nel lottar coi rischi,
Lieto in aprir fra le rovine il varco.
Qual fuor dal seno delle dense nubi
195Scoppiano romoroso il fulmin guizza,
E balendando coll'obliqua fiamma
Sparge il terror nel volgo, in su le torri
Piomba de' Tempj, nè imbrigliato e stretto
Da forza alcuna nel cader gran strage
200Mena, e grande in tornar, e tutta accoglie
La sparsa luce ed i maligni lampi.
     Queste spinsero i Duci alte cagioni8;
Ma vi s'aggiunser altri semi, ed altre
Pubbliche fiamme, onde gl'imperj e i regni
205Arsero più possenti. Allorchè, domo
Il mondo intero, la ricchezza, il lusso,
Le stranie mode de' trofei nemici
Furo il dono fatal, più non si serva
L'aurea mediocrità: la frugal mensa
210Già si disprezza: i leziosi nastri
Vezzi appena di spose ornan vilmente
Gonna maschil: la povertà si fugge
D'Eroi feconda, e con ingorda voglia
Si procaccia il metal, che i popol strugge.
215Allor i campi esercitati un tempo
Dalle marre de' Curj e de' Camilli
Senton d'estranj agricoltor l'aratro,

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Ed i longhi confin vincon d'assai
L'antica meta. Quindi i facil sdegni,
220I delitti, la forza, il vile obblío
Della Patria e dei dritti han pregio e vanto;
Quindi le leggi, i Plebisciti, e il sacro
Inviolabil Consolar potere
Dei Tribuni si turba; quindi a prezzo
225Mercansi i fasci, e il popolar favore,
E nel campo venal sorgenti ogn'anno
L'aspre contese; quindi il censo ingordo,
E l'usura vorace, e della guerra
L'util desío, e la sbandita fede.
     230Era dalle fredd'Alpi in riva sceso
Del picciol Rubicon Cesare in mente
Già ravvolgendo la futura guerra;
Quando fra l'ombre dell'oscura notte
Chiara apparve al guerrier la grande immago
235Della Patria tremante in mesto aspetto
Il bianco crin dalla torrita fronte
Spandendo all'aure, coll'ignude braccia,
Colla lacera chioma, e sospirando
Sì lo rampogna: ove movete i passi?
240Ove spingete, o miei guerrier, le insegne?
Se con ragion, se cittadin venite,
Questo è il confine. Allor un freddo orrore
Le membra ricercò del fiero Duce,
S'arricciaron le chiome, e fermò l'orme
245Languide e lente fu l'opposta sponda.
Indi si disse: o dal Tarpeo tonante9
Della gran Roma Deità custode,

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Della stirpe di Julo, o Dei Penati,
E del Divo Quirin voi sacri arcani,
250E tu del colle Alban Preside, o Giove,
E tu fuoco di Vesta, e tu gran Roma
Uguale a un Nume, l'opra mia feconda:
Non con armi crudeli io già dicendo
A travagliarti: ecco sebbene armato
255Son tuo guerriero e difensore: ei fia,
Ei fia sol reo, che tuo rival mi renda.
Indi s'affretta, e per il gonfio fiume
Move l'insegne. In guisa tal nei campi
Dell'affocata Libia incerto pende
260Torvo lion al cacciator davanti,
Mentre raccoglie la natia fierezza;
Quindi allorchè si riscegliò coi colpi
Della gran coda, e la vellosa chioma
Ruggendo orribilmente alzò feroce,
265Se acuto spiedo, o Mauritana lancia
Gl'impiaga il fianco, impavido, animoso
Segue del ferro, e de' guerrier le tracce.
     Scarsi flutti travolve, e angusto scende
Il rosso Rubicone, allorchè ferve
270L'ardente estate, e per le cupe valli
Va serpeggiando, e dalla Gallia parte
L'italiche campagne. Allor di forze
L'accrebbé il verno e la piovosa luna,
E le nevi disciolte. Il primo al guado
275S'appresenta il corsier, poi varca il resto
Dei rotti flutti le già docil'onde.
Come l'opposto suol Cesare attinge,
E ne' vietati lidi il piede arresta;
Qui, disse, io qui lascio la pace e i dritti,
280E te seguo, o fortuna: oggi si sciolga
Ogni amistà: mi siano guida i fati;

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E giudice la guerra. Indi le schiere
Infra i notturni orror move veloce
Più che stral Persiano, o roteante
285Balearica fionda, e minaccioso
In Rimini entra all'apparir del sole.
Già nasce il giorno spettator del primo
Guerresco moto, e sia voler de' Numi,
O soffio d'austro, ingombran l'atra luce
290Nebbiosi nembi. Allorchè in mezzo al foro
S'inalberaron dai guerrier l'insegne,
Il rauco suon delle stridenti trombe
Squillò di guerra il sanguinoso accento.
Si rompe il sonno, e l'armi ai Lari appese
295La desta gioventude afferra, e imbraccia
Le scabre lance, ed i corrosi scudi.
     Ma come vider l'aquile Romane
Splender intorno, e grandeggiar fra l'armi
Cesare altero, impallidir tremanti,
300Lo spavento gli agghiaccia, e muti lai
Tacitamente van volgendo in petto.
O mal costrutte presso ai vicin Galli
Mura infelici! o mal locato suolo!
Dolce pace fa lieti i popol tutti,
305E noi siam preda di feroci schiere,
E il primo campo loro. Avrebbe il Cielo
Data tede miglior fra i Sciti erranti,
Sotto l'Attica zona, o al polo Eoo,
Che del Lazio ai confin porei a difesa!
310Abbiam noi visti i primi in giù dall'Alpi
Piombar i Cimbri, l'Africano Marte,
E i Teutoni furenti; e quante volte
Della fortuna rea bersaglio è Roma,
Questo è il sentier dell'armi. Ognun dolente
315Questi occulti sospir mormora in seno,

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Ma di spiegarli ha tema, e s'assomiglia
La lor quiete all'infedel bonaccia
Dell'alto mare, o ai taciturni campi,
Quando gli augei loquaci il verno affrena.
     320Avea fugato il dì le gelid'ombre,
E nuova face, e nuovo spron s'aggiugne
All'ondeggiante cor, e già s'allenta
Ogni freno al pudore. In vago velo
L'orror s'involve, e a ritrovar cagioni
325La sorte s'affatica. Infranti i dritti,
Coi Gracchi fulminati infra le incerte
Fluttuanti Tribù cacciò il Senato
I discordi Tribuni. A loro è guida
Alle tende del Duce il troppo audace
330Facondo Curion nel regger destro10
L'abbjetta plebe, e nel fiaccar i grandi.
Allorchè vide il pensieroso Duce,
Mentre far scudo al tuo partito, ei disse,
Si potè colla voce, io contro i voti
335Del ritroso Senato i buon Quiriti
Piegai a prolongarti il dolce impero.
Ma perchè oppresse dall'armate schiere
Tacquer le leggi, da paterni Lari
Caccuati siam, e con spontaneo esiglio
340Andiam raminghi: cittadin ci renda
La tua vittoria. Or che l'avversa parte
Palpita inerme, ogni dimora rompi:
Periglioso è l'indugio ai già disposti:
Premio maggior ai rischi tuoi s'appresta.
345Te per due lustri raggirò fra l'armi

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La vasta Gallia; se con lieto evento
Poche battaglie ingaggerai, sia domo
Il mondo intero. Or non ti ride intorno
La pompa trionfal, nè cinto il crine
350Del sacro alloro al Campidoglio ascendi;
Ti contrasta ogni onor l'invidia edace:
E nel cospetto delle dome genti
Soffrirai sì vil scorno? Ha fermo in mente
L'altier genero tuo cacciar del regno
355Il socero rival: non puoi del mondo
Pattir l'impero, ben regnar puoi solo.
Così dicendo le già vive voglie
Di guerreggiar, risveglia, e si l'infiamma,
Qual dalle grida Eleo corsier s'avviva,
360Che dello sprigionarsi in su l'istante
Sente lentar su'l curvo dorso il freno.
     Immantinente le falangi aduna,
E tosto che col maestoso aspetto
Il bisbiglio acchetò, silenzio impose,
365O guerrieri, egli disse o miei compagni
De' perigli e dell'armi, il decim'anno
De' trofei vostri or volge, e questo è il frutto
Del sangue sparso nelle piagge Artoe,
Di tante morti e de' sofferti nembi?
370Non altrimenti si scompiglia Roma
Da tumulto guerrier, che se dall'Alpi
Annibale scendesse: il fior si sceglie
Della milizia, a rinnovar le flotte
S'abbatton selve, e Cesare si caccia
375Dalla terra e dal mare. E che? Se al suolo
Giacesser l'armi, e vincitori al tergo
M'inseguessero i Galli? or che la forte
Spira l'aure propizie, e il Ciel m'invita
A grandi imprese, scenda pure in campo

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380Da longa pace il già fiaccato Duce
Colle raccolte schiere, e seco mova
Marcel loquace col Togato stuolo,
E del grave Caton col nome inane.
I Re dell'Oriente, e il compro volgo
385Eterneranno di Pompeo lo scettro?
Ei reggerà nell'immatura etade
Il cocchio trionfal, e ognor fra i raggi
S'avvolgerà degli usurpati onori?
Che più dirò de' calpesta i dritti,
390E dell'orrida fame? Alcun ignora
I guerrier accampati in mezzo al Foro,
Allorchè cinser i Curuli seggi
Le spade minacciose, ed abbattendo
Con destra armata la tremante Temi
395L'insegne Pompejane il reo Milone
Chiuser dintorno? or per non trar vilmente
L'età senil nefande guerre appresta
Avvezzo già ai Civil sdegni, e destro
Nel vincer Silla, da cui l'arte apprese11
400D'incrudelir; e come il truce ingegno
Non tempran mai le furiose tigri,
Cui ne' boschi African diè crudo pasto
Il pingue sangue de' sbranati armenti;
Così avvezze a lambir il Sillan ferro
405Più sitibonde le tue labbia, o Grande,
Ardon mai sempre. Una sol volta appena
Il sangue, che si bee, le fauci immonde
Più non lascia addolcir. E qual sia meta

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A sì longo soffrir? Qual fren s'impone
410Al scellerato regno? Almen t'insegni
Silla a scender da Soglio. O forse dopo
I fugati corsari, ed i trionfi
D'un stanco Re, che del velen fur opra,
L'ultima ioson di sue vittorie al fine,
415Perchè a' suoi cenni l'aquile vittrivi
Depor non volli? Se dai gravi affanni
Il premio mi si nega, a questi almeno
Di longa guerra la mercè si renda,
E queste schiere sotto un altro Duce
420Trionfin vincitrici. Ove riposo
Avrà l'età dopo le guerre esangue?
Qual seggio s'apre ai prodi? E quali campi
S'offrono ai Veterani, e quali mura
Della stanca vecchiezza estremo asilo?
425O meglio diverran coloni, o Grande,
I tuoi corsari? Ite, spiegate, o prodi,
L'insegne vincitrici: oprar è d'uopo
Le forze, che acquistammo: al braccio armato
Tutto cede colui , che il giusto nega;
430Nè ci mancan gli Dei, poichè coll'armi
Non si cercan da me nè prede, o regno,
Ma ben scotiam del servil giogo il pondo12.
     Disse, e il dubbioso volgo incerto freme
Con basso mormorio; i patrj Lari,
435E la natia pietà tempra e raddolce
I fieri ingegni e l'orgogliose menti;
Ma la tema del Duce, ed il feroce
Genio guerrier gl'inanimisce e sprona.

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Il prode allor Centurion adorno
440Di corona di quercia il nobil crine,
Se lice, esclama, o del Romano nome
Alto sostegno, scior sincer accenti,
Noi ci lagniam che con sì longo freno
Abbi avvinto il tuo braccio. In te languiva
445Forse di noi l'idea? Finchè s'aggira
In queste vene il sangue, e finchè ponno
Lanciar i dardi le robuste braccia,
Soffrir potrai l'imbelle Toga, e il regno
Dell'inerte Senato? È forse tanto
450Infelice il trofeo di Civil guerra?
Ci guida pur fra le deserte Sirti,
Nell'arsa Libia, o fra gli erranti Sciti.
Già questa mano per lasciarsi a tergo
Il mondo vinto travagliò col remo
455Dell'Ocean i procellosi flutti,
Ed infranse del Ren l'onde spumanti.
Per te ciò, ch'io disegno, è d'uopo adempia,
Nè quel fia cittadin, contro cui squilli
la tromba tua. Per le felici insegne
460E per gl'illustri tuoi trionfi io giuro,
Se vuoi ch'io figga del german in petto13,
O nel paterno gorgozzule il brando,
O della sposa nel pregnante seno,
Tutto oprerò colla ritrosa destra.
465Se di spogliar gli Dei, d'arder i Templi
Tu cenno fai, dalle guerrieri faci
Cadrà combusta al suol la Dea Moneta;
Se d'innalzar le tende in su le sponde

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Del Tosco Tebro, io degli Ausoni campi
470Andrò misurator: qualunque torre
Voglia al suolo adeguata, all'aura spinte
Dagli arieti nostri andran le mura;
E la prima città, che tu dall'imo
Schiantar destini: sia pur Roma istessa.
475A questi accenti acconsentir concordi
Le schiere tutte l'inarcate mani
Alto levando. Si solleva al Cielo
Un tal schiamzzo, qual del gelid'Ossa
S'ode fragor nell'agitate selve,
480Allorchè sopra i vacillanti abeti
Il rapido aquilon si stende e mugghia.
     Come Cesare vide arder sì pronte
Le schiere all'armi, e sì propizj i fati;
Per non lentar della fortuna il corso,
485Per le Galliche ville i guerrier sparsi
A se rappella, e move a Roma il campo.
Già s'abbandonan del Leman profondo14
L'alte trincee, e le scosese torri,
Che feano scudo ai Lingoni pugnaci.
490Lasciano questi d'Isara le sponde,
Che mischiando i suoi flutti a più famoso
Fiume maggior va senza nome al mare.
Sono i biondi Ruten disciolti e sgombri
Del Romano presidio, e l'Ati gode
495Di non portar le Lazie prore, e il Varo
Confin d'Italia, e dell'Erculco nome
L'altero porto: che col cavo monte
Incalza il mare: su lui vana è l'ira
Di Zefiro e di Coro, e Circio solo

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500Va procelloso a flagellar le sponde.
Vengon le schiere dagl'incerti lidi
Là dove alterna il mar col suolo asciutto,
Quando il vasto Ocean s'allarga, o quando
Co' retrogradi flutti arretra e fugge.
505O il vento rapitor dal Polo estremo
L'onde travolva, e fuggitivo appiani,
Od agitata la cerulea Teti
Dalla traente Luna ondeggi e bolla;
O il fiammeggiante Sol sino alle stelle
510I nutritivi flutti e il mare inalzi;
Voi rintracciate, cui'l pensiero affanna
Del mondial sistema: a me s'asconda,
Come piace agli Dei, l'occulta forza,
Che sì spesso del mar scompiglia il seno.
515Quindi chi tiene di Nemosso i campi,
E d'Aturi le rive, ove Tarbella
Nel mar si specchia, che piacevol lambe
Il curvo lido, alza le insegne, e lieto
Al dipartir delle nemiche schiere
520Bordeau di Soiffons: Leuco s'allegra,
E Rheims valente nel lanciar i dardi,
E il Borgognon nel volteggiar maestro
Gli agil destrieri, ed il perito auriga
Degli essedi Fiamminghi, e gli Edui arditi
525Nel fingersi german col Lazio, illustre
Popol di Troja, e gli Eburon ribelli
Sparsi del sangue dell'ucciso Cotta,
E la Gallia Braccata, e desti al suono
De' cavi bronzi i Baravi feroci;
530E que' che cinge la Saona, e dove
Travolve al mar il Rodano veloce
D'Arari i flutti, e dove i bianchi gioghi

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Preme d'Alvergna l'alpigiano irsuto.
Poiton doma i suoi campi allegro e sciolto,
535Nè più circondan le guerresche tende
L'instabile Turena, e già la fronte
Di nebbie cinta il Meduan ruscello
Co' zampilli del Ligeri ravviva.
Di Gian la rocca le Cesaree schiere
540Più non rinchiude della guerra; e tu nel capo
Ligure or raso, che col crine un tempo
Sparso fu'l collo vagamente il vanto
Della Gallia chiomata eri e il decoro;
E que' da cui con sanguinoso scempio
545Mercurio fier si placa, e Marte orrendo15,
E di Giove l'altar non men crudele
Della Scitica Diva; e Voi che l'alme
De' guerrier trucidati ai secol tardi
Fate gir gloriose, illustri Vati16,
550Or raddoppiate più tranquilli i carmi;
E Druidi Voi, rinnovellar poteste
I barbarici riti e l'uso infame
De' sagrifizj. A voi soli è concesso
Saper de' Numi ed ignorar gli arcani,
555Entro l'orror delle più cupe selve
Vi fate albergo, e al vostro dir sotterra
Non scendon l'ombre fra i squallenti regni
Dell'Efebo profondo: ancor le membra

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Regge lo stesso in altro mondo17
560E se cantate il ver, di longa vita
È la morte il sentier. Nel loro inganno
O del Settentrion popol felici,
Cui di morir la tema infra i spaventi
Il più feral non ange. Indi sì pronti
565S'avventan fra le spade, ed hanno a vile
Il non troncar i redivivi giorni.
E Voi già scudo ai Cauci Capelluti18
Ite ver Roma abbandonando i lidi
Del Ren feroce, e d'latri regni il varco.
     570Come al Guerrier le gran raccolte forze
Fur monumento di più vaste imprese,
L'Italia ingombra, e le cittadi inonda.
La Fama menzognera ancor s'aggiunge
Ai ver timori, e con fallaci spettri
575Del popolo s'indonna, e già dipinge
L'orrido scempio, e rapida foriera
Dell'aspra guerra in falsi vaticinj
Scioglie le cento ligne. Evvi chi reca,
Come d'Umbria nei campi, e dove il Nari
580Scorre nel Tebro, audacemente all'armi,
E a corseggiar precipitose vanno
Del fier Cesar le schiere. A lui dintorno
L'aquile tutte e le Romane insegne
Veggon fra'l denso stuol, nè come un tempo
585Già lo ravvisan: più feroce e grande
S'offre a lor guardi, e pe' trofei più altero;
E veggon lui seguir del Ren, dell'Alpi19

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E fin dell'orsa i popoli feroci
Dal sen divelti dalla Patria, e Roma
590Posta in soqquadro. Sì temendo ognuno
Forza accresce alla fama, e senza autore
Delle sventure lor temon i sogni;
Nè sol da vano orror compreso e scosso
Palpita il volgo; ma la Curia, e fino
595Fuor sbalzaron dai seggi i Padri istessi,
E fuggitivo ai Consoli il Senato
Di guerra impose l'odioso incarco.
Allor dubbiosi nell'incerto affetto
Di difesa e di fuga, ove gli spinge
600L'impeto del fuggir, il volgo seco
Traggon precipitosi, e fuor se'n vanno
Le legion confuse in lunga schiera.
Tu crederesti che serpeggi intorno
Il fuoco struggitor, o che già scosse
605Da rovinoso turbin vacillanti
Scoscendano le case. Allor la turba,
Come se non splendesse altra speranza
Nel rovinío, che gir di Roma in bando,
Per la città precipitosa e folle
610Erra senza consiglio; appunto come
Quando il Libico mar Austro scompiglia,
E s'ode già delle velate antenne
Scrosciar l'infranta mole, in mezzo ai flutti
Il timoniere ed il nocchier si lancia,
615E non disciolta la compago ancora
Del fluttuante legno, ognun si finge
Il naufragio vicino. In simil guisa
Abbandonata la città, fuggendo
Alla guerra si move: il vecchio padre,
620Ne la dolce consorte, o i patrj Lari
Col pianto trattener, e colla speme

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Lo sposo, i figli e i cittadin non ponno:
Nè fu la soglia alcun dubbioso pende,
E forse allora dell'aspetto estremo
625Dell'amata città satollo parte:
Trabocca fuor l'irrevocabil volgo.
     O Numi troppo generosi e larghi
Nel dar gran doni, e nel serbarli avari!
Una città di popoli ondeggiante20,
630E di sconfitte genti, ed atto asilo
Tutta a raccor l'umana schiatta in preda
Sì presto s'abbandona al civil ferro!
Il Romano guerrier in stranj lidi
Con poca fossa da notturni rischi
635Si da difesa, e un improvviso schermo
Di debil palizzata infra le tende
Porge sicuri i sonni; e tu sei, Roma,
Abbandonata al primo grido appena,
Che suoni all'armi? Le tue mura invano
640Fan scudo una sol notte. Eppur non lice
Tacciar tema sì vil: fugge Pompeo21.
Allor perchè la dolce speme almeno
Non raddolcisse i lor timor, s'accrebbe
D'un più tristo destin non vana fede,
645E di portenti i minacciosi Numi

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Empier intorno il Ciel, la terra e il mare.
Vider l'oscure notti ignore stelle22,
Ed avvampare il polo, e per le sfere
Obblique fiamme trasvolar, e il crine
650Arder sanguigno di ferl Cometa.
Il Ciel sereno balenò di spesse
Folgori accese, e varie forme il fuoco
Nell'aer pinse; ora con longa striscia
Un giavelotto fiammeggiò nel Cielo,
655Ora una lampa coi diffusi raggi.
Un fulmin senza scoppio e senza nubi
Pregno d'Artiche fiamme in su le torri
Piombò del Campidoglio, e in mezzo al giorno
Apparver gli Astri già forier dell'ombre:
660E già nel pieno suo fulgor la Luna
Impallidì con tenebrosa ecclisse.
Lo stesso Febo di caligin densa
Velò l'ardente cocchio, e il mondo avvolse
Di squallid'ombre, e a disperar del giorno
665Sfrorzò le genti: qual Micene un tempo
Vide fuggir inorridito il Sole
Di Tieste le mense. Il fier Vulcano
D'Etna allargò le bocche, e non rotando
Al Ciel le fiamme in ver d'Italia i lidi
670Le piegò minacciose. In flebil tuono23
Latrar di Scilla i cani, e rossi flutti
Carridi gorgogliò: la sacra fiamma

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De' Latin sagrificj in due si scioglie
Opposte fronti, e bipartita sorge
675Imitatrice de' Tebani roghi.
Allor crollò la Terra, e scosser l'Alpi
La mobil neve dall'antico dorso.
Il mar più gonfio ad inondar si spinse
L'Esperia Calpe e l'Africano Atlante.
680È fama che di pianto e di sudore
Stillasser sparsi i pattj Numi e i Lari,
E segnasser d'orror infausti augelli
L'aer maligno, e abbandonati i spechi
Si vedesser per Roma errar le fiere.
     685Allor sciolsero i bruti umani accenti,
E mostruosi parti, e strani aborti
Sparser d'orror le madri, e per il volgo
Si van vulgando i vaticinj orrendi
Della Sibilla. I Coribanti e i Galli
690Squassando il capo, e con graffiate braccia
S'udivano ulular ferali carmi.
In flebil suono mormorar le tombe,
E allor pei boschi un tintinnio di spade,
E gran voci s'udiro, e spettri ed ombre:
695Fuggon gli abitator dal suol vicino,
E brancicando un affocato cerro
Colle viperee chiome all'aura sparse
Scorrea per Roma spaventosa Erinni;
Qual fu colei, che la Tebana Agave
700Armò di ferro, o dell'auster Licurgo
Torse la scure; o qual di Giuno ai cenni
Inorridir fe'l generoso Alcide
Reduce dall'Averno. Orride trombe
Squillar di notte, e il militar schiamazzo,
705Che s'ode in campo, le chere aure assorda,
E l'ombra apparía del feroce Silla

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Vaticinò oracoli tremendi;
E Mario sorto dall'infranto avello
I rozzi agricoltor in fuga volse.
     710Perciò Roma seguendo il prisco stile
Chiama i Toschi indovini, infra cui d'anni,
E di senno più grave il saggio Arunte24
Abitator della deserta Luna
Esperto già nel rintracciar le vie
715Del fulmine, e le fibre palpitanti
Degli animali, e degli augelli il volo
Vuol che del fuoco i parti informi e i mostri
Sian miserabil preda; indi comanda
Che la Città si lustri, e colle sacre
720Pontifical Procession si purghi
Il Pomerio e le mura. I lor vestigi
Segue la minor turba adorna il tergo
All'usanza de' Volsci, e la bendata
Sacerdotessa al Vestal Coro è duce,
725A cui sol lice investigat gli arcani
Della Teucra Minerva; indi i custodi
De' Sibillini carmi, e que' che tersa
Traggon Cibele dall'angusto Almone;
I Settemviri, gli Auguri e i compagni
730Di Tazio, e i Salj coi celesti scudi
Al collo appesi, e nelle sacre bende

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I Flamini ravvolti; e mentre intorno
Col longhi giri alla città se'n vanno,
Le sparse particelle accoglie Arunte
735Del fulmin fiammeggiante, e le imprigiona25
Sotterra mormorando infauste note,
E Bidental chiama quel luogo, e quindi
All'altar appropinqua un toro eletto.
Già si versava il vino, e su la fronte
740Cadean le sacre biade, e già la vittima
Fra le corna allacciata e genuflessa
All'ingrato olocausto offriva il collo;
Ne' fuori zampillò l'usato sangue:
Ma dall'ampia ferita atro veleno
745Sgorgar si vide. A sì ferale obbietto
Aronte impallidì lìira de' Numi
Nelle fibre tracciando: a lui spavento
Era il color, che moltiforme il sangue
Nelle macchiate viscere pingea
750Di quallor, di putredine e di gomma.
Vizzo il fegato mira, e minacciose
Dal lato ostil le vene. Ascoso giace
Il polmon anelante, e picciol lingua
Parte gli organ vitali: il cor s'allenta,
755E sfracellare fan schizzar le viscere
Putrido sangue. E ciò che mai non vide
Impunemente Aruspice, o porremo!
Ecco vede aggrandirsi in su la fronte
Una parte di fibre agil, guizzante,
760Mentre l'altra se'n giace olente ed egra.

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Tosto che del destin l'orribil tempre
Ravvisò l'indovino, appena, o Numi,
Spiegar, esclama, ai popoli mi lice
I vostri arcani: nè già te, gran Giove,
765Placai co' sagrificj; i Dei d'Averno
Venner all'are nostre: orride io temo
Strane vicende, ma il timor fia vinto
Dai tristi eventi. Il Ciel propizio il corso
Degli oggetti sospenda, e tornin vani
770I feral vaticini, e questi spettri
Finti abbia Tage autor dell'Arte. Il Vate
Questi sciogliea misteriosi arcani.
     Ma Figulo, di cui pensiero e cura26
È del Cielo scoprir e degli Dei
775I gran secreti, fra gl'illustri e saggi
Astrologi di Menfi il più sagace,
O questo mondo, ei dice, è senza legge,
E gli Astri van, doce il capriccio impera
O se forza Suprema i corpi aggira,
780S'appresta al globo, ed all'umana schiatta
Vicino scempio. S'aprirà la Terra?
O le città s'abimeranno? O i climi
Cangeran sempre? Germogliar le biade
Più non vorranno i campi? O l'onda pura
785Andrà mista di tosco? O Dei, qual sorte,
Qual rovina sovrasta? I giorni rei
Di molte età si son raccolti e stretti
In un sol tempo. Se la fredda stella
Del maligno Saturno in mezzo al Cielo

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790Torva splendesse, ad inondar la terra
Avrà l'Aquario sprigionati i nembi27,
Come a' tempi di Pirra; e se tu, Febo,
Premessi il tergo del Lion Nemeo
Si struggerebbe dalla fiamme il Mondo,
795Ed arso fia dal carro suo l'Olimpo.
Non minaccian questi Astri. O tu che accendi
Il fier Scorpion coll'affocata coda,
E ne aduggi le branche e quale appresti
Sì gran mole, o Gradivo? Il dolce Giove
800Nel tramonto s'asconde, e langue inerte
Il bel Idalio fuoco, e s'aggavigna
Il rapido Cillenio, e Marte solo
Ingombra il Cielo. Perchè gli Astri vanno
Fuor dr' cancelli lor? perchè nebbiosa
805Mostran la fronte? E perchè troppo il brando
Dell'armato Orion arde e lampeggia?
Guerrier sdegno sovrasta, ed ogni legge
Dalla forza dell'armi andrà confusa.
Nome avran di virtù l'opre nefande,
810E per molt'anni inalzerà la face
Questa insania feroce. E che ci giova
Chieder da Numi il fin? Col nostro giogo
Se'n vien la pace: de' gran mali addoppia
L'aspre catene, o Roma, e il tempo infausto
815Delle stragi rallunga, affinchè torni
A rifiorir la libertà raminga.
     Trema d'orror il pauroso volgo
A questi augurj; ma più ancor s'agghiaccia,

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Poichè quale Baccante in giu dai gioghi
820Scende di Pindo smaniosa e calda
D'Ogigio Bacco, tal per Roma scorre
Una Matrona con tai detti in altro28
Levando Febo, che si graffia il seno.
     Dove, o Pean, son tratta? In qual arresti
825Piaggia il mio volo? I bianchi gioghi io veggo
Del nevoso Pangeo: veggo Filippi
A piè dell'Emo: tu m'insegna, o Febo,
Qual è questo furor: qual man, qual armi
Trattin le Lazie schiere, e qual è guerra
830Senza nemico. Ove travolta io sono?
Mi traggi all'Oriente, ove nel mare
Cangia il Nilo Lageo l'onde salubri:
Io lui conosco, che deforme tronco
Giace su'l lido: ora la cruda Erinni
835Spinse l'Emazie schiere: ora trasvolo
Sovra i gioghi dell'Alpi e di Pirene,
Fredda sede dei nembi: io già ritorno
Al patrio suolo, e scellerate guerre
Sorgon nel seno del Senato: i Padri
840Riprendon l'armi, e per il mondo tutto
Io già ritesso il corso: al mio piè segna
Nuovi lidi di mare, e nuova terra;
Di Filippi io già vidi il suolo, o Febo.
Si disse, e cadde pe'l furore esangue.





  1. Una invettiva sul bel principio di un Poema non si ritrova presso verun Poeta dei secoli di buon gusto. Ma nell'età di Lucano cominciava a decadere il secolo d'oro; dall'altra parte è difetto condonabile all'entusiasmo di libertà che animava Lucano.
  2. È bizzarra questa conseguenza, poiché sembra che dovrebbe piuttosto dire che soggiogaro il mondo, avessero i Romani a vivere tra loro in pace. Così appunto il famuso Cinea convinse il Re Pirro anzioso di conquiste, il quale dicendo che dopo aver vinta Roma, e tutti gli altri Popoli inseguito soggiogati, avrebbe quindi goduta la pace. Ebbene, ripigliò il Ministro, perchè dunque non cominci ora goder sì gran bene?
  3. Stravagante adulazione, o piuttosto ironia. Ma talora anche ai Tiranni si dispensano lodi, perchè divengano vistuosi collo specchio luminosi della virtù.
  4. In quella similitudine si rappresenta la fine del Mondo, che i Poeti trassero dalle Sacre Scritture, siccome la notizia di altri portentosi avvenimenti, ch'essi adombraron colle favole.
  5. Allude al Triumvirato di Crasso, Cesare e Pompeo. Morì Crasso nella guerra contro i Parti; la morte pur involò Giulia moglie di Pompeo e figlia di Cesare, e perciò si sciolse il legame della loro amistà.
  6. Il desiderio di sovrastare sfavillò in Cesare fino da giovane. Silla ne predisse l'ambizioso carattere che fino dai tempi di Catilina si diede a vedere. Solea quindi dire che bramava esser piuttosto testa di formica in un piccol paese che coda di leone in Roma.
  7. Questa sentenza è veramente enfatica, e fa vedere la poca stima, in che ritiene il Poeta gli Dei della sua patria, che mette a confronto di Catone; ma tale era stima di questo Eroe, che il Poeta adoprò una Iperbole per commendarne la virtù.
  8. Il celebre Montesquieu fece un intero Volume sopra la decadenza dell'Impero Romano. Molte ragioni sono qui addotte, alle quali aggiunger si può l'ateismo.
  9. All'uso de' Poeti, e degli Storici si sa parlar Cesare con retoriche figure; ma il fatto fu che in istile laconico disse queste sole parole: il dado è gettato.
  10. Curione era in Roma molto potente per nascita e per impiego. Giovine, e Tribuno della plebe aveva il Popolo nelle mani. Cesare se lo guadagnò col pagare un'immensità di debiti da lui contratti.
  11. Dopo varie vicende di stragi e di proscrizioni Silla visse pacifico Dittatore, ma temuto e odiato dal Popolo, finchè con ispontaneo sagrafizio rinunziando la Dittatura ne divenne l'idolo.
  12. Quì finisce l'eloquente arringa, colla quale, secondo il costume dei Novatori, riprende gli abusi del presente Governo per introdurne dei peggiori.
  13. Sembrano questi sentimenti degni piuttosto d'una fiera, che di un uomo; ma l'entusiasmo di regnare fa divenire brutali e feroci gli uomini più ragionevoli.
  14. Oggi lago di Losanna, a Ginevra.
  15. I Galli chiamavano Mercurio col nome di Teutate, il quale si placava colle vittime dei prigionieri. Altri stimano che fosse Marte.
  16. Erano questi i Bardi, che attendevano alla Poesia, ed all'Astrologia, ed ai sagrifizj, ond'erano pure sacerdoti; i Druidi vi accoppiavano lo stadio della Fisica, e della Morale.
  17. Si combina questa filosofia col sistema di Pitagora ossia colla trasmigrazione delle anime.
  18. Popoli della Frisia, di Groninga, di Brema, e Luneburgo.
  19. Gli Svizzeri, i Galli, e i Germani.
  20. Roma in que' tempi Capitale di tutto il Mondo conteneva più di quattro milioni di abitanti, ed aveva il circuito di cinquanta miglia.
  21. Fa maraviglia come Roma, ai tempi di Annibale, molto meno possente resistesse intrepida al vicino esercito Africano, ed ora molto più poderosa si avvilisse con uno scompiglio generale. Ma al presente l'esempio del Capitano che fugge, e la divisione dei due partiti sono la cagione di sì grande disordine, specchio assai chiaro che ogni Regno più forte dalla discordia, e dal cattivo regime viene atterrato.
  22. Le Comete, e i Fenomeni straordinarj del Cielo si riputavano dagli Antichi indizj funesti. A' nostri giorni l'Astronomia dissipò questi errori, e dimostrò che sono altri, ed effetti naturali, od aurore boreali.
  23. Prosegue a raccontare i prodigj de' quali Appiano fa il Catalogo. Ma tai fenomeni immaginò in parte il timore, in parte la credulità, in parte l'adulazione degli Scrittori.
  24. Era superstizioso rito dei Romani il ricorrere agli Indovini, affinchè spiegassero i fenomeni o del Cielo, o degli animali. Ma le colte persone non vi prestavan fede. Difatti Flaminio nella guerra Punica dovendo combatter per mare contro i Cartaginesi per appagare le Truppe consultò gli auspici tolti dal mangiare dei polli; ma vedendo che dalla gabbia non sporgevano il becco per cibarsi, la di cui inappetenza era un segno fatale; ebbene, disse, se non voglion mangiare vadan essi a bevere, e gli fece gettar nel mare; ciò non dimeno fece dare la battaglia, e la vinse.
  25. È d'uopo dire, che i Romani avessero non ben conosciuta la natura de' fulmini, elettrica, e volatile; e che forse col nostro volgo opinassero che fossero composti di materia soda a guisa da una freccia di pietra.
  26. Di questo Nigidio Figulo grande Astrologo della Scuola di Pitagora ne fanno menzione Cicerone, Auolo Gellio, ed Eusebio. Crebbe quindi in Roma il numero degli Astrologi di modo, che, Tiberio ne scacciò presso a trecento.
  27. Quì si allude al diluvio parziale della Grecia accaduto ai tempi di Pirra, e Deucalione, la di cui idea fu presa dalle sacre Pagine, le quali descrivono il Diluvio Universale.
  28. All'uso dei Poeti, che predir sogliono il passato come futuro introduce una Profetessa. Vi avevano presso gli Antichi gli oracoli i quali erano o impostura, o effetto di arte diabolica. Si vuole per altro che le Sibille fossero investite da forza Divina, che lor faceva antiveder l'avvenire.