Federconsorzi: storia di un'onta nazionale/III/1

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Polenghi Lombardo, una vendita da annullare

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Polenghi Lombardo, una vendita da annullare
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Verso i primi rinvii a giudizio il processo Fedit a Perugia?

Mentre la bobina di carta tipografica da cui ha preso corpo questo giornale corre sui rulli della rotativa alla Procura della Repubblica di Perugia il sostituto Dario Razzi ed i suoi collaboratori attendono i primi "indiziati" di reato convocati per un interrogatorio dall'inizio del procedimento aperto presso il Tribunale del capoluogo umbro per le irregolarità che avrebbero accompagnato la liquidazione della Federconsorzi. Sotto esame atti e documenti della vicenda che si è svolta dal clamoroso gesto con cui Giovanni Goria esautorava gli amministratori, il 17 maggio 1991, la data in cui il Tribunale fallimentare di Roma apriva, il 27 maggio dell'anno successivo, la procedura di concordato preventivo, e quella dell'accoglimento, il 5 ottobre 1992, da parte dello stesso Tribunale, del piano di liquidazione del patrimonio proposto dal banchiere romano Pellegrino Capaldo, Con quel'approvazione il piano si traduceva nella cessione dei beni della Federconsorzi alla Società Gestione e Realizzo, S G R, per la cifra di 2.150 miliardi, che la società romana si impegnava a versare a tacitazione dei creditori, riservandosi l'acquisizione dell'utile, qualunque consistenza potesse avere, che la differenza tra le attività e le passività consentisse di realizzare dalla liquidazione.

Una differenza aritmetica

Le indagini di Perugia sono state suggerite dall'ingente differenza tra la prima valutazione del patrimonio della Federconsorzi effettuata dai periti del Tribunale di Roma, che ne stimarono il valore in 4.800 miliardi, e la cifra che, per acquisire lo stesso patrimonio, si impegnava a versare la S G R, appunto 2.150 miliardi, lucrando una differenza di tale entità da indurre il sostituto procuratore Dario Razzi a formulare l'ipotesi di un'intesa criminosa tra il giudice responsabile della procedura, il dottor Ivo Greco, e gli amministratori della società beneficiaria della cessione. Il coinvolgimento di un giudice del Tribunale di Roma ha determinato, per lo stesso meccanismo che ha portato a Perugia alcuni dei processi più clamorosi della vita nazionale, la competenza del capoluogo umbro. Il primo segmento dell'inchiesta, probabilmente destinato ad essere stralciato dal contesto complessivo per tradursi in processo specifico, pertiene la vendita, da parte del giudice fallimentare, delle partecipazioni della Federconsorzi raccolte nel portafoglio della Fedital, la finanziaria agraolimentare della grande holding agricola.

Protagonisti della vicenda, sono stati convocati dal dottor Razzi Ivo Greco, il magistrato romano che ha diretto la liquidazione, Giorgio Cigliana, uno dei professionisti che hanno partecipato alla liquidazione con responsabilità di commissari governativi, Giovanni Orlando e Dario Levi, procuratori della Swiss Bank Corporation, la filiale italiana di una banca d'affari elvetica, che curò la vendita, e Sergio Cragnotti, all'epoca presidente della Cragnotti § Partners, la società tramite la quale l'uomo d'affari italiano acquisì la Polenghi Lombardo, uno dei natanti con cui avrebbe composto la flotta agroindustriale della Cirio. Mentre la carta corre nella rotativa non è dato al cronista sapere se i cinque signori invitati a comparire si stiano presentando al giudice che li ha convocati. Se pure non si presentassero non v'è dubbio che al loro posto sarà presente uno stuolo di legali: l'ordito probatorio tessuto dal dottor Razzi è, a quanto è dato sapere, di appariscente solidità, se i protagonisti della vicenda e i loro avvocati non riusciranno a demolirlo le ipotesi di reato che prendono forma da quell'ordito si tradurrebbero, in tempi probabilmente brevi, in capi di imputazione, che non sarebbero capi di accusa privi di peso.

Il consulente diventa presidente

Il processo che si apre sulla cessione della società Polenghi si fonda sul teorema probatorio che sta prendendo forma dal contesto dell'inchiesta, l'istruttoria dovrà dimostrare, peraltro, che la vendita della società milanese avrebbe corrisposto ai canoni del disegno criminoso attribuito al dottor Greco ed ai presunti correi, pure compiendosi in termini apparentemente contrari a quelli delle vendite delle altre società del patrimonio della Federconsorzi. Mentre gli altri cespiti sarebbero stati ceduti al prezzo più elevato che si potesse realizzare, le partecipazioni Fedital sarebbero state vendute, infatti, ad un prezzo esiguo, secondo il procuratore aggiunto dolosamente ridotto. Deciso di sottoporre la Federconsorzi alla procedura di concordato con i creditori, una procedura di cui a Perugia si postula l'irregolarità siccome il concordato è previsto, dalla legge fallimentare, per le società le cui passività abbiano consistenza superiore alle attività, siano insufficienti, cioè, a tacitare i creditori, mentre il patrimonio della Federconsorzi era largamente superiore alla somma delle passività, Ivo Greco acquisiva il piano di liquidazione di Pellegrino Capaldo e lo sottoponeva a Francesco Carbonetti, consulente finanziario, che attestava che la cessione del patrimonio, secondo lo stesso piano, alla S G R, costituiva, nonostante l'ingente differenza tra i valori di stima e la cifra offerta da Capaldo, la scelta più vantaggiosa per i creditori. Singolarmente, dopo qualche mese Capaldo affidava allo stesso Carbonetti la presidenza della S G R: il consulente che aveva caldeggiato la cessione si convertiva nel rappresentante della società che si apprestava a raccoglierne tutti i benefici. La lettera con cui Carbonetti dava risposta al quesito di Greco sarebbe scomparsa, singolarmente, dal fascicolo fallimentare, nel quale restava, però, la notula della parcella: il troppo accorto consulente non si era accontentato di suggerire la cessione dei cespiti federconsortili alla società di cui era l'architetto, non aveva resistito alla tentazione di assicurarsi, per il suggerimento, una parcella milionaria.

Il gruppo fallito rifinanzia per vendere

La clausola più singolare del piano del dottor Capaldo per acquisire il patrimonio della Federconsorzi consiste nell'accordo per detrarre, dalla cifra da versarsi dalla S G R, i valori acquisiti dalle vendite di elementi patrimoniali effettuate anche precedentemente all'approvazione del piano da parte del Tribunale fallimentare. Fino al momento dell'approvazione del piano quelle vendite, immobili e partecipazioni, ad esempio la società Fata, erano state effettuate a prezzi corrispondenti ai valori stimati dai periti del Tribunale, una conferma aritmetica che la valutazione del patrimonio Federconsorzi in 4.800 miliardi era corretta. Il tribunale fallimentare aveva operato, cioè, secondo la ricostruzione realizzata a Perugia, perché da società e partecipazioni si ricavasse quanto più fosse possibile, a beneficio della S G R, il cui onere sarebbe stato decurtato di quanto realizzato dalle cessioni. La vendita delle partecipazioni agroalimentari fu la prima a smentire le stime: contro un prezzo di stima di 130 miliardi, l'acquirente, la società Cragnotti § Partners, non ne pagava che 46,5. L'eccezione ha, tuttavia, una spiegazione che la rende coerente al disegno di Capaldo: la società acquirente era legato alla Banca di Roma di Capaldo da significativi vincoli di partecipazione, una circostanza sfuggita, pare, persino agli ispettori della Banca d'Italia.

Destinate ad essere cedute a un'entità economica prossima, per legami azionari, agli autori del piano di liquidazione, le partecipazioni della Fedital sarebbero state trasferite secondo una procedura tale da svilirne il valore, e da impedire che uno solo degli eventuali concorrenti, che al prezzo di offerta avrebbero potuto essere una folla, potesse partecipare all'asta. Le operazioni di vendita venivano affidate, infatti, alla Swiss Bank, titolare, anch'essa, di partecipazioni nella Cragnotti § Partenrs, che affidava la stima del complesso Polenghi alla K P M G, la quale vi procedeva impiegando i criteri di analisi di un bilancio di esercizio, non quelli specifici per la cessione di azienda, che debbono considerare il valore dei marchi e dei segmenti di mercato detenuti, che venivano ignorati. La Swiss Bank otteneva, quindi, dai curatori del fallimento che la Federconsorzi versasse alle casse della società in vendita la cifra di 20 miliardi a titolo di ricostituzione del patrimonio sociale: il prezzo pagato dalla Cragnotti § Partners, 46,5 miliardi, sarebbe stato, quindi, in realtà, di soli 26,5, meno di un quinto di quello proposto al dottor Greco dai consulenti da egli medesimo nominati, la cui stima sarebbe stata pienamente confermata dai consulenti demandati dal Tribunale di Perugia di riformulare il prezzo.

Oltre alla singolare circostanza del versamento, da parte del gruppo in liquidazione, di 20 miliardi nelle casse della società posta in vendita giudiziaria, e alle anomalie del procedimento impiegato per stimarne il valore, anche i tempi dell'asta furono tali da indurre seri sospetti di irregolarità: dopo che, proceduto ad un primo incanto con termini di tempo irrisori, la stessa Swiss Bank doveva informare il giudice che i tempi non avevano consentito la presentazione di proposte diverse da quella della Cragnotti § Partners, Ivo Greco ordinava di procedere ad un secondo incanto, assegnando, per la pubblicazione dell'avviso d'asta e la presentazione delle offerte, una settimana di tempo, tra il giorno di Natale e Capodanno.

Agricoltura parte civile

Riveste un interesse vitale, per l'agricoltura italiana, prevedere quale potrà essere l'esito del processo di Perugia: dal disegno accusatorio del giudice Razzi prende corpo, infatti, l'ipotesi che gli autori, e beneficiari, del piano di liquidazione della Federconsorzi siano costretti a restituire quanto avrebbero sottratto, dolosamente, al patrimonio del grande organismo agricolo. Si concludesse con la condanna degli acquirenti, il primo segmento dell'inchiesta di Perugia porterebbe alla restituzione delle partecipazioni Fedital, in primo luogo della società Polenghi Lombardo. Delle società vendute a prezzo di mercato, quindi a terzi in grado di dimostrare la buona fede, gli autori del disegno non potrebbero restituire, evidentemente, i pacchetti azionari, dovrebbero restituire il valore equivalente.

A chi? Non esistendo più la Federconsorzi la domanda si impone ineludibile. La risposta non è, peraltro, di formulazione particolarmente adua: in ogni processo penale quanti si reputino danneggiati dal reato hanno diritto, infatti, a costituirsi parti civili. Provato il reato, condannati i rei, verificata la correlazione tra il delitto e il danno che viene invocato, il giudice statuisce il risarcimento. Non v'è dubbio che dalla liquidazione della Federconsorzi sono stati ingiustamente danneggiati, ove fosse provato il carattere doloso del piano Capaldo, l'agricoltura nazionale, che non può, ovviamente, costituirsi in giudizio, e tutti i consorzi agrari, soci della Federconsorzi, che con la liquidazione hanno perduto la centrale di collegamento, di finanziamento, di coordinamento degli acquisti di macchine, fertilizzanti, sementi. Come ogni organismo dotato di personalità giuridica, i consorzi hanno il pieno diritto di costituirsi, al futuro processo, parti civili, delegando i propri avvocati ad unire la propria voce a quella del sostituto procuratore che ha intrapreso l'opera di imporre la restituzione all'agricoltura italiana di oltre 2.500 miliardi sottratti in base ad un disegno che definire surrettizio è pleonastico.

La costituzione, in processo, dei consorzi agrari quali parti civili presuppone, evidentemente, il consenso delle organizzazioni professionali i cui rappresentanti governavano la Federconsorzi. Qualcuno, maliziosamente, mormora che a Perugia Confagricoltura e Coldiretti non manderanno mai un avvocato: sul passato vorrebbero stendere un velo, qualsiasi ne fosse il prezzo per l'agricoltura italiana e per i propri associati, che con la Federconsorzi hanno visto inghiottire nel nulla impianti di magazzinaggio, officine di riparazione di trattori, la disponibilità del credito di esercizio in natura. Non crediamo alle voci maliziose: crediamo che le due più antiche organizzazioni dell'agricoltura italiana siano guidate da vertici responsabili verso gli associati e verso il Paese, e che, quando Dario Razzi avrà concluso il proprio lavoro con una richiesta di rinvio a giudizio, rilasceranno le proprie procure processuali a un collegio di principi del foro tale da rendere l'eventualità del recupero di quanto è stato sottratto all'agricoltura nazionale una felice sicurezza.

Riquadri

Il buco nero della galassia Fedit

Nell'inventario delle attività e delle passività della Federconsorzi realizzato a Perugia per verificare le irregolarità della liquidazione effettuata a Roma c'è un buco nero. Si tratta di 800 miliardi di cambiali, reperite dai responsabili della custodia giudiziaria, sottoscritte per la parte maggiore dai consorzi agrari, per piccola parte da agricoltori che, invitati al pagamento, hanno onorato la propria firma. Le cambiali a carico di consorzi agrari potrebbero costituire, ipoteticamente, il corrispettivo dell'imponente flusso di denaro fluito, negli anni precedenti il crack, dalle casse della Federconsorzi a quelle dei consorzi in dissesto disseminati dalle Alpi allo Jonio: siccome, peraltro, quel fiume di denaro veniva riversato contro semplici scritture, gli esperti di bilanci interrogati dai giudici non sanno spiegare quale ragione avrebbe potuto indurre gli amministratori della Federconsorzi a coprire crediti chirografari con cambiali tenute segrete anche dopo la scadenza, quindi prive, ormai, del valore di titoli esecutivi. Un'ipotesi inquietante sulla natura dell'imponente montagna di effetti è che si tratti di titoli emessi, per pura formalità, contro versamenti di denaro che la Federconsorzi effettuasse, in forma del tutto illegale, per assicurare ai consorzi i mezzi con cui finanziare partiti e organizzazioni collaterali: i "fondi neri" della Federconsorzi. Un'ipotesi diversa suppone si trattasse di un immenso portafoglio da usare per pretendere dai consorzi agonizzanti la cessione delle infinite licenze commerciali che la compagine possiede a tutte le latitudini della penisola, un patrimonio con cui sarebbe agevole organizzare, in pochi mesi, la più straordinaria rete di supermercati d'Italia. Era il progetto Aquila di Arcangelo Lobiano, il cui volatile non ha mai spiccato il volo per mancanza dei mezzi finanziari necessari. Una mancanza di cui non soffriva certamente la S G R di Pellegrino Capaldo, perfettamente in grado, con i consorti, primo tra tutti il signor Cragnotti, di fare spiccare il volo a volatili di qualunque dimensione. E il tacchino da 800 miliardi la S G R lo avrebbe trovato, nella sua gabbietta, tra i tanti regali di una liquidazione felice.

Un consorzio agrario ucciso dai vitelli

Una coincidenza singolare ha posto nelle mani dello stesso sostituto procuratore che indaga sul crollo della Federconsorzi l'indagine sulla fine del Consorzio agrario di Perugia, soffocato da un monte di cambiali per spese di acquisto e di allevamento di vitelli che nessun importatore ha mai trasferito dall'estero, nessun allevatore ha mai ingrassato, nessun macellaio ha mai trasformato in arrosti e cotolette. Eppure per le fasi successive del ciclo di allevamento delle inafferrabili bestiole il Cap di Perugia riconosceva a solerti operatori zootecnici la cifra di 1,6 miliardi nel 1985, di 7,6 miliardi l'anno successivo, di 34,5 miliardi nel 1987, di 60 miliardi nel 1988, di 112, 5 miliardi nel 1989, di 135,9 miliardi nel 1990. Prodiga di attenzioni per l'attività dei consorzi affiliati, anche la Federconsorzi avrebbe contribuito a sostenere i debiti conseguenti alla frenetica circolazione di vitelli-ombra tra i paesi di importazione, le stalle inesistenti in provincia di Perugia, i fantomatici macelli di destinazione. Come il Consorzio della provincia umbra, caduto in liquidazione, la Federconsorzi non potrà trarre particolari benefici dall'eventuale dimostrazione che quei vitelli non sarebbero mai esistiti, e dal recupero, presso gli operosi ristallatori, di tutto il denaro versato in cambio dei loro servizi. Con gli interessi legali.


Note

Da Terra e vita n° 42, 25 ott. 1997 Rivista I tempi della terra