Filocolo/Libro secondo/50

Da Wikisource.
Libro secondo - Capitolo 50

../49 ../51 IncludiIntestazione 17 settembre 2008 75% letteratura

Libro secondo - Capitolo 50
Libro secondo - 49 Libro secondo - 51

Il re dormì poco quella notte, tanto il costringea l’ardente disio che il nuovo giorno venisse; e sollecitando le maladette cure il suo petto, più volte quella notte eccitato, disse: - O notte, come sono lunghe le tue dimoranze più che essere non sogliono! O il sole è contra ’l suo corso ritornato, poi che egli si celò in Capricorno, allora che tu la maggior parte del tempo nel nostro emisperio possiedi, o Biancifiore credo che con le sue orazioni priega gl’iddii che rallungare ti facciano, quasi indovina al suo futuro danno. Ma folle è quello iddio che per lei di niente s’inframette, ché a lui non fia mai per lei acceso fuoco sopra altare né visitato tempio. Di se medesima gli può ben promettere sacrificio, però che quando tu ti partirai del nostro emisperio, io la farò ardere nelle cocenti fiamme, né di ciò alcuno pregato iddio la potrà aiutare, né trarla delle mie mani: adunque partiti, e lasciami tosto vedere l’apparecchiato fine al mio disire. E tu, o dolcissimo Apollo, il quale disideroso suoli sì prestamente tornare nelle braccia della rosseggiante Aurora, che fai? Perché dimori tanto? Vienne, non dubitar di venire sopra l’orizonte, per che io deggia fare per la tua venuta ardere la non colpevole giovane. Questo non è l’acerbissimo peccato del comune figliuolo de’ due fratelli mangiato da essi, porto dalla crudel madre, per lo quale tu tirasti i carri dello splendore indietro, e non volesti dare quel giorno luce alla terra, perché sopra sé sì fatta crudeltà avea sostenuta. Tu desti più volte luce a Licaon, operatore di maggior crudeltà che questa non è; e sofferisti che Progne, dopo l’ucciso figliuolo, dandole tu lume, si fuggisse dalla giusta crudeltà di Tireo; né si celò la tua luce nella morte de’ due tebani fratelli. Adunque, poi che a Licaon, a Progne e ad Etiocle ne’ loro falli il tuo splendore concedesti, è così mirabile cosa se tu a me ne porgi? Questa non è la prima femina che muore ingiustamente, né sarà l’ultima, né a te più che un’altra cara. Dunque vieni! Deh, non dimorare più! Fuggano omai le stelle per la tua luce. Non mi fare più disiderare quello che tu naturalmente suogli a tutti donare -. Così parlava il re, ora vegghiando e ora non fermamente dormendo: e in tale maniera passò tutta quella notte. Ma poi che il giorno apparì, subito si levò, e fece chiamare i giudici, e loro comandò che sanza indugio fosse giudicata Biancifiore.