Fiore di virtù/XXVI

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Capitolo XXVI

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CAPITOLO XXVI.

Della vanagloria appropriata al paone.

Vanagloria si è contrario vizio della virtù della magnanimità; e si è di tre modi, secondo che dice Persio: lo primo si appella propiamente vanagloria, ch’è quando la persona vuole mostrare tutte le grandezze sue per volersi far lodare più che non si conviene; chè il volere essere lodato del bene oprare non è vizio, siccome pruova Fra Tommaso. E Salomone dice: Meglio è la buona nominanza che le grandi ricchezze. Il secondo si è vantazione d’alcuna cosa. Il terzo si è a volere mostrare quello che l’uomo è, e più ch’egli non ha in sè; e questo si chiama ipocrisia. E puossi assimigliare il vizio della vanagloria al paone, ch’è tutto pieno di vanagloria, che ogni suo diletto è in guardarsi le sue penne, e poi in fare la rota per [p. 77 modifica]essere veduto e magnificato. La Somma de’ vizj racconta che quando le persone hanno vinto tutti i vizj, solo rimane il vizio della vanagloria; e perciò chi ama la vanagloria è servo de’ giullari. Cato dice: Non essere vanaglorioso, se tu vuoi parere buono. Salomone dice del vizio della vanagloria: Lásciati lodare coll’altrui lingua e non colla tua. Plato dice: Frutto di vantazione si è derisione. Isidoro dice: La gallina per un uovo che ella faccia, gracida tanto che ella fa risentire le volpi. Seneca dice: Nessuno può mostrare lungo tempo in sè quello che non ha. Tullio dice: La falsa nominanza poco tempo dura. Santo Agostino dice: A dir bene, e a far male, non è altro che ingannare sè medesimo. Nella Somma de’ vizj: È la ipocrisia siccome la moneta falsa. Varro dice: Altro non è ipocrisia se non falsità. Seneca dice: Non giudicare altrui per lo detto ma per lo fatto; chè la maggior parte delle persone sono vane; ma per l’opera si seguita il pro e ’l danno. Della vanagloria si legge ne’libri de’ Santi Padri che una volta s’accompagnò uno Angiolo a forma d’uomo con un romito, e andando per la via si trovarono un cavallo morto che putiva molto forte; e il romito cominciò forte a strignersi il naso, e l’Angiolo parea che non lo curasse. E andando più innanzi si trovarono una bella donna in un giardino con molle belle robe, e con ogni modo di vanagloria. Allora l’Angiolo si cominciò a stringere il naso; e il romito guarda, e fanne beffe, e grande maraviglia. E avendo sospetto di lui, disse: dimmi, perchè tu ti strignesti [p. 78 modifica]il naso per così bella cosa, come questa donna, e non lo ti strignesti per la carogna che noi trovammo innanzi? L’Angiolo disse: Perchè pute più a Dio la vanagloria che tutte le carogne del mondo. E detto questo, subito gli sparì dinanzi: e allora conobbe il romito ch’egli era amico d’Iddio, e suo messo.