Fosca/Capitolo XXXIV

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Capitolo XXXIV

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Capitolo XXXIII Capitolo XXXV
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XXXIV.


Oltre a ciò mi era avveduto assai presto che il nostro amore non era più un segreto, e che tutto il ridicolo di una simile relazione cadeva sopra di me. Ho detto il ridicolo, giacché per tutti coloro che non conoscevano né i casi, né l’indole di Fosca, tali rapporti non potevano essere che argomento di meraviglia e di riso. È difficile che il mondo attribuisca ad una passione amorosa, altre cause ed altro scopo, tranne quelli che hanno in natura. Né è in inganno, giacché, a dispetto nostro, la stima, il cuore, il sentimento non sono che modi e pretesti per condurci al piacere. L’amore il più elevato non ha altro fine che quello che ha l’amore il più ignobile, se non che questo vuol andarvi direttamente, quello per vie illusorie ed obblique. Dare per pietà ciò che si [p. 141 modifica]dà per egoismo, è poi sacrificio sì grande e sì raro che pochi o nessuno lo può comprendere.

Fosca aveva una cameriera giovane e bella, fidanzata ad un domestico di suo cugino. Mi era sembrato un giorno che ella mi avesse visto dare un bacio alla sua padrona, nell’istante che attraversava un corridoio nel cui fondo v’era uno specchio che rifletteva l’interno del nostro gabinetto. Non era in errore. Una sera, nel discendere le scale, intesi che ella parlava di me al suo innamorato in una stanzetta attigua al pianerottolo.

Mi arrestai ad origliare.

— Non sai? le diceva ella, ora ne sono proprio certa; la signora Fosca fa all’amore col capitano.

— Possibile! Non lo crederei se vedessi.

— Mio caro, io ho veduto, e ci credo.

— Cosa li hai veduti fare?

— A darsi un bacio.

— Lei a lui?

— No, lui a lei.

— Ah! ah! è doppiamente incredibile! quella donna farebbe scappare il diavolo.

— Tutti i diavoli, è addirittura orribile!

— Vorrei poi vederla in camicia.

— Cattivo.

E in mezzo alle loro risa intesi il rumore di un bacio che si erano dati quasi per accertarsi della differenza che vi era fra i loro ed i nostri.

Mi allontanai profondamente ferito nella mia vanità, triste, mortificato.

Ma ciò non era il peggior male; tutte le persone che frequentavano la casa del colonnello se n’erano avvedute; nessuno osava parlarmene, ma il loro contegno me ne assicurava. Più volte a tavola aveva sorpreso alcuni sorrisi e alcuni sguardi di intelligenza che mi avevano [p. 142 modifica]trafitto il cuore. Si rideva di me quasi apertamente, si parlava di quell’amore come di una aberrazione mostruosa. La sola persona che non avesse penetrato questo mistero, era suo cugino.