Vai al contenuto

Francesco d'Assisi e il suo secolo/Parte Seconda. Periodo religioso o di preparamento/Capitolo quarto - Francesco d'Assisi al cospetto del secolo

Da Wikisource.
Parte Seconda. Periodo religioso o di preparamento - Capitolo quarto - Francesco d'Assisi al cospetto del secolo

../Capitolo terzo - Francesco d'Assisi ../../Parte Terza. Periodo di civiltà IncludiIntestazione 30 marzo 2025 75% Da definire

Parte Seconda. Periodo religioso o di preparamento - Capitolo terzo - Francesco d'Assisi Parte Terza. Periodo di civiltà
[p. 74 modifica]

CAPITOLO QUARTO

Francesco d'Assisi al cospetto del secolo




SOMMARIO


Stato lacrimevole della Chiesa nel secolo XII. Aiuti che le apprestarono Francesco d'Assisi e Domenico di Guzman ― Nuove istituzioni religiose di Francesco — Chiara Scifi, patrizia d'Assisi: ricchezze di sua famiglia. Stuolo di giovani cavalieri che aspirano alla sua mano — Chiara, forte della parola di Cristo, e delle ispirazioni del suo maestro Francesco, volge le spalle al mondo, abbraccia la regola di povertà, e s'inflamma nella sapienza della Croce — Istituzione del Secondo Ordine o delle povere Clarisse — Prime seguaci di Chiara, e rapida diffusione del Secondo Ordine in Europa — Il Terz'ordine, istituzione eminentemente sociale e religiosa di Francesco d'Assisi — Suo apostolato morale e civile in Italia — Primo e Secondo Capitolo Generale — Magnifica confessione fatta da Domenico a Francesco — Amori de' primi frati alla povertà, ed Inno ad essa. Loro carità ed amore evangelico all'umanità — Francesco s'accompagna alla V. Crociata e sparge la fede e la civiltà in Oriente — Suo ritorno in Italia, e sua missione civile. Una maravigliosa visione, simbolo d'una nuova civiltà — Il mistero delle sante Stimmate — Affetti e Religione, conceito supremo ed ispirazione de' suoi canti poetici — Amore di Francesco alle creature e alle ineffabili bellezze di Natura Suoi miracoli — La mansuetudine e l'umiltà di Francesco abbassa le ferezze del Medio-Evo — Sue aspirazioni — La notte di Natale celebrata nel bosco di Grecio — Sue infermità — Suo nuovo e più caldo fervore ad evangelizzare i popoli — Sue [p. 75 modifica]lacrime penitenti — Gli Angeli lo consolano nelle sue ore estreme colle ideali armonie della musica Sua volontà di venir, dopo morto, sepellito nudo e in luogo abiettissimo, ove giustiziavansi i delinquenti. Idea altamente religiosa e civile, racchiusa in questa sua volontà — Sua morte, soggetto di maraviglioso idillio cristiano - Altro provvidenziale evento — Bolla di Canonizzazione di Francesco d'Assisi.


L'apparire d'un nuovo Ordine religioso nella Chiesa, fu sempre la rivelazione d'un nuovo bisogno sociale. A quale si provvedesse colla istituzione di quello de' Francescani e de' Domenicani, è chiaro per le istorie. Nel duodecimo secolo la condizione della Fede Cristiana era veramente lacrimevole: pareva (dice il venerabile Beda) che, se fosse stato possibile, Gesù Cristo medesimo, suo fondatore e capo, l'avesse abbandonata al furore de' suoi più tremendi avversarii, e che l'inferno fosse stato vicino a prevalere contro di lei. L'eresia e la guerra uccidevano anime e corpi; perchè l'eresia si faceva strada col ferro, la forza imponeva le perverse dottrine ai vacillanti e ai caduti. La scienza e la carità potevano riparare tanti mali; questa ridestando l'amore nei petti irati, quella rischiarando le menti ottenebrate. Ed a queste due grandi missioni la Provvidenza suscitava Domenico d'Ispagna, e Francesco d'Italia. La venuta di questo, che con la povertà e l' amore doveva risanar tante piaghe e riparar tanti mali della Chiesa dell'umanità, fu mostrata maravigliosamente al Pontefice Innocenzo III.

Adunque il nuovo Ordine religioso, che rispondendo altamente alle mire della Provvidenza, diffondeva una morale incivilitrice, non pure in Italia, ma in tutta Europa, s'andava ogni dì più allargando e consolidandosi. Nè solo ad uomini ed a celibi ei dava libero adito, ma a donne ancora; e, come fra poco vedremo ad ogni generazion di persone. Tanto è vero che la divina parola diffusa tra le masse nella schiettezza del suo vero, è seme fecondo di sublimi conforti, è aureola di celeste bellezza; la quale staccando l'anima umana dagl'interessi terreni, tutta la rivolge a serene contemplazioni, e ad intemerate e provvide opere.

Una giovinetta d'Assisi, per nome Chiara Scifi, nobile di [p. 76 modifica]legnaggio e di virtù, si mostrò allora, al dire di s. Bonaventura, per la prima e più bella pianta di questa mistica vigna; per il fiore più odoroso e più candido del giardino dello sposo celeste; per la stella più rutilante nell'aurora del Francescano Istituto, che col raggio modesto della virtù rischiarasse la notte del secolo XIII. Bella di forme, di mente e di cuore, aveva della donna il sentimento e l'affetto, dell'angelo la melodia e la virtù. Doti cosiffatte la rendevano adorata da schiera infinita di giovani cavalieri, i quali seguivania nelle feste, nelle danze, ne' popolari convegni. Ed offrendole or l'uno ora l'altro di essi la sua mano, era lieto ed avventuroso deporre ai piedi della giovinetta fasti e ricchezze, e congiunger la sua alla di lei sorte. Ma Chiara aspirando ad una vita più limpida e serena, rifiuta, ad onta delle ire e bestiali fierezze de' mondani parenti, agi, onori e sposo, e tutto soffre (bella vittima di carità e d'amore!) ad esempio del santo suo maestro Francesco, ch'ella aveva dapprima preso ad imitar segretamente in suo cuore, e quindi, cresciuta ne' fervori della fede, in modo palese e al cospetto delle genti, per gli uomini e per Dio! Laonde è dolce e commovente cosa pensare, questa cara creatura, sul fiorire degli anni e della beltà, in Santa Maria degli Angeli, genuflessa a' piedi di Francesco, implorare da così dolce padre e maestro l'ammissione nel suo santo Istituto. Il quale, posciaché le ebbe con le proprie mani recisi i capelli, le diede, in luogo di abiti sfoggiati, un ruvido sacco; per le cinture stellate di gemme, un'umile corda; e in luogo di eleganti calzari, spregevoli sandali; e rinunziati gli agi della casa paterna, abbracciare con lui la povertà della croce!

Tale fa il cominciamento di quello che fu detto Secondo Ordine, o delle Povere Clarisse, che tanto si diffuse a lustro e decoro della Chiesa di Gesù Cristo. Così splendido esempio di Chiara valse gran fatto nella società di que' tempi. Infatti là ripararono ben presto molte e molte anime, o a cercarvi uno schermo dalle ingiustizie degli uomini, o a presidiare la loro innocenza dai pericoli d'un mondo ingannevole, per ivi abbruciare sull'altare del sacrificio il grato incenso della meditazione e della preghiera, in [p. 77 modifica]olocausto a quello sposo che mai non abbandona. E là ripararono tra le altre, Agnese e Beatrice sue sorelle, con Ortolana sua madre. Alla quale, in veggendo tanta virtù della buona figliuola, e tante meraviglie che in essa operava il Signore, dovette parer manifesta la verità di quanto le fu predetto fin d'allora che n'era incinta; che avrebbe, cioè, felicemente data alla luce una fiaccola che avrebbe ralluminato il mondo.

L'amore alla povertà e alle annegazioni avanzava in que' deboli petti con sempre più crescente ardore; sicchè lo stuolo di quelle vergini prudenti, che consumate da vivo desiderio di povertà evangelica, rinunziavano ai beni del mondo per seguitar più d'appresso, nell'ubbidienza di Chiara, l'orme del loro celeste sposo e maestro, cresceva ogni di più; e già il nascente Istituto si diffondeva per tutto il mondo. Agnese, la santa sorella di Chiara, era stata mandata a fondarlo in Firenze nel luogo di Monticelli. Agnese di Boemia, rifiutate le nozze dell'imperator dei Romani e del re d'Inghilterra, si chiude in quel povero abito.

La beata Isabella di Francia, sorella di s. Luigi, corre la medesima via; e dietro loro moltissime altre, insino a noi. Le quali, e allora e nel successo de' tempi, dovettero ben comprendere quanto fossero profetiche le parole che a Chiara e alle sue figliuole disse Papa Innocenzo IV nell'autenticare la loro Regola di perpetua povertà: «Colui che nutre gli augelli, che ha rivestita la terra di verzura e di fiori, saprà ben egli nutrirvi ínsino a quel giorno che darà a voi sè medesimo in cibo eternale, quando con la destra vittoriosa vi abbraccerà nella sua gloria e nella sua beatitudine».

Affine di penetrar vie più nella società, compierne i suoi destini nell'avviamento della civiltà, e dare eziandio lustro e decoro alla Chiesa di Cristo, Francesco istituiva il Terz'Ordine, che ammettendo clerici e laici, coniugati e no d'ambo i sessi, offre a tutti per una santa comunione di preghiere e di buone opere, secondo la legge evangelica d'amore e carità, facile modo d'avanzarsi nella virtù, anche tra le cure e i doveri della vita civile e della domestica (*).[1] [p. 78 modifica]Anche con ciò Francesco prendeva di mira un male allora cominciato, la guerra, che certi comunisti di que' tempi moveano satannicamente contro la società, ed in ispecie contro la famiglia; e vi riparava col fare in questa penetrar la sua Regola, cioè riformarla non col totale rimpasto, ma col renderla morale e pieghevole a virtù, imponendo il modesto e concorde vivere, l'evitare i litigi, non dar giuramento che leghi ad un uomo o ad una fazione, non portare armi se non per difendere la Chiesa e la Patria.

Il maraviglioso propagarsi dell'Ordine Francescano segna un'èra importante nella storia del Medio evo, quando gl'istituti religiosi erano, allora più che mai, come il cardine della civile società, e i santi lor fondatori i veri eroi del popolo e la meraviglia del secolo.

Il tredicesimo giorno di maggio del 1216, festa della Pentecoste, il sole elevandosi sull'Appennino illuminò co' suoi raggi l'umile santuario di Santa Maria degli Angeli, dov'erano riuniti in Capitolo Generale i primi Frati Minori. Ciascuno espose quanto avea fatto, le fatiche, le pene accordategli dal Signore. Francesco vi nominò per la prima volta alcuni ministri provinciali, e dettò una sublime istruzione a tutti i suoi figli secondo i gradi che occupavano nella gerarchia ecclesiastica. Accomiatolli quindi con questa esortazione, parole che spirano fragranza soavemente evangelica: «In nome del Signore camminate a due a due modestamente e con umiltà, osservando silenzio dal mattino sino dopo terza, e pregando Dio nel cuor vostro. Parola oziosa non sia profferita tra voi. I vostri diportamenti in viaggio sieno contegnosi ed umili, come se foste nella cella; chè in qualunque parte siamo, sempre rechiamo con noi la nostra cella, che è il corpo; e l'anima n'è l'eremita, intenta a contemplar Dio e pregarlo. Se un'anima religiosa non istà in riposo nella celletta del corpo, le celle esterne non le riusciranno di verun giovamento. Comportatevi in mezzo al mondo di tal sorta, che chiunque vi veda o senta sia compreso da divozione e lodi il Padre celeste a cui spetta ogni gloria. Annunziate a [p. 79 modifica]tutti la pace; e la pace sia nel vostro cuore più ancora che sulle labbra. Non siate motivo ad alcuno di collera o scandalo: al contrario colla vostra dolcezza inducete ed avviate tutti alla benignità, alla unione, alla concordia. Noi siam chiamati a guidare i traviati all'ovile: molti sembrare vi possono membri del demonio, che saranno un giorno discepoli di Cristo». Benedisse quindi i suoi figli, i quali, come gli Apostoli all'uscire dal cenacolo, si dispersero tosto nel mondo intero.

Francesco spese l'anno 1218 a visitare l'Italia centrale, e nel maggio seguente i Minoriti arrivarono in folla al secondo Capitolo Generale, e toccarono a cinquemila, scelti da un numero maggiore rimaso a' propri conventi. Santa Maria degli Angioli non bastò a capirli: vennero rizzate capanne di giunchi nel piano; e quell'esercito di Cristo prese quartiere intorno al suo Duce. Il Cardinale Ugolino, che presiedette il Capitolo, piangendo di gioia a quello spettacolo sì nuovo e strano, sclamò: Questo è il campo e l'esercito de' Cavalieri di Dio! Turbe immense di gente scendevano nel piano da Perugia, da Spoleto, da Fuligno, da Spello, da Assisi a vedere così nuova e sublime scena: e comechè grande era la povertà di quella santa Congregazione, così portarono loro dalle predette terre in abbondanza da mangiare e da bere. Ed accesi di fede beato si reputava chi più cose potesse portare, o più sollecitamente servire; intantochè eziandio i Cavalieri e i Baroni, e altri gentiluomini, che venivano a vedere, con grande umiltà e divozione servirono loro innanzi. Quivi presente era Domenico di Guzman, venuto ad ispirarsi nella nuova Regola; il quale restò maravigliato in vedere come la divina Provvidenza si adoperasse in que' santi poverelli. E rimasto edificato della fede di Francesco, e della obbedienza e della povertà di sì grande e ordinata famiglia, e della provvidenza divina, e della copiosa abbondanza d'ogni bene, mosse d'innanzi al sommo Patriarca e inginocchiatoglisi a' piedi umile e riverente gli disse: — Veramente Iddio ha cura speziale di questi santi poverelli, e io non lo sapea: e io da ora innanzi prometto d'osservare l'evangelica povertà santa; e maledico [p. 80 modifica]dalla parte di Dio tutti i frati dell'Ordine mio, i quali nel detto Ordine presumeranno d'avere del proprio[2]».

Accese di sacro entusiasmo le popolazioni da cosiffatto provvidenziale evento, in quel Capitolo medesimo più di cinquecento si gittarono a' piedi di Francesco a dimandargli il suo povero abito. Tanto in una generazione cupida e ambiziosa era potente l'esempio di quell'uomo singolare venuto a richiamare gli spiriti alla semplicità del credere per mezzo della povertà, che ella non parve più un dolore, una sciagura, ma avventurose beneficio di Lui, che primo scegliendola per pietra angolare dell'edificio del Cristianesimo, avea detto: a Beati i poveri, dei quali è il regno di Dio».

In quel Capitolo stabilite le cose di maggior rilievo al reggimento dell'Ordine, Francesco assegnò a ciascun frate la missione da compiere; e altri mandò nella Grecia, altri nell'Africa, nelle Spagne e nelle Gallie, serbata a sé, tosto che le immense sue cure della riforma del mondo morale il concedessero, la più difficile e pericolosa, della Siria e dell'Egitto: disegnando di predicar Cristo e la sua dottrina nella superba presenza del Sultano.
Ben presto adunque Francesco passò di terra in terra così venerato, che si sonavano le campane e uscivasi a incontrarlo con rami e fiori. Quattr'anni dopo approvato il nuovo Istituto, il Padre Serafico (così lo chiamarono) radunava cinque mila frati, come or ora vedemmo, dalla sola Italia. E dicevano: «Noi siamo poveri, e valutiamo il denaro nulla meglio che polvere; pure non condanniamo nè sprezziamo quei che vivono dilicati e sfoggiano in abiti. Nostro compito è soffrire con umiltà e pazienza. Chi viene a noi dee dare ogni fatto suo ai poveri; chi sa un mestiere deve esercitarlo per guadagnarsi il vitto; chi no, vada alla busca, ma non di danaro, che l'Ordine non dee possedere altro che il mero necessario».

E contenti della loro povertà, come i re della loro potenza, ripeteano a questa sublime virtù evangelica bellissimo inno di [p. 81 modifica]amore, quando in loro aspirazione e quando in quella rozza lor lingua. Ed esclamavano:

«Non pose Iddio l'uomo in prima tra spere e lumiere, ma sotto gli alberi e il ciel sereno.

«Era di zolle il primo altare; e l'ornavano la primavera, l'aurora e le visioni dell'alto. «Per noi la natura ha fatto le sue maraviglie, per noi l'arte le sue; non pel ricco che n'ha le noie senza i piaceri.

«Un raggio di sole attraverso a un bicchier d'acqua è più bello che attraverso un bicchiero di raro e squisito liquore.

«Goda pure il ricco le sue gioie e la sua fortuna, che noi siam lieti della nostra povertà e del nostro dolore, poichè le gioie del mondo e le dovizie insurperbiscono l'uomo, lo dissipano e lo fiaccano. Il dolore e la sventura rendono l'uomo umile e amabile altrui.

«Le dovizie ci rendono fragili e c'incatenano al mondo; la povertà e la sventura fecondano lo spirito, lo raccolgono e lo rinforzano, e a Dio lo conducono [3].

In viaggio non portavano che il puro abito, e nè tampoco il bastone; ed esercitavano, ovunque si presentassero, tutte le virtù evangeliche; ed in ognuna delle operazioni della loro vita, aveano a solo e supremo modello la Croce. Conciossiachè essi contemplando la Croce, imparavano ad amar Dio, e cominciavano nel tempo stesso ad amar l'uomo, l'uomo crocefisso, ignudo, e sofferente; epperò sentivansi attrarre verso i lebbrosi, verso i poveri e verso tutti coloro che il mondo caccia da sè, ed abbraccia la carità. Gli spiriti mondani e carnali, urtati nella loro coscienza, li dissero per dispetto, ipocriti; ma essi, come tutti i [p. 82 modifica]forti, sprezzavano lor contumelie, e seguivano alacri e con sacro entusiasmo la lor sublime missione, consolando ne' dolori tutti i fratelli. E quando veniva una peste, que' frati ipocriti morivano a migliaia a piè del garbato de'sofferenti, colla rassegnata lor morte consolando ancora, quando più non aveano forza di mostrar l'effigie di Colui che morì per noi. Il vulgo dividea con essi volentieri il pane, perchè ne ricevea largo ricambio di pane dello spirito; e le astinenze e le abnegazioni di loro toccavano gli uomini che nel sacrificio riconoscevano l'amore, e nell'amore la virtù.

Ma alla santità della vita e alla sua operosa carità univa Francesco l'elevatezza dell'anima e la nobiltà della coscienza. E ben s'avvisò chi denominollo nobilissimo cavaliere; poichè da prima giovinetto ebbe in animo di conquistare il suo principato per punta di lancia, facendosi seguace di Gualtieri da Brienna, che andava a liberare il bel reame di Sicilia dalla tirannia e dallo scempio governo di Federico II; ed allora fece un sogno misterioso. Gli pareva d'essere in un magnifico palazzo: le sale eran piene d'armi e di nobili arnesi, e pendevano dalle mura lucentissimi scudi. Questo castello e queste armi, di chi sono? gli parea di domandare; ed essergli risposto: Tuo e de' tuoi cavalieri. Non è da pensare che il servo di Dio dimenticasse per l'avvenire questo sogno, ch'e' prese allora per una illusione dello spirito maligno: ma vide più tardi essere un avvertimento del cielo; e si pensò interpretarlo ordinando quella vita religiosa de' Frati Minori, che per lui era un'altra cavalleria errante istituita anch'essa per raddrizzare i torti e per difendere i deboli.

Nel 1217 Andrea re d'Ungheria bandì la V. Crociata; e l'anima di Francesco, ardendo d'amore e di fede; e vagheggiando, per imitar sempre più il suo divino modello, il santo martirio, da generoso Campione della fede ubbidir doveva alla tromba delle Crociate; e nel 1220 passò il mare, aggiungendosi alla gente cristiana sotto Damiata. Ma più prode e più ardito di que' cavalieri coperti di ferro, andò fino [p. 83 modifica]nella superba presenza del Soldano d'Egitto, e quivi predicò con animo sereno ed altero Cristo e gli Apostoli, e sfidò i sacerdoti di Maometto alla prova del fuoco. E 'l feroce Soldano raumiliato e convinto dalle divine verità del Vangelo, disse al santo Italiano: Frate Francesco, io volentieri mi convertirei alla fede di Cristo, ma io temo di farlo ora; imperocchè se costoro il sentissero, eglino ucciderebbero te e me con tutti i tuoi compagni[4]». Ma aimè come la vana osservanza de' rispetti umani, e la cieca e crudel brama di dominare indusse in ogni tempo negli animi de' potenti della terra viltà ed ambizione spinte a segno da rinnegare le più alte verità, e dare una mentita anche alla propria coscienza! Purchè l'errore avesse maggior preponderanza nella bilancia politica, essi lo legittimavano e lo elevavano a base fondamentale del loro Imperio. Infatti il Soldano sente la verità della divina fede, ma per principio politico, e per non affrontare la falsa opinione dominante de' suoi popolí non rinunzia alla fallace credenza in Maometto, e non abbraccia la verace e salutare Cristiana.
. . . Ah! ed a che mai non menano le convinzioni politiche? Francesco intanto anzichè perder lena e quasi disanimarsi trasse invece dalle stesse avversità nuovo vigore, attraversò coraggioso deserti e borgate, città e villaggi, salì con sempre crescente ardore nuovi monti, e valicò nuovi mari, e sparse da per ogni dove i semi della luce, della carità fraterna e della civiltà. All'ultimo, avuto riverente commiato dagli infedeli, lasciò ne' luoghi santi un convento de' suoi discepoli, che vi durarono sotto nome de' Padri di terra santa, e vi durano tuttora a guardia del santo Sepolcro e della spada di Goffredo. Ciò premesso niuno si maraviglierà come i biografisti di S. Francesco gli attribuiscano ogni titolo di gloria militare, e come S. Bonaventura, in sul finir di narrare la vita e le battaglie del suo maestro, esclami con gioia e intemerato ardire: «Su dunque, o prode cavaliere di Cristo, impugna le armi di quell'invitto duce che [p. 84 modifica]volgerà in fuga i nemici. Leva su la bandiera di quell'altissimo re: vederla e rinfiammarsi di coraggio tutti i combattitori dell'esercito divino sarà un punto solo. È già compiuta la profetica visione, secondo la quale, tu, capitano di Cristo, dèi vestirti una celeste armatura[5]».
Ma avendo in Oriente trovata la gente acerba a conversione, ritornò nella terra italiana, siccome matura a messe di vita. Quivi guidato dallo spirito del Signore, e caldo di quella carità cittadina e cristiana, che ove si appiglia a un petto della tempra di quel di Francesco, è cosa tutta di Dio, si diè a percorrere di città in città, di villa in villa, la bella e infelice penisola, contaminata d'ire fratricide, di stemperate cupidigie, d'oppressioni, di fellonie. E la parola dell'inviato di Dio era la parola dell'amore, la parola che prometteva i beni, che annunziava la pace, che profetava sereno avvenire. E al suono di quella parola l'ire cadevano, s'obliavano le vecchie offese, si dissipavano i cupi livori; e quelli che fino allora si erano disconosciuti uomini, si abbracciavano fratelli.
Ecco dunque spiegarsi quanto avea visto la fede d'un di quei primi suoi seguaci, fra Silvestro,«il quale avea veduto una Croce d'oro procedere dalla bocca di S. Francesco, la quale era lunga infino al cielo, e larga înfino alle estremità del mondo[6]». E questa visione del sacro legno che usciva dalla bocca del Santo d'Assisi, e si elevava fino al cielo, e colle braccia toccava l'uno e l'altro polo, era segnacolo supremo di futura maravigliosa luce.
Conciossiacchè essendo l'oro il metallo più puro, più splendente più solido, la croce d'oro simboleggiava la purità, la luce e la forza della nuova civiltà che venir dovea nel mondo in virtù della feconda parola del Vangelio, della carità e della povertà della Croce, e della redenzione copiosa delle opere, portate [p. 85 modifica]frammezzo le generazioni dall'Apostolato del sublime Povero d'Assisi.

I segni e i prodigi, con che Iddio a salute degli uomini remunerava le fatiche dell'Apostolo della carità, erano grandi, e a pena credibili alla superba civiltà d'un secolo che non ha né la fede nè l'amore de' ferventi cristiani d'allora. Francesco amava e credeva: e però in lui si adempiva la promessa di Gesù Cristo: «Chi crede in me, farà le opere che fo io.» E Francesco credeva fervorosamente, amorosamente, e Iddio gli diè manifestazioni solenni di ricambio d'amore. E a chi non è noto il mistero delle Sante Stimmate, compiuto nell'eremo di Alvernia?... — Già la Chiesiuola e il convento erano sorti sulla rupe: correa l'anno 1224, ed era presso la festa dell'Arcangelo Michele, quando un giorno, verso nona, ebbe Francesco la stupenda visione nota a tutto il mondo cattolico, la quale noi, a maggior pregio del lavoro, descriveremo colle parole di S. Bonaventura, per non profanare la santità del mistero con parole men pie: — «Francesco, servo e ministro veramente fedele di Gesù Cristo, orando sull'Alvernia col fervore serafico de'suoi desideri, e trasformandosi co' modi di una tenera ed affettuosa compassione in Colui che per l'eccesso della sua carità ha voluto essere Crocifisso per noi, vide un Serafino avente ali folgoranti ed infiammate, che dal cielo scendeva verso di lui. Quel Serafino venne con rapidissimo volo in un punto dell'aere prossimo a Francesco; e allora comparve tra le sue ale una figura d'uomo, il quale aveva le mani e i piedi distesi e infissi ad una croce: due ale si elevavano sulla di lui testa, due erano stese per volare, due velavano l'intero corpo. Ciò vedendo Francesco fu straordinariamente sorpreso; gioia commista a tristezza e dolore si difuse nella sua anima. La presenza di Gesù Cristo che, a lui si mostrava sotto la figura di un Serafino in modo tanto maraviglioso e familiare, gli cagionava un eccesso di piacere; ma al doloroso spettacolo della crocefissione l'anima sua era trafitta dal dolore come da una spada. Stupiva che la infermità dei patimenti comparisse sotto la forma d'un Serafino, ben sapendo che [p. 86 modifica]cotesta infermità non s'accorda collo stato d'immortalità di lui, nè poteva comprendere una tale visione; allorchè Dio rivelogli internamente, e come ad amico, ch'ella era stata appresentata agli occhi di lui onde fargli compreso non essere col martirio della carne, ma per mezzo dell'incendio amoroso dell'anima ch'ei doveva trasformarsi in perfetta similitudine con Gesù crocefisso. La visione nello sparire lasciogli nell'anima un serafico ardore, e gli segnò il corpo di un'effigie simile a quella del Crocefisso, come se la sua carne, a modo di cera ammollita, avesse ricevuta l'impronta di un suggello; giacchè tosto le cicatrici dei chiodi cominciarono a comparirgli sulle mani e sui piedi, quali aveale viste nell'apparsagli imagine: aveva inoltre al destro lato una piaga rosseggiante come se fosse stato trafitto da una lancia; e spesso ne scaturiva sangue».― E questo fu, giusta la frase del Santo Dottore e dell'Alighieri, l'ultimo sigillo che Francesco prese da Cristo, e che le sue benedette carni portarono per due anni. Durante i quali suoi ultimi due anni quelle piaghe furon viste e tocche da molti, dopo la sua morte intere popolazioni le mirarono e le baciarono.

Questo miracolo stupendo gli fu forse concesso dal cielo per la meditazione intensa, e per l'amore ardente a Gesù morto in croce per l'umana salute? . . No. Nell'altissimo mistero sono adombrate le mire della Provvidenza; la quale fregiando le membra di quell'Apostolo eccelso in ogni virtù evangelica col suggello del martirio medesimo del Figliuolo di Dio, attestava al cospetto del mondo il compiacimento del Padre de' cieli in avere eletto e destinato lui povero e mansueto per la nuova rigenerazione dell'umanità!

Per questo miracolo nacquero dai fervori della sua anima quegl'inni d'amore che continuarono pel breve resto della vita del Santo: altissimi e stupendi cantici in lode di quell'amore che lo aveva trafitto, e che tuttavia consumandolo, il faceva esclamare: [p. 87 modifica]le passate opere di sangue. E così potea Francesco nominarsi (usando la frase d'un moderno scrittore francese) l'Orfeo del Medio evo, che domava la ferocia degli animali e la durezza degli uomini: e non è meraviglia che la sua voce abbia commosso i lupi dell'Appennino, se fe' posar l'armi alla vendetta Italiana, che non perdonò giammai!

Talvolta per dare più libero sfogo all'anima innamorata, esce all'aperto della campagna, e invita le messi, le vigne, gli alberi, i fiori del campo e le stelle del firmamento a benedir seco il Signore; e all'inno incessante che gli manda il creato accompagna il cantico del Sole (*)[7], da lui composto in uno slancio d'affetto divino; quel cantico maraviglioso, che, cantato sulla piazza d'Assisi, fu suggello di pace tra il Vescovo e i magistrati fra i quali ardeva occulto e fatale odio.

Solea Francesco dire, che, se l'avesse potuto, avrebbe comandato a tutti i podestà delle varie città e borgate di fare spargere nel giorno di Natale del grano nei campi e nelle vie, onde i poveri ucelletti assiderati e affamati avessero causa di gioire quel giorno; e che, in rimembranza dell'esser nato Gesù fra un bove e un asinello, coloro che simili ospiti avessero nelle stalle venissero obbligati a nutrirli in sì lieto giorno con fleno e biada in abbondanza. Di fatto pria di morire volle dare a cotesti animali un gran festino. Ciò ebbe luogo a Grecio nel giorno di Natale; e fu il vero trionfo della semplicità. Una stalļa era stata preparata in mezzo ad un bosco: eravi del fieno, un bue, un giumento, ed il presepio stesso serviva d'altare pel Sagrifizio. I Frati Minori di un gran numero di vicini conventi, seguiti da gran turba di popolo, portando torchi accesi e cantando inni, discendevano dalle montagne. Francesco, ricolmo di santa allegrezza, fe' da diacono alla Messa, e cantò solennemente il Vangelo. Predicò al popolo la natività del Signore con tenerezza ed allegrezza senza pari.

Le infermità intanto a causa de' digiuni e delle vigilie, lo vin[p. 88 modifica]cevano e lo soverchiavano; ed egli riarso dalla febbre e rassegnato alle tante pene, volgeva la mente dal letto de' dolori al suo Padre Celeste. E pregavalo nelle ardenti aspirazioni dell' anima perchè gli mandasse raggio di consolazione. E il divin Padre lo consolava di amorose visioni, e gli mandava i suoi angioli in una zona di luce, bella dei colori dell'iride; i quali co' suoni indefiniti ed ideali delle arpe aleggiavano intorno al suo spirito in sull'alba del mattino, e gli faceano pregustare la pace ineffabile del Paradiso.

Pure riarso com'era dalla febbre, ed affralito e martoriato il suo corpo da feroci dolori e da piaghe profonde, lo spirito era sempre pronto e fervoroso, e pigliava vie più nuovo vigore a combattere e trionfare dell'inimico. E non potendo camminare per le crudeli infermità, che consumato ed abbattuto aveano il suo gracile corpo, faceasi portare attorno per le città e pe' castelli dell'Umbria a erudire le genti nella scuola della prova, mostrando di che sia capace un'anima che ami veramente Iddio e i fratelli.

Così in ragione che le infermità del corpo lo affralivano, si andava purificando il suo spirito, accostandosi sempre più da vicino al divino modello che s'avea tolto a imitare. Allora più che mai severi i digiuni, prolungate le orazioni, più accesi i sospiri, più copiose le lacrime, il desiderio della cara sua povertà più intenso, più aperta la guerra alle blandizie della carne e alle superbie della vita (*)[8].

Sentendo intanto approssimarsi il giorno in cui, secondo la frase di s. Bonaventura, si dovea ripiegare il padiglione del suo corpo, il suo volto divenne raggiante, e prese a cantare le lodi di sua sorella la morte; e chiese d'essere portato a santa Maria degli Angioli, desideroso di rendere lo spirito della vita dove avea ricevuto lo spirito della grazia. Quando fu nella pianura, volgetemi, disse, dal lato della città; e, sollevatosi alquanto, pronunziò le seguenti solenni parole: — Sii benedetta dal Signore, città [p. 89 modifica]fedele a Dio, giacchè molte anime saranno salvate in te e per te: un gran numero di servi dell' Altissimo dimorerà nel recinto delle tue mura, e molti dei tuoi cittadini saranno eletti per la vita eterna.

Ma essendo egli tanto affralito nella mente e nelle corporali forze per le lunghe infermità prodottegli dalle austere penitenze, e sciolto da tutti i conforti di qua giù, anelava il suo spirito delle consolazioni più pure e celestiali. Ed amante com' egli era della musica, l'arte ideale per eccellenza, nelle cui melodie l'anima del Beato di continuo vivea, ebbe desiderio di esser consolato dall'armonia di quell'arte. «E gli angioli (e questo lo narra s. Bonaventura), acciocchè il moriente non fosse privo di tal sollievo, vennero essi a contentare il suo desiderio; e la notte di poi, mentre era desto e meditava, udì a un tratto suonare un liųto di maravigliosa armonia, e di melodia soavissima. Lì non v'era nessuno: ed a' passaggi di quel suono, che ora parea più lontano, ora più vicino, si sarebbe detto che il sonatore andava in su e in giù sotto le finestre. Il Santo assorto in Dio fu così tocco dalla soavità di tal suono, che si pensò un tratto di essere andato a vita migliore [9]». E già quella rugiada del cielo che scendea sul suo cuore per le vie ideali dell'arte, era come un preludio della vita immortale degli angeli; nella quale dopo brevi istanti entrò vittoriosamente e raggiante di spirituale candore, come vittoriosa fu tutta la sua vita di annegazioni, di fervente amore, d'una guerra e d'una virtù senza esempio.

Morendo volle esser deposto sulla nuda terra, e pregò fra Leone e frate Angelo che gli cantassero quel suo bell'inno del fratello Sole, che termina con una sublime e affettuosa apostrofe alla sorella Morte. Trapassò di 44 anni il 4 ottobre 1226, in una di quelle sere d'autunno tranquille, serene, profumate, così frequenti nella nostra Italia. E qui a maggior pregio dell'opera narreremo la morte del Beato d'Assisi, offrendo essa il soggetto sì nel pensiero che nella forma d'un commovente ed amoroso idillio cristiano, sia cantato o dipinto. [p. 90 modifica]Ei moriente è preso da infocato ardore di essere trasportato alla sacra Porziuncola, luogo si diletto al suo cuore. Quivi benedice i suoi figli, si fa stendere sulla nuda terra, e nudo e trafitto come il suo Divino Modello, rende l'anima a Dio tutto sfavillante di sarafico amore!

E innanzi di chiudere gli occhi nel sonno eterno del Signore, ordinò che il suo corpo venisse nudo sepolto, e senza alcuna pompa funebre, in isprezzevole luogo, detto l'Inferno, in quello cioè dove facevasi giustizia de' delinquenti: e ciò, come affermano i maggiori suoi biografi, per assomigliarsi a Cristo che morì e fu sepolto in simil luogo nel Monte Calvario. Ma nou fu soltanto la povertà e l'umiltà che gli suggeri l'idea di farsi seppellire nudo e in luogo sprezzevole, che dominò nella mente di Francesco. Da un lato il santo poverello dolorava pel vivere sfarzoso e lussureggiante del clericato, che dev'essere, giusta la mente evangelica, la luce de' popoli e della Chiesa; e volle dare quasi controcolpo a tanto scandalo, l'estrema prova di avversione alle blandizie della misera carne. Dall'altro sentiva egli nella sua grand'anima tutta la rigidezza delle leggi di que' tempi, ed inorridiva al pensiero che l'uomo, miracolo supremo della creazione, redento dal battesimo e dalla nuova legge di carità e d'amore, finisse sovente per cieco arbitrio sotto il coltello del carnefice. Morendo volle quivi esser sepolto, per non rendere più odioso quell'infausto luogo, e destare un forte senso di pietà per que' miseri uccisi. Venne così a dare una muta lezione, in nome della carità e dell'umanità, ai potenti della terra; i quali, quasi trastullo, donavano sovente al popolo impauríto, la festa dal sacrificio umano.

Questo sublime fatto con cui chiuse la santissima vita il nuovo e maraviglioso restauratore degli antichi danni, è la più alta espressione della carità e dell'amore che intese egli profondo per l'umanità...

Adunque la dimane che successe al suo beato passaggio accorse a santa Maria degli Angioli gran turba di popolo, disceso dalle circostanti terre, e specialmente da Assisi, e il Clero e la [p. 91 modifica]tratura della città benedetta. E tutti recavano in mano chi ceri e doppieri, chi rami di lauro e di olivo, chi fasci e ghirlande di fiori. In poco d'ora fu tutto pronto per trasportare la sua saļma nel luogo, dove si dovea tumulare: ma anzichè rendere imagine di funebre corteo, quella processione teneva dell'ovazione e insieme del trionfo. Al tacersi delle pietose invenie e degl'inni festivi, squillavano le clarine e le trombe e i varii musicali strumenti, a cui rispondeva lietamente l'eco delle cento colline che chiudono intorno quella ridente e serena valle. In luogo intanto di prendere la via più diretta e più breve, la sacra processione si diresse al monastero di s. Damiano, per dare alle inclite figlie di Chiara la consolazione di contemplare e venerar davvicino quel sacro corpo insignito di celesti margarite[10].

Chiara era malata, ma al solenne annunzio, la sua anima infuse, come nuovo vigore alle sue gracili membra; e levatasi da letto discese nella chiesa seguíta da quella omile schiera di pietose Vergini, per contemplare ancora un'altra volta e venerare il glorioso estinto. E baciavan tutte devotamente ed in silenzio le sacre sue stimate, e le innondavano di amorosissime lacrime. Ma Chiara più particolarmente dolorava nel cuor suo, e dava nel tempo istesso fortissimo esempio d'un'eroica rassegnazione. E in uno slancio di amore verso il santo suo maestro, e glorioso, Campione di Dio ideò sottrarre dal sacro corpo qualche preziosa particella, che la consolasse della sua morte, e prestasse perpetuo alimento alla sua devozione. E avanti ogni altra cosa pensò trarre dalle stimate delle mani un chiodo che ne sporgea; ma fu vano, che per isforzi ch'ella facea non riusci a tanto; mentre questi segni maravigliosi della divina Passione dall'una parte passavano all'altra, e mostravano la punta ritorta e fortemente ribadita[11]. Ma l'ora si avvicinava in cui la devota processione abbandonar dovea quel santuario; ed oh quale deserto nel cuore di quelle orfane angiolette! E nella loro fede e semplicità esclamavano: [p. 92 modifica]— Oh nostro amorosissimo padre, perchè ci lasci così per tempo! Oh luce de' nostri occhi e sacra speranza dell'anima, perchè sì tosto ti diparti da noi? Chi ci sorreggerà nell'arido deserto del mondo, senza l'aiuto della tua parola, e senza la forza della tua virtù?! — E a tanta fede pareva loro che da quella bocca silente venisse ancora una voce che dicesse: «Sarà vostro bacolo la fede in Dio, la santa povertà del Vangelo, e l'amore a tutti i fratelli!»

Intanto il sacro convoglio abbandonava quel romito cenobio, e Chiara e quelle elette toglieano ancora alcun che di ristoro, ascoltando lontano lontano i cantici di gioia e di trionfo che sorgeano d'intorno alla beata urna: cantici che inalzava al cielo tutto un popolo che nel sublime Estinto mirava il più grande ed efficace Apostolo mandato da Dio sulla terra a far più sereni e più grandi i destini non d'Italia nè d' Europa soltanto, ma di tutta quanta l'umanità! — Quelle pietose vergini ascoltavano ancora da lontano que' solenni e commoventi cantici. Tutto finalmente fu silenzio in quel sacro recinto; ed esse intenerite e sorprese di tante meraviglie, si ritirarono più salde e fortificate nella generosa risoluzione di non distaccarsi più mai dalle vestigia di tanto venerabile Maestro!
Giunta la processione alla chiesetta di s. Giorgio, là furon lasciate in deposito le mortali spoglie di quel Grande, dove egli coi primi rudimenti delle lettere avea ricevuto lo spirito di devozione, e dove consacrato aveva al Signore le primizie della sua predicazione. Indi a poco ei venne, giusta il suo comandamento, sepellito nudo e trafitto come il suo Divin Redentore. Però se la povera morte privò il corpo di bara, gli diè, come vedremo nelle vegnenti pagine, templi magnifici per monumenti, e per lapide libri immortali, e per esequie suono immortale di cantici!

Mancato agli uomini quel grande che con santissimo ardire avea solo iniziato la riforma cosmica, la Somma Sapienza, mirabile ne' suoi disegni, blandiva con nuovo portento tanta amarezza e universale sciagura. Conciossiachè nello stesso giorno che [p. 93 modifica]moriva Francesco d'Assisi nasceva al nostro mondo un altro luminare della Chiesa di Cristo, che per l'altezza del suo ingegno e per l'odore della santità, s'ebbe il nome di angelico. Quest'uomo inviato da Dio all'umanità fu Tommaso d'Aquino!

Ecco l'opera equabile della Provvidenza, la quale mentre richiamava ne' regni sereni ed imparturbati dell'eterna pace chi rigenerato aveva i popoli coll'opera feconda dell'amore, e dell'umiltà e povertà della croce, concedeva nella stessa ora alla terra miserevole e deserta altro maraviglioso Campione che illuminar dovea l'umanità coll'eloquente sapienza!

Potrebbe dopo fatti sì alti e stupendi esistere ancora tra le genti il dubbio demente e derisore?.. La Provvidenza non esaurisce mai le sue forze; ed il miracolo che attesta al cospetto del Mondo le maravigliose opere della mente di Dio, vivrà sempre e si perpetuerà, lasciando una striscia di luce a traverso i secoli!


Due anni dopo la morte del Serafico d'Assisi, Gregorio IX, stato da Cardinale familiare e benefattore di Francesco, scriveva il suo nome nell'albo de' santi, chiudendo la bolla di canonizzazione con queste solenni parole. Poichè all'onniponte e misericordioso Iddio, del quale fu dono se l'umile servo di Cristo Francesco a lui degnamente e lodevolmente ha servito, non piace che tanto lume rimanga nascoso sotto il moggio, ma vuole sia posto sopra il candelabro, a conforto di coloro che sono nella casa della luce, ha mostrato con molti e splendidi miracoli che la vita sua gli fu accetta, e degna di essere venerata dalla chiesa militante. Il perchè presa da noi piena contezza della sua vita manifestamente santa, nota a noi anche per quella intima familiarità che passò tra lui e noi quando eravamo in minor grado, avuto il parere e l'assenso de' nostri fratelli cardinali, abbiamo decretato di ascriverlo al catalogo de' santi, nella fiducia che egli sarà colle sue orazioni d'aiuto a noi e al gregge alla nostra cura commesso, e avremo così intercessore su in cielo lui che fu nostro familiare qui in terra».

  1. (*) Vedi la Nota IV.
  2. Fioretti di S. Francesco, Cap. XVIII.
  3. Il concetto poetico di questa specie d'inno risulta da' cantici di S. Francesco, e da quelli de' primi poeti francescani.
  4. Fioretti di S. Francesco, Cap. XXIV.
  5. Eia nunc, strenuissime miles Christi, ipsius fer arma invictissimi ducis... Impleta est prima visio quam vidisti, videlicet quod, dux in militia Christi futurus, armis deberes coelestíbus signoque crucis insignibus decorari. S. Bonavent. Vita Sancti Francisci, Cap. XIII.
  6. Fioretti di S. Francesco, Cap. XIV
  7. (*) Vedi la nota II
  8. (*) Vedi la nota IV
  9. S. Bonaventura, V.
  10. S. Bonaventura, Vita sancti Francisci, C. XV.
  11. S. Bonaventura C. XV