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Francesco d'Assisi e il suo secolo/Parte Seconda. Periodo religioso o di preparamento/Capitolo terzo - Francesco d'Assisi

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Parte Seconda. Periodo religioso o di preparamento - Capitolo terzo - Francesco d'Assisi

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CAPITOLO TERZO

Francesco d'Assisi




SOMMARIO

Disegni della Provvidenza sui nuovi destini d'Italia e dell'umanità — Anni giovanili di Francesco d'Assisi — Sua maravigliosa vocazione dal secolo — Voce misteriosa e profetica udita da lui nella Chiesa di S. Damiano — Rifiuto alle ricchezze, e suo fervente amore alla povertà — Scherni del mondo e severe punizioni del padre per distorio dalla nuova idea Vocazione fortemente evangelica — Invito alle creature tutte a lodar Dio, e sua amorusa pietà per esse — Primizie dell'Istituto Francescano o della famiglia de' poveri — Francesco invia i primi suoi seguaci ad evangelizzare il mondo — Sue ardenti aspirazioni alla povertà o all'umiltà. Concetto morale di queste sublimi virtù cristiane — Primi discepoll di Francesco — Sogno profetico di Papa Innocenzo III — Stato della Chiesa e della società nel secolo XII e XIII. I Valdesi e gli Albigesi: loro empie dottrine — Guerra tremenda fatta loro dai Cattolici — Quanto operarono a pro della Chiesa Innocenzo III, e i Fondatori delle due nuove famiglie Monastiche Bolla di Sisto IV intorno ai due nuovi Ordini Religiosi — Approvazione dell'Ordine Minoritico — Concetto sublime ed evangelico della sua Regola — Francesco d'Assisi al cospetto del secolo.

Ma quali erano i nuovi destini che mutar doveano l'aspetto d'Italia, e con essa quello d'Europa? La Provvidenza, infallibile ne' suoi disegni, creava uomini e tempi nuovi che rigenerar doveano per la seconda volta la vita morale del mondo. E siccome quaranta secoli dopo la Creazione sceglieva l'Oriente a culla di Colui che riscattar doveva il genere umano; così dopo il giro [p. 57 modifica]di altri dodici secoli la benedizione del cielo cadeva sull'Italia. E dal suo seno, quasi novella voce del deserto, usciva la gran voce d'umiltà e di pace, la quale blandir doveva il cuore inaridito e selvaggio degli uomini, come la rugiada del mattino ristora l'arida e languente campagna.

In sullo scorcio del secolo decimo secondo, Assisi, una delle più belle e popolose città dell'Umbria nel territorio della Chiesa, era lieta per feste e brillanti adunanze. Le quali venivano, per così dire, capitanate da un giovinetto bello per leggiadria, per venusto sembiante, ed ammirato per largo spendere e lusso di vestire. Questo giovinetto era Francesco d'Assisi. Nato egli nel 1182 da genitori che lo amavano come l'unico frutto della loro unione, come l'erede unico di quelle ricchezze che si andavano ogni giorno aumentando co' larghi commerci, era il solo oggetto delle cure e compiacenze paterne. Trattoselo egli a Parigi per addestrarlo nella mercatura, avea Francesco quivi con tanta familiarità apparato la lingua di là, che tornato in patria fu chiamato il Francesco, soprannome diventato nome dal suo parlare abituale francese. Ciò dava maggior valore agli omaggi che rendeagli il secolo, da' quali era Francesco come cinto e tutto inebriato. Il giovinetto adunque sentendosi amato e ricco si diede a un vivere che avea del mondano, senza però lasciarsi andare alle concupiscenze della carne. Conciossiachè la Provvidenza, che avea su lui fatto cadere i suoi occulti disegni, non avrebbe mai destinato alla rigenerazione del mondo cristiano uomo carnale e di natura inviziata.

Ardeva a que' giorni per le ire di parte Guelfa e Ghibellina aspra contesa tra que' di Perugia e que' d' Assisi; per le quali discordie accadde fra loro un fatto d'armi. E poichè pari alla mente e al cuore era in Francesco forte il coraggio e l'ardenza civile, così egli alla testa de'suoi concittadini scontrò il nemico; ma soverchiato da maggiori forze fu fatto con alquanti dei suoi prigioniero. Non se ne accuorò l'alacre giovinetto; anzi durante la cattività mostrossi coraggioso, e diede animo ai compagni abbattuti. [p. 58 modifica]Educato l'alacre giovinetto a tutte le arti cavalleresche, viveva intieramente in esse; ma vago oltre misura di viaggi e di cacce, solea sovente trar seco gran famiglia di amici per città e per foreste, a menar con essi vita libera e sollazzevole. Un giorno egli chiamati a sè i suoi cari andaron tutti ad una romorosa caccia per le campagne dell'Umbria: della qual terra giova all'indole del nostro lavoro dare in iscorcio il disegno.

Chi esce di Roma e tiene verso settentrione, valicato che ha il maraviglioso deserto della campagna di Roma e passato il Tevere poco più là di civita Castellana, entra in un paese montuoso che si innalza a mo' d'anfiteatro dalla riva di esso Tevere fino alla cima dell'Appennino. Questa regione così riposta, così incantevole, così salutifera è l'Umbria; e non le manca veruna delle agresti bellezze delle Alpi, non le altere cime, non le foreste, non i tònfani dove scrosciando si precipitano cascate di acqua: se non che v'è un clima che non patisce nevi sempiterne, v'è tutta la ricchezza della vegetazione meridionale, che gli ulivi e le vite infrappone alle querce ed agli abeti. E la natura vi è così benigna come vi è maestosa, che non ispira se non maraviglia senza terrore; e se ogni cosa fa qui vedere la potenza del Creatore, ogni cosa per altro ti parla della sua bontà.

Adunque Francesco in una di quelle ridenti giornate, trovandosi staccato da' compagni, i quali erano ciascuno alla posta e al guado delle fiere, mirava solitario, assiso frammezzo alle piante, e all'ombra di altere querce, le vergini e maestose bellezze di natura: e que' silenzii ispirati aveano una voce eloquente all'anima sua. Tornarono i compagni e Francesco fatto giulivo con loro, ma non così come prima, volsero tutti gli alacri passi verso Assisi, gloriosi di rara e pinguissima preda.

Una volta, da lì a poco, usciva da mensa con la brigata, che secondo il solito davasi a scorrere per Assisi cantando; ma Francesco ricordando la dolce solitudine delle patrie campagne, ove gli era parso sentire una voce arcana favellargli potentemente al cuore, provò un rincrescimento e quasi un disdegno a quella sua vita ingenerosa e disvagata: tal che esso non era [p. 59 modifica]più quel lieto giovane di ieri. Un grave pensiero lo occupava; e, sebbene avesse in man la bacchetta, come re della festa, pure veniva l'ultimo con grave e tardo passo, sospiroso, e cogli occhi fisi e caduti al suolo.

— Su via, Francesco — disse un di loro riscuotendolo — a che sei così mesto e pensoso?

— E il giovinetto sospirava, e non levava gli sguardi da terra.
Ed un altro il richiedeva, scherzevole e brioso:

— Pensi forse a prender moglie?

— A prender moglie? si rispose sorridente e con affetto Francesco e la vo' tanto nobile, ricca e bella, che non ne avrete veduta l'uguale giammai!

La voce della divina grazia avea favellato al suo cuore, e da quel giorno il giovinetto d'Assisi fu tutto mutato: conciossiachè staccandosi il suo cuore dalle terrene blandizie, assaporava egli un dolce ed ineffabile desiderio della vita pura ed ideale dello spirito. Era quello il primo passo nella via della santità; ma per introdursi nel nuovo cammino non era necessario andare a ritroso della natura, la quale se ad altri mai, era a lui stata benigna di quelle doti che fanno l'uomo capace di sacrificio: ed in ciò consiste appunto la santità. Quell'inclinazione al largheggiare, quel bisogno di spander l'anima nelle più intime affezioni, non fece che rivolgerli ad un oggetto più degno; e trovò cagione di merito e di virtù in ciò che gli era un piacere e un bisogno. Così non cessò di apparecchiar vesti, non di bandir conviti, non di circondarsi di una cara compagnia; ma di quelle vesti spesso si spogliava per darle ai poveri ch'erano nel suo cuore, e dei quali facevasi ministro servendogli a mensa, e imitatore limosinando sugli scalini del tempio.

L'amore così bene ordinato verso le creature, e specialmente verso quelle che più ritraggono della divina sembianza, gli fu scala per salire al Creatore. Ed acceso da una fede pura ed operosa sentiasi come rapito nelle aspirazioni di essa, e come tutto preso da amore e carità verso un'ampia e universale famiglia di fratelli. Ond'egli coll'anima rivolta al suo Dio, rompeva, [p. 60 modifica]sovente in lacrime ed in esclamazioni di santi affetti. « O Signor mio Gesù Cristo, dissipate le tenebre del mio spirito, datemi una fede sincera, una ferma speranza, e una carità perfetta.» Così diceva egli un giorno prosteso dinanzi al Crocifisso, nella devota chiesuola di san Damiano; e una voce gli aveva per tre volte risposto: «Va, o Francesco, e ristaura la casa mia; la casa mia, che, come vedi, rovina». Il suo intelletto non raggiungeva ancora il riposto significato di tali parole; ed egli credè d'obbedire a quella voce dando al prete di san Damiano tanto danaro che bastasse a risarcirne le mura, e a mantenere un po' d'olio alla lampana del Crocifisso.

Ma quale fosse il mistico senso delle divine parole vedremlo or ora. Giova per tanto qui notare che a compiere suoi alti disegni sopra la Chiesa tenne la Provvidenza diverse vie, le quali quanto parvero più repugnanti alla umana ragione, tanto erano più conducenti all' adempimento de' consigli divini. Il magistero dell'insegnare ai popoli le sublími dottrine dell' Evagelio venne affidato a dei poveri pescatori; la difesa della fede dinanzi ai tiranni e ai carnefici fu commessa ai teneri petti delle imbelli donne e alle mute lingue dei pargoli lattanti: sacerdoti cacciati dalle loro sedi, nascosti agli occhi degli uomini, combattevano con la penna l'eresie, che ora con l'impeto della bufera, ora con le carezze d'un molle zeffiro, ora con le schiette sembianze della santità, scorrevano in mezzo al mondo, e ne occupavano le più splendide cattedre. Ma la dottrina dei Padri, che pure aveva trionfato degli errori, e soggiogato le menti superbe, non s'era potuto insinuar bene ne' cuori carnali, avverandosi che il mondo non conobbe Dio per mezzo della sapienza. Trovò allora la Provvidenza una nuova strada per condurre gli uomini alla salute; e questa strada fu la semplice predicazione dell'umile croce, nella cui sublime stoltezza si gloriava l'Apostolo.

Adunque la maravigliosa rigenerazione del suo spirito era avvenuta: e perchè nell'amare il Creatore e la umana famiglia, e tutte le svariate opere della creazione trovava secondato il naturale inclinamento del cuore, Francesco ne sentiva quella [p. 61 modifica]consolazione di chi, tendendo a un punto, ha camminato assai fuor di strada, e si trova alfine rimesso sul buon sentiero. Ma il buon sentiero non era senza spine. I primi dolori gli vennero dalle persone più care. Gli amici nel vederlo così diverso, magro e sparuto nel viso, e nelle vesti negletto, lo tennero per pazzo; i vecchi adulatori, più sfacciati, gli tiraron dietro de' sassi e lo copriron di fango. E il padre a quella vista, non che averne pietà, s'adira, gli viene incontro, lo percuote e lo chiude in un angolo oscuro della casa. Solo la madre, secondo l'espressione de' più antichi e sinceri biografi, ammirollo piangendo.

Uscì dalla domestica cercare aiutato dalla madre, e se ne tornò a San Damiano, alla chiesetta ch'egli credeva di essere stato chiamato a riedificare: ma anche colà lo sdegno paterno il raggiunse. Però, volendo omai rompere ogni impaccio terreno, fu dinanzi al Vescovo d'Assisi, da cui avealo fatto chiamare il padre, mercante ed iracondo, per rimproverarlo; ma Francesco se gli presentò ignudo nato, protestando di rinunziare a tutto, nè volere altro che seguire Cristo. Il Vescovo non osò stornare una vocazione tanto pronunziata, e fattolo vestire grossolanamente, il licenziò colla sua benedizione. Spogliatosi quindi il giovinetto fino all'ultima sua veste mondana, consegnò tutte le sue robe al padre, rinunziando agli agi della casa e alle ricchezze della sua eredità. E, a lui rivolto: «finora, gli disse, ho chiamato padre te, o Pietro Bernardone; da qui innanzi potrò dire securamente: Padre nostro che sei ne' Cieli, presso il quale ho riposto ogni mio tesoro, e collocata tutta la fede del mio sperare». Da questo momento a Francesco è sposa la sposa di Cristo, e compagna fidata insino alla morte la Povertà, per la quale gli uomini sono beati. Laonde lieto egli dell'inopia, come altri delle dovizie, se ne parti accattando, soccorrendo, assistendo negli ospitali lebrosi ed ogni generazione d'infermi, cantando laudi, facendo discorsi che sempre cominciavano con Dio vi dia la pace.

E pace e amore erano l'indole del mistico Campione; e nel suo cuore v'era l'afflato d'un affetto e d'una benevolenza che [p. 62 modifica]abbracciava anche le infime creature, e da tutte traeva occasione di lodar Dio e d'imparare ed amarlo. Pieno di questo spirito egli percorre le belle foreste della valle nativa, cantando e facendo invito agli uccelli, che chiama fratelli suoi, perchè celebrino seco il Creatore; e prega le rondini, sorelle sue, a cessare il pigolio mentr'egli predica: sorelle chiama le mosche, sorella la cenere. Ed accesso sempre di celeste amore, da tutto trae argomento a benedire la mano suprema, ed a cantare la gloria di Colui che tutto muove. Infatti la cicala che stride lo eccita a lodar Dio; e alle formiche rimprovera di mostrarsi troppo sollecite dell'avvenire. Ed ardente ognor più da nuovo spirito (certo senza esempio) di pietà ed affetto, vede un verme sulla strada e lo devia perchè non rimanga calpesto; alle api nell'inverno procaccia del miele, perchè non muoiano; campa tortore e lepri da cacciatori; vende il proprio mantello per riscattare una pecora dal macellaio. E tutti questi sensi amorosi e magnanimi del suo cuore temperando al sublime e al tenero della religione, il giorno di Natale volea si desse miglior prebenda all'asino ed al bove; poi in quel sacro giorno predicava in una stalla veramente davanti a una greppia, e così compieva il sacro mistero; e tutto per lui aveva voce eloquente di carità e d'amore.

Ed ecco oramai prossimi a compiersi i disegni della Provvidenza, la quale avea destinato nel Poverello d'Assisi il maggiore dei banditori evangelici, sortí a diffondere la scuola dell'umiltà; che sebbene promulgata dagli Apostoli nell'universale corruttela de' costumi, corruttela fecondata dal paganesimo e dal sensismo connaturato a questa idea, dovette, scuola così alta e salutare, parere alle genti nuova e inaudita. Dio lo chiamò di mezzo al secolo dopo avergli lasciato gustare l'amarezza de'suoi piaceri, perchè il suo esempio fosse più efficace e la parola sua più potente.

Sciolto egli intieramente dai legami del mondo, e messosi sulla libertà vera dei figliuoli di Dio, coperto d'una povera tonaca, con una cintura di cuoio, le scarpe e un selvatico bastone, andava a piedi per le vicine campagne e borgate a predicar [p. 63 modifica]l'amore, la pace e l'umiltà, e tutte le pazienti virtù del Cristianesimo. Procedendo in cosiffatto modo il novello Apostolo della religione, e della civiltà, vedeva intorno a sè numerosa gente, crescere forte e vigorosa alla nuova scuola.

Così passava Francesco i giorni della sua nuova vita; quando una mattina sentendo la messa degli Apostoli in Santa Maria degli Angeli, a quelle parole del Vangelo «Non vogliate avere nè oro, nè argento, nè danaro nelle vostre cinture, nè tasca pel viaggio, nè due vesti, nè scarpe, nè bastone,» fu il suo cuore preso da tanta letizia, e acceso di tanto affetto per quella vita apostolica, che: «Ecco, disse, quello che io cerco, ecco quello che ardentemente desidero:» e di subito gittata via la tasca e il bastone, si scalzò i piedi, vesti una semplice tonaca, si cinse una fune e andò attorno predicando la penitenza. Ed era il suo eloquio (dice il più grande de' suoi biografi, San Bonaventura) non vano o degno di riso, ma pieno in modo della virtù dello Spirito Santo, che, penetrando nell'intimo del cuore, induceva stupor grande in chi lo ascoltava. Onde non è meraviglia se molti, commossi alle sue parole ed eccitati dal suo esempio, rinunziando ai beni e alle speranze terrene, si stringevano a lui, pigliando lieti quell'umile vita e tanto povera e dimessa.

Così quella gente poverella veniva crescendo; e Francesco ne gioiva di santa letizia, poichè scorgeva in quegli animosi seguaci degli utili compagni nella riforma del mondo, a cui egli anelava coll'impeto più fervoroso dell'anima. Onde ragunati un giorno que' suoi figliuoli intorno a sė (sendo già otto), e dopo aver lungamente ragionato del regno di Dio, del dispregio del mondo, dell'annegazione di sè medesimo, e del mortificare la carne, «È tempo, disse loro, che gli operai evangelici escano a lavorare il campo del Signore: su, miei figliuoli, spargetevi pel mondo, annunziate la pace e fate degli uomini una famiglia di fratelli. Mostratevi nelle tribolazioni pazienti, nelle orazioni assidui, nelle fatiche strenui, modesti nelle parole, composti negli atti, riconoscenti de' beneficii: un regno eterno [p. 64 modifica]sarà il vostro guiderdone.» Ed eccolo in tutto (come fece poi nel resto della vita, e lasciò in retaggio a' suoi figliuoli) insegnare a praticar la virtù delle opere prima di quella della parola, ad esempio di Cristo, il quale in prima incominciò a fare che insegnare. Poi segnato a que' suoi carissimi il cammino a modo di croce, verso le quattro parti del mondo, ciascun frate abbracciò, inviandolo a diffonder la dottrina delle virtù evangeliche, e per esse la civiltà fra mezzo le nazioni più lontane; e gli accomiato con questa nuova formola d'obbedienza:» Getta nel Signore ogni tuo pensiero, ed egli ti nutricherà.» L'egoismo del mondo fu presto debellato da' novelli cavalieri di Gesù Cristo, che combattevano con l'arme invitta della speranza e dell'amore. E senza aversi altro viatico che il loro povero abito e la confidenza in Dio, entravano nelle case, accattando ed annunziando la pace, e da per ogni dove evangelizzavano le genti. E Dio e gli uomini onoravano i loro trionfi.

E veramente umiltà e povertà furono dal Cristianesimo aggiunte come due ale alla dignità vera dell'anima umana, come vero istrumento alla potenza stessa e alla gloria delle nazioni qua giù. Umiltà e povertà rintegrate dal nuovo Apostolo nella stima degli uomini con si splendido esempio, sono da considerarsi siccome virtù non meno civili che religiose, non meno poetiche che teologiche.

L'amore tra Francesco e la povertà rammenta la Cantica e gli alti amori della Sapienza: «Desiderai e m'è stato dato il senno... e venne in me spirito di sapienza. E preposi lei a' reami ed at troni; e le ricchezze reputai essere nulla al paragone di lei [1] ». Qui cade il passo d'una leggenda: «Ero simile a voi che cercavo con ardente desiderio la pace nelle cose esterne, e non la trovavo. Alla fine una vergine più splendida del sole m'apparve, che io ignoravo il suo nome; e accostandomisi con leggiadro volto e con soave favella: O diletto giovane, mi disse, perchè disperdi il cor tuo, e nel cercare la pace ti lasci in [p. 65 modifica]tante varietà trascinare? Quel che tu cerchi è da me: quel che bramasti, io tel prometto, se pure mi vuoi avere in isposa. E perchè io desideravo sapere il nome di lei e la stirpe e la dignità, disse sò essere la sapienza di Dio che per la redenzione degli uomini assunse umana forma. Io acconsentii, ed ella datomi il bacio di pace, si parti lieta.[2]»

Ma della povertà in modo singolare e nuovo scrisse Bernardo di Chiaravalle, che l'Ottimo volgarizza così: «Di tutte queste cose avea in Cielo eterna abbondanza, ma povertate non vi si truovava: ma abbondava e soprabbondava in terra questa ispezie e l'uomo non cognosceva il valore di essa. Il figliuolo di Dio, desiderando questa, discese in terra, acciocch'egli la pigliasse per sè, e a noi per la sua estimazione la faccia essere preziosa.» E una leggenda: «L'amore di questo consorzio, dico della povertà, del dolore e del dispetto del mondo, Iddio amò tanto che la diede al suo proprio Figliuolo; e volle che gli uomini in questo letto felici si tranquillassero. E in questo letto io mi posai e mi poso, perch'egli è il letto mio; e in questo letto spero morire, e salvarmi per esso. — 211. Io, dice Iddio, se la povertà non fosse bene così prezioso, io non l'avrei amata tanto, e se non fosse così nobile cosa, non l'avrei assunta — 216; Questa povertà Cristo ama, e la elesse per sè e per i suoi[3]».

Dai fioretti di S. Francesco, libro monumentale della nostra letteratura, togliamo un brano, nel quale coi colori più semplici e commoventi è descritto l'amore immenso che s'ebbe il Santo d'Assisi alla povertà. «Avendo (Francesco) assegnato ai compagni l'altre parti del mondo, egli prendendo frate Masseo per compagno prese il cammino verso la provincia di Francia, e pervenendo un dì a una villa assai affamati, andarono, secondo la regola, mendicando pel pane per l'amore di Dio; e san Francesco andò per una contrada, e frate Masseo per un'altra. Ma imperocchè san Francesco era uomo troppo disprezzato, e piccolo di corpo, e perciò era riputato un vile poverello da chi [p. 66 modifica]non lo conosceva, non accattò se non parecchi bocconi e pezzuoli di pane secco; ma frate Masseo, imperocch'egli era grande e bello del corpo, sì gli furono dati buoni pezzi, e grandi e assai, e del pane intero. Accattato ch'essi ebbero, si raccolsero insieme fuori della villa in un luogo per mangiare, dov'era una bella fonte, e allato avea una bella pietra larga, sopra la quale ciascuno pose tutte le limosine che avea accattate; e vedendo san Francesco che i pezzi del pane di frate Masseo erano più, e più belli, e più grandi che i suoi, fece grandissima allegrezza, e disse così: O frate Masseo, noi non siamo degni di così grande tesoro; e ripetendo queste parole più volte, rispose frate Masseo: Padre, come si può chiamare tesoro, dov'è tanta povertà e mancamento di quelle cose che bisognano? Qui non è tovaglia, nè coltello, nè tagliere, e nè scodelle, nè casa, nè mensa, nè fanti, nè fancella. Disse san Francesco: e questo è quello ch'io reputo grande tesoro, ove non è cosa veruna apparecchiata per industria umana: ma ciò che ci è, si è apparecchiato dalla Provvidenza divina, siccome si vede manifestamente nel pane accattato, nella mensa della pietra così bella, e nella fonte così chiara. E però io voglio che noi preghiamo Iddio che il tesoro della santa povertà così nobile, il quale ha per servidore Iddio, ci faccia amare con tutto il cuore[4]» (*)[5].

E queste erano di continuo le sante aspirazioni del povero frate, quelle ch'egli volea far feconde con l'alito dell'amore e della virtù, nel cuore di quanti viveano rigenerati dalla croce; ed anche più in là spingendosi coll'acceso desiderio, nel cuore di quante fossero sulla terra creature del Signore. Ed eran molti che volenterosi e fidenti seguivano a que' suoi giorni le sante sue orme.

Bernardo da Quintavalle, uno de' più nobili e ricchi cittadini d'Assisi, interroga Francesco se deve abbandonare il mondo; ed egli: Non chiederlo a me, ma a Dio». E prende il [p. 67 modifica]Vangelo, e lo apre a caso, e la prima frase che gli cade sotto occhio è: Se vuoi essere perfetto vendi quanto hai, e dàllo ai poveri. Lo riapre, e trova: Se vai in viaggio, non portar nè bisaccia nè nulla. Lo chiude una terza volta, e riapertolo quindi legge: Chi vuol venire dietro me, neghi sè stesso, prenda la croce, e mi segua. Francesco esclama: «Ecco la regola mia e di chi vorrà meco unirsi».

Bernardo da Quintavalle fu il primo suo discepolo; poi Pietro da Catania ed Egidio; sheffeggiati pel loro vestire grossolano, e presi a sassi dalla popolaglia, che avrà certo cavato il cappello ad Ezelino da Romano o a re Federico, esecrati tiranni di quei tempi, e nemici giurati della fede. Ma essi, come tutti i forti, sprezzavano tetragroni le contumelie de' reprobí, de' dissennati, degl'ignoranti; e doviziosi della loro santa povertà ed umiltà evangelica, volgevano le loro aspirazioni a Dio e pregavano per tutti i fratelli. Spogliati così dai terreni interessi si accostavano al sublime della Croce, conciosiacchè in essa è la verità eterna, a nome della quale essi comparivano al cospetto del secolo.

Cresciuti mirabilmente i suoi discepoli, Francesco propose mandarli per tutto il mondo a predicare alle creature tutte che amassero il Creatore; e volendo stabilire su solide e durevoli fondamenta la sua Regola, ne domandò licenza al Papa.

Nel Concilio Lateranese IV Innocenzo III avea deciso non sí istituissero più nuovi Ordini religiosi, acciocchè tanta varietà non partorisse confusione nella Chiesa di Dio. Ma poco dopo esso Papa vide in sogno la Basilica di san Giovanni Laterano, madre delle chiese cattoliche, tentennare e minacciare ruina: quando a sorreggerla vide farsi sostegno le spalle d'un poverello, e un'umile palma levarsi all'altezza d'un bellissimo albero. Ed ecco svelato il mistico senso della divina voce udita da Francesco; conciossiachè non era quello di restaurar le mura della cadente chiesuola di san Damiano, ma si quelle della universate Chiesa di Dio, già disonorata e ruinante dalle simonie e dalle sensuali concupiscenze del clericato, dalle ire e dalle vendette [p. 68 modifica]di parte che desolavan l'Italia, dagli scismi e dalle sètte che avversavano la Cattolica fede, e dal maomettanismo che inferocendo in Oriente, ripiegavasi baldanzoso e bruttato di tutte le sue deformità e laidezze nella parte meridionale d'Europa.

A sostenere le crollanti mura della cattolíca Chiesa fu mandato anche dalla Provvidenza un altro spírito eletto sulla terra, il quale nella difficile impresa della riforma cosmica associavasi con magnanimo sentire al sublime Poverello d'Assisi. Sorti quindi questi due grandi ed operosissimi Santi, San Francesco, Italiano, e San Domenico, Spagnuolo, furono da Innocenzo III approvati i loro due grandi Ordini mendicanti, de' frati Minori e de' Predicatori. Come il Cristianesimo fu detto pazzia della Croce, questi si potrebbon dire pazzie della Carità. L'esercitavano, passivamente colla povertà; attivamente colle limosine, colla predicazione, colle missioni nella gentilità fin d'allora. I predicatori furono accusati dagli uni, giustificati dagli altri, di crudeltà contro agli Albigesi, eretici Francesi.

E qui è pregio dell'opera tornar nuovamente a dire degli Albigesi, e vedere quel che operò in favore del vero spirito della fede cattolica Innocenzo III e Domenico di Gusman, calunniati da alcuni storici e biografi; e vedere eziandio come Francesco d'Assísi fu colonna veramente solida che sostenesse il pericolante edifizio della Chiesa.

Scoppiata a quei giorni nella Francia la eresia Valdese, che si fuse indi a poco con quella più vasta e più ampia degli Albigesi, Innocenzo III con animo paterno inviò Legati nelle province di Aix, d'Arles e di Narbona a reprimere que' pericolosi errori. Ai quali sacri ambasciatori tenne dietro il Vescovo d'Osma, accompagnato dal giovine e fervente Domenico di Guzman. Ma Raimondo VI Conte di Tolosa, degenere pronipote del famoso Crociato, abdicando il retaggio trasmessogli dall'illustre avo di gloria e virtù, gli avversò; e postosi a capo della sètta, certo la più empia ed eretica, la protesse e la spinse apertamente.

E qui, a rischiarare le menti dei nostri lettori, poniamo alcuni quesiti. [p. 69 modifica]Il Cristianesimo, e con esso lui l'incivilimento, avrebbe potuto svolgersi nell'Occidente se le opinioni albigesi fossero prevalse? No. Il Cristianesimo eleva a sacramento le nozze, e proteggendo la donna contro gli abusi della forza, la circonda di guarenţie religiose e morali: la setta albigese invece dichiarava essere il matrimonio un trovato diabolico, e struggeva la famiglia abbandonando i due sessi in balla al più ributtante sensualismo. Il Cristianesimo esige purità ne' sacerdoti, probità de' laici, obbedienza ne' governati, giustizia ne' governanti: la sètta dichiarava illegittima qualsiasi podestà, onorava la dissimulazione, non poneva limite o freno all'avarizia. Il Cristiano piegava la fronte a un Dio giusto e d' amore; l'albigese avea per dogma il manicheismo, ovvero l'esistenza di due Dii, uno autor del bene, l'altro del male. Il Cristiano si credea libero; l'Albigese si reputava dominato dal fatalismo. Qual delle due opinioni prometteva alla società europea ordine, pace e civiltà?

Una dottrina che rovescia ogni moralità, e ne rifugge dall'usare ogni mezzo, comechè iniquo, per conseguire suoi fini, può venir combattuta colle armi, ove non sia rifuggio che in esse? Il diritto di comprimere siffatta dottrina colle armi, ove mai non vi avesse altra via più pronta, è chiaro e giusto nella società, come lo è nell'individuo quello di respingere a colpi di spada il sicario che gli si avventa per iscannarlo. Il manicheismo albigese era un tentativo di assassinio sociale.

I papi, presidi e protettori della cristianità nel Medio Evo avean dritto di provocare una Crociata contro gli Albigesí? La risposta è compresa in quanto abbiam dinanzi dichiarato. Però sí rifletta che i mezzi di compressione de' quali i papi poteano usare si riducevano a tre; cioè la predicazione pura e semplice; la predicazione convalidata dal patrocinio di potente monarca; e infine la predicazione sostenuta da una Crociata. Il primo mezzo fu tentato, e riuscì vano dapprima e quindi funesto ai cattolíci; conciossiachè Raimondo conte di Tolosa protettore ed appoggio supremo degli albigesi, per cosiffatta sua empia credenza divenne fratricida, spergiuro, osceno, si rise de' convertitori, e [p. 70 modifica]li perseguitò col ferro e col fuoco. Il secondo mezzo, quello cioè d'una predicazione appoggiata da potente monarca, non poteva umanamente aver luogo, poichè a que' tempi non v'era angolo in Europa, ove non ardesse la guerra. L'Alemagna era lacerata da guerre civili, l'Inghilterra veniva suscitata a rivoluzioni da Giovanni Senza-terra, la Francia gemea colpita d'interdetto per le lascívie di Filippo-Augusto. Non rimaneva che il terzo mezzo, la predicazione sostenuta dalla Crociata, al qual mezzo estremo, ma necessario, ebbe ricorso Innocenzo III.

La Crociata adunque fu bandita; ma come usarono i Papi del loro diritto di promoverla contro gli albigesi?..Ah! e sono essi responsabili de' misfatti che i Cattolici commisero in quella guerra? L'assassinio di Pietro di Castelnau provocò i Cattolici a tremende rivendicazioni. Domenico di Guzman tristo e dolente de' furori che non riusciva ad infrenare si ritirò in uno dei suoi monasteri delle Spagne. Guerra atrocissima, una delle più sanguinose del Medio-Evo: Simone di Monfort prode capitano de' Crociati bruttossi di ferocia: anco i Legati peccarono di durezza verso il vinto Raimondo, e trassero il re d'Aragona a parteggiare per lui, ed a perire a Muret ove i cattolici riportarono compiuta vittoria. E fu mestieri nascondere sulle prime il vero al Papa, del quale era nota la generosità e la dolcezza: ma Raimondo venne egli stesso a Roma, e le sue rivelazioni colpirono la grand'anima d'Innocenzo, il quale perdonò e fe' sicuro il pentito Conte di Tolosa, già rientrato nel seno della vera ed infallibile Chiesa.

Ecco dunque come all'opera di rigenerazione morale incominciata da Francesco, si unì mirabilmente, sebbene per vie diverse, quella di Domenico: ed ambi questi maravigliosi Campioni sostennero le crollanti mura della Cattolica Chiesa. Ed oltre che abbatterono colla parola e coll'opera feconda della morale prattica gli Albigesi in Francia, essi poterono pure aiutare in Italia alle persecuzioni di altre eresie che la desolavano; ma più sovente servirono alle pacificazioni di quelle ire fratricide, rese poi storiche pel peso che diedero nella bilancia politica [p. 71 modifica]Europea, ed alle concordie di città e signori. Onde Sisto IV, pieno dello spirito del Signore, scriveva: «Questi due Ordini, símili ai due primi fiumi dell'Eden, hanno inaffiato il terreno della Chiesa universale colla loro dottrina, colle loro virtù, e rendonlo ogni di più ferace; sono i due Serafiní, ch'elevati sulle ali della sublime contemplazione e dell'angelico amore; col canto assiduo delle lodi divine riportano senza posa nei granai della Chiesa i ricchi covoni della pura messe delle anime ricompre dal prezioso sangue di Cristo: sono le due trombe di cui si serve il Signore per chiamare i popoli al convito evangelico [6]

Nè la missione de' due nuovi Ordini si restrinse solo nel ciclo religioso e civile, ma come vedremo a suo luogo più ampiamente, spinse il movimento del pensiero colla voce potente di suoi mirabili figli, ad elevato orizzonte, tanto nella ragion filosofica, che nella letterata e nell'artistica. E san Tommaso, domenicano; e san Bonaventura, francescano, grandi teologi che fiorirono intorno alla metà del secolo decimo-secondo, diedero senza dubbio (molto più che non i primi poeti) alla coltura Italiana quella spinta, quell'andamento progressivo, che non cessò più per tre secoli, e che la fece primeggiare fra tutte le contemporanee.

Come tutti i grandi e robusti riformatori dell'umanità, Francesco tendeva a far passare nel mondo esterno l'intimo suo sentimento, e ridurre ad effetto il proprio pensiero al quale fine volle istituire pe' suoi frati, una Regola tutta in opposizione alle massime del mondo. Laonde presentatosi a Papa Innocenzo lo supplicò per la istallazione del suo Ordine. Il Sovrano Pontefice avvisò sotto quella povera cocolla le sembianze che avea sognate la notte antecedente, quelle cioè del Povero che colle spalle facea sostegno alla cadente Basilica Lateranese; e nella semplicità di Francesco ne conobbe ed intese la potenza. Esitò per altro dapprima a confermar la regola, perchè tante annegazioni e sì smisurata povertà gli parea cosa superiore alle forze di [p. 72 modifica]uomini. Ma il santo Frate, pieno di quella fede che accese i più invitti campioni di Dio, rispose al Sommo Gerarca:

— La Provvidenza che mitiga il rigore dell'inverno perchè non abbia a perire la pecora tosata, e prende cura dell'uccello del bosco perchè non muoia, e spande il suo sole a fecondare l'universo; la Provvidenza che governa il mondo non abbandonerà le sue creature.

Nella quale risposta Papa Innocenzo riconobbe la voce stessa della Provvidenza, e venerando in sua mente quel servo sincerissimo del Signore, riconobbe nell'umile poverello d'Assisi un nuovo e poderoso Campione del Vangelo. Conciossiachè le sue nuove istituzioni religiose miravano a testimoniare le opere incomprensibili e stupende del Creatore.

Approvata così la Regola, Francesco raunò i suoi seguaci, e tutti si riunirono presso una cappelletta, ottenuta dai Benedettini nel piano d'Assisi: e a questa sua Porziuncola Francesco impetrò dal cielo e dal papa una indulgenza, a conseguire la quale non occorresse fare veruna offerta. Que' frati giungevano a dodici, uniformità cogli Apostoli, la quale parve a Francesco un'avviso di fermare sopra solido fondamento la società che aveva istituita.

La nuova religione e la Regola approvata da Innocenzo III, veniva più tardi confermata da Onorio III; quella Regola che è sapiente compendio di tutto il Vangelo, somma della dottrina de' Padri, apice di perfezione; ove sono mirabilmente congiunte le gioie serene della meditazione a' sacrificii penosi dell'opera, la soavità dall'amore alle macerazioni del corpo, la prudenza alla semplicità, la severità alla dolcezza, l'umiltà al coraggio: prova luculentissima di quanto altamente sentisse di Dio e degli uomini l'anima grande di Francesco d'Assisi. E, poichè pari alla sapienza del legislatore era in lui la carità dell'apostolo, fatto ora più animoso per l'approvazione del papa, siccome vaso che gli impeti del bollente liquore non valga più a rattenere, dà libero sfogo agli affetti generosi del cuore; scorre, senza nulla temere, città, borgate, e, gonfaloniere di Cristo, leva alto il vessillo [p. 73 modifica]della povertà, da per tutto e a tutti gridando: «O voi a cui piace la perla unica dell'Evangelio, venite sciolti da ogni cura terrena; venite, faremo penitenza; venite, loderemo Dio, e a lui serviremo nella semplicità e nella povertà». E quelle parole sonavano d'un accento così sovrumano, che stringevano l'animo di maraviglia e di compunzione; e a chi lo guardava, dice s. Bonaventura, pareva uomo d'un altro secolo, come quegli che con la mente e col guardo stava sempre fisso al cielo, e al cielo si sforzava di sollevar tutti i cuori.

Da quel momento, continua il Santo Dottore, la vigna di Gesù Cristo cominciò a germinare un germe che dava buon odore del Signore; e, producendo di sè fiori di soavità, d'odore e d'onestà, diede poi copiosissimi frutti.

  1. Sap. VII. 7. 8.
  2. Boll. I. 553.
  3. Bolland. I, 198.
  4. Fioretti di S. Francesco, capitolo XIII.
  5. Vedi la nota 1.
  6. Bolla di Sisto IV