Frate Guidotto da Bologna/Capitolo I

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Capitolo II
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CAPITOLO I.

Ragioni dal presente lavoro. — Giudizii e opinioni degli storici e de’ letterati intorno a frate Guidotto.


Molti sono gli scrittori che nelle opere loro facendo menzione di questo frate, lodano il dire purgato ed elegante del suo volgarizzamento, stimandolo molto a ragione prezioso gioiello del nostro patrimonio letterario, e bellissimo fiore dell’età classica; ma troppo poco ci è detto della sua vita, ed anche nel poco la discordia è grande, e i giudizii vaghi e indeterminati dati intorno all’opera sua, non ci permettono di averne un giusto e ben definito concetto, sicchè possiamo stimarla secondo il suo giusto ed esatto valore. Ora essendomi io proposto d’illustrare tutti gli scrittori di prosa ch’ebbe Bologna ne’ due primi secoli della nostra letteratura, parvemi cosa bella il cominciare da questo antichissimo, i pregi del quale, sebben grandi, sono tuttavia a’ giorni nostri quasi dimenticati; e posi ogni studio e diligenza, non risparmiando viaggi, nè fatiche, per raccogliere tutte le notizie che poche, [p. 10 modifica]scarse, incerte, spesso ripugnanti e contrarie, ci sono state tramandate, affine di diradare un poco di quelle tenebre, che ne avvolgono la vita, di definire quali opere scrisse ed il loro valore letterario, in una parola, di portare qualche raggio di certezza, laddove sinora erano solamente supposizioni per lo più messe insieme senza alcun critico discernimento.

I dubbi che esistono intorno al nostro autore incominciano dal suo nome, e si rinnovano in ciascuna delle ipotesi che intorno a lui sono state fatte: se veramente abbia vissuto ed in qual tempo; se fosse frate, e di qual professione; se cavaliere, e di qual ordine; se maestro di grammatica, e nella nostra università; se traduttore e scrittore, o compilatore e plagiario e parecchie altre.

A primo aspetto può forse sembrare fatica inutile, almeno di minima importanza, questa d’essermi adoperato in tante e minuziose ricerche per chiarire tali quistioni; ma così non si parrà veramente a chi abbia in sè culto ed amore per i primi scrittori della nostra favella, e intenda, ch’essi hanno colle opere loro tessuto il vessillo che testimonia della nazionalità italiana, e più fortemente lega in fraterno vincolo le varie e belle regioni dal nostro bellissimo paese; ed io m’avviso che questa operetta possa avere per ciò in sè alcuna utilità e interesse; oltredichè ha importanza certa e positiva in ciò che quanto più esatta e profonda conoscenza abbiamo della vita dei singoli individui, tanto più facilmente possiamo addentrarci nelle intime ragioni dello svolgersi dell’arte e del pensiero nazionale in un determinato periodo di storia, il che è in maniera del tutto pratica necessario al nostro particolare perfezionamento ed alla generale coltura. [p. 11 modifica]

Cominciamo pertanto dal passare in rassegna tutte le notizie che altri scrittori ci hanno date sia intorno all’uomo, sia intorno all’opera sua ed esaminiamole; seguendo per quanto ci sarà possibile l’ordine cronologico.

In ordine di tempo adunque noi ci dobbiamo rifare da quel frate, di cui ignoriamo il nome, il quale, trascrivendo un codice della rettorica di Guidotto, omette il terzo trattato, scusandosi col dire, che l’autore in esso ripete, trasponendo le parti, ciò che ha già scritto nel secondo, e con linguacciuta insolenza dà dell’ubbriaco e dell’ignorante, non pure a Guidotto, ma a quei lettori, che dalla sua sentenza dissentendo, volessero difendere il bolognese, dicendo che essi non sanno l’a, b, c, e il Deus in nomine. Qual conto si debba fare di questa breve ed acerba critica ragioneremo a suo luogo; ma qui importa notare che, ritrovandola noi già scritta in un codice della fine del secolo XIII, ci dimostra in quel tempo essere già l’opera che noi studiamo assai divulgata.

Per due secoli l’opera si sparge nelle parti più culte d’Italia, il che possiamo rilevare dalle numerose copie che ne furono fatte, d’onde si deduce che tale volgarizzamento era studiato e tenuto assai in pregio, ma non troviamo notizia alcuna di giudizii scritti, enunciati dagli uomini dei secoli XIV e XV; tranne che sulla fine del secolo XIV abbiamo un codice della libreria Riccardiana segnato col N. 2338 nel quale è trascritta l’operetta di fra Guidotto, dicendosi nella intitolazione, che essa fu recata a certo ordine da messer Bono di messer Giambono ed in fine una nota del copista ser Geri da Rabatta, dalla quale parrebbe che Guidotto da Bologna avesse rubata l’opera al Giamboni, [p. 12 modifica]e trascrittala, trasponendo a attribuendola a sè. Questa testimonianza non ha per altro alcun valore, e la critica, come vedremo la distruggerà pienamente; ma intanto il Fontani ed il Favaretti, e forse anche il Nannucci furono sviati dalla verità, ed il Bartoli rimane dubitoso e sospende il suo giudizio, il quale pare che tendesse ad essere favorevole al frate bolognese.

Nel 500 si riparla del nostro autore. In quello splendido secolo della nostra letteratura nel quale lo spirito artistico risorge e vigoreggia nutrito alle purissime fonti della lingua e delle idee nazionali, nel quale con ogni diligenza si dà opera allo studio dei trecentisti, rivive pure frate Guidotto e troviamo essere fatta lodevole menzione di lui nella più eccellente delle opere di filologìa di quel secolo.

Leonardo Salviati, che più d’ogni altro contribuì a rendere stabili e ferme le regole della italiana favella, e che gittò le basi dal grande Vocabolario della Crusca, presentò, negli Avvertimenti della lingua sopra il Decamerone, nel libro II, cap. XII un catalogo completo dei testi di lingua, dai quali dovea trarre chi volesse avere coscienza d’essere buon scrittore. Fra gli altri, a pagina 2391 parlando dell’Etica di Aristotile pubblicata in Lione nel 1568 dice, che le faceva seguito la rettorica del «Padre Maestro Guidotto o Galeotto da Bologna.» Si comprende facilmente che il Salviati, che non si era proposto uno studio particolare su questo scrittore, non s’addentrasse a ricercare le ragioni dei titoli «Padre e Maestro» e ponesse come sinonimi «Guidotto o Galeotto.» Egli aveva avuto alle mani una vecchissima stampa, (oltre a quella di [p. 13 modifica]Lione nella quale non era il nome dell’autore) dove si leggeva il nome di Maestro Galeotto; un codice dove era scritto frate Guidotto, e veggendo essere l’opera la medesima, pose, come sembra probabile, disgiuntivamente i due nomi, e fuse i due titoli senza ricercare più oltre.

L’abate Pellegrino Orlandi nella sua opera «Notizie sugli scrittori bolognesi» dice: Galeotto Guidotti cavaliere fioriva in belle lettere nel 1250. Egli fa uno dei nomi cognomi, scompare il frate per far posto al cavaliere; ci dà una data sicura, ma nè dice, nè lascia supporre, di quali argomenti si sia valso per le sue affermazioni.

L’Echard nell’opera in cui tratta de’ domenicani che illustrarono l’ordine, sotto la rubrica «Scriptores saeculi XV visi dubii an nostrates fuerint» (Vol. I, pag. 906) scrive: F. Guidottus de Bononia a nemine quod sciam hactenus laudatus, quantum coniicere est ante MD filorebat; eiusque habetur Florentiae apud Sanctam Mariam Annunc. Servitarum N. 204 «Rettorica di Cicerone volgarizzata da Fra Guidotto da Bologna.» Cuius familiae legibus fuerit adstrictus disquirant indigenae et hic addant. Io non so comprendere come possa l’Echard commettere un sì grave anacronismo, se pure il codice da lui veduto fu quello che il Mehus afferma che videro i duumviri (Echard e Quinet), poichè tal codice è certamente della prima metà del secolo XIV, ed è curioso che un sì massiccio e grossolano errore non sia stato mai notato da alcuno, per l’innanzi.

Il Mehus nella vita di Ambrosio Camaldolense pag. 137-138 così si esprime: Guidottus Bononiensis... in his (codicibus) quum unum Florentiae [p. 14 modifica]inspexisinspexissent Duumviri, illi qui Scriptores Dominicani ordinis explicarunt, in quo prima littera Guidottum exprimit alba indutum tunica oc pallio circumdatum cinericio, addubitarunt utrum in eorum familia hominem recenserent. Notisi che non è vero che l’Echard per iscriverlo fra i Domenicani siasi valso di questo argomento, nè so come il Mehus lo possa asserire; poi continua: At non Dominicanorum sed Fratrum Gaudentium ordini, qui sub titulo S. Mariae Bononiae vigebat nomen dedit Guidottus. Su quali documenti fondi la sua affermazione non ci dice. Tuttavia non possiamo credere che egli abbia voluto affermare gratuitamente tal cosa, conoscendo quanto studioso e diligente ricercatore sia stato.

Il Dottor Ovidio Montalbani non mostra nessun dubbio a chiamarlo «Cavaliere Frate Galeotto Guidotti nobile bolognese» ed è il primo che attornii il nome di un doppio titolo e di un doppio aggiunto. Il Montalbani era innamorato della operetta di Guidotto, e tutto che pareagli potesse tornare di onore e gloria al suo concittadino, senza discussione alcuna glielo attribuiva. Il Gamba asserisce che il Montalbani è un critico di poco discernimento, e da non fidarsene, amante del pomposo, dei titoli, dell’altosonante, sì da sacrificargli anche la verità. Noi non possiamo disconoscere questa tendenza del Dottor Ovidio, ma non abbiamo del pari ragioni per credere che potesse inventare di piante ogni cosa. Aveva delle ragioni per esagerare, per il che andremo molto a rilento nello accettare la sua testimonianza, ma non possiamo rigettarla così assolutamente come fa il Gamba.

Apostolo Zeno, nelle accurate annotazioni che egli fece alla Biblioteca della eloquenza italiana di [p. 15 modifica]Monsignor Giusto Fontanini, parlando di questo frate, e parendogli molto a torto nulla dai codici poter rilevare, scrisse, «Chi fosse questo Guidotto o Galeotto non si è paranco giunti a saperlo,» ned egli si cura punto di ricercare, benchè in altri punti con molta sottigliezza ed acume definisca non facili dubbi e quistioni.

Viene appresso il Sarti, che nella sua pregevole opera: «De Archigymnasii professoribus claris» (Vol. I pag. 515) scrive: Huius nominis familta cum primis nobilis Bononiae antiquos habet lares, et fuerunt qui Guidottum hunc ex eadem progenitum existimarunt, sed nescio equidem quibus nitatur fundamentis haec opinio, quam tamen refellere neque velim, neque ausim, etsi cerio sciam nihil de familiae dignitate et splendore detractum iri, si hoc ornamento, cum iam tot aliis abundet, privetur... quo vero familiam cui nomen dederit Guidottus certe nihil statui posse arbitror. Cl. Laurentius Mehus in Ambrosii vita, affirmat in prima littera illius codicis Guidottum exhiberi tunica alba indutum, ornatum pallii cinericii coloris. Si ita se res habet profecto Dominicanis accenseri non poterit cum in comperto sit vestium colorem qui nunc est eumdem piane fuisse in ipsius dominicanae familiae exordiis: quemadmodum Cl. Mamacchius pluribus ostendit. Num vero Guidottus hic militibus Sanctae Mariae, quos Gaudentes vocabant, fuerit adscriptus, quod sine ullo errandi metu Mehus affirmavit, viderint alii. — Come si scorge il Sarti lo annovera fra i professori di Grammatica dell’Università bolognese senza dire d’onde ne abbia ricavati gli argomenti; riporta le testimonianze del Mehus, negando [p. 16 modifica]che possa essere stato domenicano, dubitando se sia della nobile famiglia dei Guidotti, tuttora esistente in Bologna.

Il Tiraboschi è il primo che ragioni su questo argomento collo spirito investigatore del critico, egli infatti (lib. III cap. X) scrive: Mi sembra probabile assai che i due nomi di Galeotto e di Guidotto, non siano già nomi diversi, nè prenome l’uno e l’altro cognome, ma che per errore de’ copisti siasi cambiato l’uno coll’altro senza però (e qui credo che abbia torto) che si abbia argomento bastante per decidere se il vero nome sia Guidotto o Galeotto... se poi Guidotto era veramente come nel passo medesimo (cioè del Montalbani) si asserisce nobile e cavaliere, è probabile assai che egli fosse dell’ordine de’ Frati Gaudenti che allora fioriva in Bologna.

Chi del nostro frate tesse la vita più lunga e fa maggior numero di supposizioni è il Fantuzzi, della quali farò un sunto, rimandando chi più ne volesse al volume IV della sua opera «Scrittori Bolognesi.» Egli comincia dal riportare le opinioni dello Zeno e dell’Echard, accenna come le idee del Tiraboschi siano nate dalla testimonianza del Montalbani, ed egli pure si accosta a queste opinioni. Non crede per altro che i nomi di Guidotto e Galeotto siano scambiati per errore di copisti, parendogli questo troppo grave errore; lo accetta francamente come frate godente senza discutere l’opinione del Mehus, anzi da questo fatto deduce, che fosse della nobile famiglia dei Guidotti. Di qui allarga il campo delle supposizioni, e accenna come probabilità che abbia in sè buon fondamento, che egli possa essere quel Guidotto [p. 17 modifica]Guidotti figlio di Martino, e marito di Bonvicina d’Andrea Pollicini, secondo il Dolfi, il quale nel 1307 fu bandito dalla patria per causa di stato, ed ebbe tre figliuoli, de’ quali il minore, frate Francesco, fu eziandio gaudente nel 1338. Difende la sua sentenza contro la opposizione che dice poterglisi muovere intorno alla avanzata età di Guidotto nel 1307, se è quello stesso che pubblicò nel 1257 circa il volgarizzamento della rettorica di Tullio, dimostrando che nella supposizione che quando pubblicò la sua operetta avesse 19 o 20 anni, l’età, non sarebbe troppo avanzata, e che forse alla sua tarda età, ebbero riguardo i concittadini richiamandolo dall’esiglio l’anno seguente alla sua cacciata. Combatte e rigetta poi del tutto l’opinione del Sarti, e spiega il nome di Maestro col quale molti lo conoscevano per la religione militare ch’egli professò, o per la fama che gli procacciò il suo libretto della rettorica nova.

Il Ginguené nella storia della letteratura italiana (lib. I, cap. VI) così scrive: Un autre professeur de grammaire et de helles lettres dans la même université (Bologna) nommé Galeotto ou Guidotto fût le premier traducteur d’un ouvrage de Ciceron en italien. Distingue i nomi e si appoggia probabilmente al Sarti per farlo professore della nostra università; e forse anche alla grande autorità del Tiraboschi che (come accennammo) è il primo che ragioni sulla materia con qualche principio critico, e ci mostri il procedimento del suo pensiero.

Il Perticari loda la squisita eleganza dell’opera del frate e ne riporta un brano nell’opera: Apologia dell’amor patrio di Dante, ma di lui non dice che i due nomi tenendoli per altro distinti Galeotto o Guidotto. [p. 18 modifica]

Il Fontani, nella prefazione che egli fece alla nuova edizione dei libri di Vegezio in Firenze 1815, vuol rivendicare a Bono giudice, dietro l’autorità del codice Riccardiano, che abbiamo citato, quest’operetta. Il Nannucci pare che sia dello stesso avviso, e prudentemente il prof. Bartoli si astiene da ogni giudizio.

Il Favaretti, nella prefazione alla traduzione della Storia della letteratura latina del Teuffel, citando il Fontani, nega a Guidotto d’aver composto l’opera e l’attribuisce al Giamboni.

Se noi prendiamo in esame le edizioni vediamo che le prime quattro e la settima concordano nel porre nel titolo il nome di eximio maestro Galeotto; la quinta, la sesta, l’ottava, la nona e l’undecima non recano alcun nome; la decima ha l’intitolazione sonante: Rettorica volgare ciceroniana del Cavalier Fra Galeotto Guidotti nobile bolognese; la dodicesima, tredicesima e quattordicesima, sono dagli editori intitolate: «Il fiore di Rettorica di Frate Guidotto da Bologna» e di dentro hanno «qui comincia la rettorica nova... per l’esimio maestro Galeotto da Bologna.» L’undecima edizione, che, come dicemmo, ci si ripresenta senza nome d’autore, è curata dal Menni che vorrebbe dimostrare che Jacopo di Bono Giamboni o un messer Bono di messer Giambono fu di questa operetta l’autore, fondandosi sopra un codice che reca a guisa di firma «libro recato a certo ordine per messer Bono di messer Giambono.» La dodicesima ha una prefazione del Gamba, il quale partendo dal principio di critica sanissima di prendere a fondamento i codici conclude niun altro nome doversi all’autore, nè altro titolo fuorchè quello di Fra Guidotto. Suppone che fosse nipote di Ansidisio Guidotto, nipote di Ezzelino podestà di Verona; nota di fievolezza i [p. 19 modifica]puntelli del Mehus e del Montalbani e fissa la pubblicazione dell’operetta fra il 1254 e il 1265.

Dopo aver lette tutte queste notizie, le quali difficilmente si possono ordinare, bisogna convenire che veramente la matassa si mostra d’assai arruffata.

Come si può scernere il vero fra tanta discordanza di opinioni? Come ritrovare il bandolo che cì guidi alla verità? Per me io credo che non vi possa essere che una sola via. Studiare i codici, tutti, e trarre da essi soli, alcuni principìi chiarì ed evidenti che permettano poi di trascegliere, quando si giunga nel vasto campo delle supposizioni, quelle le quali sono più probabili e conformi al vero. Laonde io stimo opportuno, prima di continuare più oltre e di recare alcun giudicio, di parlare alcun poco dei codici che ne rimangono, che quasi tutti, e certo i migliori, furono da me presi in esame e studiati con quella maggior diligenza che il mio tempo ed i miei mezzi mi hanno concesso; a completare questo studio bibliografico sarà utile aggiungere altresì quello delle edizioni, le quali possono pure alcuna cosa chiarire.

  1. Ediz. della Società Tipografica de’ Classici Italiani, — Milano 1809.