Gazzetta Musicale di Milano, 1842/N. 16

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N. 16 - 17 aprile 1842

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N. 15 N. 17
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GAZZETTA MUSICALE

N. 16

DOMENICA
17 aprile 1842.

DI MILANO
Si pubblica ogni domenica. — Nel corso dell’anno si danno ai signori Associati dodici pezzi di scelta musica classica antica e moderna, destinati a comporre un volume in 4.° di centocinquanta pagine circa, il quale in apposito elegante frontespizio figurato si intitolerà Antologia classica musicale.
La musique, par des inflexions vives, accentuées. et. pour ainsi dire. parlantes, exprimè toutes les passions, peint tous les tableaux, rend tous les objets, soumet la nature entière à ses savantes imitations, et porte ainsi jusqu’au coeur de l’homme des sentiments propres à l’émouvoir.

J. J. Rousseau.

Il prezzo dell’associazione annua alla Gazzetta e all’Antologia classica musicale è di Aust. lire. 24 anticipate. Pel semestre e pel trimestre in proporzione. L’affrancazione postale della sola Gazzetta per l’interno della Monarchia e per l’estero fino a confini è stabilita ad annue lire 4. — La spedizione dei pezzi di musica viene fatta mensilmente e franca di porto ai diversi corrispondenti dello Studio Ricordi, nel modo indicato nel Manifesto — Le associazioni si ricevono in Milano presso l’Ufficio della Gazzetta in casa Ricordi, contrada degli Omenoni N.° 1720; all’estero presso i principali negozianti di musica e presso gli Uffici postali. Le lettere, i gruppi, ec. vorranno essere mandati franchi di porto.

DELLE PRESENTI CONDIZIONI

della Musica 1.


Accade nella musica quello che accade in tutte le arti. Ognuno non fa stima delle cose che in proporzione della propria intelligenza. e l’intelligenza è varia secondo che è varia la misura dell’ingegno e dell’educazione.

Alcuna volta l’ingegno giova all’intelligenza anche da sé solo; ma l’unica opera sua senza la compagnia dell’altra non è che un semplice giovamento, nè può mai che riescile imperfetta in quanto che, essendo tutte le arti, o meglio le discipline delle arti originate da una serie di cognizioni venute dall’esperienza, chi coll'educazione non s’acquista il tesoro di queste, per quanta sia in lui la vigoria dell’intelletto, 11011 potrà mai dire con diritto di possedere una vera intelligenza. Non essendo poi l’ingegno che un elemento necessario per ottenere il buon effetto dell’educazione, perocché l’educazione ove manchi l’ingegno è nelle arti come il seme in terreno infecondo, si può ragionevolmente concludere, che l’intelligenza sta in sola perfetta proporzione colf educazione, la quale riesce maggiore o minore secondo che maggiore o minore è l'ingegno dell’educato.

Sono mille gli esempli che possono recarsi a conferma di ciò che annunciamo e vogliamo addurne qualcuno, non per dir cose nuove, ma per meglio illuminare il ragionamento che stiamo per fare. Un uomo dotto, un uomo studioso, un uomo dedito alle speculazioni della filosofia si diletta, si ricrea, s’alimenta alla lettura d’un libro dotto, d’un libro profondo, d’un libro severo, che ammaestra sulla natura degli uomini e delle cose, mentre un grillincervello, una di quelle teste lievevolanti. pigliando alle mani quel libro, s’addormenterebbe non più innanzi delle prime pagine, e pieno di convinzione come un penitente vi direbbe: questi scritti dei sapienti sono pure i cataplasmi del sonno!

Un uomo educato alla poesia, colla viva immaginazione, con quella favilla nell’anima che s accende alla luce del genio, trova inestimabili, venerande, divine le pagine dell'Alighieri, del Petrarca, dell’Ariosto, del Tasso, mentre uno dei viventi Sardanapali della moda, che non leggono altri versi che quelli dell’Opera, trova preferibili le belle quartine d una cabaletta od un articolo da teatro a tutte le stupende immagini di quei patriarchi dell’alta poesia.

Un lettore popolare, un lettore operajo, un lettore illetterato, che non prende i libri che per ingannare il tedio dell’ozio che gli lasciano le sue occupazioni, si compiace grandemente e stima senza confronto più una commedia da maschero, e da Arlecchini, che la bellissima delle tragedie d’Alfieri, che il bellissimo dei drammi di Metastasio: stima più le avventure di Teresa e Giaufaldone che tutti i più bei capitoli delle nostre storie romantiche.

Una signora anche delle più gentili, delle più sentimentali, delle più educate, a cui si proponesse la lettura di Metastasio e dell’Alfieri per averne il suo giudizio, per sapere a quale dei due porgerebbe la corona, si può scommettere cento contro dieci che ella anteporrebbe l’autore della Dizione a quello del Simile.

Lo stesso Voltaire, il quale, perché straniero, non era cosi addentro nella lingua italiana per comprendere le involute ed antiche maniere di Dante, aveva di lui assai minore opinione di quella non avesse del Tasso. E questa una prova, a cui potrebbero aggiungersi molte altre, che anche un ingegno titanico non vale a ben discernere nelle cose che non si conoscono profondamente.

Chi poi con occhio esaminatore passeggia al tempo delle pubbliche Esposizioni le sale della nostra Pinacoteca, vede ad ogni momento, ad ogni passo più e più esempj di ciò che ragioniamo. Mentre gruppi di persone numerosissimi s affollano intorno alle tavole che non sono il più sovente che i primi tentativi d’un pennello discepolo ed inesperto, i migliori dei dipinti degli antichi e moderni capiscuola non sono degnati nemmen d’uno sguardo} ed il medesimo sposalizio di Raffaello si rimane al suo posto quasi sempre inosservato come che fosse una veste od un arredo fuori d’uso.

I varj pubblici de’ molti de’ teatri diurni e notturni, anch’essi, come a tutti è noto, danno di ciò altre moltissime prove. Quando un attore comico esagera oltre ogni verità gridando e gesticolando con quanto potere ha in corpo, quando un attore cantante esagera facendo lo stesso, allora gli uditori di grossa pasta assordano la vòlta del teatro e la volta de’ cieli cogli urli dell'entusiasmo. mentre lo spettatore intelligente, solitario nel suo angolo del silenzio, anzicché secondare il voto degli altri, s’irrita e s’indispettisce con l’attore perché vede che ha tradita l’arte sua.

Così vanno, né possono andare altrimenti le faccende della soavissima delle arti. Chi collo studio e colla pratica non è educato all'intendimento della musica dantesca, della musica petrarchesca, della musica alfieriana, non può apprezzare, non può gustare, non può comprendere le bellezze di quella musica. Sorella della poesia, essa ha lo stile semplice e lo stile complicato, ha lo stile comune e lo stile sublime, ha lo stile facile e lo stile elaborato, ha finalmente lo stile dei dotti e quello degl’indotti. Ue maniere di questo stile dei dotti non si possono conoscere clic con una lunga e studiosa educazione. Chi senza di essa presume giudicare delle opere della musica, non è né più né meno d’un idiota, che volendo giudicar di poesia trova pessima la Divina Commedia perché non la può comprendere. Il paragone è incontrastabile. Volendo poi trattare dei lavori delle arti con una critica assennata e sicura, l’educazione rendesi un sine-qua-non indispensabile come la luce a chi vuol distinguere i colori, perciocché la critica non consiste nell'asserire come si fa d’ordinario: questo è bello, questo è brutto, questo è sublime, questo è triviale, questo è espressivo, questo insignificante: la critica sta nell’indagare, nell'esaminare, nel far conoscere le ragioni elementari, le ragioni tecniche per cui un’opera è lodevole o biasimevole. Non è sull'effetto che il critico dee versare le sue parole, ma sulle cause che producono gli effetti. Conoscendo le cause, allora egli adempirà l’officio della critica quando dirà all’artista: voi avete avuto quest’esito sfortunato perché avete agito così piuttosto che nel contrario modo: voi avete avuto un felice risultamento perché avete adoperalo i mezzi dell’arte con accorgimeli o estetico e coi principj della filosofia. Il critico adempirà l’officio suo quando istruirà i cultori delle arti colle considerazioni e coi ragionamenti della sapienza, non semplicemente lodando o vituperando alla cieca come di consueto si usa. Ue ragioni artistiche 11011 sono fantasie da visionarj, né cose di si facile percezione che possano dà sè concepirsi anche dai fanciulli, né sono di si poca importanza che possa disconoscerle chi voglia condegnamente trattare la critica. Quando le arti s’addentrano nelle intimità de’ riposti loro artificj, nelle quali il critico dovrebbe pur penetrare, allora vestendo un carattere più nobile, si cangiano in scienze. Perciò quel buon uomo del vecchio Aristotile, che a quanto pare [p. 66 modifica]pensava assai diversamente dei nostri aristarchi teatrali, e che insieme a tutti i i commentatori della sua metafisica diede alle arti l'origine per noi accennata, facendo dalle sensazioni nascere la memoria, da molte memorie l’esperienza, e da molte esperienze l’arte o meglio il codice d’ogni arte, disse, valendomi delle parole del Tasso, che ancora possiamo onorar l’arte col nome di scienza, e di prudenza epperò soventi volte ha egli, confusi questi nomi d’arte e di prudenza, e di scienza e di sapienza. Perciò quella buona gente degli antichi, che sapevano troppo meno di certi moderni giudicatori, avean fatto delle arti altrettante divinità uscite dalla parte più nobile del maggior degli Dei, dall'intelletto; e quel povero fattor di versi di Dante Allighieri che già più volte fu nominato, non per altro che per questo scrisse quell’endecasillabo:

Però nostra arte è a Pio quasi nepote.

É chiaro che con queste immagini si voleva dare alle arti un’altezza di filiazione che le rendeva sorelle della sapienza. Se negli arcani della sapienza intendessero que’ nostri padri come s'intende odiernamente, che possa ogni primo venuto mettere le mani prima degli occhi, e montando la sedia della dittatura proclamar come legge la propria maniera di sentire e di vedere, è una questione che non ha bisogno d'essere spiegata.

Se una simile opinione portino quei molti, che privi d'ogni pratico erudimento dettano colle parole e cogli scritti sentenze inappellabili sopra ogni specie di geniali produzioni, noi lo lasciamo argomentare a chi può vederlo senza l’ajuto degli altrui pensamenti.

Se si possa nelle arti fare un giudizio illuminato senza la menoma artistica coltura, senza un’artistica intelligenza che vi guidi a scoprire le virtù e le imperfezioni, anche questo sarà manifesto finché migliori argomenti non verranno a distruggere quelli che per l’amore del vero ci siam provati di fare. Se come in tutte le arti si possa nella musica costituirsi giudice, non per lunghi esercizj durati sugli spartiti e sulle note, sugli strumenti o sul canto, ma solo perchè si frequentano da anni le rappresentazioni del teatro senz’aver mai avuto in pensiero di conoscere quante siano le note, quanti gli accidenti; che sia armonia, che sia melodia; che sia tempo debole, che sia tempo forte; che il contrappunto, che il ritmo; che in somma le prime cose che s’apprendono dagli elementi dell'Asioli. questa è pure tal cosa che non ha d’uopo di parola per essere provata. Considerando solo che tutte le arti sono sorelle e che tutte hanno i loro segreti misteri, ne viene di conseguenza che senza una positiva istruzione non se ne può confondatamente parlare. È una verità che non parrà la più bella né la più giusta ad alcuni amor proprj, ma è una verità che si può ardire di sostenere contro ogni opposizione.

Non è quindi meraviglia se tante e sì diverse opinioni si vanno tutto dì professando intorno alle attuali condizioni della musica italiana; e se coloro che pure hanno per sé un distinto talento naturale, ed anche alcuna volta una ricca ed invidiabile suppellettile letteraria, perché digiuni d’una vera coltura musicale, inciampano non di rado nelle più pazze sentenze che sono precisamente il rovescio del vero. Non è meraviglia se alcuni che non istimano l’arte se non per quello che è, o per quel che ne sanno, non sapendo immaginarsi quello ch’ella può divenire, credettero una vanità l’opera per alcuni intrapresa di condurre la musica nostra al suo più alto segno possibile, prima rifinendola da una via di sterilità e di perdizione per cui erasi da qualche tempo incamminata, poscia col consiglio della saviezza procacciando di arricchirla e rafforzarla di quanto di bello e di giovevole si comprende nelle scuole degli altri popoli, onde alla spontanea e vergine favella della natura che canta sulle labbra italiane nulla mancasse del potente magistero dell’arte. Di chi professava quest’avviso noi avemmo un esempio recente anche in queste medesime colonne2. Ritornando su questo argomento noi tenteremo di provare com’esso sia posto su fallaci principi, e verrem poscia mostrando quali miglioramenti possono introdursi nel sistema di composizione dai nuovi maestri adoperato.

Geremia Vitali.



DISCUSSIONI MUSICALI

Alcune osservazioni sull'Articolo Della Musica drammatica italiana nel secolo XIX, del signor C. MELLINI (Vedi Gazzetta Musicale N. 5)

Permettete sig. C. Mellini che io rammenti il seguente periodo del vostro articolo sovraindicato “Ci staremo per ora contenti all’accennare, tanto per far luogo alle altrui osservazioni, che grato ci sarebbe di veder pubblicate da chi sente differentemente da noi”. Questo nobile desiderio mi assicura che troverò in voi un polemico ben altro che prosontuoso, ed amante dell’arte bella di cui prendete a parlare più che tenace della vostra opinione; io non esito quindi a costituirmi creditore della vostra promessa gratitudine pelle osservazioni che farò sul vostro scritto a mo’ di postille, e che sottopongo al giudizio vostro e degli altri intelligenti dell’arte musicale, singolarmente a quello dell'egregio redattore della Gazzetta.

Voi opinate che la Musica drammatica abbia a’ nostri di tocco il sommo grado per essersi spogliata di molti abusi e nondimeno aver posti, in opera tutti i mezzi strumentali e con tanta discrezione e maraviglioso effetto fattone uso. — Che ai giorni nostri la Musica tenda al drammatico, al declamatorio, abbenchè in generale con molta titubanza, pare incontrastabile; che abbia tocco il sommo grado in qualche scena di qualche Opera, anche in qualche (rarissimo) atto intiero si potrà asserire e forse anche provare; che generalmente e con esempi di intiere Opere abbia tocco il sommo grado di perfezione, permettete che io tema contrario l’esperimento che venisse fatto coll’analisi estetica. -Ma per coonestare questo mio timore bisogna che vi dichiari che nel mio, forse erroneo, opinare parto dal seguente principio: che stia cioè il sommo grado di perfezione della Melo-drammatica in quella cotale difficilissima fusione de’ mezzi poetici, melodici ed armonici, vocali ed istrumentali, per cui la parola alla musica e questa a quella prestano le rispettive forze e di espressione e di imitazione; allo scopo di formare un tutto che ti commova e ti alletti insieme, fusione che richiede nel compositore niente: meno che - estro poetico (non librettistico) - fantasia melodica - scienza armonica - cuore suscettivo di sentire in tutte le svariatissime fasi di passioni - fino criterio e tatto scenico - profonda cognizione della declamazione - idee ben distinte e chiare della musica puramente melodica o melo-drammatica e della musica puramente drammatica...Ma...nell'accennare a questa prerogativa, che quanto le altre accennate è indispensabile a costituire un eccellente compositore, un creatore di opere melodrammatiche che tocchino il sommo grado, mi cade in mente il famoso Definissons les mots, precetto aureo la cui assai frequente trasgressione è fonte copiosissima di chiacchiere vuote invece di sodi ed utili ragionamenti nelle scentifiche od artistiche disquisizioni. Sì, io sarei d'avviso non siasi ancora bene distinta la musica a forme meramente melodiche dalla musica esclusivamente drammatica; non siansi determinati i limiti ove la musica comincia a cessare di essere esclusivamentemmelodica per essere drammatica e viceversa (giacchè una cessazione totale di melodia io crederei sia sinonimo di cessazione di musica), e dubito quindi, forse non senza solido fondamento, non siasi finora definita in modo abbastanza chiaro la musica drammatica toccante il sommo grado, la musica insomma in tutta la forza del termine melo-drammatica.

Che il chiarire questa ida sia indispensabile a progredire nelle disquisizioni onde si fa carico la Gazzetta musicale, con speranza di vantaggio all'arte e di guida ai maestri compositori, io crederei poterlo dedurre e dai molti dispareri e dalle titubanze nella dichiarazione delle rispettive opinioni, ed in qualche non rarissima contraddizione che incontrasi qua e colà negli scritti de' benemeriti che si adoperano a giovare de' loro lumi l'arte musicale. Permettete adunque o chiariss. sig. Mellini che io interrompa qui le osservazioni su varj altri punti del vostro articolo per invitare voi o chi altri fra i valenti collaboratori della Gazzetta a dare per quanto sarà possibile, esatta la definizione e le distinzioni sovraccennate, lusingandomi di acquistare un po' di benemerenza con questo invito, non che i necessari lumi per progredire con sicurezza pari alla schiettezza che posso francamente promettere nel portare la mia pietruzza al riattamento dell'edifizio musicale, nel quale vi prego intanto permettermi di non ammettere si facilmente tutte quelle idee di attuale perfezione, di sommità, di ottimismo che il lodevole vostro amore caldissimo dell'arte vi fa concepire, e che vi fanno sembrare riprovevoli i lamenti degli scrittori, mentre spererei potervi convincere esservi luogo al dolersi con molta verità.

A meglio chiarire la soluzione del quesito che propongo ai dotti zelatori dell'arte bella crederei opportuno, non che forse necessario il presentare qualche esempio comparativo con tavole illustrative; e il benemerito Editore della Gazzetta non dubito si presterà volentieri, sì pel lodevole suo impegno, sì perché già prometteva nel programma questo efficace sussidio.

Siano pure confutati con sode ragioni i miei ragionamenti fatti e quelli che farò sul vostro articolo, vi sarà sempre guadagno per l'arte, perché verranno con ciò tratti d'errore tutti quelli che dividono le mie opinioni. Non sarò tenace se non che nell'opinare vi sia dovuta la stima onde mi protesto.

Borgomanero 28 febbraio

Vostro deditissimo

NICOLÓ EUSTACCHIO CATTANEO

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STUDJ BIOGRAFICI.

CHERUBINI

(Continuazione; veggasi il N. 15).

Colla legge del 4 Agosto 1795 stabilitasi definitivamente l’organizzazione, del Conservatorio di Musica, a Parigi. Cherubini, Gossek, e Mehul furono nominati inspettori dell’insegnamento, ed a Sarrette, il quale pel prima concepì il progetto di quell'utilissimo stabilimento, e colle infaticabili sue cure ne promosse l’instituzione, venne affidata la direzione della parte amministrativa. Quel posto fu il solo che per lungo tempo Cherubini ebbe ad occupare, stantechè Napoleone, il quale come tutti sanno, lo vedeva di mal occhio, nessun favore gli impartì ne’ giorni della sua grandezza. Da taluno si volle attribuire una tale dimenticanza ed antipatia pel maestro di genio, all’aneddoto che siamo per raccontare.

Poco dopo l’organizzazione del Conservatorio, il direttore fu avvertito che il generale Bonaparte desiderava si eseguisse una marcia di Paisiello ch’egli aveva portato dall’Italia. Sarrette stimò opportuno approfittare di quella occasione per far sentire al prode Generale l’orchestra e i cantanti del Conservatorio in una composizione di maggior importanza; e perciò scelse una cantata da Cherubini composta pe’ funerali del generale Hoche, lavoro di merito non comune. Bonaparte ebbe dispetto che gli si desse più di quanto avea domandato, e forse a lui non troppo garbò udir cantare le lodi di Hoche. Comunque fosse si mostrò di mal umore e dopo l’accademia, avvicinatosi a Cherubini che l’avea diretta, fece i più grandi elogi di Paisiello e delle Opere di questo maestro a lui al sommo accetto e che egli qualificava siccome il primo di tutti i compositori; e per togliere a Cherubini che nell’opinione sua gli potesse toccar il secondo posto, si affrettò a soggiungere che dopo Paisiello ei prediligeva Zingarelli. Da quel momento tutte le volte che Napoleone parlava a Cherubini, non senza affettazione, cominciava sempre dal fare l’elogio de’ due maestri or citati.

Molti pretendono eziandio che il Cherubini, al tutto alieno da’ modi cortigianeschi, ed alquanto ruvido per indole, un giorno a proposito di alcune bizzarre osservazioni sulla sua musica fatte dal primo Console, che non poteva perdonare a un italiano di non far musica puramente italiana, gli dicesse con alquanto di risentimento - Cittadino Console, voi immischiatevi a riportar delle vittorie, e lasciate fare ame il mio mestiero, del quale voi punto non v’intendete. -Un’altra volta Bonaparte invitatolo a pranzo, secondo il solito gli parlò di Paisiello e più che mai si mostrò entusiasta della soave musica di quell’autore aggiungendo - Voi avete molto talento, ma i vostri accompagnamenti sono troppo forti - Cittadino Console, gli rispose il maestro, ho cercato di adattarmi al gusto francese. Paese che vai, usanza che trovi. Quindi Bonaparte essendosi manifestato che amava la musica monotona - Ma, cittadino Console, gli soggiunse Cherubini, la monotonia in qualunque arte è un dfetto. - Allora il gran capitano spiegò che cosa intendeva per musica monotona - cioè quella musica tranquilla che soavemente lo lusingava - Capisco, replicò Cherubini, voi amate la musica che non vi impedisce di pensare agli affari di stato. Così terminò la conversazione che non parve dar troppo piacere al cittadino Console. Napoleone ritornò alle sue vittorie ed il franco e tenace Cherubini a’ suoi spartiti, ed all’ammaestramento.

Luigi Cherubini dopo aver prodotto alla Grand-Opéra l'Anacreonte nel 1803, e la musica d’un ballo intitolato Achille in Sciro, per migliorare il suo stato accettò l’impegno di recarsi a Vienna, e là soggiornò più di un anno e a quel teatro imperiale nel 1806 fece rappresentare la Faniska, in cui introdusse alcuni frammenti del Koukourgi. Le elevate bellezze di quest’Opera eccitarono l’ammirazione de’ più grandi artisti di Vienna: e per essa Haydn, che in seguito volle chiamare Cherubini col nome di figlio, e Beethoven, come si asserisce nella Biographìe universelle des Musiciens, lo proclamarono il primo compositore drammatico de’ suoi tempi; ed i maestri francesi, compreso l’istesso Mehul, annuirono a quella opinione tanto onorevole.

Napoleone, dopo la vittoria di Austerlitz, entrato in Vienna, fece chiamar Cherubini e lo accolse con bastante benevolenza da non pronunciare, come sempre aveva fatto, il suo nome alla francese. - Perchè siete voi qui? gli chiese - Fui incaricato di scrivere due Opere. - Avete avuto il permesso de’ vostri superiori? - L'ho ottenuto dal Ministro - Ebbene giacché vi ci siete, faremo musica, e dirigerete i miei concerti. Infatti ne diede varj, e ad uno si mostrò assai inquieto, e finì coll’esclamare - Cherubini, l’ orchestra suona troppo alto. Sire, io posso assicurarvi ch’essa è in accordo perfetto. - Quando io dico che suonano troppo alto intendo troppo forte e che fanno un eccessivo fracasso. Cherubini ordinò che suonassero pianissimo, e la serenità riapparve sulla fisonomia del possente amatore della musica soave. Forse il gusto esclusivo dell’imperatore per la musica dolce, placida e piacevolmente lusinghiera ha contribuito a far scoprire a Cherubini quella curiosa forma di decrescendo, di cui lasciò de’ modelli tanto notevoli nelle sue composizioni religiose. Nessuno prima di Cherubini, come ben osserva Berlioz, e nessuno dopo di lui, ha meglio posseduto la scienza del chiaro-oscuro, delle mezzetinte, della graduata diminuzione di suoni; applicata essa ad alcune parti essenzialmente melodiche delle sue messe gli die’ modo a produrre delle vere meraviglie di espressione religiosa e scoprire de’ finissimi artifizj nell'istrumentazione.

Ritornato a Parigi, una gagliarda febbre nervosa lo travagliò pel corso di diciotto mesi, per il che ogni applicazione alla musica gli venne dai medici proibita. Cherubini si abbandonò allora ad una profonda melanconia, per distrarsi dalla quale gli venne suggerito di studiare la botanica: il che gli riuscì di gran vantaggio ed in poco tempo egli più non pensò che a’ fiori ed alle erbe. La passione per la scienza di Linneo, sembrò ben anco durare in lui al di là della malattia che la fece nascere, ed allorquando interamente ristabilito a Chimay presso il principe di Chiney, avrebbe potuto riprendere i suoi lavori musicali interrotti per sì lungo tratto di tempo, non fu che per cedere alle continue istanze de’ suoi ospiti e del suo allievo ed amico Auber, ch’egli alla fine si decise a comporre una messa. L’esperimento fu felice e mirabile il risultato: giacché immaginò la messa solenne in fa a tre voci sì pura, sì grande, uno de’ capolavori del genere. Il pensiero che lo diresse in quella composizione non aveva analogia veruna con quello che inspirò tutta la musica dell’antica scuola romana, la quale in certo qual modo basava le rigorose formole del contrappunto sull’emanazione del sentimento che convenivasi alla divinità, scevro da ogni passione umana. Cherubini al contrario volle che la sua musica religiosa esprimesse il senso drammatico del sacro testo, e fosse come un omaggio che l’uomo nelle varie sue vicissitudini offrisse a Dio, adornato di tutti i nuovi effetti che l’arte nel suo progredimento ha ritrovato. Ma nel dar vita ad una tale idea appalesò un sì grande ingegno, congiunse in siffatta guisa le severe bellezze del l’armonia e l’imponenza e la varietà dell’istromentazione colla conveniente espressione melodica degli affetti, che in questo genere è rimasto senza rivali.

Ridonato al lavoro Cherubini, pieno di confidenza nella forza e nella freschezza della sua immaginazione, nel 1809, pel teatro delle Tuilleries scrisse il Pigmalione, eseguito dalla Grassini e da Crescentini. A questa bell’Operetta italiana, che si discostava dalle altre produzioni dell’autore, tenne dietro nel successivo anno il Crescendo all’Opéra Comique, che non aggradì 5 e nel 1813 gli Abencerragi alla Grand'Opéra; il cui successo fu interrotto dalle notizie de’ disastri di Mosca. In quest’ultima Opera avvi l’aria - Suspendez à ces murs mes armes - indubitatamente una delle più belle cose di cui possa vantarsi la musica drammatica dopo Gluk: nulla ad un tempo stesso di più nobile, di più vero, di più profondamente sentito. Non si sa in essa se debba maggiormente ammirarsi il patetico recitativo, o la tenera e commovente melodia dell'andante, o quella straziante dell’allegro finale. - Cherubini musicò pure varj brani dell’Oriframma e del Bajardo a Mezieres, Opere di circostanza messe insieme da varj autori con ogni sollecitudine e fra le tumultuose agitazioni dello straordinario cambiamento politico. Un solo pezzo dell’Oriframma ancor si ricorda per esser stato eseguito varie volte al Conservatorio di Parigi or sono otto o dieci anni. E un coro compito con quel sistema di decrescendo di cui abbiamo più sopra parlato e che rapì tutto l’uditorio pella sua dolcezza e spiccata originalità. Considerando gli effetti veramente deliziosi che seppe trarre Cherubini dalla voce e dall’orchestra nelle varie modificazioni dei pianissimo, mercè l’elevatezza delle sue melodie i fini e delicati artifizj della sua istromentazione, la grazia e spontaneità con cui le sue armonie e modulazioni s’intrecciano e susseguono, è quasi permesso provar rincrescimento ch’egli abbia molto più scritto in una opposta maniera di gradazioni. Ne’ suoi pezzi energici anche delle messe, qualche volta sono affidati all’orchestra de’ movimenti bruschi e duri che non convengono gran fatto alle situazioni del dramma e molto meno allo stile religioso.

La Restaurazione sopravvenne ad aprire una via novella al suo raro ingegno e a rimunerarlo dalle ingiurie della fortuna. Bordogni fu nominato a succedere a Martini nella carica di sopraintendente della musica del Re. Ne’ Cento giorni Napoleone, che tanti favori aveva compartiti a Paër, mostrossi verso Cherubini meno contrario, lo decorò dell’ordine della legion d’onore ed avendo aumentato il numero de’ mem[p. 68 modifica]bri dell’Accademia delle Belle Arti, lo elesse a membro dell’Istituto. Nella seconda Restaurazione trovò realizzate le lusinghe compite dalla prima: morto Martini gli succedette, e con Lesueur disimpegnò l’incarico surriferito. Allora egli ha potuto a tutt’agio dedicarsi esclusivamente a un genere ch’egli prediligeva, e nel quale s’era già distinto colla pubblicazione della sua messa a tre voci. Un gran numero di ammirabili composizioni sacre egli scrisse per la cappella di Luigi XVIII che lo creò cavaliere di S. Michele, e per quella di Carlo X dal quale fu innalzato al grado di offiziale della Legion d’onore. Tutto il mondo musicale conosce le sue messe, preghiere, antifone, i suoi mottetti, i salmi, fra cui la superba messa solenne dell’incoronazione di Carlo X, ove ammirasi la sublime marcia della communione tanto bene definita da Berlioz, ed il primo Requiem a quattro voci principali con coro ed orchestra eseguito per la prima volta ai funerali del duca di Berry, del quale (e per incidenza anche del secondo) informeremo i nostri lettori, adoprando le parole dell’istesso autore delle Sinfonie fantastiche.

I. C.

(Si darà il fine nel prossimo foglio).



LETTERATURA MUSICALE.

IL MELODRAMMA II ITALIA

Cenni storici

(ART. II, vedi il foglio N. 8 di questa Gazzetta)


L’ultima epoca descritta nel nostro articolo precedente sulla storia del melodramma in Italia fu riguardata da’ critici del passato secolo la più felice ed aurea non solo per gli eccellenti maestri che in quella fiorirono, ma perchè anche la poesia lirico-drammatica salì a que’ dì ad eminente, bontà per opera di alcuni egregi scrittori che la nobilitarono quanto a’ soggetti, la migliorarono quanto alla forma, e la resero non meno verso di sè bella di quello che conveniente e gradevole riuscisse accoppiata alla musica. I primi buoni saggi di riforma del dramma lirico furono dati in Francia da Filippo di Quinault, poeta che meritava per verità di essere meno straziato dalla penna velenosa di Boileau. Egli che visse a’ tempi di Giambattista Lulli, portò al melodramma tutte quelle forme migliori e musicabili di che è capace la lingua francese; e dal suo esempio possiamo riconoscere quanto di meglio ne operarono nella loro lingua gli italiani, i quali per dono della natura possedendo un idioma dolce e sonoro, poterono alla più perfetta convenienza colla musica avvicinarlo. Fu dato però bando a soggetti meramente fantastici e favolosi, e al prestigio delle macchine e trasformazioni continue, e in luogo di queste cose s'incominciò a trattare il dramma nella nobiltà degli storici fatti antichi, riducendone l’apparato scenico al maggiore effetto verosimile, imitando per bel modo i costumi, foggiando la rassomiglianza de’ luoghi, e ottenendo così il ragionevole effetto di una illusione tanto più vera quanto meno forzata e prodigiosa.

Allora s’avvidero i poeti e compositori di musica che per una sol via poteva l’arte essere migliorata con gloria di chi vi si adoperasse, e che questa era quella degli affetti e della commozione. Il primo fra’ poeti che seguisse con lode questa via fu Apostolo Zeno antecessore di Metastasio alla corte cesarea; ma il suo genio parea meglio dalla natura essere inchinato alle forti passioni di quello che alle tenere e commoventi, alle quali con maggiore incantesimo suole la musica accoppiarsi. I suoi melodrammi più celebri furono l’Andromeda fra gli eroici, fra i faceti il Don Chisciotte, e fra i sacri, del qual genere con più frequenza e con maggior successo si occupò furono il Sisara, Tobia, Naman, Daniello, Davide umiliato e Gerusalemme convertita. Il suo stile è più da comendarsi dai letterati che dai compositori di musica e la sua lingua è forbita ed elegante anche più di quello che la musica mostri desiderare. Al qual proposito possiamo per esperienza osservare che la musica siccome circoscitta alle diverse combinazioni di sole sette note, in certo modo disdegna che la poesia sfoggi in tutta l’abbondanza de’ vocaboli, nè mai si è veduto poeta nessuno che abbia scritto per musica riuscire a lodevole fine se siasi tenuto prosciolto da certi vincoli e leggi che la musica ad ogni patto richiede. Se poi questo punto di perfezionamento della musica accoppiata alla poesia sia da potersi toccare mercè la mischianza delle forme musicali italiane col grave e severo dell’armonia tedesca, come opinano alcuni dotti contemporanei, sarà a verificarsi in appresso. Nè taceremo che qualche buon saggio rispetto alla musica ne sia già stato dato; solo ci permettiamo dubitarne quanto alla poesia, che oggi vediamo tanto arretrarsi nelle buone forme letterarie e di stile, quanto la musica più procede in questa lodevole fusione.

Ma richiamare le arti alla perfezione con dottrine e precetti non fu mai vanto d’alcuno; d’uopo è che secoli interi di sperienze e vicende portino quasi per una certa necessità le salutari riforme; solo l’opporsi agli abusi può mantenere in atto il progresso, ed è questo il solo precetto e la dottrina che la critica deve e può propagare con lode. E di vero quello che la musica potè operare sulle forme poetiche più letterarie di Apostolo Zeno fu assai meschina cosa in paragone di quanto seppero trarre di partito i Vinci, gli Hasse, i Caldara e i Pergolesi dalla poesia di Metastasio meno per istile e per lingua forbita. Noi però ci faremo a riguardar più dappresso quest’idolo poetico, questo maraviglioso Metastasio, che diede al mondo una nuova poesia melodrammatica, che fu quella del cuore, degli affetti, dell’amore. Sopra qualunque oggetto egli si fermasse colla mente, qualunque fenomeno della natura che prendesse a considerare, egli ne usciva con sentimenti poetici di tanfa inspirazione e candore, pieni di cotanto affetto, e spiranti tanta passionata melanconia da commoverne al pianto ogni più duro cuore e restìo. Chi rassomigliasse le sue ariette a piccole sculture di greco scalpello lavorate per mano di ingegnosissimo artefice dell’antichità, non farebbe forse un paragone conveniente a tanta perfezione di fattura, a tanta spontaneità e scorrevolezza di vena, a tanta abbondanza di concetto, quanta Metastasio ne spiega in quelle sue strofe carissime. Hai tu il cuore oppresso dagli affanni? sei circondato dalle miserie della vita raminga? vien meco a piangere su quelle pagine preziose, noi troveremo un dolce ed invidiabile conforto.

Nè solamente sono da ammirarsi in Metastasio questi pregi, ma quelli della varietà di stile conveniente ai soggetti, della scienza della favola, della sodezza de’ filosofici sentimenti, dell’eloquenza, della brevità, della chiarezza e dell’ordine. Lungo sarebbe il recarne esempio, e per avventura non bisognano, trattandosi dell’autore più popolare che abbia la storia delle lettere nostre. Questo eletto ingegno non perdette mai di vista che egli scriveva per la musica ed a questo fine seppe soggettare le sue forme poetiche e grammaticali e si uniformò a quelle leggi indispensabilmente richieste dalla musica, ed a quei sacrifici che in lui appaiono naturali e spontanei, tanta è la maestria che egli usò nel trattarli. Or qui noi non ci cureremo di produrre il catalogo delle sue opere, nè tampoco di accennarne le più eccellenti, chè di poche ci sarebbe dato passarci in silenzio, e con poco fruito stancheremmo i lettori. Nè i suoi diffetti come tragico o drammatico annovereremo, nè quelli che la critica ha rilevato nel suo modo di trattare l'amore, o nelle forme letterarie meno eleganti, o in alcune espressioni scorrette e di eccessivo concetto; solo deploreremo che a quei dì la musica non fosse per anche giunta con tutto il valore de’ suoi mezzi a poter pretendere dalla sua superba compagna quel grado di perfetta egualità e sorellanza che avrebbe compito il perfezionamento del melodramma. Fino a tutta l’epoca di Metastasio possiamo affermare avere la poesia conservato sopra la musica una maggioranza nocevole ai progressi del melodramma; e chi esaminerà le opere di Metastasio, come chè belle per sè le ravvisi, non potrà però a meno di riconoscerle insufficienti a’ que’ maggiori effetti drammatico-musicali de’ quali siamo noi stati e siamo tuttavia spettatori all’età nostra. Or quale ispirazione potrebbono oggi dare a un compositore que’ concetti piuttosto poetici e filosofici che drammatici. di quelle strofe aggirate sopra una similitudine tolta per lo più da’ fenomeni naturali, felicemente concetta e trattata se a parte la consideri, freddamente immaginata e descritta se l’applichi alla musica in tutte le sue qualità drammatiche e nella forza de’ suoi mezzi completi? Nè di questo si deve far carico a quel sommo poeta, ma alla sorte dei tempi, alla condizione contemporanea dell’arte. A quei dì la musica non peranco avea incominciato ad allargarsi concertando l’insieme di molte parti distinte intese tutte a un sol soggetto di scena; i quali titoli potevano acquistarle un diritto di pretendere dalla poesia alcuna ulteriore modificazione di forme a lei più convenienti. Aggiungi che a’ que’ di il dramma stesso non si conosceva nelle sue qualità di scenico effetto, nel prestigio di certi trovati meravigliosi che eccitano e danno anima a tutta l’azione. Cbi non vede perciò che alla musica d allora perfettamente conveniva quella poesia? e chi non ravvisa d’altra parte che la musica aumentata di mezzi e migliorata di forme sdegnerebbe eziandio l’eccellente poesia metastasiana? Però i maestri che resero in musica i drammi di questo poeta operarono quel meglio che poterono dal loro ingegno ottenere e dalla condizione dell’arte d’allora,- e Metastasio scrivendo per la musica di quel tempo tenne quel modo che non gli avrebbe conteso di seguire se non un ulteriore avanzamento della musica per sua opera incominciato, ma non per anche compiuto.

Questi vantaggi e progressi ulteriori del melodramma doveano essere affidati a’ poeti che seguirono Metastasio e che vennero dietro a lui imitandolo; ma a ciò erano richiesti ingegni elevati e potenti da poter mantenere la poesia a livello della musica che già procedeva avanzandosi mirabilmente. [p. 69 modifica]Ma questo punto non si verificò per cagione che gli imitatori (come è loro destino) si mostrano tanto freddi e disanguati, tanto puerili, e praticanti che la poesia melodrammatica scadde dallo splendore in che era salita, e la musica che pur seguiva le sue traccie di progresso non fu più conveniente a quelle forme poetiche; ed ecco come non senza cagione si giudicò che a Metastasio seguisse un’epoca di decadenza della musica e poesia drammatica. Lamentavano i maestri di non aver modo di svegliarsi a nobili inspirazioni, e s’attenevano ad un fare più di pratico magistero che di drammatica espressione. Si minacciava un divorzio fra la musica e la poesia, e la critica andava pur celebrando e proponendo ad imitare la maniera de’ tempi felici di Leo e di Pergolesi. Ecco il giudizio che dà della musica de’ suoi tempi il padre maestro Martini 3: «La nostra musica ha per iscopo principale ballettare e pascere il senso e trarre in ammirazione gli ascoltanti mercè le finezze dell'arte praticate in tutte le sue parti; che se qualche rara volta giunge a produrre buono effetto, per essere caso raro, ci fa conoscere che a ella intrinsecamente e di sua natura non possiede questa attività». Che possiamo noi da queste parole inferire se non che la musica era in progresso, e che per non trovare esca proporzionata e conveniente nella poesia, non poteva che valersi de’ suoi mezzi meccanici e scolastici, e i drammatici lasciare a parte? Quali altri effetti potevano aspettarsi da questa necessità de’ tempi se non quelli lamentati dal padre Martini? Ma a questa sproporzionata condizione della musica in progresso colla poesia in decadenza fu in parte posto conveniente rimedio per opera del famoso Gluck, il quale sopravisse lungamente all’epoca di Metastasio ed esercitatosi in Italia nella riprovata maniera, presentiva pure come la musica aiutata che fosse da una poesia più confacente e migliore, poteva portare al melodramma una salutare riforma. Però egli s’accinse a tentare questa riforma con tutta la forza del suo ingegno e de’ suoi mezzi artistici che in lui furono al sommo grado e giunse ad ottenerla. Gluck fu l’autore di questa riforma dell’Opere in musica; ma l’ottenne egli senza l’aiuto di una poesia migliore di quella de’ freddi imitatori dell’epoca di Metastasio? No, per certo: Gluck die’ solamente saggio di una nuova musica filosofica e drammatica, quando il poeta Calzabigi per lui scrivendo l'Orfeo, gli prestò un esemplare di poesia conveniente a una tal musica 4. Ecco come il melodramma potè solo migliorarsi quando la poesia si equiparò alla musica, e secondò i suoi progressi rivestendosi di quelle forme speciali che richiede un più ragionevole e filosofico insieme delle due arti congiunte.

Da quest’epoca venendo verso noi possiamo considerare il melodramma una sola composizione poetico-musicale; perchè fin d'allora furono assegnati alla poesia certe formle melodrammatiche immutabili, ed alla musica certi concetti e frasi subordinate invariabilmente al senso poetico. Il modo poi onde l’arte sia stata bene o male trattata da’ poeti e da’ compositori deve essere la misura di che la critica si servirà per assegnar loro il proporzionai grado di celebrità meritata.

Quanto si è detto fin qui ci apre la via di procedere al racconto di alcune diverse maniere musicali state in onore in Italia nella seconda metà del passato secolo, delle quali ci proponiamo trattare ora di proposito, seguendo quella brevità che per noi si potrà maggiore, ed attenendoci ad una certa sobrietà di opinioni artistiche, le quali saranno anni tanto più indispensabili quanto più nelle nostre narrazioni procedendo, ci verremo accostando a’ tempi moderni.

C. M-i


POLEMICA.


Alcuni giornali parigini, ed anche un accreditato foglio italiano, nel dare giudizio della Saffo di Pacini hanno biasimata la tragedia lirica del sig. Camarano come lavoro meschino e poco men che indegno de’ riguardi della critica. Però, come troppo spesso avviene in simili casi, que’ signori critici, si tennero contenti all’affermare come se ognuno dovesse umilmente piegar il capo alle loro assertive, nè ci fosse punto bisogno di prove.

Noi per conto nostro crediamo poter dire che, ben ponderate le condizioni liriche e drammatiche richieste in un poema per musica e tenuto conto delle difficoltà somme da superarsi da chi scrive a servizio de’ maestri della giornata, la Saffo del Camarano è libretto degno di encomii anziché di biasimo. Nella estrema povertà di poeti melodrammatici, al presente a sì giusta ragione lamentata in Italia, è dovere di una critica imparziale che meglio ami picchiar giusto che picchiar forte, l’assumere a viso aperto la difesa di quei pochi i quali per forza di ingegno e di volontà sono atti a riparare in qualche modo alla vergognosa mancanza.

A sostegno di quanto affermiamo sul conto della Saffo del Camarano ci offriamo pronti al bisogno a presentare l’analisi di questo melodramma, dalla quale, o ci inganniamo, o verrà dimostrato essere lavoro che in gran parte soddisfa alle esigenze dell’arte e palesa nel giovine poeta un’immaginativa e un sentire non comune.

Gridino pure i Giornali a loro posta contro tante informi rapsodie teatrali prive non solo di senso drammatico ma ed anche di senso comune, e noi faremo eco ai loro giusti reclami; ma non confondano ad un fascio le pessime colle buone produzioni se pur non vogliono vedere ritrarsi dispettosi e sconfortali dalla difficile via i pochi non meritevoli di sì ingiusto trattamento. Tra questi ultimi non esitiamo ad affermare che vuol essere annoverato il valente autore del Belisario e della Saffo. E questo siamo disposti a sostenere contro chi vorrà affermare il contrario.


CARTEGGIO.


Il nostro articolato di polemica, inserito nel passato foglio e riguardante la Riforma Musicale del maestro Gambale, ha prodotto il frutto che appena osavamo sperare. La lettera seguente inviataci da un certo sig. Alighieri da inserire in questa nostra Gazzetta ci fa certi che finalmente il detto sig. Gambale si propone di scendere in campo niente meno che con una serie di articoli i quali proveranno anche ai più renitenti la validità e l'eccellenza del suo nuovo metodo di notazione musicale. Siamo veramente ansiosi di dovere anche noi al più presto applaudire ai vanti dell’egregio riformatore con quella pienezza di convincimento che per ora, dobbiam confessarlo, non sappiamo trovar modo a dividere colle celebrità musicali alemanne cui accenna il. signor Alighieri.- Epperò facciamo voti di vero cuore perchè il sig. Gambale attenga nei debiti modi la promessa, che ci vien data dal suo nuovo amico, e una volta, per tutte, confonda le passate, presenti e future obbiezioni fitte e da farsi alla sua Riforma. Solo lo avvertiamo di una cosa, ed è che in simili qui sifoni le parole valgono tufi.’ al più la sola metà delle prove di fatto. - Procuri di confondere con queste i suoi oppositori e la sua vittoria sarà certa e noi non saremo degli ultimi a. dargli, la meritata palma. Ora ecco la lettera del signor Alighieri.

Al signor Gio. Ricordi Editore

DELLA GAZZETTA MUSICALE DI MILANO

Signore

Nel N.15 della Gazzetta Musicale, di cui ella si segna Editore-proprietario, leggesi un articolo intitolato: Polemica Musicale, tendente a far supporre che i fatti relativi alla Riforma Musicale del sig. maestro Gambale sono insussistenti, e che questi non ancora seppe risolvere le obbiezioni, che gli vennero mosse contro in alcuni giornali dell’Italia. Siccome la questione di questa Riforma è di generale interesse per l’importanza sempre maggiore che va acquistando la musica tra i popoli inciviliti, così mi fo dovere di avvertirla che usciranno man mano nel giornale milanese La Fama del 1842 degli articoli col proposito di dilucidare le seguenti asserzioni del mentovato articolo; 
  1. ° Se il sig. G. B. Menini essendo semplicemente un letterato, e quindi non atto a giudicare da sè medesimo del reale valore della Riforma Gambale, sia stato o no una penna passiva nel redigere le ispirazioni di persona troppo parziale alla Riforma stessa;
  2. ° Se non siasi risposto dal sig. maestro Gambale agli elaborati articoli del sig. Geremia Vitali, collaboratore della Gazzetta Musicale,e alle dottissime osservazioni dei signori maestri Luigi Rossi e Picchi;
  3. ° Se dal sig. maestro Gambale non furono fatti de’ felici sperimenti pratici in appoggio del suo nuovo sistema di semplificata notazione;
  4. ° Se il non avere il sig. Gambale presto o tardi saputo somministrare i mezzi di difendere la sua causa un po’ meglio che non sembra possibile al presente, sia il vero motivo per cui la Gazzetta Musicale non abbia finora parlato della Riforma, e si debba questo silenzio interpretare un delicato riguardo a persona che tanto si sforza di rendersi benemerito alla musica;
  5. ° Se non bastino infine le favorevoli attestazioni di alcune isolate celebrità alemanne a potere esentare il maestro Gambale dal combattere i suoi oppositori. Spero che Ella, signor Ricordi, vorrà compiacersi di rendere pubblica nella sua stessa Gazzetta musicale questa lettera nel prossimo N. 10; in mancanza di che Ella mi costringerà di farla comparire immediatamente nella Fama o in altro giornale coll’informativa della sua ripulsa.

Gradisca i sentimenti della mia considerazione.

Milano 13 Aprile 1842.

Divotiss. servo

Giovanni Alighieri.



CENNI SUI DIVERSI GIUDIZII

dati dai GIORNALI MILANESI

intorno allo STABAT di ROSSINI.

Le splendide e straordinarie esecuzioni di quest’ultimo grande lavoro di Rossini ebbero fine alla Scala colla sera di Venerdì scorso.

Vuolsi confessare che solo al possente nome dell’immortale Pesarese poteva essere conceduto trasformare i teatri e i lieti crocchii musicali in luoghi dedicati al culto più severo dell’arte.

Già da tre mesi quasi tutta l’Europa forma sua delizia di questo Stabat; il che pare a noi equivaler possa al maggiore tra i vanti a cui può pretendere la imponente sacra composizione rossiniana.

Scriveva ultimamente uno de’ nostri giornali che, ove si avesse a ripetere ciò che fu stampato fra noi in questi ultimi mesi intorno allo Stabat di Rossini appena basterebbe un grosso volume in foglio. Non tenendo conto della compiacenza che potrà avere di ciò il maestro dei maestri, vogliamo però osservare che in genere la critica della stampa periodica fu piuttosto rigorosa, anzi mordace, e nel tutt’insieme non onorò l’ultima composizione del grande italiano nel modo che avrebbero voluto gli ammiratori suoi; e, cosa singolare! se la critica stessa fu severa oltremonte, lo fu molto più tra noi. Intorno alla (mal cosa lasciamo argomentare a loro modo i nostri lettori; e quanto a noi ci limitiamo a compendiare sommariamente le opinioni esternate da’ giornali milanesi intorno allo Stabat, non senza il proposito di non [p. 70 modifica]occuparci più per un gran pezzo di questo argomento già svolto in tanti modi e forse a sufficienza, almeno per gran parte di coloro che tra noi si occupano di musica. La Gazzetta Privilegiata encomia altamente tutto lo Stabat ed ammira con ispecial predilezione la fuga. EssaGazzetta, tranne qualche eccezione, rimase appagata anche del modo col quale lo si eseguì tra noi, e in particolar guisa delle gradazioni di colorito, d'espressione, di piano e forte; ne spiace non poter dividere per questo proposito l’opinione della Gazzetta, manifestata però con un convincimento degno di lode.

Il Corriere delle Dame all’opposto osserva che l’esecuzione di Milano, non solo non pareggiò la perfezione e il mirabile accordo che tanto si lodò a Bologna, ma «non giunse neppure a quei gradi di ravvicinamento che possono di una sol cosa dare un’idea di relazione e di analogia».

Fra queste due opinioni alquanto disparate, il lettore di buon senso ed imparziale sarà forse inclinato ad attenersi alla seconda. Lo stesso Corriere s’inquieta coll’articolista dei Dèbats perchè chiamò questo un joli Stabat, e saviamente vorrebbe consigliare i nostri buongustai a lasciar da un canto le opinioni oltramontane per non attenersi che alle nostre, che a suo giudizio ponno essere di maggior peso. Nulla però egli osserva intorno al valore delle opinioni italiane scusandosi con modestia dal farsi a parlare ex cathedra.

Il Bazar fu molto contento della ricca illuminazione del teatro, profuse Iodi d’entusiasmo alla signora Miccinrclli, poi al maestro Panizza, poi anche a Rossini, ma con qualche restrizione: incoraggiò di gentili parole i signori Fedor ed Anconi e non volle dir male dell’Abbadia.

La Moda non andò soddisfatta della musica, e ponendosi con disinvolta abnegazione nella schiera dei non intelligenti, asserisce che se in questa occasione non si trattasse di Rossini, non sa che cosa avrebbe potuto scrivere e dire.

Il Pirata qualifica lo Stabat di grande concetto musicale, ma è tutt’altro che contento dell’esecuzione. Il sig. Giuseppe Borio inserì nella Fama un articolo diviso in due parti, nella prima delle quali pare a noi sieno dette delle cose generali bene ragionate e sviluppate sulle proprietà distintive della musica sacra. A questa prima parte, fondata su larghi principii, non sembra corrispondere la seconda, la quale benché stesa con dottrina, a nostro giudizio, avrebbe molto meglio potuto collegarsi colla antecedente, sicché in essa più apparentemente si vedessero le applicazioni parziali derivare da generali norme. Oltre di che essa è qui equa seminata di alcuni pensieri critici, forse così sottili da potersi notare di sofisticheria. E per esempio poniamo l’osservazione fatta alla cantilena dell’aria del tenore che, al dire della Fama, ha malTa proposito carattere eroico; appoggiata questa critica all’essere l’accompagnamento tessuto nel secondo quarto della misura da una croma puntata ed una semicroma, il che induce l'andamento di marcia; il quale, secondo il sig. Borio, si avvalora anche dagli accordi de’ tromboni; ma questi, a nostro giudizio, per essere a larghe note tenute, hanno tutt’altro che un aspetto marziale. Ognuno sa con quanta varietà di forme e di quanta diversa espressione possa nella musica, interpretarsi una medesima melodia, (un andamento medesimo. Il tutto sta nel modo di esecuzione, la quale deve sempre recare la tinta dei concetti costituenti il carattere della situazione. E quanto al pezzo in discorso noi pure opiniamo col sig. Borio che con una speciale accentazione possa ridursi a movimento marziale, ma dissentiamo da lui, ove ne piaccia far conto del mòdo col quale lo ha accentato cd istromentato Rossini.

Aggiorniamo qualche altra parola intorno al dotto c giudizioso articolo del signor Borio. Osserva egli che le forti e secche strappate dell’intera orchestra in principio di battuta alle quali succede il piano, sono di tal natura da dovere qualificarsi come atte ad esprimere gli impeti agitati di drammatica disperazione, per Io che trova condannabile tal genere di strappate nell’ana del tenore e in quella del secondo soprano. Se non erriamo, questa sua asserzione potrebbe venir contestata in gran parte; noi per amore di brevità ci limitiamo a dichiararci di opinione contraria a quella del sig. Borio, dappoiché la strappata d’orchestra cadendo precisamente sul tempo forte, nessun contrasto arreca nè al sentimento nè all’orecchio, e tutt’al più potrà dirsi opportuna a dipingere una tal qual’cITusionc di gioia o dolore, non però agitata.

Il detto signor Borio encomia con opportune parole di ammirazione il grandioso In die judicii, e parlando del quartetto che segue, dice che questo svela nel suo autore un degno erede del P. Mattel, al che pare a noi che senza rischio di esagerare, avrebbe potuto aggiungere qualche cosuccia di più, anche senza timore di far torto alla memoria del venerando contrappuntista bolognese.

L’articolista che a nostro modo di vedere, forse senza volerlo e sotto il più austero manto della critica, fa il maggior elogio di Rossini, si è l’estensore del Figaro, il quale non si fa il menomo riguardo d’asserire che lo stesso Rossini si ride della meschinità di questo suo lavoro. Bagattelle! se le meschinità di Rossini racchiudono tanto tesoro di bellezze e di effetti, quanto ve n’ha nel suo Stabat, è pur d’uopo convenire che il maestro pesarese ò ingegno più grande di quanto fino a! presente fu proclamato. - Abbenchè oltremodo arrischiata l’asserzione del Figaro, e in sostanza non destinata di certo ad innalzare il nome di Rossini c il valore del suo ultimo componimento, pure, ponderata finamente, non potrebbe dirsi al tutto fondata sul falso.

Ora qualche parola anche dei due articoli dati da questa nostra medesima Gazzetta. Se fummo schietti e sinceri cogli altri giornali è dovere che lo siamo almeno in parte anche con noi medesimi. Osserviamo quindi prima di lutto che tanto il signor Perotti come il signor Casamorata non potevano essere giudici al tutto competenti del grandioso componimento rossiniano, dacché non fu loro dato di esaminarlo nella partitura con istromentazione compiuta ma solo nella riduzione con semplice accompagnamento di pianoforte. E di quanto valore l’istromentazione possa essere in una composizione musicale massimamente del genere sacro, non è neppnr bisogno che si ponga in dubbio. Ora l’argomento acquista doppia forza ove si parli di Rossini, la cui potenza in fatto di istromenlazione è poco meno che proverbiale nell’arte. Ad alcuni nostri lettori parvero inoltre troppo amare e meno che rispettose le critiche del secondo de’ suddetti articoli della nostra Gazzetta, ma in fatto la severità del nostro collaboratore era dettata da un sentimento di sì profonda venerazione pel grande maestro, che forse potea aversi in conto di un omaggio da chi sa, che la vera e coscienziosa critica solo allora si studia di scandagliare attentamente e sottoporre a rigido esame i pregi e le bellezze delle produzioni delle arti quando è al maggior segno persuasa che queste produzioni possano esercitare una decisa influenza sui progressi o sui traviamenti delle arti stesse. Il signor Casamorata ebbe a chiudere il suo articolo con tali parole che bastano a giustificare anche una severità maggiore di quella da lui usata.

Dopo le cose fin qui dette rimane a conchiudere: Lo Stabat di Rossini è componimento da potersi porre a lato di tante altre mirabili sue creazioni? Per nostro conto rispondiamo affermativamente a questa domanda. - Con esso superò Rossini quanto, nel genere da lui preferito, poteasi fare da ogni altro compositore contemporaneo italiano e straniero? Anche questo crediamo non sia da porre in dubbio. Chi poi fosse chiamato a decidere se il tanto acclamato lavoro sia da dirsi meglio emanazione del potente genio rossiniano che prodotto o elaborazione della scienza del suo autore. sarebbe forse più inclinato per la prima che non per la seconda sentenza. Lo Stabat di Rossini è tal lavoro in cui (tranne qualche eccezione parziale) appare più presto lo slancio e l’abbondanza della fantasia che non la profondità e la severità del pensiero, il lusso delle forme ed il mirabile istinto della varietà anziché il proposito assoluto e tenace di dare al tutto quell’austerità e uguaglianza di carattere che, rigorosamente parlando, era ingiunta dai genere del componimento latino messo in musica il quale, al dire di Rousseau ha tutta l’impronta di una poco men che monotona leggenda.

Diamo queste ultime nostre osservazioni non come giudizii, ma come opinioni e conchiudiamo colle parole di Montaigne: «tutte le cose di questo mondo sono come i vasi etruschi; hanno due orecchie: e ognuno ha il diritto di pigliarle piuttosto per l’uria che per l’altra».

A. M.



BIBLIOGRAFIA MUSICALE.

Memoria sopra le cose musicali di Sardegna del maestro Nicolò Oneto. Cagliari, 1841 tipografia Monteverde.

Questo erudito e diligente lavoro del benemerito maestro Aneto è inteso a dare un’esatta idea della musica popolare c nativa de’ popoli della Sardegna, e dell’istinto ed ingegno di quegli isolani in generale per la musica. La Memoria è divisa in quattro articoli: il primo de’quali mostra che i Sardi hanno tutt’ora ed usano la musica antichissima derivata da quella degli Ebrei, e de’ Greci, e se ne danno esempi e dimostrazioni teoriche sì quanto ni genere delle composizioni che quanto alla natura, forma e maneggio degli stranienti che vi si pongono in opera. Nel secondo articolo sono rappresentati i progressi della musica moderna in Sardegna e i vantaggi che per opera d’alcuni maestri di quella regione v’ha avuto la musica ecclesiastica non meno che la teatrale. Nel terzo ò trattato tutto il carattere musicale de’ Sardi, e la loro prontezza nell’improvvisare la musica; nell’eseguirla con vigore di espressione, e nell’ascoltarla con entusiasmo di sentimento. Nel quarto che è l’ultimo articolo propone l’autore di instituire in Sardegna uno stabilimento musicale che serva non meno che ad accrescervi l’incivilimento, a procacciare a quel popolo qualche vantaggio da un’arte a cui pare per natura dalla nascita inchinato.

Tutte queste parti sono dal signor maestro Aneto trattate con molta istorica erudizione, con belle dottrine artistiche, e con filosofiche e veramente sociali considerazioni; onde noi gli auguriamo che presto egli possa vedere in atto i suoi voti e progetti. e n’abbia quel suo

popolo prediletto i presagiti vantaggi.

C. M-i.



NOTIZE VARIE.


Milano. — L’impresa del teatro Carcano invece di far precedere la sinfonia della Fausta al Roberto Devereux, sarebbe stata meglio consigliata se nel riprodurre fra noi quest’Opera, avesse fatta conoscere al nostro pubblico la sinfonia che Donizetti per essa immaginava nel 1838 al Teatro italiano di Parigi, da’ giornali di quella capitale encomiata siccome la più bella di quel fecondo autore, il quale volle introdurvi il tema nazionale inglese - Dio salvi il re - da lui condotto e svolto fra i più squisiti artifizj scientifici. l'intrusione in un’Opera drammatica di pezzi di altro spartito è grandemente da biasimarsi, massime allorachè ad un lavoro scritto con pensato proposito se ne sostituisce altro molto meno elaboratamente dettato, quantunque forse più gradito alla moltitudine. - Parlando del teatro Carcano non sarà fuor di proposito l’aggiungere che in ogni rappresentazione del Giuramento, in cui l’attrice-cantante signora Matley sempre più distinguesi, il tanto decantato giovane violoncellista Piatti è obbligato dagli applausi a ripetere ogni sera il suo solo.

Napoli. — Il violinista piemontese Giuseppe Grassi, direttore dell’orchestra del teatro di Mosca, nello scorso mese ha dato due accademie che riuscirono di grande soddisfazione agli intelligenti, e di molto onore all’abilissimo suonatore, che pel perfetto maneggio dell’arco, da cui ne risulta la più finita, sicura e forte esecuzione» può additarsi agli studiosi del violino, qual modello da seguirsi. Grassi fecesi ben anco ammirare in varie società particolari, a meraviglia interpretando i più scelti pezzi di musica istromentale per camera, fra quali un bel quintetto di Gebel, un classico ottetto di Mendelssohn, e gli scabrosissimi ultimi quartetti di Beethoven, in ispecie quelli, op. 127, composizioni tanto difficili e complicate, che dalla maggior parte de’ quartettisti vengono reputate insuperabili.

Trieste. — Ancora un nuovo fanciullo-pianista. Alfredo Jaell figlio cd allievo del violinista Edoardo, avanti di recarsi a Vienna, ove si propone dare nuovi saggi della precoce sua valentia, diede un’accademia nella sua patria, e l’esecutore di otto anni Spiccò in ogni pezzo per una forza e precisione assai superiori all’età.

1.° Festival musicale istorico e religioso dato a Parigi lì 26 marzo.

Non saranno mai abbastanza incoraggiati i tentativi che hanno per iscopo l’esecuzione delle grandi Opere di musica del genere severo, ancora sconosciute al pubblico. Quanto più tali saggi si moltiplicheranno, altrettanto maggiore sarà la varietà che s’introdurrà ne’ concerti, meno presto i capolavori dell’arte invecchieranno. Da lungo tempo in Francia avvi la passione, per non dire la rabbia de’ soli. L’orchestra al Conservatorio tocca alla perfezione: è dai cori principalmente che devesi tentare l’innovazione. Il festival dato sabato Santo nella sala Vivienne, aveva il doppio merito d’essere per la maggior parte dedicato alla musica corale, e di far sentire alcune Opere non mai eseguite a Parigi o che da gran tempo erano dimenticate. Fessy e Dietsch dirigevano, il primo l’orchestra, il secondo i cori. Non saprebbesi abbastanza encomiare lo zelo c il talento di que; due egregi artisti che lo studio e le ripetute prove non istancarono punto, è che presentarono al pubblico degli spartiti nuovi della massima importanza, come quello dell’oratorio Paulus.

Il concerto ebbe principio dalla Sinfonia del Plauto magico di Mozart, eseguila con assieme, brio e precisione. Tutti conoscono il bel Salmo di Marcello Miserere mei. Ponehard in seguito rapì nell’Aria sì tenera e sublime del Giuseppe di Mehnt. Un Ave Maria di Arcadelt (1540) è stata molto bene cantata dal coro e dal pubblico vivamente applaudita. Nulla di più soave e di più religioso di questo pezzo che si fece replicare. Se si avrà il coraggio di studiare e d’eseguire la musica concertata nelle antiche composizioni si troverà una miniera inesauribile. Madamigella Nissen con una brillante e forte voce ha quindi interpretato una bell’Aria del Sansone di Unendo!.

È stata una felicissima idea quella di riunire varj pezzi scelti da tre Stabat di Palestrina. di Pergolesi c di Rossini. Nel pezzo dij Palestrina a doppio coro si rinvennero de’ begli effetti: il concepimento n’è grande e semplice. Del secondo, erasi scelto un duetto per soprano e contralto di forma originale e molto ben intrecciato, ed un’Aria di contralto. II coro senz’accompagnamento di Rossini, ebbe il più grande trionfo: e ben Io meritava in quella onorevol lotta, poiché, a personale nostro giudizio, nè tra i passati nò tra i contemporanei compositori vi ha chi avrebbe potuto o potrebbe creare una composizione musicale più ricca di invenzione, di spirito e di squisita finezza di lavoro. Grad, che in questo magnifico pezzo eseguì la parte del basso principale, fu molto lodato.

L’Oratorio del Paulus, cioè la Conversione di San Paolo, di Mendelssohn-Bartholdy, componeva la seconda parte del Festival. Si eseguirono una introduzione, tre cori, e tre soli. Questi pezzi non formano che una parte dell’Opera di Mendelssohn, di ben maggior portata c lunghezza. - L’introduzione ha il difetto comune a quasi tutte le recenti produzioni dell’Allemagna. Essa ad un tempo è vaga cd ammanierata. Gli artisti alemanni do giorno d’oggi mirando con sovverchia ostentazione alla naturalezza trascorrono troppo spesso all" affettato manierismo.

In questo Oratorio trovansi ciò non pertanto delle grandissime bellezze. Fu trovato mirabile tra gli altri pezzi un coro, che il pubblico volle udire due volte, condotto sopra una melodia larga ed espressiva con un accompagnamento di un andamento originale che non cessa giammai di farsi sentire sotto i canti degli strumenti da fiato e delle masse corali. Si è pure applaudito assaissimo una patetica Aria deliziosamente cantata dalla Nissen: un altro coro ben elaborato ed un’Aria di tenore. Quanto s’intese dell’oratorio Paulus fa desiderare che le altre parti di quest’Opera, certamente di un distinto merito, siano presto eseguite.

(Estratto dalla France Musicale).

Beàuvais. 19 marzo. — Una solennità di cui la nostra città non ha mai avuto esempio, ha eccitato uno straordinario entusiasmo. Trattavasi dello Stabat di Rossini eseguito da Alessio Dupont, c Oller e dalle 1-Tcnnin c Lia Duport, artisti già conosciuti assai favorevolmente a Parigi: e da’ cori e dall’orchestra della nostra società filarmonica. L’effetto n’è stato meraviglioso e molto al di sopra di ogni aspettazione. Il duetto delle due donne dovette replicarsi.

Rouen. — Mereaux, professore e compositore di qualche merito diede un concerto storico: questo tentativo, che rende un immenso servizio all’arte musicale, ebbe un esito felicissimo. Vi si eseguì lo Stabat di Josquin Desprez (1480); - la Preghiera alla tomba di Cristo di Giovanni Mouton (1510). - Un corale di Claudio Goudimcl (1560); - alcuni pezzi per cembalo di Couperin (1650); -un concerto di Haendel (-1700) alcuni pezzi per cembalo di Ramcau (1730); - un’aria della festa di Alessandro di Haendel (1700); - alcune stroffe dello Stabat di Pergolesi (1736): - e finalmente un coro del Castore e Polluce di Rameau.


GIOVANNI RICORDI

EDITORE-PROPRIETARIO.

  1. Veggansi gli articoli inseriti noi primi numeri di questa Gazzetta, col titolo delle Attuali condizioni delle Arti musicali in Italia. Il seguente può servire in certo modo a maggiore sviluppo delle cose in essi articoli accennate.

    L’Estens.

  2. Veggasi il N. 12.
  3. Storia della musica. Tom. III, pag. 439.
  4. (2) Veggasi l’articolo intorno a questo grande compositore dato nei N. 9 di questa Gazzetta Musicale.