Gazzetta Musicale di Milano, 1842/N. 19

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N. 19 - 8 maggio 1842

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GAZZETTA MUSICALE

N. 19

DOMENICA
8 Maggio 1842.

DI MILANO
Si pubblica ogni domenica. — Nel corso dell’anno si danno ai signori Associati dodici pezzi di scelta musica classica antica e moderna, destinati a comporre un volume in 4.° di centocinquanta pagine circa, il quale in apposito elegante frontespizio figurato si intitolerà Antologia classica musicale.
La musique, par des inflexions vives, accentuées. et. pour ainsi dire. parlantes, exprimè toutes les passions, peint tous les tableaux, rend tous les objets, soumet la nature entière à ses savantes imitations, et porte ainsi jusqu’au coeur de l’homme des sentiments propres à l’émouvoir.

J. J. Rousseau.

Il prezzo dell’associazione annua alla Gazzetta e all’Antologia classica musicale è di Aust. lire. 24 anticipate. Pel semestre e pel trimestre in proporzione. L’affrancazione postale della sola Gazzetta per l’interno della Monarchia e per l’estero fino a confini è stabilita ad annue lire 4. — La spedizione dei pezzi di musica viene fatta mensilmente e franca di porto ai diversi corrispondenti dello Studio Ricordi, nel modo indicato nel Manifesto — Le associazioni si ricevono in Milano presso l’Ufficio della Gazzetta in casa Ricordi, contrada degli Omenoni N.° 1720; all’estero presso i principali negozianti di musica e presso gli Uffici postali. Le lettere, i gruppi, ec. vorranno essere mandati franchi di porto.


ESTETICA. nelle Belle Arti e particolarmente della musica. (All’egregio signor Raimo rido fucherorp maestro della Cappella di Vigevano.piacque dar principio alla collaborazione da lui gentilmente promessa alla nostra Gazzetta con diversi interessanti articoli di estetica musicale, tratti da una pregevolissima sua opera tuttavia inedita. Ci auguriamo che il favore col quale verranno accolti questi saggi lo inducano a pubblicare F opera intera, persuasi, come siamo, che essa abbia, a recare non poco vantaggio alVarte. Le fine disquisizioni filosofiche, l eleganza e chiarezza delle idee e dello stile, la sobria dottrina, e le opportune applicazioni informa di esempli tratte dalle più lodate partizioni de maestri antichi e moderni sono i principali ma non i soli pregi del Trattato di Estetica Musicale del maestro Bûcheron, il cui manoscritto egli con rara cortesia volle affidarne. facendoci autorità di est tèrne i brani che crederemo dover riuscire più acconci a questa nostra Gazzetta. Ciò sia detto anche per dar novella prova ai nostri signori associati delle cure incessanti che poniamo ad assicurare alla difficile nostra intrapresa la cooperazione delle persone più atte per esperienza e sapere a giovarla cogli scritti e col consiglio ). L’Estens. ’elle arti sono quelle con cui j l’uomo riproduce le apparenze èvdelle cose non meno fisiche che,morali. Tali sono la poesia, la plastica, la pittura, la musica, la mimica, e l’architettura. Le prime, cioè la poesia, la plastica, la pittura, e con esse la mimica, diconsi arti rappresentative, od imitative; e l’ultima all1 opposto è produttiva di un hello tutto proprio che non ha a vero dire altro tipo che il sentimento. «La casa è u la veste dell’uomo, la quale non si “ adatta solamente alle forme dell1 individuo, «ma sì alle azioni di esso e della fami«glia». La bellezza della casa consiste dunque in un visibile equilibrio che ne prometta sicurezza, e nella distribuzione delle parti, onde «quei recinti che fanno, rico«verandoci, l’ufficio di difesa, abbiano al «tempo stesso a lasciarci la più possibile u libertà di azione e di respiro. Al quale scopo dell1 architettura si può aggiungere quello di adattare le forme in modo che risveglino nel l’iguardante idee analoghe allo scopo delfedifizio, e preparino al rispetto che esige il personaggio che lo abita. La poesia ha per suo mezzo la parola colla quale suscita nella mente l’immagiue delle cose, degli affetti, e de1 pensieri. La plastica (pittura, scultura e disegno) riproduce le torme materiali degli oggetti visibili, e col colorito e 1 atteggiamento ne fa comprendere le modificazioni che hanno subito. La mimica è quasi una plastica vivente che al modo stesso ha la proprietà di imitare i segni, gli atti esteriori dai quali argomentiamo gli affètti. Tutte queste arti sono copia del vero anche quando trattasi di soggetti ideali. Ma la musica è dessa pure, o non è arte d’imitazione? Molti la vogliono tale, altri no, e di tale discrepanza di opinioni è causa il non mostrarsi chiaramente in natura il suo tipo. Infatti la parola emana dall’uomo con tali impercettibili modificazioni di suono, che invano si tenterebbe di porre due voci parlanti all’unisono; e se si esclude quest’unico caso degli accenti con cui la maggior parte degli esseri animati si esprime, la natura ha ben pochi altri suoni da servire di tipo all arte. Ma, dietro la nuda apparenza dei suoni, non accorgiamo noi alcun che, che non parla solamente all’orecchio, ma va direttamente all’immaginazione ed al cuore? Alcun che che ci rallegra o ci rattrista, che si insinua nei più intimi recessi della vitalità e la commove in mille guise? Non arrestiamoci alle apparenze, squarciamo il velo misterioso che ne nasconde la più intima essenza, penetriamovi, e allora dir potremo se la musica sia arte d’imitazione, ovvero, come l’architettura, produttrice di un hello tutto proprio; e scopriremo le sue più essenziali proprietà, e le norme più sicure per gli artisti. I. La prima e più semplice idea che possiamo formarci della musica dietro l’apparenza dei suoni è quella del moto, sia che si consideri il suono per sè stesso, sia che se ne consideri la successione. Il moto è dunque un tipo d’imitazione per la musica, ed essa riproducendo alcuno dei moti sensibili non solo ve ne susciterà 1 idea, ma vi farà talmente esistere in quella da eccitarvi a produrlo voi stesso. A ciò basta un semplice tamburo che percuotasi a colpi misurati perchè senza accorgervi siate mossi a uniformarvi il passo. Immaginatevi quanti sono i moti sensibili in natura, e vedrete quanto si estenda questa sfera d’imitazione. Proseguiamo. II. All’udire un suono qualunque isolato non concepite soltanto l’idea di quelf- i unica sensazione: quel suono e un fello, e perciò il pensiero corre tosto alla forza che lo produsse, forza che attribuirete ad un essere vivente, se non vi è noto altrimenti essere un fischio di vento, un muggire di tuono, la caduta di un grave, o la campana che segna le ore. E questa vitalità la scorgete dietro tutte le materiali apparenze delio strumento da cui il suono emana, appunto perchè suono e moto sono segni precipui di vita, e lo stromento non è infatti che una sostituzione alla voce. Una campana suona a stormo; quel suono fa le veci delle grida dei miseri bisognevoli di soccorso, che non potrebbero altrimenti implorarlo dai lontani. E se il suono monotono di quella squilla non imita 1 accento della sventura, il rapido ed insistente ripetersi vi dice nulla meno quanto incalzi il pericolo. Così la tromba eccitatrice della pugna è voce della religione avita, della patria, del sovrano, delle spose, dei figli che chiedono al soldato coraggio, protezione, difesa, sicurezza, sostegno. III. Egli è perciò che un suono anche isolato è sempre valevole a destare interesse, attenzióne, curiosità. Se poi ad un primo suono altri ne succedano diversi di tuono, lutti fra loro confronterete tanto in ordine al tempo ( che quando è eguale o egualmente divisibile chiamasi 7//7/no) quan to in ordine alla differenza di grave ed acuto che li distingue: nè vi sfuggirà il carattere debole o forte, soave od aspro che l’accento o la natura delle voci o strumenti vi imprimono. Da questo confronto, da questo discorrere di suoni (che quando siano intuonali a intervalli facilmente distinguibili chiamasi Melodia) troverete ciò che nell’arte dicesi Tono, o modo, cioè se flebile o gaio, se mesto o festivo è il carattere di quei suoni, e perciò conoscerete se geme o ribocca la forza che li produce, e di qual genere sia l’affetto che la commove. E in mezzo a tutti troverete un suono che senza essere nè più forte, nè più degli altri accentuato vi servirà come ili appoggio, di centro a cui riferire in particolar modo i confronti, come di riposo del sentimento, un suono in fine che sembra più d’ogni altro rappresentare la vitalità, e che nell’arte dicesi Tonica. Se poi alla successione di sjioni altri se ne accoppieranno contemporaneamente, i quali coi primi si accordino, ne verrà soccorso alla memoria, e ne emergeranno tanto più chiari i caratteri. ( Armonia ). IV. Ritmo, tono, melodia, carattere delle voci o stranienti, armonia, e accento; sono i.vfv.w [p. 82 modifica]gli elementi di cui si forma la nostra musica, dei quali ci conviene discorrere partitamente per iscoprirne l’intima natura, e l’influenza che possono avere nel musicale linguaggio. Riguardando alle altre arti non troveremo ritrarre esse altronde il loro potere, la loro importanza che dall’analogia che esse hanno coi fenomeni della vita. Così deve essere anche della musica, epperciò nelle nostre investigazioni noi dobbiamo mirare principalmente a scoprire questa analogia, nè meglio il possiamo che col metodo analitico. Già vedemmo come il ritmo abbia relazione con tutti i moti sensibili,- ritorneremo a questo elemento per osservarlo nell’influenza che esercita unito agli altri nel corpo totale. Ora ci conviene parlare degli altri, e primamente del tono o modo. V. Nella nostra musica si riconoscono due magistrali caratteri essenzialmente distinti, due parole primordiali costituite dai due toni, che i moderni italiani e francesi dicono maggiore o minore, e i tedeschi a modo degli antichi nostri appellano tuttavia duro e molle. Questi toni sembrano corrispondere esattamente al significato delle parole piacere e dolore; se non che troviamo non di rado accoppiato il tono minore a parole il cui senso è piacere, e viceversa il maggiore a sentimenti che nascono da dolore senza che il buon senso ne rimanga offeso, anzi con tutta verità di espressione. Per la qual cosa, se non si riconoscesse evidentemente la mestizia dell’uno, e la festività dell’altro tono anche nelle sole scale, o nelle sole armonie di tonica, saremmo tentati a credere che nulla analogia si trovi realmente fra i toni musicali e questi stati deifi animo nostro. Ma quella evidenza di caratteri ci avverte che noi dobbiamo spingere più addentro le nostre osservazioni. Se noi riflettiamo alle moltiformi circostanze che ci arrecano piacere o dolore troveremo che sonovi piaceri così forti talora, così sensibili che l’umana potenza ne rimane abbattuta, piaceri che inebbriano e munirono a togliere i sensi e la vita, n p p.. r. * e che in queste situazioni 1 espressione naturale è molto simile a quella del dolore, e consiste in gemiti, in esclamazioni, in lagrime. Così per l’opposto non tutti i dolori anche intensi opprimono, molti anzi irritano la potenza vitale, talmente che questa si raddoppia, e fortemente reagisce a respingerli o a sostenerne il peso. Quindi ogni segno esterno fa fede dell’energia o dell’irritazione della forza vitale. Se dunque il carattere dei segni esterni per mezzo dei quali si manifestano gli affetti è non tanto corrispondente al piacere o dolore risentito quanto all energia che ha la potenza morale a sostenerli, dobbiamo credere eziandio che il tono musicale corrisponda del pari a questa energia, anziché al piacere o al dolore. In questa ipotesi l’espressione conveniente ad ogni affetto in cui la potenza morale è eguale o superiore all’urto che riceve, debb’essere assolutamente il modo maggiore, mentre ogni volta che l’urto è superiore, l’espressione conveniente sarà il modo minore. Il carattere che assume la voce umana in tali situazioni è analogo resta ad esaminare in che consista il vero carattere dei toni. VI. E da notarsi come tutte le voci sì umane che artificiali hanno maggior forza negli acuti che nei bassi, stando in un medesimo registro, e che perciò una scala di 82 — suoni ascendenti ne presenta fi immagine d’una azione crescente, siccome per l’opposto una scala discendente è immagine di azione decrescente. Dal che ne viene che la forza progressiva deve apparire tanto più energica quanto più s’innoltra a passi eguali e slanciati, come la regressiva quanto più lentamente cede il terreno, e meno stanca si dimostra, e non precipita. Tale è appunto il fenomeno che ci presenta la scala ascendente e discendente del tono maggiore comparativamente al tono minore. I suoni che ne costituiscono la differenza sono la o.“ e la 6.® che diremmo terza retrograda ed ecco in qual modo. La 3." ascendente è mesta quando non dista dalla tonica che di un tono e mezzo, gaja quando ne è lontana due toni; all’opposto la 5.° discendente è gaja nella prima proporzione, mesta nella seconda. La mestizia del tono minore diviene lacerante quando alla 6.a minore succede ascendendo o precede discendendo la 7.® maggiore. perchè nel primo caso la 7.“ maggior quasi uno sforzo disperato, nel secondo da. e una caduta. la (>.“ o 5.® retrograda è uno sfinimento, A convincersi maggiormente che la o.® è espression d’energia quando dista due toni dalla tonica, e viceversa quando non ascende che di un tono e mezzo, basta riflettere quanto sia faticoso al sentimento 10 ascendere, senza il sostegno dell’armonia, per toni consecutivi oltre la medesima terza. Ognuno che abbia notizia del canto fermo, o del risorgimento della musica dai tempi in cui Gregorio Magno si applicò a riformare il canto ecclesiastico, può ricordare l’invenzione del bemolle all’oggetto di evitare fra la lèttera F (fa) e la lettera B il tritono, come ancora usasi oggidì nelle antifone. Il quale B chiamavasi durò quando a confronto della F formava 11 tritono, per la fatica appunto che costava ad intuonarlo, onde la denominazione dei toni conservata dai tedeschi di cui già si fece cenno. Infatti dopo il tritono, sia che si prenda per grado, sia per salto, è talmente difficile ascendere ancora di un tono intiero, che anche col sostegno deifi armonia se ne risente lo sforzo, richiedendo invece quasi irresistibilmente il riposo sul successivo semitono. Che se il ditono non costa egual fatica, il trovare gradito il riposo del successivo semitono dimostra abbastanza che è necessario un tal qual grado di forza per intuonarlo, e questa medesima forza ne costituisce il vero carattere. VII. Queste osservazioni ci fanno conoscere il perchè tanto i greci antichi quanto tutti i popoli che non accoppiarono l’armonia al canto non conobbero punto il tono maggiore o non se ne servirono punto nella pratica. Non sostenuti, e parimente non costretti dall’accoppiamento de’ suoni diversi, e dai contrasti che ne derivano. evitarono gli intervalli del ditono e del tritono sia partendosi dalla tonica che dalla 4.® e 5.® e crearono tutte le loro melodie e canti nazionali su tale scala che perfettamente rassomiglia al nostro tono minore. Vario fu il ritmo, varia la modulazione, vario il diapason, ma un solo il tono, e sempre minore, come possiamo riconoscerlo nei canti nazionali più antichi dei nostri montanari. Per la qual cosa il tono minore che, partendo dalle teorie fondate sulle, parti i aliquote del corpo sonoro, e sul fenomeno degli armonici, sembra essere creazione dell’arte, scorgesi chiaramente essere opera della natura riguardando alla facile successione melodica. Nè altrimenti ci apparila, riguardandolo da un punto più alto, il sentimento. M." II. Umiche; on. (Sa; à continuato ).

LA MUSICA SACRA IN ITALIA


Lettera quarta del signor Fétis intorno alla musica in Italia; al Direttore della Gazette musicale di Parigi.

(Continuazione e fine; Vedi il N. 18 di questa Gazzetta).


Giunto che fui a Roma mi venne fatto alfine di sentire della musica di chiesa, e fu la prima volta presso i Gesuiti; ma, oh Dio! qual divenni io ascoltando ciò che si possa immaginare di più male scritto? E notate che altra musica migliore non sarebbe accetta, perchè, mentre io ascoltando mostrava dispiacere e meraviglia, mi fu detto da qualche romano che qualunque musico proponesse a’ P. P. della compagnia di Gesù di comporre una musica veramente religiosa sarebbe male accolto, nella capitale del mondo cristiano. Io aveva già più volte veduto l’abbate Baini ma non m’avea punto fatto sperare di poter trovare qualcosa di buono in fatto di musica religiosa: «Nulla più ci rimane, «mi diceva egli, non abbiamo più cauli tori, nè compositori, nè scuole: tutto è «in rovina, tutto è perduto. Non abbiam «modo di sostituire nuove voci a quelle “ che andiamo perdendo: e trovassimo pure «delle voci, clic non troveremmo per ciò «l’istruzione, quella istruzione che fu un «tempo affidata a tutti i cantori apostoli lici. Ogni anno veggo scemarsi il noti stro numero, e non andrà molto, che non «ci sarà più modo di eseguire le opere «di Palestrina». Dopo la cappella pontificale molto mi premeva di sentire le cappelle di San Pietro in Vaticano, di Santa Maria Maggiore, e di San Giovanni in Laterano, sovvenendomi della loro antica rinomanza. Dopo la morte di Fioravanti, la prima è passata sotto la direzione di Basily. il quale per questo posto rinunciò a quello di direttore del Conservatorio di Milano. Costui è un vecchio romano, un artista della grande scuola. Egli uscendo della scuola di Jaunaconi. ancor giovane ottenne il posto di maestro di Cappella a Foligno, e con plauso scrisse pei teatri di Roma, Firenze, Venezia, e Milano. Molto furono stimate fra le sue Opere, la Bella incognita, l’ira d’Achille, e l’orfana Egiziana; e un capolavoro è stato giudicato il suo Oratorio il Sansone. Ma quantunque egli non sia conosciuto che dagli artisti. Basily è da mettersi al pari de’più distinti musicanti italiani. e ciò per le sue composizioni da chiesa. Si hanno di suo più di venti messe, dei versetti, de’salmi, e delle altre composizioni, fra le quali si vuol dare la preminenza alla bella messa di Requiem che egli fece eseguire l’anno -1816 pel funerale di Jaunacofii, nella chiesa dei dodici Apostoli. Dopo Foligno, egli fu maestro di cappella a Macerata, e alla Santa Casa di Loreto, poscia fu sposo ad 1 una ricca donna dalla quale ebbe sei figliuoli. La sua nuova fortuna gli fece abbandonare la professione d’artista, (Se&He il SupplesmesiltoJ. [p. 83 modifica]e d’allora in poi egli si esercitò nella musica per solo diletto; l’anno 1827 accettò l’impiego di censore degli studii al Conservatorio di Milano, dal-quale (come abbiam detto) è poi passato a quello di maestro di cappella di San Pietro in Vaticano. Dopo il mio arrivo in Roma io aveva subito cercato di Basily; l’ottimo abate Santini (del quale molto avrò a parlare nelle mie lettere sull’Italia) mi condusse alla casa di lui. V’assicuro che Basily, da vero artista, mi si dimostrò meno scoraggiato per la strettezza della sua condizione, che per la decadenza dell’arte in Italia,’e per l’impotenza di sostenerla nello stato in cui si trova. Io non credo però questo male senza rimedio, come era opinione degli uomini ragguardevoli che me ne parlavano. Io stimo che una grande energia vincerebbe tutte qualunque sieno le difficoltà! E ben vero die l’energia non è una qualità facile ad ottenersi in Italia, ove l’artista vive isolato, senza appoggio, senza corrispondenza, senza le risorse di quel consorzio artistico del quale in Francia si abusa, ma che bene inteso può portare molti vantaggi. Lo spirito di maldicenza e d’invidia regna in tutte le grandi città italiane, nè io mai sentii colà un musicante parlare d’un altro senza che più assai ne dicesse di male che di bene. Un’anima forte non si lascierebbe per Certo vincere da questi ostacoli; ma Baini, ma Basily hanno settantasette anni, e l’energia non Ita punto che fare con quest’età. Essi non possono che abbassare la testa, e darsi pace. Quantunque io avessi buona opinione del merito di Basily, nondimeno io ne fui sorpreso. L’accoglienza che egli mi fece quand’io gli manifestai il mio nome fu come il risovvenirsi di cosa smarrita che colla mente si cerca. Così vecchio coni’è, colle sue dita emunte per l’età e rattrappate dai reumi, ei pur volle suonarmi qualcuna delle sue suonate per cembalo, nelle quali v’ha pur qualcosa di grazioso, e mi improvvisò delle fughe, e nei ricercavi di ottimo stile. La sua conversazione rivela altresì un buon senso, e delle considerazioni estetiche, qualità che guari non si trovano in generale fra i musicanti italiani. La mia visita gli fece piacere e l’animò alquanto. Volle scrivere qualcosa per me, e subito si mise a lavorare; ma due giorni appresso un’indisposizione l’obbligò al letto, ove ancora era quando io partii. Vi sono ancora a Roma parecchi compositori di musica di chiesa cresciuti nella buona scuola, e che bene scrivono, ma di rado hanno occasione di prodursi, poiché, fuori della cappella pontificia, non vi è alcun luogo a Roma ove s’ascolti musica grave. La più parte delle chiese principali hanno un maestro di cappella, le cui funzioni però non si possono sentire se non in due o tre solennità deH’aimo. A questo punto sono ridotte le celebri chiese ai San Giovanni Laterano, e di Santa Maria Maggiore, un tempo sì famose pel merito de’ loro maestri di cappella, e de’ loro cantori. Fra i compositori di merito che ancora si trovano a Roma, il cui sapere per modestia loro non è conosciuto, è da annoverarsi l’abate Santini, uomo dato tutto alla musica per tutta la vita, e la cui già avanzata età è stata tutta consecrata all’arte, senza altro fine che quello di gustarne il puro piacere che procura all’anima. Io ho veduto de’ salmi e de’ versetti, di sua composizione, a cinque, a sei e a otto parti reali, ne’quali il sentimento religioso, il carattere delle parole, il lavoro e l’effetto sono egualmente a lodarsi. Queste buone composizioni dovrebbero essere conosciute, e invece alcuno amico è tutto il pubblico a cui si fanno sentire. L’Italia in tutti i tempi lia avuto artisti segnalati, la cui virtù non è stata ignorata che dai loro contemporanei. La musica di chiesa è stata sempre in meno seria maniera trattata a Napoli che nella scuola romana, e lo stile di espressione a Napoli era già in voga da molto tempo, mentre che i maestri romani conservavano ancora la tradizione delle forme di Palestrina, e de’ suoi immediati successori. Durante, Leo, Pergolesi e Jomelli, hanno scritto solamente in questo stile di espressione, e le loro opere sono modelli in questo, genere, riguardo alla semplicità dei mezzi. Piccini, Sàcchini, Cimarosa, Paisiello, e in ultimo luogo Zingarelli sono. 7.. • V ° stati ì continuatori di questo stile, ma dandogli una tinta più spiritosa e concertata. Il gran inerito di questi maestri è stato quello di scrivere in un modo naturale ed adattato alle voci: Zingarelli si è distinto in modo singolare per questo pregio, e per un certo carattere di espressione tenera in qualcuno de’suoi lavori più belli, avvegnaché se gli possa sovente opporre poca scelta d’idee, e molta monotonia nel suo sistema di modulazione. Àncora nella sua maniera di scrivere si ravvisa molta negligenza, sopra tutto nelle ultime sue produzioni. Per riconoscenza ai servigi di Benedetto Yita suo famiglio, che aveva seco passata gran parte della vita, egli volle lasciare per testamento a questo servo fedele, non avendo altro, i suoi libri, e un’immensa quantità di musica da chiesa, eli’ egli aveva a posta composto affinchè il Vita potesse venderne a un certo prezzo gli originali dopo la sua morte. Perciò più inteso a moltiplicare il numero delle opere che a perfezionarne la bontà, egli cominciò a scrivere con tale rapidità, che sarebbe stato da fare le maraviglie che da un lavorare così concitato ne dovessero uscire altro che mediocri composizioni. Io ho il catalogo di questa musica, n’ho percorse buon numero eli partizioni e fra la moltitudine delle produzioni che vi sono indicate io ho notate 58 messe a due voci duomo, con orchestra: 6G messe per diversi generi di voci con organo; circa 25 messe a due o tre voci con istromenti; più di 20 messe solenni, a quattro voci e orchestra; 7 messe, Jcirie e ciucio a 8 voci; 40 credo a tre, quattro ad otto voci, con orchestra; o idem con organo; 84 Dixit a tre, quattro ad otto voci, con orchestra o organo; una moltitudine di salmi, fra’ quali 3G Beatus Vir con orchestra o organo e 49 Confitebor, 73 Magnificat a tre o quattro voci con orchestra o organo; 21 ore d agonia ad una due, tre e quattro voci, con istrlimenti e con introduzione per viole, violoncelli, e contrabassi; 29 Te Deam di ogni genere; 28 Stabat Ma,ter idem; vespri, compiete, litanie, un numero straordinario d’inni, antifone, versetti, responsi e lezioni per la settimana santa, graduali, offertorii, e finalmente 9 salmi italiani a quattro voci e orchestre. Fra tanta farraggine di cose, delle quali un gran numero è poco degno d’essere stimato, ciò che di meglio io ho trovato è il Miserere a quattro voci, senza accompagnamento, che Zingarelli compose per gli allievi del Conservatorio di Napoli: ivi veramente si trova un sentimento sublime nella sua semplicità. Il carattere della musica è sì bene appropriato alle parole, l’armonia è sì pura, lo voci sono sì ben collocate e si muovono con tanta naturalezza che questo pezzo, come che brevissimo, vuoisi considerare come una delle più ragguardevoli produzioni di questo autore. Gli allievi compositori del Conservatorio sogliono scrivere molte messe ed altri pezzi da chiesa, che sono eseguiti dai loro compagni, e che si fanno sentire in certe soìennità delle chiese e conventi di Napoli. La [iiù parte di questi sperimenti sono stali fino al presente fatti nella maniera di Zingarelli; ma sempre più si va scorgendo la tendenza teatrale nello stile povero d’idee di queste composizioni. Difficilmente i Napoletani possono mettersi in testa il grave e II serio. Mentre io era a Napoli, ebbe luogo una religiosa cerimonia per una monacazione. La pietosa solennità cominciava con una marcia militare, e finiva con una galoppa. Merendante, oggi direttore del Conservatorio, mi parrebbe idoneo, se non a restituire alla musica il semplice carattere che non le si dovea mai togliere, almeno a darle maggior gravità che non hanno le produzioni degli altri maestri Napoletani dell’epoca nostra. Egli è uomo di sentimento e di riflessione, e il suo genio ora volge al genere grave. Egli fra i compositori napoletani in generale, tutti di pronto ingegno, è quegli che scrive meglio. La sua carica poco lo lascierà più attendere alle cose teatrali; onde probabilmente le suo idee si volgeranno alla musica sacra, la quale a Napoli dà favorevol campo ai compositori meglio che in nessuna altra citta dell’Italia. Pi acciavi. ecc. Fjbyis. VARIETÀ llella imiif ut osarne e ilei iiiiisicale. (Inseriamo di buon grado questo articolo comunicatoci dal sig. C. Meliini, perchè ne pare che tra mezzo a diversi pensieri non in tutto conformi a quanto pensiamo noi sul medesimo soggetto.}si riscontrino molte idee giuste e di opportuna applicazione. Abbiamo poi replicato con una. nota del nostro collaboratore sig, A. M. al passo dell articolo stesso in cui il sig. Mellini mostra dissentire da un giudizio dato dal detto sig. A. M. ). L’imitazione in tutte le arti è stimata cosa lodevole, solo nella composizione musicale ne sembra essere con troppa severità condannata dal pubblico: di maniera che si appuntano persino a’ maestri quali difetti imperdonabili le reminiscenze, e i tratti imitati, quali solennissimi plagi. Forscchè furono plagiarli Virgilio, Dante, F Ariosto, e il Tasso, che tante cose presero, da Omero, tante Funo dall’altro di loro, e tante ancora da’minori poeti’/ Forsechè furono plagiarli nella pittura i Caracci clic da Tiziano, dal Correggio, e da Paolo Veronese derivarono tutto il carattere della loro maniera cotanto ammirata/ La Comunione di San Girolamo del Domenichino in Roma come potò acquistarsi ìa gloria di essere chiamata il primo quadro del mondo dopo la trasfigurazione di Raffaello, non essendo in gran parte clic una imitazione fedele del soggetto medesimo trattato da Agostino Caracci a’Certosini di Bologna / A che tanto è lodato nella storia Giulio Romano per l’imitazione di Raffaello, il Parmigianino per quella del Correggio, il Tibaldi per quella del Buonarroti? Stabiliscasi non per tanto che nella composizione musicale l’imitazione deliba essere più circoscritta di quella non pure concessa ma lodata nelle arti del disegno, c ciò perchè nel riprodurre gli esempli musicali assai meno è richiesto di virtù che nel riprodurre le cose delle arti più materiali, la cui sola pratica addomanda maggior magistero; ma il condannare per plagio nella musica ciò che può considerarsi per semplice imitazione, il bandire la croce addosso a chi trascorre in mere reminiscenze di sfuggevoli frasi ne sembra ingiusto oltrag [p. 84 modifica]due clarii gica. Seb. gidì cIl.gì successo ’ è che la alquanto che esigi aggirano può asp«} sonori, f genere i 1 secondi n cliestre i pregi principali e additato i minimi, hanno accusato il lavoro di poca originalità così in generale e alla inconsiderata sbracciandosi pure a predicare che molte reminiscenze vi si incontrano. Quando un critico musicale entra a parlare ex-professo d’alcuna composizione, non se ne può cavare con lode se non ragionandone con artistico fondamento, che le sentenze così generali e scorrette, quantunque sieno atte a trarre d’impaccio i critici imperiti e ad abbagliare il volgo degli indotti, sono però biasimate da chi per arte, o per istinto raffinato abbia ottimo senso del bello musicale. Le reminiscenze pertanto degnereranno in plagio quando si succedano le uno alle altre continuatamente, e non abbiano fra loro un conveniente legame. Ma ove esse s’incontrino più di rado, indefinite ed incerte, è soverchio rigore il farsene severo caso. La composizione deve essere riguardata nel suo complesso, e nel suo carattere musicale più che nei suoi membri, i quali, comechè non tutti nuovi ed inspirati, possono nondimeno risolversi in un tutto di bella originalità. Eppoi,si osservi che non di rado quelle reminiscenze che si riscontrano nella prima impressione di una nuova musica svaniscono quando fìa dato poterne ascoltare la ripetizione con comodo di meglio ponderarla e gustarla. Molti giornalisti di teatro, assistendo ad una replica, si pentono di quanto hanno esagerato riferendo il successo della prima rappresentazione: e molti di costoro che non hanno avuto la virtù di disdirsi, si trovano pei buoni successi ulteriori dell’Opera biasimata avere acquistato nome di imperiti, in questo rigore di censure peccano sovente quegli ascoltatori che sono amici dell’arte più per dovere di buon cittadino che per istinto e per cuore. Essi non possono mai trovare nella musica alcuna intima impressione che li costringa ad essere più clementi ne’loro giudizi; laddove l’amatore di sentimento giudica, per così dire, colle sensazioni sul labbro, e coll’intimo convincimento del cuore: egli, se prorompe con entusiasmo di lodi, se esalta con estasi di alletto, è il genio dell’arte che si esprime nelle sue esclamazioni, il suo giudizio sarà sempre prezioso. Stabilito così quale nella musicale composizione sia la imitazione lodevole e come essa possa tralignare in abuso, e quale debba aversi per plagio, resta solo a desiderarsi che i compositori s’ingegnino di temperare l’inspirazione colla pratica, il sentimento col magistero, il genio coll’arte, e il pubblico, giudicando con maggior considerazione, si mostri più indulgente e cortese. C. Meliini. (1) Il signor Mellini vorrà tenermi per iscusato, se non posso assentire alla sua opinione, non trovando nel pezzo di Bellini in quistione nemmeno que’ pregi che anche dal sullodalo signore si vogliono indispensabili acciocché il plagio possa riuscir lodevole. Dappoiché non mi sembra altrimenti vero che V innesto del primo sentimento della suonata di Beethoven nel coro della Norma sia tanto felice, né che la risposta sia interamente calzante alla proposta da sembrarne, com’egli asserisce, un sol pensiero, una sola ispirazione. Nè io adesso intendo di voler tacciare di slegato il componimento del maestro siciliano; ma per quel che è della fusione, unità, e incomparabile sviluppo del pensiero non posso non accordare ampiamente la preminenza alla composizione del sommo Alemanno. Questi si servì d’un solo unico pensiero, V altro impastò questo istesso pensiero con altri tre o quattro. Lascio ad altri a giudicare dove rinvengasi perciò il maggior sviluppo e la maggiore unità. £, duoimi per ultimo confessare, che non mi fu dato di riscontrare nel coro suaccennato, quella ripresa, che pure il signor Meliini asserisce esistere, del primo sentimento che risorge spontaneamente sotto variato aspetto; nè meno ancora le note dei bassi d’orchestra che alla fine del pezzo marcano, secondo lui, quasi in segreto il sentimento dominante preso da Beethoven, che è come il marchio di unità di tutta la composizione. Conviene dire che il sig. Mellini ritrovi in quel variato aspetto e in quei suoni segreti dei bassi, delle cose strane e palesi che a me non fu dato nemmeno d’intravedere. A me pare, se non m’inganno, che quel variato aspetto, e quel segreto suono del motivo, sieno davvero tanto variati e tanto segreti da non potersene affatto riscontrare nemmeno la traccia della primitiva idea. A. M. gio che si fa ai compositori, e da doversi avere in conto di lina cjilica esagerata e pedestre, la quale non può che portar danno all’incremento dell’arte. Noi pertanto ammetteremo c loderemo nella musica una circospetta c ingegnosa imitazione, e condanneremo, siccome merita, il plagio, che altro non è che uri ladroneccio non meno artisticamente riprensibile di quello che moralmente ( riferito all’altrui proprietà ) sia punibile dalla giustizia. Distingueremo l’imitazione dal plagio, e fisseremo fin dove possa essere spinta la prima senza degenerare nel secondo. 11 plagio nella musicale composizione può commettersi in due maniere: 4.° togliendo di peso uà un altro esemplare un’intera composizione, o un gran tratto della medesima; 2.° togliendone anche un piccolo tratto, e non saperlo rannodare con arte alle proprie idee precedenti 0 susseguenti. Ove poi altri togliesse da un’altrui composizione un breve tratto, e di quello si servisse per idea cardinale della sua, innestandolo con arte a’ proprii pensieri, e facendone un tutto di assoluta bontà, in questo caso, non che essere accusato di plagiario, egli dovrebbe anzi essere lodato e proposto ad esempio ai un ottimo genere di imitazione, il quale ollie forse non minori difficoltà di quelle che si incontrano da chi svolge e risolve 1 proprii pensieri; perchè nel primo caso la dottrina vincolata alle idee altrui è meno libera che non allorachè si occupa intorno ad idee proprie. E qui ne cade in acconcio di poter manifestare con dispiacere all’autore dell’articoletto sulla suonata di Beethoven in do diesis minore, inserito al N. 1U di questa Gazzetta musicale, di non essere della sua opinione. Egli, riferendo che Bellini si servì del primo sentimento di questa suonata per tessere il suo coro in fa del secondo atto della Norma, trascorre ad accusare Bellini di plagio non lieve. Forse questa parola non suona all’autore dell’articolo in senso tanto odioso quanto gliene attribuisce la scienza dei vocaboli italiani, e la ragion de’ sinonimi; ma siccome la lancia è pur corsa, noi ci sentiamo in dovere di provare come Bellini servendosi di un pensiero di Beethowen, non che commettere un plagio, abbia anzi dato saggio di non agevole imitazione. Vero c bensì che il coro della Norma s’imprende col primo sentimento della suonata di Beethoven sino alle prime parole delle parti: Non partì: finora è al campo; ma alle parole che seguono: Tutto il dice, i feri carmi, Il fragore, il suon dell’armi, il sentimento non è più di Beethoven, però l’innesto è così felice, e la risposta del soggetto è così conveniente e calzante alla proposta, che pare un sol pensiero, una sola inspirazione. Alle parole: Il suon dell’armi, delle insegne il ventilar, le parti si concertano con un volo peregrino e cadono in un motivo in terze della maggior gravità, conveniente al carattere del pezzo: tanto che da ultimo il primo sentimento quasi spontaneamente si sente risorgere sotto variato aspetto, e con un alternar delle due parti del coro clic dopo un movimento di scala si fermano in una nota tenuta l’una aspettando l’altra con bello effetto, si compie e suggella il pezzo, che va perdendosi e mancando mentre che i bassi d’orchestra pur marcano quasi in segreto il sentimento dominante preso da Beethoven, che è come il marchio di unità di tutta la composizione. L’arpeggiato che accompagna tutto il pezzo segue nel coro di Bellini un corso di modulazioni al tutto diverse da quelle della suonata di Beethowen, e va secondando tutti i diversi pensieri originali che si succedono gli uni agii altri tanto naturalmente e senza alcuno sforzo che paiono una sola idea, un sol concepimento. Imitazioni di questa sorte non pure sono da approvarsi, ma da riconoscerne capaci solamente i primi ingegni musicali, perchè a trattarle a questo modo poco minore inspirazione e magistero è richiesto di quello che a concepirle e condurle interamente del proprio (1). E ciò tanto è vero, che imitazioni di questo genere non ci è facile di riscontrare fuorché ne’ primi luminari della musica. Rossini e Donizetti ne hanno prestato buoni esempli, e il citato di Bellini può essere proposto a modello. Meno felice, non però alfatto riprovevole, è in questa parte Mercadante. L* imitazione adunque ove troppo sia trita e riprodotta può tralignare in abuso; ma essa poi, come sopra abbiamo avvertito, cadrà veramente in plagio quando ciò che si prende d’altrui sia di grave entità o non bene assestato c connesso alle proprie idee. Infiniti esempi di questa maniera di plagio si potrebbero recare da chi volesse le Opere recenti esaminare ed in ispecie quelle de’ compositori principianti; ma in generale ove sia sconnessione di pensieri, difetto di unità, sconvenienza di carattere, ivi è plagio; non essendo difficile che un artista compositore anche mediocre possa discretamente ordinare le sue buone o cattive idee, ed essendo d’altronde al tutto impossibile ch’egli giunga a giovarsi dottamente delle altrui. Quanto poi alle reminescenze delle quali si fa carico a’ maestri, più dovremmo andare guardinghi nel condannarle. Questo è il campo ove la critica del volgo degli ascoltanti più suole spaziare con ingiuste sentenze. Niente è più facile di quello che un indotto delle cose musicali si creda poter con fondamento accusare di reminiscenze una composizione, anzi quanto meno egli avrà l’istinto della musica, tanto più sopraffatto dal materialismo delle semplici forme che a lui poco possono suonar variate per cagione della sua insufficienza eziandio passiva di ascoltazione, sarà tratto a ravvisarle sovente, o le verrà additando altrui quasi come una scoperta da lui fatta. Che i poveri maestri debbano essere ancora bersaglio degli effetti della musicale ignoranza certo è cosa dura a sopportare. Ma chi potrebbe infrenare le lingue di coloro che hanno la facoltà di articolarle? o chi le potrebbe costringere a stare ognuna dentro i termini ove per istudio o per buon senso hanno diritto di potere ragionar con successo? Un recente fatto musicale ne porgerebbe materia di qui trattenerci alquanto discutendo quanto molti giornali, riferendo il trionfo della nuova Opera del maestro Verdi data testé al teatro alla Scala, hanno osservato intorno a quella musica per molti conti lodeYolissiina. Essi, per nostro credere, hanno dissimulato TEORICHE ME SIC ALI.»1X1/ ISTItSIUI’ TAZIO t:. aut. in (Continuazione ("*) ). Quello infra lutti gli strumenti d’orchestra, le cui eccellenti particolarità di effetto sono state più lungo tempo mal conosciute è la viola. Essa è agile quanto il violino, il suono delle sue basse corde ha un metallo singolare, le sue note acute si distinguono pel loro accento melanconico e passionato, e il suo timbro, profondamente gemebondo, differisce grandemente da quello degli altri stromenti tutti da arco. Ella è stata per un pezzo dimenticata, od impiegata al vile ed inutile officio di andare in ottava colla parte de’ bassi. Molte sono le cause del poco partito tratto da questo istromento. Primamente la più parte de’ maestri del passato secolo, concertando di rado quattro parti reali, non sapevano per conseguente che cosa farsi della viola; e quando eglino non avevano modo di assegnarle qualche nota di complemento negli accordi, se ne cavavano scrivendo quel famoso col basso, e il più delle volte tanto alla inconsiderata, che ne risultava un raddoppio all’ottava dei bassi sconveniente coll’armonia, o colla melodia, e spesso inconciliabile colf una e colf altra. Era altresì allora per mala sorte impossibile lo scrivere per le viole dei passi salienti che esigessero qualche magistero d’esecuzione. I suonatori di viola erano per lo più la feccia e il rifiuto de’violinisti. Quando un musicante si vedea insufficiente a tenere con successo un posto di violino, era messo alla viola: onde ne venia che il violinista non sapeva suonare nè il violino nè la viola. Dobbiamo ancora confessare che al nostro tempo questo pregiudizio sulla viola non è per anco interamente distrutto, e che tuttavia nelle migliori orchestre v’ha de’ suonatori di viola che niente più valgono di quelli de’ quali è detto di sopra. Ma di giorno in giorno più si sente lo sconcio di questa tolleranza a loro riguardo, e a poco a poco la viola come gli altri stromenti sarà affidata solamente aìl abili esecutori. L effetto di questo suono attrae di tal sorte l’attenzione, che in que’ rarissimi tratti in che gli antichi compositori lasciarono la viola campeggiare alla scoperta, essa non mancò mai di produrre ottimo effetto. Si sa qual profonda impressione faccia questo suono in quel pezzo dell Ifigenia in Tauride, quando Oreste trafelato, vinto dalla fatica, anelante, divorato dai rimorsi, si viene acquetando ed assopendo, e dice: «Nel mio cor torna la calma! 55 mentre l’orchestra con un movimento agitato esprime singulti, e pianti convulsivi affidati specialmente al gemebondo strisciato in ostinazione delle viole. Quantunque in questa ineffabile inspirazione nota 11011 v abbia della voce o degli stromenti che sublime non sia, egli bisogna 11011 pertanto convenire che il fascino ch’essa esercita sugli uditori, che il sentimento d orrore onde molli occhi si spalancano pieni di lagrime, sono effetti prodotti dalle parte delle viole. Nella immortale sinfonia della Ifigenia in Aulide, Gluck ha ragionevolmente impiegato le viole a tenere solo la parte bassa dell’armonia, non per averne qui l’effetto che resulla dalla special qualità del loro timbro, ma per accompagnare il più dolcemente che sia possibile il canto de’ primi violini, e per rendere più terribile l’attacco de’ violoncelli e contrabbassi che ripigliano il forte dopo un gran numero di pause. Sacchini altresì ha affidata la parte del basso alle sole viole nell’aria d’Edipo: «La tua reggia è il mio rifugio r> senza proporsi per iscopo di preparare un’esplosione. All incontro questa istromentazione dà qui alla frase di canto che accompagna una freschezza e una calma deliziosa. 1 canti delle viole nelle corde acute fanno meraviglie nelle scene di carattere antico e religioso. Sponlini, il primo, loro affidò la melodia in qualche tratto delle mirabili preghiere della Vestale. Méliul, sedotto dalla perfetta convenienza del suono delle viole al carattere elevato della poesia ossianesca, volle servirsene costantemente escludendo i violini dalla sua partitura delVUthal. Ne risultò, (I) Vedi i num. 5, S e 10 di questa Gazzetta Musicale. [p. 85 modifica]dicono i critici contemporanei, una disopri portabile monotonia che noeque al successo dell’opera. In questo incontro Gretry ebbe a gridare: «Io pagherei un luigi persentire oscillare un cantino!» Questo timbro si prezioso quando fatto ne sia discreto uso e sia con arte messo in contrasto con il violino e con altri strumenti, deve però essere parcamente usato: troppo è uniforme e spirante tristezza perchè 1 abuso non possa ingenerare la monotonia. Oggidì sogliono dividersi le viole in prime e seconde. Nelle orchestre come quella dell’Ode/vz di Parigi, ove ce n’ha un numero pressoché sufficiente, si ponno scrivere cosi divise; in tutte le altre orchestre, ove appena sono quattro o cinque viole, questa divisione nuocerà necessariamente a una sezione istromentale già per sé così debole, e che tutti gli altri strumenti tendono a sopraffare e coprire. Bisogna dire altresì che la più parte delle viole che sono oggidì poste in opera nelle orchestre non hanno la dimensione conveniente; esse non hanno nè la grandezza, nè conseguentemente la forza della vere viole; esse sono come violini armati di corde da viola. I direttori di musica dovrebbero sbandire assolutamente I uso di questi strumenti bastardi, che per la poca loro sonorità scolorano una delle più importanti parti dell’orchestra, togliendo loro molto di forza e di efficacia specialmente nelle corde basse. Quando i violoncelli cantano ottima cosa è qualche volta raddoppiarli all unisono colle viole. Il suono de’ violoncelli per questo accoppiamento acquista molta chiarezza e ripieno senza cessare di essere predominante. Ne sia un esempio il tema dell’adagio della sinfonia in do minore di Beethoven. I violoncelli e i violini sono i due strumenti da corda da’ quali da venti anni in qua si è tratto partito migliore, non solo nelle sinfonie e nelle opere ma ancora nei balli. Buon numero di violoncelli che spieghino all’unissono in acuto una larga melodia danno un certo senso di voluttuosa tristezza; onde sono da preferirsi ne’ passi di adagio di una nobile danza. Sono del E ari ottimamente acconci ad accompagnare l voce nei pezzi di carattere religioso, e sta in tal caso al compositore di scerre le corde sopra le quali la frase debbe essere trattata. Le due corde inferiori il do e il sol specialmente in que’ tuoni che consentono di poterle spesso impiegare a vuoto (la qual nota sogliono chiamar zero); sono di una sonora e grave unzione che perfettamente conviene in simil caso; ma la loro medesima gravità permette che loro si assegnino senza più bassi più o meno melodici, dovendo essere il canto dominante serbato alle due corde superiori. Weber nella ouverture dell’Oberon con effetto maraviglioso, ha assegnato il canto alle corde acute de’ violoncelli coi sordini, essendo il basso affidato alle note gravi di due clarini: cosa veramente nuova e magica. Sebbene i nostri violoncelli sieno oggidì di gran bravura sino ad affrontare con successo qualsiasi difficoltà, nondimeno raro è che la loro agilità nel grave non produca alquanto di confusione. Quanto a que passi che esigono di fermare il pollice e che si aggirano nelle note acute, meno ancora si può aspettare di buono. Essi riescono poco sonori, e meno precisi. Tratti di questo genere meglio è assegnare alle viole, o ai jjp secondi violini. Nelle complete e ricche orchestre moderne ove è buon numero di violoncelli, si scrivono qualche volta a due parti; i primi eseguiscono allora una parte a sé, e i secondi seguono il contrabbasso in ottava o all’unissono 0). Si suole ancora, per accompagnamenti d intenzion vaga e poco sonora, affidare il basso a’ soli contrabbassi, disegnandovi sopra due parti differenti di violoncelli che uniti alla parte della viola producono un quartetto di gravi armonie. Questo effetto bellissimo degenererebbe leggermente tanto solo che un poco se ne abusasse. Gli accompagnamenti a corde doppie, e gli arpeggi convengono a’ violoncelli nei Jorte molto allora sono d’aiuto al pieno dell armonia, ed aumentano il volume sonoro dell’orchestra. Il mettere in opera l’armonia di più violoncelli a diverse parti non porta grandi vantaggi. E più facile di ottenere l’effetto medesimo col mezzo de’ violini spartiti che suonino con sordini in sul cantino. Questi due timbri sono così fra loro rassomiglianti che non si possono distinguere l’uno dall’altro. Ì£. tìerlioz. (Stira continuato). (t) Questo unisono deve intendersi pél convenzionale di scrittura non già pei vero e perfetto unisono, il quale fra il contrabbasso e il violoncello, per cagione della diversa loro natura di estensione, non potrebbe inai ottenersi se non facendo tanto salire il contrabbasso da rendere un suono sproporzionato e spiacevole. Il Traci. DISCUSSIONI. RISPOSTA al chiarissimo signor Ricolò Eustachio Cattaneo. ( Vvdi Gazzetta musicale N. dG pag. GG ). Mi è grato di potermi accingere a rendervi ragione, chiuriss. signor Cattaneo, ai quanto cortesemente mi richiedete nelle vostre osservazioni sul mio articolo inserito al jN. ò di questa Gazzella musicale, e di potervi protestare che ove gli argomenti vostri sieno per convincermi io non sarò punto restio a dannivi interamente per ricreduto dalle mie opinioni; non potendo ciò essere se non con mia piena soddisfazione, sia per la molta vostra e conosciuta dottrina e sperienza delie cose musicali, sia pei modi di tanta urbanità onde vi piace invitarmi ad entrar seco voi in parole: titoli tutti che rendono il cedere superiore ad ogni scrupoloso sentimento dell’amore di sé. incomincierò pertanto definendo che — La musica drammatica (a mio credere) è quella che è intesa con un ragionevole e proporzionato uso di tutti i mezzi dell’arte a modulare un dramma lirico, serbandone tutta la scenica verosimiglianza ed aggiungendovi quel maggior prestigio di evidenza rappresentativa di che e capace la melodia nelic sue ritmiche cadenze e l’armonia nelle sue molteplici combinazioni. - Da questa definizione voi potete avvedervi, stimatiss. signor Cattaneo, che io sono con voi di perfetto accordo riguardo alle qualità che debbe avere un buon compositore da voi cosi opportunamente circoscritte ad - estro poetico ( non librettistico) - fantasia melodica - scienza armonica - cuore suscettivo di sentire in tutte le svariatissime fasi delle passioni - fino criterio e tatto scenico - profonda cognizione della declamazione - idee ben distinte e chiare della musica puramente melodica o meloarmonica e della musica puramente drammatica. Ma una buona dose di genio potrestemi voi negare che non valga a sopperire a una gran parte di queste qualità? Certo che se voi credeste il contrario non m’avreste nelle vostre osservazioni conceduto che a’ giorni nostri la musica abbia tocco il sommo grado in qualche scena di qualche Opera, ed anche in qualche (rarissimo) atto intero, non essendovi per avventura alcuno de’ nostri moderni compositori che tutte per arte possegga le descritte qualità, le quali sono pure indifferentemente tutte indispensabili per produrre non che un’Opera, un intero atto od una scena perfetta. Quanto poi alle distinzioni che saviamente voi m’invitate a dare il più possibile esatte fra la musica meramente melodica, e la musica drammatica, piacciavi avere per fermo che in quel mio articolo altro io non intesi per musica drammatica se non quella che suolsi accoppiare al nostro dramma lirico, e che volgarmente appellano Opera. Musica drammatica per me suona quanto musica del dramma, siccome dalla recata definizione potete desumere; nel qual senso io non intendo che ella differisca dalla musica semplicemente melodica se non rispetto a tutte’quelle condizioni che valgano a renderla fedele, ragionevole,.e quasi prodigiosa interprete del dramma stesso: e vogliatemi5 vi prego, fin d’ora avere per cordialissimo nemico di tutte quelle astrazioni e speculazioni filosofiche colle quali molti presumono penetrare negli inviolabili segreti delle arti. Questo officio io lo lascio voiontieri ai buon tempo di coloro che sono vaghi d’andar sofisticando senza prò, c che veggono piuttosto l’arte, di quello che la sentano in cuore: e tanto tengomi orgoglioso che io non vorrei a patto nessuno dividere il piauso che s’hanno avuto que’critici, specialmente oltramontani, che in occasione dello Stabal di Rossini haniio così bizzarramente fantasticato sulla verace indole della musica religiosa, sino a riconoscerla solamente cristiana nel canto fermo, quasi che il ritmo melodico e l’armonia non potessero essere conciliati col raccoglimento della devota preghiera; quasi clic finalmente non convenisse all’uomo l’adoperare nelle laudi di Dio tutti quegli argomenti onde l’arte sic fatta migliore. Quistioni da pigmei in faccia ni colosso sublime e imperscrutabile dell’arte che per attraverso ai secoli colla sua vita di progresso percorre ed irrompe; attentati meschini del calcolo contro l’eccelso volo del genio; vane prove di sovvertimento contro la prepotente necessità de’ tempi! TVè d’altro intendo io qui parlare che generalmente dell’arte. Siete voi, signor Cattaneo, tanto che basti chiarito di quanto nelle osservazioni mi avete richiesto? od almeno, da ciò che ho qui dichiarato potete voi comprendere quali sieno le mie opinioni tanto da poter proseguire nelle vostre erudite quistioni, per richiamarmi al dovere ove io sia errato, per farmi ragione ove pur me la troviate in qualche parte meritare? Come che sia, d’una cosa potete tenervi sicuro, e ciò è di non essere mai per venir meno nella mia distinta estimazione, colla quale ho il piacere di offerirmi, Vos tro devo l iss im o, C. Mkllini. Di Milano 25 aprile 1842. ALBUM. — Il sig. Ricardo Wagner ha dedicato tre lunghi e molto elaborati articoli, inseriti nella Gazelle Musicale de Paris, ad esprimere l’alto concetto ch’egli lia dell’autore della Juive e della Ile ine de Chypre, il sig. Halevj, e adoperò con molta energia a persuadere ui giovani compositori francesi a volere pigliare a modello de’ loro studii lo stile pittoresco, severo, e ad un tempo brillante e passionato che tanto fa stimare In Germania le partizioni di quell’insigne artista. Esce quindi con queste parole che noi abbandoniamo alla riflessione de’ nostri lettori più sensati, di que’ lettori cioè che giudicar sogliono della importanza delle più rigorose verità indipendentemente da ogni idea di speciale vanità, o pregiudizio. “ 11 y a à regretter que nos jeunes compositeurs français n’ayent pu trouver la force de suivre les traces de l’auteur de la Juive. Et ce qu’il y a de plus déplorable, c’est qu’ils ont eu la lâcheté de subir l’influence des compositeurs italiens à la mode. Je dis la lâcheté, pareequ’en effet ce me semble une faiblesse coupable et honteuse de renoncer à ce que l’on trouve de bien dans son propre pays, pour singer les médiocrités étrangères, et cela sans autre motif que de profiter d’un moyen facile et commode de surprendre la faveur passagère de la masse inintelligente. Tandis que le maestri italiens, avant de paraître devant le pubblic parisien, se livrent à des sérieux travaux afin de s’approprier les grandes qualités que distinguent l’école française; tandis qu’ils s’appliquent scrieusement (ainsi queDonizelti l’a prouvé récemment et à son grand honneur dans la Favorite, ec.) à se conformer aux exigences de cette école, à donner plus de fini et plus de noblesse aux formes, a dessiner les caractères avec plus de précision et d’exactitude, et surtout à se débarrasser de ces accessoires monotones et mille fois usées, de ces ressources triviales et stéréothyphées dont l’abondance stérile caractérise la manière des mauvais compositeurs italiens de notre époque; tandisque ces maestri, dis-je, pour respect pour la scène ou ils veulent se produire, font tous les efforts pour retremper et ennoblir leur talent, les || adeptes de cette école si respectée préfelj rent ce que ceux-là jettent loin d’eux avec Il un sentiment de pudeur et de mépris. S il ne s’agissait que d’amuser les oreilles du public par la voix de tel virtuose ou de telle cantatrice en faveur, n’importe ce qu’ iis chantent, et en ne tenant compte que [p. 86 modifica]de rexécution, ce sarait un assez bon calcul de la part de ces Messieurs de chercher à satisfaire de la manière la plus commode du monde aux exigences d’un pubblic assez peu difficile pour n’en point demander davantage. 11 est vrai que dans ce calcul, le but au quel doit s’attacher tout véritable artiste, celui d’ennoblir et d’élever l’âme par la jouissance, n’entrerait pour rien. Mais l’expérience nous prouve que ce serait commettre une criante injustice envers le pubblic des deux Opéras de Paris que de lui attribuer un goût si peu éclairé et si facile à contenter 55. — Veggcndo noi tanti inesperti compositori venir facendo di pubblica ragione le loro produzioni edisprczzarc il sapere, troppo confidenti nel loro genio, ne cade in acconcio di citare un fatto che dovrebbe senir loro di lezione: Cherubini, l’illustre Cherubini copiava, eziandio in questi ultimi anni le composizioni di Palcstrina e di Clari, e a que’ suoi amici che gli chicdevan conto di quel lavoro, soleva rispondere: «Io imparo, perchè quando io ben m’avessi (ingerito anni, in musica vi sarebbe sempre da imparare». E intanto Cherubini era quell’uomo del quale Haydn si compiaceva dire: «Io mi sono vecchio, è vero, ina come musicante, io sono vostro figlio». Cose singolari degli antichi musici greci» ÀntigenidCj uno de’ più celebrali flautisti della Grecia e maestro di Alcibiade, si curava poco, secondo Aulo Gellio, dell’applauso del pubblico. Egli insegnava ai suoi discepoli di pensare come lui, c, per consolare uno di essi, il quale ebbe poco applauso malgrado la sua grande abilità, gli disse: «la prossima volta tu sonerai davanti a me ed alle Muse». Egli giudicava invalido il giudizio della moltitudine nelle cose del gusto, e sentendo un giorno da lontano batter le mani ad un sonatore di flauto, esclamò: ■ costui deve sonare male assai, altrimenti il popolo non l’avrebbe tanto applaudito». L’efesia, secondo Ateneo, rimproverò uno de’ suoi allievi, il quale voleva sempre sonare nei tuoni acuti, dicendo: «l’arte non consiste nell’acutezza del tuono, ma nella conformità del tuono all’oggetto». Ippomaco, era dell’opinione di Antigenide. Vedendo un giorno acclamato dal pubblico un giovine di poca abilità, lo bastonava, dicendo: «esser questo applauso la maggior prova della sua inabilità!» NUOVE INVENZIONI. Sudre, l’inventore della lingua musicale, ha dato in Parigi nella sala di Herz una interessante accademia di Telefonia o tele8 rafo musicale ad uso delle armate di terra e di mare, praticato anche per mezzo di. un istromento monstre di nuova invenzione ad aria compressa, che fa sentire i suoni a due leghe di distanza. I rapporti i più favorevoli de’ ministerj dell’interno, della guerra, della istruzione pubblica e della marina, provano l’utilità della scoperta del sig. Sudre, e proclamano che questa scoperta merita di esser incoraggiata*, ma tutte le promesse si limitano a sole frasi d’encomio per l’inventore. Nelle sue sessioni, Sudre prega gli spettatori di compiacersi a scrivere ogni sorta di quesiti sopra una tavola e col mezzo di alcuni suoni tratti dal violino, egli trasmette a madamigella Hugot, vezzosa interprete della lingua musicale, il quesito proposto sulla tavola ed il gentile (turcimanno lo ripete con esattezza all’assemblea, e con ciò evidentemente dimostrando l’infallibilità del processo telefonico, che si spera veder quanto prima adottato. Dopo alcuni esperimenti di lingua musicale Sudre fece sentire il nuovo suo stromento, che si potrebbe chiamar Telofono, col quale si ponno trasmettere segnali od ordini a due leghe di distanza sì di notte che di giorno, tanto in tempo sereno che nebbioso. E una specie di tamburo di rame da cui sortono quattro tazze di trombe le quali producono l’accordo perfetto nel secondo suo rivolto ed alternativamente e simultaneamente rendono i loro suoni diversi col mezzo della pressione di quat- 8G tro stantuffi, che aprono un’uscita all’aria compressa e serrala nell* inlerno del tamburo con un mantice che riempie la macchina di fiato. E l’ultimo punto del suono stridente in musica, e se invece di quattro trombe ve ne fossero sette, potrebbe bastare a darci un’idea abbastanza esatta del formidabile squillo delle sette trombe che dovremo sentire al giudizio finale. (Estratto dalla Gazzetta Musicale di Parigi). NOTIZIE VARIE. Parigi. — Thalberg ne’ due suoi concerti al teatro Italiano ha guadagnalo non meno di 25000 franchi, il suo studio a note ribattute ebbe un successo d’entusiasmo. — Il giorno primo maggio si pubblicò una raccolta di dodici studj a quattro mani di Cramer, la prima che il famoso pianista abbia in quei genite dato alla luce. — Sotto la presidenza del duca di Coiguy è stata formata una commissione per l’innalzamento di un monumento funebre alla memoria di Cherubini. l)a questo momento le soscrizioni si ricevono al Conservatorio di Parigi. Pietroburgo. — Sivori c Artot, il primo per difficoltà mirabilmente superate, e l’altro per espressione vanno a gara nel cattivarsi i suffragi di questo pubblico, clic accorre in folla a’ concerti di que’ rinomati violinisti. La Cinti-Dainoreau continua a far meravigliare per la rara finitezza e facilità del suo canto. Berlino. — Alessio LvolT ha composto un nuovo divertimento per violino e violoncello con accompagnamento d’orchestra, il cui programma è troppo interessante, perché si abbia a tralasciar di farlo conoscere a’ nostri icttori. Il duello di LvolT è un incantevole quadro di un ordine tutto drammatico: L° Vita allegra di due amici a cui succede una viva disputa; 2.° slida, duello alla spada, gemiti del ferito; 3.° disperazione dell’avversario, il ferito ricupera i sensi; -4.° riconciliazione c ritorno alla vita allegra. Il duello ò tanto di moda che lo vogliono sentire in tutti i concerti particolari. 1 migliori interpreti di questa notevole composizione furono i fratelli Ganz. Venne pubblicato colla dedica al celebre Meyerbeer, che sembra pensare a tult’altro che alla grande opera che da quattro 0 cinque anni promise alla direzione del teatro dnY Accademia reale di Parigi. Torino. — Da una lettera di un illustre nostro concittadino distinto amatore della bell’arte ricaviamo i seguenti brani che si riferiscono ad un capolavoro di 1111 autore italiano, in oltremonte giudicato senza rivali fra i moderni compositori di musica sacra. — È un bisogno per me il comunicarle l’entusiasmo, la commozione, l’ammirazione che ha saputo in me destare la stupenda messa di Requiem per voci di uomini di Cherubini, che la scrisse pel proprio suo funerale, componimento classico sopra ogni altro che io abbia udito. - Comincia il Kyrie con un grave in re minore di esimia fattura in cui son specialmente notevoli le cantilene intrecciate fra le viole e i violoncelli con sommessi accompagnamenti di bassi, di timpani e di qualche nota tenuta de’ corni. Magnifico si è il Dies irce clic apresi con un allegro vivo, pure in re minore, a tutta orchestra, a cui tiene dietro un bell’andante a 3 e 4 che mette ad un presto di un grandioso effetto. L’andante imlVOffertorio non potrebbe con modi più elevati esprimere la mistica sublimità del sacro testo. Reca meraviglia la concertazione e la condotta della successiva fuga in fa tempo ordinario; pezzo di un risultato mirabile. Bellissimo il Sanctus: l’adagio dell’elevazione tenero quanto mai. Nel Domine, dona eis requiem pare che il sommo maestro abbia voluto darci l’idea di una eterna pace con certe classiche frasi, con modulazioni ed armonie si magistrali che non potevano esser suggerite se non da profonda meditazione sulle grandi verità della religione e sugli ultimi destini dell’uomo. La perfetta esecuzione sotto la direzione degli egregi signori Ricardi, Poliedro c Ghebart contribuì assai a dar risalto alle sublimi bellezze dell’ultimo lavoro di Cherubini, qui prodottosi il giorno 27 p. p. nell’occasione dell’anniversario della morte di S. M. il Re Carlo Felice». Pisa. — Non solamente in Francia c onorata la memoria di Cherubini. A Pisa nella chiesa di San Francesco è stato testò eseguito con affollato concorso il Requiem per voci d’uomini stato composto dal grande maestro. Un magnifico catafalco era stato eretto, c rendeva più commovente quella cirimonia la presenza di molti membri della famiglia dell’illustre defunto. Vi si vedeva fra gli altri una sua nipotina in terza generazione dell’età di quattro anni. Firenze, sua città natale ha dovuto del pari pagare il suo tributo di cordoglio e di omaggio. NECROLOGIA. ahtokio isiuu:. La Germania ha perduto uno de’ suoi più antichi editori di musica, uno de’ suoi più sapienti contrappuntisti, ed uno de’ suoi scrittori più versali nell’estetica musicale. Antonio André è testò morto ad OlTenbach, in una età qqasj decrepita, appunto un mese dopo la morte della vedova di Mozart, la quale lo ha preceduto al sepolcro senza poter vedere il monumento che si sta innalzando a Salzburgo in memoria dell’illustre suo marito. André era molto dimestico amico della cara Costanza;e da lei nel ji790 aveva egli comprato tutti i manoscritti di Mozart. André era un eccellente cantante in sua gioventù; ma dopo aver fatto qualche viaggio artistico per la Germania meridionale, {lasciò questa carriera, c si diede tutto allo studio severo della composizione, mentre ancora attendeva a dirigere il suo stabilimento di stamperia ove si pubblicavano le migliori opere del suo paese. A lui dobbiamo principalmente la propagazione e I incremento della litografia. Egli|. veggcndo clic Sennefelder in Vienna,[«inventore di questa maniera di stampe, in vano lottava contro le molte e gravi difficoltà di esecuzione, l’invitò ad OlTenbach perchè ivi stabilisse le sue officine. Il signor Scnncfeldcr ivi si fermò lungo tempo, e quando deliberò di abbandonare questa città, la sua invenzione s’era già fatta europea. In questi ultimi tempi il signor André ha redatto un catalogo delle opere edite ed inedite di Mozart indicandone accuratamente tutti i temi. Questo catalogo l’ha tenuto occupato per più di tre anni. Pubblicava in oltre sulla composizione un’opera di teorica in sei volumi, tre de’ quali sono solamente pubblicati, c trattano dell’armonia, del canone, e della fuga. Si dice che il manoscritto degli altri tre sia interamente completo: essi trattano della melodia, dell’armonia fra la musica e la lingua, c in fine d’una critica teorica sull’uso della voce umana secondo il carattere dell’artista. Il signor André era certamente il più severo critico della Germania: cd io mi ricordo avendo avuto opportunità di vederlo più volte l’anno passato, egli mi lesse buona parte delle sue critiche sopra Haendcl, Beethoven, Mozart, cd altri celebri compositori moderni. Beethoven specialmente è analizzato mirabilmente, nò più degli altri sfugge alle squisite e sopraffine osservazioni della sua critica giudiciosa. Del resto André ha composto molte canzoni che si distinguono per grande semplicità, per sentimento profondo, e per rara intelligenza delle parole onde sono inspirate. Fra i suoi discepoli sono più conosciuti in Germania i signori Alevs Schmidt c Wilhelm Spcier. Quest’ultimo singolarmente ha composto canzoni che sono cantate per tutta quella contrada. André nudriva la speranza di andare ancora a Parigi per ivi fare eseguire qualche pezzo non conosciuto di Mozart. Speriamo che il figlio di lui che fa degnamente le sue veci a Francfort, compirà il voto di suo padre. André doveva ancora possedere alcune lettere di Mozart che saranno probabilmente pubblicate. Dopo la morte della cara Costanza, un giornale di Vienna ha pubblicato una lettera dell’illustre autore del Don Giovanni, che mette in chiaro la miseria in cui c vissuto Mozart. In questa lettera indirizzata a un certo signor Fuchs, il povero compositore gli annuncia che egli è stato costretto a dare il suo ultimo soldo al proprietario della casa che egli abita, per non esserne cacciato, aggiungendo che gli bisognano 2,000 franchi, pei quali egli si impegna a fare tanta musica. A quest’epoca Mozart aveva già composto il Don Giovanni, il Flauto Magico, e il Tito. In fine della lettera si legge: Spedite 200 franchi a Mozart. A. Wkill (G. M. di F.) KLOVE Pl’BB LICAZIONT MUSICALI DELL I. II. STABILIMENTO NAZIONALE PRIVILEG.’ Di eiOVMKI RICORDI» MUSICA DEL M.° CÀV. SÈìo Ss* dflÈÌD «3 M S& Sì Riduzione completa per il Pflc a 4 mani Fr. Idem per Pfte solo Idem per Cauto con accomp 0 di Pfte.. • ver- Violino e Pionoforte SOMA MOTIVI DEM.’ OPERA dui. HADNTito ««.villini: DOSIKETTI COMPOSTE DA N. Fr. 5. - N. 2. Fr. 4 SO. per Flauto e Pianoforte SOPRA REMINISCENZE DELL’OPERA ILA PAYOBITA DEL MAESTRO CAVALIERE JLMSaflZETTI COMPOSTA I)A DalC I. R. StalïiHsîseHto Nazionale Prhiic^Sato «Si Calcografia, Copisteria e Tipografia Musicale «li GIOVj&NAI RICORDI. Contrada degli Omenoni j>r, 4720.