Gazzetta Musicale di Milano, 1842/N. 38
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N. 38 |
DOMENICA |
DI MILANO |
J. J. Rousseau.
LA MUSICA
CONSIDERATA COME ARTE
M»
iEVIALE.
e il magistero delle arti non ad
potesse servire che al pasiJCAà
salempo, ai diletti della gene«r*
Aerazione presente, ben poca ne
$&&&§&&’ sarebbe l’utilità, che anzi alcune
di esse appena cesserebbero di essere vere
immoralità quando ottenessero di togliere
per alcuni momenti un soffrente alle sue
pene, o di esilarare la mente dell’uomo
utile da lungo lavoro affaticata. No: non è
questo lo scopo delle arti, di questo prezioso
dono che il Creatore fece alla prediletta
delle creature.
• L’effigiale immagini
«Son favella possente
«Ai popoi, clic da secoli
«Non ragiona; ina sente.
Cosi scriveva un vigoroso genio italiano
cui ci gode l’animo di poter render pubblico
omaggio (t). Il linguaggio delle arti va
dritto al cuore, vi s imprime indelebilmente,
lo riscalda, lo signoreggia senza
che questo s’avveda di obbedire ad altro
che al proprio impulso. Ma ciò non basta.
L’uomo non vive del solo presente: creato
per l’eternità mal potrebbe spingere il pensiero
alle speranze avvenire, se nulla losse
per esso il passato, nè vivere potesse nelle
memorie dei tempi che più non sono.
Le umane generazioni avrebbero invano
occupata la terra, se come le onde che
scorrono sul letto d’un fiume, e vanno a
perdersi nell’oceano, niuna traccia di sè
lasciato avessero. La storia conserva le memorie:,
ma la storia non avrebbe autorità,
se ad attestarla non sorgessero i monumenti.
Prova ne sia il dubbio che uno dei
sommi filosofi italiani sparse su quella della’
guerra di Troja, della venuta d’Enea in
Italia e dell’origine di Roma. (2)
La natura conserva le testimonianze di
Dio, le arti quelle delle generazioni passate:
e le arti e la storia degli uomini, la
natura e la storia delle opere divine si fondono
in un libro immenso di verità che
lo spirito concepisce, e il sentimento approva
e conferma.
Le arti acquistano il carattere solenne monumentale
quando ricordano notevoli fatti
e illustri uomini, quando ritraggono l’indole
e il carattere dei popoli e dei tempi,
(1) Cario Malaspina noto sotto il titolo di Facchino
di Parma.
(2) Vico, Scienza nuova.
e quando finalmente segnano il progresso
della civillà.
Le arti hanno tutte una particolar attitudine
ad ottenere piuttosto l’uno che
l’altro di questi fini, a seconda dei mezzi
proprii di ciascheduna-, ma l’Architettura
e la musica sembrano atte in particolar
modo a ritrarre il carattere dei diversi popoli,
come quelle che sono men soggette
a certe date materiali forme.
Confrontate i diversi stili architettonici,
dalle gigantesche moli dell’Egitto alle svelte
forme corintie, dalla solenne semplicità dei
templi dorici alla sveltezza delle guglie gotiche,
dalle pesanti colonne sottoposte a
più pesanti trabeazioni, che l’indiano scava
nella rupe, alle volanti teltoje cinesi, e vedrete
quante svariate forme riceva dal diverso
sentire degli uomini il semplicissimo
conflitto di una forza che combatte la gravità.
Portatevi ora col pensiero a passeggiare
fra le disotterrate vie di Pompeja.
«A noi era nota» (cosi si esprime un
dotto viaggiatore) «la storia politica e miti
litare degli antichi. Nel foro, nel senato,
«sui campi di battaglia conoscevasi il ro«mano, ma qual fosse la sua vita dome«stica, quali le sue abitudini, le costu«manze, tutto era dubbioso, incerto, ipo«tetico. A Pompeja l’antichità fu trovata
«intatta, intiera: se ne cercano, se ne atti
tendono gli abitanti, che non sembre«rebbe trascorso un giorno da che se ne
«allontanarono».
Tanto può la vista di quei luoghi! Che
cosa mancherebbe a compierne l’illusione?
Una voce, un canto, una musica di quei
tempi, per quantunque semplice e rozza
si fosse, che si facesse udire da una di
quelle case, da uno di quei templi, accanto
ad una di quelle tombe, darebbe vita a
quel cadavere; e voi sentireste presente
alla vostra immaginazione un popolo che
da tanti secoli soggiacque ad una delle più
tremende catastrofi.
Immaginate qual più vi piace dei monumenti
che ci attestano la grandezza di
popoli che più non vivono che nella storia,
e vedrete quanta vita acquisterebbero se
alcune poche note, ma caratteristiche, venissero
a rompere il silenzio spaventevole
che le circonda: vedrete di quale magica
evidenza riuscirebbe un canto che poteste
suscitare anche solo allora che a quelle
storie volgeste il pensiero.
«Oh! perchè non si può dare all’effetto
«dei suoni la solidità dei macigni!!!» Dicevarni
un giorno uno di quei pochi che
sentono nel più profondo dell anima il
potere delle arti. Oh! Perchè dei canti di
antichi popoli non rimangono che poche memorie
insufficienti a farceli pure immaginare.
Oh! perchè almeno non si tenta di preservare
dal fatale naufragio ciò che pulsi
potrebbe conservare; e non si segue da
noi l’esempio datoci dall’Inghilterra e già
imitato in parte dalla Francia, e Germania,
di ricordare a quando a quando ciò
che di rimarchevole rimane fra l’antica
musica!.
E musica antica, dicesi e non fa al
nostro gusto. Ma perchè restringeremo noi
i limiti già troppo angusti di nostra esistenza
morale privandoci di tanta parte di
memorie?
Quella musica è antica, è totalmente diversa
dalla moderna: si replica... Che vuol
dir ciò?
Vorrà dire che la musica prende carattere
dalle abitudini, dai costumi, dal grado di
civiltà dei popoli. Presentando essa differenze
più risentite d’età in età a confronto
delle arti sorelle, vorrà dire che scaturisce
da un fondo più intimo, più vitale di noi
stessi; che essa è più indipendente dalla
materia, o dalle convenzioni umane; che
perciò stesso è dessa un monumento da
cui, meglio che da qualunque altro, possiamo
conoscere le più intime graduazioni
dei sentimenti delle umane generazioni;
che quest’arte può divenire in alcune circostanze
il testimonio più sensibile, più
irrefragabile dei conflitti in cui dovette
l’uomo trovarsi nelle diverse epoche in
cui visse.
Nè giova opporre che la musica essendo
il linguaggio di pochi e non del popolo,
le differenze che essa presenta dipender
debbono dallo studio meglio inteso, dal
genio più o men potente, da circostanze
insomma tutte proprie dell’artista compositore.
A combattere tale obbiezione, ove venisse
fatta, noteremo in primo luogo che
l’artista compositore non vive solt’altre
influenze che quelle sotto cui vivono i suoi
contemporanei, epperciò ritrae necessariamente
in sè stesso il carattere comune.
Quindi faremo osservare che il più gran
genio per essere inteso e ottenere 1 applauso
del suo tempo deve farsi interprete
dei sentimenti comuni. Che perciò stesso
ov’egli precorresse un’altra età non sarebbe
inteso e non avrebbe onore qual si
merita se non se dai posteri. Ciò che accadde
nelle scienze a Copernico, a Galileo,
a Vico, e tant’altri, accadrebbe pure nelle
arti.
Che dobbiamo noi concludere? Che per
giudicare la musica d’ogni tempo, d’ogni nazione,
ed assaporarne le bellezze conviene
farvi abitudine, e, come dice il dotto Félis.
«La musique miseà la portéé de tout le monde».
Porci nelle circostanze, nelle idee dei
tempi in cui fu scritta: conviene insomma
voler provare un altro |modo di esistere,
un altro tuono di sensazioni.
Nè ciò sarebbe senza molto vantaggio delf
arte nostra; poiché in quel modo che
scontransi nelle storie fatti che scuotono
la nostra sensibilità, riscaldano l’immaginazione,
e ci rapiscono a noi stessi, così
nella musica antica troveremo dei tratti di
somma bellezza, verità, e novità di espressione;
tratti che sono perduti per chi non
li sente.
Nè temiamo asserire che la nostra musica
melodrammatica non potrà dirsi aver
toccato il sommo grado di perfezione finché
la musica antica non sia divenuta popolare.
Allora sarà veramente sentita la relazione
intima dell’arte colla vita: allora l’artista
compositore potrà con una bella fusione
del carattere antico collo stile moderno
dare una tinta vera ed originale ai fatti
che si rappresentano nel dramma, ed essere
inteso
Ciò che dicemmo parlando dei canti caratteristici
nazionali, ripetiamo per la musica
dei secoli trascorsi; le bellezze di
quelli come di questa si trasfonderanno
sempre in vano nella musica drammatica
se il loro tipo non è conosciuto.
Ma fra tanta musica delle passate età
quale sciogliere, quale rifiutare come immeritevole
di attenzione?
Quella dei maestri più celebrati, perché
questi furono indubitatamente i migliori
interpreti del loro tempo; quella poi del
popolo che si riferisce ad interessanti avvenimenti
perchè ne ritrae certamente il
carattere, ecco la musica da sciegliere onde
studiarne l’indole, e fra queste la più semplice
e la più scevra da quelle complicazioni
di cui tutto il pregio consiste nel difficile.
E gli scrittori che di nulla meglio si
presero cura che di far valere la loro perizia
nel maneggio de’ più astrusi artifizii
dovettero sempre obbliare il sentimento,
e sagrificare l’affetto alla loro ambizione:
scrissero essi per sè, non per gli altri, nò
furono mai gli interpreti della natura. Basti
ad essi di essere a quando a quando osservati
nelle scuole del meccanismo.
Il richiamare a vita i capolavori della
musica antica servirebbe poi sempre ai moderni
scrittori di stimolo a produrre opere
degne di memoria; stimolo che va sempre
più mancando da che sì è fatta sì breve
la durata delle produzioni musicali che
pochi anni bastano a farle collocare fra
le cose viete e fuor d’uso.
Chiamino pure i freddi] calcolatori vanità
la gloria, non farà mai opera grande chi
non vi aspiri. Erostrato arse il tempio
d’Efeso per lasciare un nome immortale;
pensate come gelida debba riuscire l’idea
di vivere pochi e tristi anni sulla terra senza
lasciarvi traccia di sè! R. Boucheuon.
STURI BIOGRAFICI.
GIOVAMI WOLFAiVOO MOZART.
{Vedi il N. 57 di questa Gazzetta)
Giovanni Wolfango Mozart (•’ nacque ja
Salisburgo il 27 gennajo deli75G. Non mai
(i) Abbiamo trailo Io seguenti notizie dalia grande
Opera biografica.del sig. Fétis, e le arricchimmo di altre
raccolte in altri scritti.
organismo umano fu più del suo dotato di
felici disposizioni musicali, nè con segni più
certi si manifestò. Appena aveva egli tocco
il suo terzo anno, allorachè suo padre, Leopoldo
Mozart, distinto maestro’di musica, imprese
a darlezioni di musica alla sua sorella
maggiore 6). Da questo momento tutta l’attenzione
del piccolo Giovanni Wolfango fu
rivolta al pianoforte. Spesse volte ei cercava
le terze colle sue piccole mani, e se gli accadeva
di trovarne manifestava la propria
gioja con atti di un’esaltazione eccessiva.
Poco più che trastullandosi a questo modo
egli apprese i primi elementi della musica
e i principii della digitazione. Giunto appena
al quarto suo anno, meraviglia a dirsi!
suonava già con notevole espressione delle
composizioncelle ch’egli imparava con mezz’ora di studio tutt’al più, e già componeva
dei minuetti ed altri piccoli pezzi che
suo padre scriveva sotto la sua dettatura! Il
consigliere de Nissen pubblicò questi primi
saggi nella sua grande monografia di Mozart,
colla scorta de’manoscritti originali
in numero di ventidue. Tutti furono composti
negli anni tra il 1760 al 1762, vale
a dire quando T autore non aveva che
l’età dai quattro a’ sei anni, ed è veramente
cosa da far stupore chi osservi quelle
prime produzioni d’un genio che ingrandì
fino all’epoca della morte del meraviglioso
artista.
Nel 1762 Leopoldo Mozart fece un viaggio
a Monaco co’suoi due figli, ove entrambi
eccitarono non poco stupore. Però,
la vera ammirazione fu tutt’intera per il
piccolo Giovanni Wolfango, il quale all’età
di sei anni eseguì un concerto di pianoforte
alla presenza dell’Elettore. Nell’autunno
del medesimo anno la famiglia Mozart
si trasferì a Vienna ove produsse la medesima
sensazione destata a Monaco. L’Imperatore
erasi accostato al clavicembalo al
quale sedeva il fanciullo virtuoso; ma questi
chiese che gli si chiamasse Wagenseil, maestro
della Cappella della Imperiai Corte.
- Signore, gli disse, il piccolo Mozart, mi
accingo a suonare uno dei vostri concerti,
vorreste aver la bontà di voltarmi le pagine?
- Questa franchezza e confidenza in
sè medesimo fu una delle qualità speciali
al carattere di Mozart e si appalesò in lui
in tutte le circostanze della sua vita artistica.
Suo padre aveagli comperato a Vienna
un piccolo violino ch’ei seco portò a Salisburgo,
e del quale pareva si occupasse
niente più che come d’un giocatolo. Un
dì Werzel, musico della Cappella del Principe,
recatosi a consultare Leopoldo Mozart
intorno a un nuovo Trio da lui composto
volle provarne l’effetto. Ei si prese quindi
la parte di primo violino, diede quella di
secondo a Schachtner altro musico della
Corte, e a Leopoldo Mozart il basso. Mentre
i suonatori facevano i preparativi il piccolo
Giovanni Wolfango si pone a sedere accanto
a Schachtner, armato del suo piccolo violino,
e pretende raddoppiarne la parte, malgrado
le rimostranze di suo padre. Non ci
fu caso di impedire ch’ei facesse la sua
volontà; se non che, scorse appena alcune
battute ecco i tre vecchi professori guardarsi
in viso l’un l’altro stupefatti al vedere
un fanciullo di sette anni cui non
erano mai state date lezioni di violino, eseguire
con esattezza la propria parte. Meravigliato
di tanta felice audacia, Schachtner
cessa dal suonare, e il piccolo Mozart va
sino al fine dei tre Trio senza punto esitare.
Nel mese di Luglio del 1703 Leopoldo
Mozart intraprese un lungo viaggio fuori
della Germania coi suoi due figli. Monaco
fu la prima città ch’essi visitarono. L’entusiamo
che il prodigioso fanciullo vi aveva
destalo alcun tempo prima si risvegliò allora
quando lo si udì suonare nella medesima
Accademia un concerto di pianoforte
e uno di violino, e farsi a improvvisare sui
temi che gli venian dati. Amburgo, Maneim,
Magonza, Francoforte, Cobìenza,
Colonia, Aquisgrana, Brusselles, accolsero
in seguito i due artisti adolescenti coi più
vivi applausi. Arrivata a Parigi nel novembre
dell anno stesso la famiglia Mozart
non trovò in questa capitale altro appoggio
sulle prime che la proiezione del barone
di Grimm, il quale poi nella sua Corrispondenza
letteraria offerse delle interessanti
particolarità sull’infanzia dell’illustre
compositore 6).
A nostri giorni, malgrado i prodigi che
da tanti anni in poi hanno stancata la pubblica
attenzione, un fanciullo dotato dello
straordinario ingegno conceduto dalla natura
al piccolo Mozart, appena si sporgerebbe
al pubblico e tosto la generale ammirazione
assicurerebbe ad un tempo la sua fortuna
e la sua fama. Ma a’giorni di cui parliamo
le cose procedevano ben altrimenti. La sola
Corte poteva giovare alla riuscita di un
artista straniero. Mercè la protezione di
Grimm che a Mozart procurò quella del
barone di Holbach, del conte di Fesse, del
duca di Chartres è della contessa di Clermont,
la famiglia Mozart fu invitata a recarsi a
Versailles ed ebbe l’onore di essere presentata
al Re. Wolfango suonò di pianoforte,
improvvisò, e ricevette unanimi dimostranze
di ammirazione.
Le principesse del sangue, le duchesse e
le marchese avevano dato il primo cenno
dell’entusiasmo, e la moda era venuta in
soccorso al giovinetto artista il cui nome
in pochi giorni fu proferito in tutte le
conversazioni di Parigi come quello di un
genio raro. Però il padre di Wolfango mentre
si compiaceva delle carezze e dei baci che
si prodigavano a suo figlio, si lagnava che
i guadagni non andavano del pari e si risolse
di strasferirsi a Londra (2).
Nella Capitale dell’Impero britannico il
fanciullo prodigioso destò la medesima ammirazione
che a Parigi. Già fin dall’età di
sei anni ei suonava l’organo in un monastero
della Germania con tanto gusto e
bravura che i frati per udirlo, lasciavano
spesso la tavola per trasferirsi dal refettorio
nella Chiesa. Non è quindi meraviglia che
a Londra ei venisse chiamato 1 Handel dell’organo.
Alle accademie da lui date in pubblico
accorse una folla straordinaria di spettatori
i quali furono meravigliati che la
musica da lui cou tanta bravura eseguita
fosse quasi tutta di sua composizione.
Verso la fine del 1765 la famiglia Mozart
lasciò Londra ove ella aveva dimorato
quasi la mesi, e continuò le sue trionfali
peregrinazioni, destando dappertutto il piccolo
Wolfango un’ammirazione e un entusiasmo
che quasi saremmo tentati a credere
esagerati. Al fine dopo tre anni di
viaggio
restituì
il futu
(1) Maria Antonia Mozart. Alcuni anni fa ella viveva
ancora a Salisburgo c all’età di sèttantasette anni aveva
perduta la vista.
(1) Da altri scritti riguardanti l’infanzia di Mozart,
raccogliamo ch’egli possedeva una grande disposizione
agli studii matematici, e che per un bel pezzo la sua
passione per la scienza delle cifre disputò nel suo animo
l’impero a quella dei numeri armonici.
(2) Ei soleva dire agli amici: Se invece di carezze e
di baci si prodigassero a mio figlio delle buone monete
lo cose andrebbero meglio per la mia borsa... viaggio ella si ricondusse a Salisburgo, ove
restituito alla quiete della vita ordinaria
il futuro autore del Don Giovanni potè
riprender gli studil di composizione sotto
i dettami del padre suo. Le principali opere
di Handel portate da Londra e quelle di
Sebastiano Bach furono i suoi modelli classici; più tardi aggiunse a questi anche diverse
composizioni degli antichi più stimati
maestri italiani, nelle quali imparò senza
dubbio la preziosa arte di far cantare le
parti in modo facile e naturale perfino nelle
più complicate combinazioni*, e questo lu
in Ini un pregio che gli avrebbe assicurato
un incontestabile superiorità sui compositori
tedeschi di tutte le epoche anche nel
caso che il suo genio fosse stato meno elevato.
Sul finire di questo stesso anno 170/ la
famiglia Mozart fece un secondo viaggio a
Vienna, ove Wolfango allora in età di dodici
anni, suonò di pianoforte alla presenza
di Giuseppe II e tanto lo stupefece, così
pel merito dell’esecuzione come per quello
della composizione, che ebbe a dargli incarico
di comporre la musica di un Opera.
Il giovinetto maestro accettò 1 impegno e
scrisse la Finta semplice che ottenne 1 approvazione
di Ilasse e di Metastasio 0).
Guarito da una breve malattia subita a
Olmutz tornò Wolfango a Vienna ove tutto
l’anno 17G8 si occupò a scrivere molta musica
da Chiesa e per piano, e a dar 1 ultima
mano all Opera-già cominciata. L anno susseguente
ei lo passò in patria ove attese ad
imparare la lingua italiana nell’intenzione di:
fare un viaggio nella nostra Penisola. E in
fatto ei la percorse e non è a dire se trionfalmente.
Verona, Mantova, Milano, Fi-;
renze, Roma, Napoli lo udirono e lo am-!
mirarono. Un entusiasmo che non è sì facile
a suscitarsi altrove come ne paesi
meridionali, lo accolse dovunque. I poeti lo
cantavano ne’loro sonetti e nelle loro odi,
delle medaglie si coniavano in suo onore,
le accademie gli spalancavano le loro porte,
e i più dotti maestri delle severe scuole di
Bologna e di Roma riguardavano attonite
al suo ingegno (-). Ei non aveva compiti per
anco i quindici anni, e l’antifona a quattro
parti <3) da lui scritta per il concorso dell’Accademia
filarmonica era riputata degna dei
bei giorni di Paleslrina, e il musico più
erudito d’Italia, il padre Martini, lo chiamava
illustre maestro; egli non aveva compiti
per anco i quindici anni e udito due
sole volte il Miserere dell’Allegri gli bastò
per scrivere a memoria quel celebre pezzo
del quale era proibito estrar copia; egli
non aveva compiti per anco i quindici anni
e il più gran compositore drammatico del
tempo, Adolfo Ilasse, sopraddetto in Italia
il divino Sassone, dopo aver udito il suo
Mitridate e la cantata Ascanio in Alba,
non esitava ad esclamare «Questo fanciullo
farà dimenticar tutti noi» e il fiore della
popolazione di Milano radunata nel vasto
teatro della Scala gli gridava trasportata
d1 ammirazione: Evviva il maestrino!
(1) Il signor Fólis tace nella sua biografia che quest’opera
non potò rappresentarsi a Vienna.
(•2) A Roma, colla mediazione del Cardinal Pallavicini,
il giovinetto Mozart venne insignito del diploma di Cavaliere
dello Speron d’oro. Però, sebbene delia sola età
di quattordici anni, ci comprese che il più eletto suo distintivo
sociale era il suo medesimo talento, e non voiie
mai decorarsi dell’insegna, ottenuta senza ch’egli personalmente
ne facesse domanda.
(3) Questa Antifona tenne riprodotta dai Pott. Lichlentha!
nel pregevole suo opuscolo di recente pubblicato
col titolo Mozart e le sue Creazioni. Di questo opuscolo
avremo a giovarci nel proseguire la presente biografia.
Da detta Antifona valse a Mozart il grado di membro
dell’Accademia filarmonica di Bologna e di Maestro
Compositore.
Citi voglia osservare le composizioni di
Mozart scritte da lui fino a tutto questo
primo periodo della sua vita, le giudicherà
specialmente notevoli pel poco rapporto
che esiste fra il merito di esse e la adolescente
età dell’autore. Se già vi si rileva
in generale uno studio profondo dell’armonia
e del contrappunto, se dalle fresche
ed eleganti sue melodie e dal sì caratteristico
colorito della sua musica torna impossibile
non ravvisare in lui un1 organizzazione
piena di genio, è pur giuocoforza
convenire che tutte le composizioni da lui
prodotte fino a questa epoca riflettono
d’assai la imitazione delle Opere de’ suoi
grandi modelli, i Bach, gli Haendel, gli
Ilasse. Ma è ormai per lui vicino il giorno
in cui la sua mente, acquistando il vigore
necessario a spiccare voli suoi proprii, farà
pompa della più ricca originalità di ispirazione
e vestirà forme nuove e darà vita
a uno stile mirabilmente classico nella stessa
libertà e varietà de’ suoi sviluppi. B.
(Sarà continuato)
DELL’1STROMENTAZIO NE.
ARTICOLO VII.
(fedi i fogli 5, S, IO, 19, il, 25, 26, 37 e 32/
Il corno è uno stromento d’indole nobile
e melanconica; tali però non sono il
suo timbro e la sua sonorità che egli non
possa riuscire in ogni genere di pezzi. Egli
si fonde agevolmente nel ripieno armonico;
e il compositore eziandio più mediocre,
può a suo agio adoperarlo ed assegnargli
una parte che torni gradila quasi senza
avvedersene.
Il corno ha due maniere di suoni mollo
fra loro differenti, i suoni aperti i quali
spontaneamente escono dall’istromento senz
altro mezzo o trovato che quello delle
labbra e del fiato dell1 esecutore, e i
suoni chiusi che si ottengono turando più
o meno colla mano il buco della campana.
Gli antichi maestri sortosi generalmente accontentali
dimettere in opera i suoni aperti;
e questi scrivevano, bisogna pur dirlo, assai
puerilmente. Beethoven medesimo è grandemente
riservato nell’uso de’ suoni chiusi,
quando non tratti il corno in solo) gliesempj
nella sua orchestra assai rari ne sono, e
quando pur v’abbia ricorso, quasi sempre
gli è per ottenere un effetto risentito: onde
possono notarsi il la bemolle grave del terzo
corno in mi bemolle, nello Scherzo della
Sinfonia eroica, e il /à diesis grave del secondo
corno in re nello scherzo della Sinfonia
in la. Questo sistema è certo incomparabilmente
migliore del contrario metodo
adottato oggidì dalla più parte de’ compositori
francesi e italiani, il quale consiste
nello scrivere i corni come si fa i fagotti
e i clarini, senza aver considerazione alla
differenza grandissima che v’ha fra i suoni
chiusi e gli aperti, e del pari fra certi suoni
chiusi e certi altri, senza punto badare come
sia malagevole all’esecutore il pigliare una od
altra nota ove quella che la precede naturalmente
non l’agevoli e spiani, senza considerare
la difficoltà di ottener precisione,
e la poca sonorità, o il rauco suono di
cattiva intonazione che si lia dal chiudere
per due terzi o tre quarti del buco della
campana; e senza finalmente essere da tanto
di supporre che una profonda conoscenza
della natura dello stromento, il gusto e il
buon senso possano aver che fare alcun
poco coll’uso de’ suoni che questi maestri
scolari gettano così alla inconsiderata nell’orchestra.
La grettezza degli antichi è
da preferirsi a questa profusione. Per cagione
di un effetto speciale non si scrivono
altrimenti i suoni chiusi, e quando
ciò pur si faccia, bisogna almeno causare
quelli che danno troppo debole suono
e troppo diverso da’ suoni naturali del
corno. Il mi bemolle, il la naturale, il
si naturale, di mezzo, il fa diesis di
mezzo (preparato da un sol)., il fa naturale
di mezzo (preparalo da un sol o da
un mi), il re bemolle di mezzo (preparato
da un do) il si naturale basso (preparato
da un do) il la bemolle, il fa diesis e il fa
naturale basso (preparati da un sol),’ il
la bemolle alto (preparato da un sol) debbono
bastare all’uso de’corni nell’orchestra.
Gli altri suoni chiusi, come il re bemolle
e il re naturale sopra le righe; il
la naturale basso, il si bemolle basso e il
la bemolle di mezzo, non dovrebbono mai
èssere adoperati come note di ripieno, ma
Solamente per cagione di ottenere effetti
comportati dal loro timbro sordo, rauco
e selvaggio. Per un disegno melodico nel
quale acì ogni patto si convengono queste
note, io non indicherei da potersi usare
che il la bemolle di mezzo. 11 si bemolle
basso è stato scritto una volta da Weber
nella scena del Freyschiilz in cui Gaspard
congiura Samiel; ma questo suono è di
tal sorte chiuso e per conseguente di tal
sorte sordo che punto non si sente; nè potrebbe
altrimenti farsene caso se non quando
l’orchestra tutta si tacesse ed egli solo rimanesse
alla scoperta. Così il la bemolle
di mezzo scritto da Mcyerbeer nella scena
delle monache del Robert le Diahle, quando
Roberto s’avvicina al sepolcro per carpirne
il ramo incantato, attrae l’attenzione così
viva solamente in grazia del silenzio di
lutti gli altri strumenti; e intanto questa
nota è assai più sonora clic non il si bemolle
basso. In certe scene di silenzioso
orrore può ottenersi grandissimo effetto da
queste note chiuse messe a più parti: Meliul
è il solo (per me) che n ha tratto partito
nella sua Opera Phrosine et Mélidore.
La famiglia di questo stromento è completa.
Egli ci ha de’ corni in tutti i tuoni,
come che il contrario sovente si dica. Quelli
che sembrano mancare nella scala cromatica
si ottengono per mezzo di una giunta
che abbassa lo stromento di un mezzo
tuono. Noi abbiamo corni forniti di lutti i
pezzi in si bemolle in do, in re, in rnibemolle,
in mi naturale, tu fa, in sol, in la bemolle,
in la naturale, in si bemolle alto, e in do
acuto; ma, apponendo l’aggiunta ai tuoni
di si bemolle e di do basso, si ponno
avere quelli di la basso e di si naturale,
e per questo mezzo medesimo tramutare
il tuono di re in re bemolle (o do diesis)
e il tuono di sol in sol bemolle (o fa diesis).
Ora quantunque le antiche orchestre solamente
avessero due corni, oggi i compositori
tutti ne scrivono quattro. Nel primo
caso, quantunque s’abbia ricorso a’ suoni
chiusi, le risorse dello stromento saranno
assai limitate, quando si tratterà di uscir
modulando dal tuono onde è il corno piantato;
nel secondo caso invece, quando ancora
non si vogliano impiegare che i suoni
aperti, collo scambio de’pezzi che costituiscono
i tuoni ciò è agevole a farsi.
Laonde in un pezzo scritto, per esempio,
in la bemolle, il compositore può
impiegare quattro corni nel medesimo tuono;
ma meglio farà ancora a metterne due in un tuono e due in un altro, oppure
a metterne i due primi in un tuono,
il terzo in un altro e il quarto ancora in
un altro; lo che tornerà per avventura più
comodo e gradito all’effetto. Potrà finalmente
mettere i quattro corni in quattro
differenti tuoni, e ciò sarà da praticarsi in
que’ casi in cui altri voglia solamente servirsi
de’ suoni aperti. Pel tuono suddetto
di la bemolle ciò potrebbe farsi, ponendo
il primo corno in la bemolle, il secondo
in J’a, il terzo in mi naturale, e il quarto
in do. In questo mezzo, pochi accordi vi
sarebbero ne’ quali non potessero essere
introdotte quattro o tre od almeno due
note aperte dei corni. Ma quando si voglia
(siccome il senso comune detta) servirsi
lodevolmente delle buone note chiuse e
delle aperte insieme, basta scegliere un
tuono pe’due primi corni, un altro pel
terzo, ed un altro pel quarto. D’altra
banda il genere di frasi più o meno melodiche
che debbono essere eseguite dai
corni a due o tre parti, la natura delle
modulazioni, gli effetti da prodursi nel
corso d’un pezzo e la forma degli accompagnamenti,
debbono principalmente considerarsi
dal compositore ed essergli guida
nella scelta de’tuoni ove piantarei corni. Egli
bisogna altresì guardarsi di scrivere i differenti
corni in maniera uniforme, dando
a’ tuoni acuti, per esempio, un’estensione
in alto che solo è accessibile ai gravi tuoni,
e scrivendo pe’tuoni gravi, certe successioni
di rapide note nel basso della scala,
le quali (rispetto alla lentezza delle vibrazioni)
non possono ottenersi che in un
movimento più lento, o sopra un tuono
alto. Si dee altresì sino a certo segno considerare
il mal vezzo che tuttavia regna fra
molti esecutori di dividersi in suonatori di
primo corno e suonatori di secondo corno,
come se si trattasse di due stromenti diversi.
Gli uni si servono d’una imboccatura
o bocchino stretto che ajuta 1 emissione
delle note acute ed hanno tanta
facilità a montare quanta difficoltà a discendere;
onde per essi non bisogna punto
contare quanto alle note dell’estremità inferiore:
questi sono i primi corni. Gli altri
colla loro larga imboccatura, troppo penano
a montare, ed agevolmente riescono nelle
note gravi; a loro sono da affidarsi con
sicurtà i pedali sul sol, il conira-do, e il
contra-sol, bassi: e questi sono i secondi
corni. Da ciò si pare che torna meglio,
quando si pongano in atto più tuoni in
una volta, affidare i tuoni acuti ai primi
corni e i tuoni gravi ai secondi. Un altro
avvedimento non guari avuto da molti compositori
(di che meritano biasimo) è quello
di guardarsi dal far cambiare all esecutore
nel pezzo medesimo un tuono alto assai
con un tuono de’ più bassi, e viceversa.
Al suonatore di corno è d’incomodo, per
esempio, un subitano passaggio dal tuono
di la alto a quello di si bemolle basso:
nè col mezzo che si ha oggidì di quattro
corni nell’orchestra dee mai capitare necessità
di dover ricorrere a cangiamenti così
disparati e lontani.
Io porto opinione che nessuno maestro
abbia saputo trarre dal corno un partito
più originale, più poetico e nel medesimo
tempo più compiuto di Weber. Ne’ suoi
tre capolavori, Oberon, Erjanthe e Freyschiitz,
egli fa loro parlare un linguaggio
mirabile e nuovo, che Meliul e Beethoven
soli si direlibono avere appena compreso
prima di lui, e Meyerbeer, meglio degli
altri, mantenuto in tutta la sua purezza.
Di tutti gli stromenti d’orchestra quello
che Gluck meno bene scriveva era il corno:
solo che un’occhiata si dia ad una delle
sue Opere può agevolmente vedersi quanto
poco valesse in questa parte: bisogna però
ricordare come tratto di genio le tre note
del corno che imitano la conca di Caronte
nell’aria d’Alceste» Caron Cappelle!»
Sono dei do di mezzo, resi all’unisono
dai due corni in /’e; ma l’autore avendo
imaginato di fare abboccare le due campane
l’una contro l’altra, ne viene che
esse si servono a vicenda di sordina l’una
all’altra e che i suoni intersecantisi pigliano
un accento lontano ed un timbro cavernoso
di un effetto strano e drammatico quanto
si possa imaginai’e. Io credo però che Gluck
avrebbe ottenuto il medesimo intento col
medio la bemolle chiuso, di due corni
in sol bemolle. Ma forse a que’ tempi gli
esecutori non erano abbastanza sicuri di
pigliare somiglianti intonazioni, e l’autore
ben fece a ricorrere al singolare mezzo da
lui usato per smorzare e rendere lontani i
più aperti e arditi suoni del corno in re.
(Sarà continuato).
NOTIZIE VARIE.
— Milano. 11 sig. Dcssane, di recente si generosamente
encomiato dai giornali di Genova e Torino, quanto prima
si produrrà in una pubblica accademia per farci udire
un nuovo istromento già da qualche tempo conosciuto
in Francia sotto il nome di Melofono, e che ivi ottenne
la piena approvazione di molti insigni maestri, fra cui
basti nominare un Cherubini, un Aubcr, un Paer, un
Halevy. Chi desiderasse esser informato delle particolarità
e de’ pregi del Melofono può ricorrere al N. 14. di
questa stessa Gazzetta, o meglio intervenire al concerto
del sig. Dcssanc, a cui fra noi auguriamo l’esito ottenuto
nelle capitali dello Stalo Sardo.
— Bologna. Domenica 21 scorso agosto in una amena
villa, ad un quarto di miglio da Bologna, fuori di Torta
Castiglione, goduta dal maestro Gioachino Rossini, clic
pochi giorni prima era stato insignito da S. ài. il Re di
Prussia del nuovo ordine del merito, alcuni suoi affezionati,
per festeggiarne il giorno onomastico nelle ore pomeridiane
lo sorprendevano con varj trattenimenti. Consistevano
questi nell’ascensione di un gigantesco globo
areostatico e nella accensione di bellissimi fuochi artificiali.
Poscia da un eletto numero di professori mediante
acconcia riduzione, da stromenti da flato in giardino cseguivansi
le incomparabili melodie colle quali il gran
maestro vestì l’Inno - Stabat Mater. Giovanni Andrò,
celebrato professore di fagotto, ne è stato il riduttore, e
quanto bene egli siavi riuscito non è a dirsi, imperciocché
sì grande ne fu l’effetto, tanta la precisione, sì ingegnoso
l’adattamento delle parli vocali e l’intreccio
degli accompagnamenti, che l’illustre autore ne rimase
soddisfattissimo c gli ascoltanti, in gran quantità colà
accorsi, compresi furono da indescrivibile diletto, e trasportati
da entusiasmo più volte proruppero in strepitose
acclamazioni ed in prolungali evviva, tutti facendo voli
che il genio senza uguali voglia dotare l’Italia di nuovi
insuperabili lavori e per lungi anni possa vivere felice.
— Firenze. Nell’istesso giorno 2t dalla Società che
porta il modesto nome di Conversazione Musicale, in
una delle Sale dell’Accademia delle Belle arti in Firenze,
eseguivasi da circa centoventi parti fra dilettanti e professori
il rinomalo Oratorio - Cristo sull’Oliveto - di
Beethoven, il quale ne’cori di questa sua composizione
trasfuse le meraviglie della sua immaginativa e delia sua
dottrina. Kell’esecuzione in pieno soddisfacente si distinse
il tenore sig. Olimpo Mariotti, abile dilettante.
Nella successiva domenica poi il già famoso cantante
Nicola Tacchinardi volle prodursi in un trattenimento
musicale dato nel Salone annesso alio stabilimento Goldoni.
Il registro della sua voce ora non è più di tenore:
cantò il duetto della Beatrice Tenda e quello dell’Elisir
di Amore colla signora Irene Secci, giovane dotata dì
bella c forte voce, in ispecie in questo ultimo duetto
generosi applausi gli vennero tributati; in fatti le intenzioni
gaje di Donizetli furono da lui con spirito espresse.
Nell’istessa accademia si ammirarono il valente suonatore
di arpa Marcucci, ed il Corazzi bravo allievo del
Cavaliere Giorgetti, il quale con un zelo il più lodevole
in Firenze dirige una pubblica scuola di violino che gode
molta riputazione ed in quanto a giusto maneggio e regolare
portamento di arco in Italia a nessun’altra è seconda.
— Leggiamo nella Gazzetta Musicale di Parigi:
■ Rossini che colla nota sua schiettezza suol dire di
non volerne più sapere dì comporre, e che ride seco
stesso all’udire i suoi editori vantare il suo Stabat come
una produzione degna di essere messa a Iato al Guglielmo
Teli, Rossini al presente dedica i suoi ozii a rigenerare
i Conservatomi eli Italia.» Crediamo dover notar due
cose in queste poche righe: se è vero che Rossini rida
seco stesso de’ suoi editori perchè pongono lo Stabat
al Pjlro del Guglielmo Teli, non riderà già perchè ei
creda che tra le sue due partizioni corra troppo divario
di merito, ma perchè gli parrà da pigliarsi in
ischerzo il bello spirilo di chi vuol paragonare tra essi
due capolavori di indole tanto diversa che la menoma
approssimazione appare tosto assurda. Poi osserviamo
alla Gazzetta Musicale di Parigi clic è vero bensì che
Rossini si occupa con sufficiente zelo di alcune riforme
nella direzione del Liceo musicale di Bologna, ma per
nulla affatto egli ha clic fare cogli altri Conservatorii di
Italia, i quali se anche abbisognassero di essere rigenerati
non vedrebbero la necessità di ricorrere al grande
maestro. Voler far un merito a Rossini col supporre
ch’ei renda all’arte di cosi fatti servizi, è più che altro
un far torto alla grandezza del suo genio; ovvero è un
modo mollo fino e diremmo quasi astuto di rimproverarlo
del suo proponimento di non più occuparsi a scrivere
pel teatro.
— Si è ultimamente pubblicato a Parigi un opuscolo
intitolato Exposition ilu sgstème de l’écrihtrc musicale
chiffrie, di certo signor Joule. É scopo di questo scrino
una radicale riforma della attuale notazione alla quale
il dotto signor Jeule vorrebbe sostituire uria notazione in
cifre arabiche o numeri, idea non punto nuova, coni’è
nolo, ma che pure l’autore presenta con qualche sua
particolare modificazione. Ci sarebbe da empire un grosso
volume, dice un foglio francese, ove si volessero analizzare
i diversi saggi di questo genere che si sono fatti
da cento anni in poi, e che lutti andarono falliti. Tutti i
sistemi di nuova segnatura proposti in sostituzione delle
note illuso caddero dinanzi l’impossibilità di servirsene
pei pezzi complicali. Quello del signor Jeule pare destinato
alla sorte medesima.
— TI conte Mortimero di Maltiahn, ministro di Prussia,
agii affari esteri, durante una lunga indisposizione di salute,
si occupò di comporre dei pezzi di musica clic dali
alla stampa ebbero molta voga: «È raro, dice un giornale
tedesco, vedere un uomo di slato impiegare di questo
modo i proprii ozii forzati, e la Prussia può vantarsi
d’avere forse la prima offerto un si bell’esempio di
eccezione».
— Ti Monde Musicale si lagna forse a ragione, clic
la nuova direzione del teatro italiano di Parigi, avendo
fallo proporre una scrittura a Rubini, gli mettesse per
patto la rinunzia ad alcune parti importanti del suo repertorio
come quelle della Lucia, della Sonnambula,
del Pirata, de’Puritani. Rubini ricusò di assoggettarsi
a questa condizione, probabilmente per non volere ricomparire
ad un secondo posto sopra uno teatro ove per
tanto tempo brillò come astro primario. Però non possiamo
acconsentire a quanto dice il prenominato foglio
clic lasciando a Rubini fra le altre, la parte di Don
Giovanni, nell’Opera di questo nome, sia un limitarlo
all’impiego di tenore leggiero. La parte di Don Giovanni
è di tanta importanza, sia musicalmente, sia drammaticamente,
che con essa sola può un artista procacciarsi
la più splendida celebrità, ove sappia debitamente
investirsi dello incomparabili ispirazioni di che è ridondante
quel capolavoro mozartiano.
Il detto giornale aggìugne le seguenti parole:
«D’alcun tempo in qua dello voci assurde da noi
già smentite continuano a spandersi, intorno alla pretesa
alla croce d’onore, che si attribuisce a Rubini.
Rubini è uomo troppo ragionevole e savio per aver voluto
imporre, come si dice, questa condizione al suo
contralto; Rubini sa dei pari che la croce d’onore non
si dà se non se agli artisti che definitivamente rinunziarono
a comparire sul teatro».
— Dresda. La gran festa vocale ebbe luogo nello
scorso mese d’agosto, alla quale prendevano parte circa
570 cantanti, fra cui anche un deputato dell’Unione de’
Cantori di Francoforte sul Meno. Il primo giorno fu dedicato
alla gita sull’Elba. 35 gondole ornate festivamente,
distribuite in 7 divisioni (la prima, composta di cinque
gondole era l’unione de’ Cantori di Dresda; la seconda
era quella di Gottleub, la terza della Bassa Elba, la
quarta dell’Erzgebirg, la quinta del Voigtland, la sesta
della Lusazia, la settima quella de’ contórni di Dresda)
veleggiavano a Blascvitz e Loschwitz, eseguendo una
serie di canti eccellenti. Nel secondo giorno, circa 350
cantori si recarono alla pianura di Plauen ove, distribuiti
in varj luoghi, facevano risuonare i loro canti, e
quelli eseguiti sui monti produssero un magnifico effetto.
Trattali a lauta mensa dal sig. barone Burk, tornarono
lietamente a Dresda. Il miglior ordine regnò in
questa festa.
— Salisburgo 5 seilcmbre. La prima giornata della
festa di Mozart è passata, e ci lasciò in dietro una sublime
impressione. S. ài. l’Imperatrice madre, LL. MM.
il ile e la Regina di Baviera col principe Luilpohl ed
ambe le principesse Ildegarda c Alessandra, arrivati da
Berehtesgaden, furono testimonj dei momento dello scoprimento
della statua del Maestro, il cui nome qui è
sulle labbra di tutti e svolazza sur ogni vessillo. Il nobile
ed illustre arcivescovo Ladislao Pyrkcr c’inviò già
da Monaco un saluto festivo con un inno popolare, il
quale messo in musica dal maestro Ncukomm, venne
cantato alle 10 di sera presso l’illuminato monumento
di Mozart. Alle ore II il corteggio colle torcie accese
recossi al convento di S. Pietro’, ove abitava il canuto
patriarca, e vi ripetevano un’altra volta l’inno.
(Dalla Gazz. Univ.)
GIOVAMI RICORDI
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Dall’I. R. Stabilimento Nazionale Privilegiato
di Calcografia, Copisteria e Tipografia Musicale ili GIOVAMI RICORDI.
Contrada degli Omenoni IV. 1720.