Gazzetta Musicale di Milano, 1842/N. 38

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N. 38 - 18 settembre 1842

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GAZZETTA MUSICALE

N. 38

DOMENICA
18 Settembre 1842.

DI MILANO
Si pubblica ogni domenica. — Nel corso dell’anno si danno ai signori Associati dodici pezzi di scelta musica classica antica e moderna, destinati a comporre un volume in 4.° di centocinquanta pagine circa, il quale in apposito elegante frontespizio figurato si intitolerà Antologia classica musicale.
La musique, par des inflexions vives, accentuées. et. pour ainsi dire. parlantes, exprimè toutes les passions, peint tous les tableaux, rend tous les objets, soumet la nature entière à ses savantes imitations, et porte ainsi jusqu’au coeur de l’homme des sentiments propres à l’émouvoir.

J. J. Rousseau.

Il prezzo dell’associazione annua alla Gazzetta e all’Antologia classica musicale è di Aust. lire. 24 anticipate. Pel semestre e pel trimestre in proporzione. L’affrancazione postale della sola Gazzetta per l’interno della Monarchia e per l’estero fino a confini è stabilita ad annue lire 4. — La spedizione dei pezzi di musica viene fatta mensilmente e franca di porto ai diversi corrispondenti dello Studio Ricordi, nel modo indicato nel Manifesto — Le associazioni si ricevono in Milano presso l’Ufficio della Gazzetta in casa Ricordi, contrada degli Omenoni N.° 1720; all’estero presso i principali negozianti di musica e presso gli Uffici postali. Le lettere, i gruppi, ec. vorranno essere mandati franchi di porto.


LA MUSICA CONSIDERATA COME ARTE M» iEVIALE. e il magistero delle arti non ad potesse servire che al pasiJCAà salempo, ai diletti della gene«r* Aerazione presente, ben poca ne $&&&§&&’ sarebbe l’utilità, che anzi alcune di esse appena cesserebbero di essere vere immoralità quando ottenessero di togliere per alcuni momenti un soffrente alle sue pene, o di esilarare la mente dell’uomo utile da lungo lavoro affaticata. No: non è questo lo scopo delle arti, di questo prezioso dono che il Creatore fece alla prediletta delle creature. • L’effigiale immagini «Son favella possente «Ai popoi, clic da secoli «Non ragiona; ina sente. Cosi scriveva un vigoroso genio italiano cui ci gode l’animo di poter render pubblico omaggio (t). Il linguaggio delle arti va dritto al cuore, vi s imprime indelebilmente, lo riscalda, lo signoreggia senza che questo s’avveda di obbedire ad altro che al proprio impulso. Ma ciò non basta. L’uomo non vive del solo presente: creato per l’eternità mal potrebbe spingere il pensiero alle speranze avvenire, se nulla losse per esso il passato, nè vivere potesse nelle memorie dei tempi che più non sono. Le umane generazioni avrebbero invano occupata la terra, se come le onde che scorrono sul letto d’un fiume, e vanno a perdersi nell’oceano, niuna traccia di sè lasciato avessero. La storia conserva le memorie:, ma la storia non avrebbe autorità, se ad attestarla non sorgessero i monumenti. Prova ne sia il dubbio che uno dei sommi filosofi italiani sparse su quella della’ guerra di Troja, della venuta d’Enea in Italia e dell’origine di Roma. (2) La natura conserva le testimonianze di Dio, le arti quelle delle generazioni passate: e le arti e la storia degli uomini, la natura e la storia delle opere divine si fondono in un libro immenso di verità che lo spirito concepisce, e il sentimento approva e conferma. Le arti acquistano il carattere solenne monumentale quando ricordano notevoli fatti e illustri uomini, quando ritraggono l’indole e il carattere dei popoli e dei tempi, (1) Cario Malaspina noto sotto il titolo di Facchino di Parma. (2) Vico, Scienza nuova. e quando finalmente segnano il progresso della civillà. Le arti hanno tutte una particolar attitudine ad ottenere piuttosto l’uno che l’altro di questi fini, a seconda dei mezzi proprii di ciascheduna-, ma l’Architettura e la musica sembrano atte in particolar modo a ritrarre il carattere dei diversi popoli, come quelle che sono men soggette a certe date materiali forme. Confrontate i diversi stili architettonici, dalle gigantesche moli dell’Egitto alle svelte forme corintie, dalla solenne semplicità dei templi dorici alla sveltezza delle guglie gotiche, dalle pesanti colonne sottoposte a più pesanti trabeazioni, che l’indiano scava nella rupe, alle volanti teltoje cinesi, e vedrete quante svariate forme riceva dal diverso sentire degli uomini il semplicissimo conflitto di una forza che combatte la gravità. Portatevi ora col pensiero a passeggiare fra le disotterrate vie di Pompeja. «A noi era nota» (cosi si esprime un dotto viaggiatore) «la storia politica e miti litare degli antichi. Nel foro, nel senato, «sui campi di battaglia conoscevasi il ro«mano, ma qual fosse la sua vita dome«stica, quali le sue abitudini, le costu«manze, tutto era dubbioso, incerto, ipo«tetico. A Pompeja l’antichità fu trovata «intatta, intiera: se ne cercano, se ne atti tendono gli abitanti, che non sembre«rebbe trascorso un giorno da che se ne «allontanarono». Tanto può la vista di quei luoghi! Che cosa mancherebbe a compierne l’illusione? Una voce, un canto, una musica di quei tempi, per quantunque semplice e rozza si fosse, che si facesse udire da una di quelle case, da uno di quei templi, accanto ad una di quelle tombe, darebbe vita a quel cadavere; e voi sentireste presente alla vostra immaginazione un popolo che da tanti secoli soggiacque ad una delle più tremende catastrofi. Immaginate qual più vi piace dei monumenti che ci attestano la grandezza di popoli che più non vivono che nella storia, e vedrete quanta vita acquisterebbero se alcune poche note, ma caratteristiche, venissero a rompere il silenzio spaventevole che le circonda: vedrete di quale magica evidenza riuscirebbe un canto che poteste suscitare anche solo allora che a quelle storie volgeste il pensiero. «Oh! perchè non si può dare all’effetto «dei suoni la solidità dei macigni!!!» Dicevarni un giorno uno di quei pochi che sentono nel più profondo dell anima il potere delle arti. Oh! Perchè dei canti di antichi popoli non rimangono che poche memorie insufficienti a farceli pure immaginare. Oh! perchè almeno non si tenta di preservare dal fatale naufragio ciò che pulsi potrebbe conservare; e non si segue da noi l’esempio datoci dall’Inghilterra e già imitato in parte dalla Francia, e Germania, di ricordare a quando a quando ciò che di rimarchevole rimane fra l’antica musica!. E musica antica, dicesi e non fa al nostro gusto. Ma perchè restringeremo noi i limiti già troppo angusti di nostra esistenza morale privandoci di tanta parte di memorie? Quella musica è antica, è totalmente diversa dalla moderna: si replica... Che vuol dir ciò? Vorrà dire che la musica prende carattere dalle abitudini, dai costumi, dal grado di civiltà dei popoli. Presentando essa differenze più risentite d’età in età a confronto delle arti sorelle, vorrà dire che scaturisce da un fondo più intimo, più vitale di noi stessi; che essa è più indipendente dalla materia, o dalle convenzioni umane; che perciò stesso è dessa un monumento da cui, meglio che da qualunque altro, possiamo conoscere le più intime graduazioni dei sentimenti delle umane generazioni; che quest’arte può divenire in alcune circostanze il testimonio più sensibile, più irrefragabile dei conflitti in cui dovette l’uomo trovarsi nelle diverse epoche in cui visse. Nè giova opporre che la musica essendo il linguaggio di pochi e non del popolo, le differenze che essa presenta dipender debbono dallo studio meglio inteso, dal genio più o men potente, da circostanze insomma tutte proprie dell’artista compositore. A combattere tale obbiezione, ove venisse fatta, noteremo in primo luogo che l’artista compositore non vive solt’altre influenze che quelle sotto cui vivono i suoi contemporanei, epperciò ritrae necessariamente in sè stesso il carattere comune. Quindi faremo osservare che il più gran genio per essere inteso e ottenere 1 applauso del suo tempo deve farsi interprete dei sentimenti comuni. Che perciò stesso ov’egli precorresse un’altra età non sarebbe inteso e non avrebbe onore qual si merita se non se dai posteri. Ciò che accadde nelle scienze a Copernico, a Galileo, a Vico, e tant’altri, accadrebbe pure nelle arti. Che dobbiamo noi concludere? Che per giudicare la musica d’ogni tempo, d’ogni [p. 166 modifica]nazione, ed assaporarne le bellezze conviene farvi abitudine, e, come dice il dotto Félis. «La musique miseà la portéé de tout le monde». Porci nelle circostanze, nelle idee dei tempi in cui fu scritta: conviene insomma voler provare un altro |modo di esistere, un altro tuono di sensazioni. Nè ciò sarebbe senza molto vantaggio delf arte nostra; poiché in quel modo che scontransi nelle storie fatti che scuotono la nostra sensibilità, riscaldano l’immaginazione, e ci rapiscono a noi stessi, così nella musica antica troveremo dei tratti di somma bellezza, verità, e novità di espressione; tratti che sono perduti per chi non li sente. Nè temiamo asserire che la nostra musica melodrammatica non potrà dirsi aver toccato il sommo grado di perfezione finché la musica antica non sia divenuta popolare. Allora sarà veramente sentita la relazione intima dell’arte colla vita: allora l’artista compositore potrà con una bella fusione del carattere antico collo stile moderno dare una tinta vera ed originale ai fatti che si rappresentano nel dramma, ed essere inteso Ciò che dicemmo parlando dei canti caratteristici nazionali, ripetiamo per la musica dei secoli trascorsi; le bellezze di quelli come di questa si trasfonderanno sempre in vano nella musica drammatica se il loro tipo non è conosciuto. Ma fra tanta musica delle passate età quale sciogliere, quale rifiutare come immeritevole di attenzione? Quella dei maestri più celebrati, perché questi furono indubitatamente i migliori interpreti del loro tempo; quella poi del popolo che si riferisce ad interessanti avvenimenti perchè ne ritrae certamente il carattere, ecco la musica da sciegliere onde studiarne l’indole, e fra queste la più semplice e la più scevra da quelle complicazioni di cui tutto il pregio consiste nel difficile. E gli scrittori che di nulla meglio si presero cura che di far valere la loro perizia nel maneggio de’ più astrusi artifizii dovettero sempre obbliare il sentimento, e sagrificare l’affetto alla loro ambizione: scrissero essi per sè, non per gli altri, nò furono mai gli interpreti della natura. Basti ad essi di essere a quando a quando osservati nelle scuole del meccanismo. Il richiamare a vita i capolavori della musica antica servirebbe poi sempre ai moderni scrittori di stimolo a produrre opere degne di memoria; stimolo che va sempre più mancando da che sì è fatta sì breve la durata delle produzioni musicali che pochi anni bastano a farle collocare fra le cose viete e fuor d’uso. Chiamino pure i freddi] calcolatori vanità la gloria, non farà mai opera grande chi non vi aspiri. Erostrato arse il tempio d’Efeso per lasciare un nome immortale; pensate come gelida debba riuscire l’idea di vivere pochi e tristi anni sulla terra senza lasciarvi traccia di sè! R. Boucheuon. STURI BIOGRAFICI. GIOVAMI WOLFAiVOO MOZART. {Vedi il N. 57 di questa Gazzetta) Giovanni Wolfango Mozart (•’ nacque ja Salisburgo il 27 gennajo deli75G. Non mai (i) Abbiamo trailo Io seguenti notizie dalia grande Opera biografica.del sig. Fétis, e le arricchimmo di altre raccolte in altri scritti. organismo umano fu più del suo dotato di felici disposizioni musicali, nè con segni più certi si manifestò. Appena aveva egli tocco il suo terzo anno, allorachè suo padre, Leopoldo Mozart, distinto maestro’di musica, imprese a darlezioni di musica alla sua sorella maggiore 6). Da questo momento tutta l’attenzione del piccolo Giovanni Wolfango fu rivolta al pianoforte. Spesse volte ei cercava le terze colle sue piccole mani, e se gli accadeva di trovarne manifestava la propria gioja con atti di un’esaltazione eccessiva. Poco più che trastullandosi a questo modo egli apprese i primi elementi della musica e i principii della digitazione. Giunto appena al quarto suo anno, meraviglia a dirsi! suonava già con notevole espressione delle composizioncelle ch’egli imparava con mezz’ora di studio tutt’al più, e già componeva dei minuetti ed altri piccoli pezzi che suo padre scriveva sotto la sua dettatura! Il consigliere de Nissen pubblicò questi primi saggi nella sua grande monografia di Mozart, colla scorta de’manoscritti originali in numero di ventidue. Tutti furono composti negli anni tra il 1760 al 1762, vale a dire quando T autore non aveva che l’età dai quattro a’ sei anni, ed è veramente cosa da far stupore chi osservi quelle prime produzioni d’un genio che ingrandì fino all’epoca della morte del meraviglioso artista. Nel 1762 Leopoldo Mozart fece un viaggio a Monaco co’suoi due figli, ove entrambi eccitarono non poco stupore. Però, la vera ammirazione fu tutt’intera per il piccolo Giovanni Wolfango, il quale all’età di sei anni eseguì un concerto di pianoforte alla presenza dell’Elettore. Nell’autunno del medesimo anno la famiglia Mozart si trasferì a Vienna ove produsse la medesima sensazione destata a Monaco. L’Imperatore erasi accostato al clavicembalo al quale sedeva il fanciullo virtuoso; ma questi chiese che gli si chiamasse Wagenseil, maestro della Cappella della Imperiai Corte. - Signore, gli disse, il piccolo Mozart, mi accingo a suonare uno dei vostri concerti, vorreste aver la bontà di voltarmi le pagine? - Questa franchezza e confidenza in sè medesimo fu una delle qualità speciali al carattere di Mozart e si appalesò in lui in tutte le circostanze della sua vita artistica. Suo padre aveagli comperato a Vienna un piccolo violino ch’ei seco portò a Salisburgo, e del quale pareva si occupasse niente più che come d’un giocatolo. Un dì Werzel, musico della Cappella del Principe, recatosi a consultare Leopoldo Mozart intorno a un nuovo Trio da lui composto volle provarne l’effetto. Ei si prese quindi la parte di primo violino, diede quella di secondo a Schachtner altro musico della Corte, e a Leopoldo Mozart il basso. Mentre i suonatori facevano i preparativi il piccolo Giovanni Wolfango si pone a sedere accanto a Schachtner, armato del suo piccolo violino, e pretende raddoppiarne la parte, malgrado le rimostranze di suo padre. Non ci fu caso di impedire ch’ei facesse la sua volontà; se non che, scorse appena alcune battute ecco i tre vecchi professori guardarsi in viso l’un l’altro stupefatti al vedere un fanciullo di sette anni cui non erano mai state date lezioni di violino, eseguire con esattezza la propria parte. Meravigliato di tanta felice audacia, Schachtner cessa dal suonare, e il piccolo Mozart va sino al fine dei tre Trio senza punto esitare. Nel mese di Luglio del 1703 Leopoldo Mozart intraprese un lungo viaggio fuori della Germania coi suoi due figli. Monaco fu la prima città ch’essi visitarono. L’entusiamo che il prodigioso fanciullo vi aveva destalo alcun tempo prima si risvegliò allora quando lo si udì suonare nella medesima Accademia un concerto di pianoforte e uno di violino, e farsi a improvvisare sui temi che gli venian dati. Amburgo, Maneim, Magonza, Francoforte, Cobìenza, Colonia, Aquisgrana, Brusselles, accolsero in seguito i due artisti adolescenti coi più vivi applausi. Arrivata a Parigi nel novembre dell anno stesso la famiglia Mozart non trovò in questa capitale altro appoggio sulle prime che la proiezione del barone di Grimm, il quale poi nella sua Corrispondenza letteraria offerse delle interessanti particolarità sull’infanzia dell’illustre compositore 6). A nostri giorni, malgrado i prodigi che da tanti anni in poi hanno stancata la pubblica attenzione, un fanciullo dotato dello straordinario ingegno conceduto dalla natura al piccolo Mozart, appena si sporgerebbe al pubblico e tosto la generale ammirazione assicurerebbe ad un tempo la sua fortuna e la sua fama. Ma a’giorni di cui parliamo le cose procedevano ben altrimenti. La sola Corte poteva giovare alla riuscita di un artista straniero. Mercè la protezione di Grimm che a Mozart procurò quella del barone di Holbach, del conte di Fesse, del duca di Chartres è della contessa di Clermont, la famiglia Mozart fu invitata a recarsi a Versailles ed ebbe l’onore di essere presentata al Re. Wolfango suonò di pianoforte, improvvisò, e ricevette unanimi dimostranze di ammirazione. Le principesse del sangue, le duchesse e le marchese avevano dato il primo cenno dell’entusiasmo, e la moda era venuta in soccorso al giovinetto artista il cui nome in pochi giorni fu proferito in tutte le conversazioni di Parigi come quello di un genio raro. Però il padre di Wolfango mentre si compiaceva delle carezze e dei baci che si prodigavano a suo figlio, si lagnava che i guadagni non andavano del pari e si risolse di strasferirsi a Londra (2). Nella Capitale dell’Impero britannico il fanciullo prodigioso destò la medesima ammirazione che a Parigi. Già fin dall’età di sei anni ei suonava l’organo in un monastero della Germania con tanto gusto e bravura che i frati per udirlo, lasciavano spesso la tavola per trasferirsi dal refettorio nella Chiesa. Non è quindi meraviglia che a Londra ei venisse chiamato 1 Handel dell’organo. Alle accademie da lui date in pubblico accorse una folla straordinaria di spettatori i quali furono meravigliati che la musica da lui cou tanta bravura eseguita fosse quasi tutta di sua composizione. Verso la fine del 1765 la famiglia Mozart lasciò Londra ove ella aveva dimorato quasi la mesi, e continuò le sue trionfali peregrinazioni, destando dappertutto il piccolo Wolfango un’ammirazione e un entusiasmo che quasi saremmo tentati a credere esagerati. Al fine dopo tre anni di viaggio restituì il futu (1) Maria Antonia Mozart. Alcuni anni fa ella viveva ancora a Salisburgo c all’età di sèttantasette anni aveva perduta la vista. (1) Da altri scritti riguardanti l’infanzia di Mozart, raccogliamo ch’egli possedeva una grande disposizione agli studii matematici, e che per un bel pezzo la sua passione per la scienza delle cifre disputò nel suo animo l’impero a quella dei numeri armonici. (2) Ei soleva dire agli amici: Se invece di carezze e di baci si prodigassero a mio figlio delle buone monete lo cose andrebbero meglio per la mia borsa... [p. 167 modifica]viaggio ella si ricondusse a Salisburgo, ove restituito alla quiete della vita ordinaria il futuro autore del Don Giovanni potè riprender gli studil di composizione sotto i dettami del padre suo. Le principali opere di Handel portate da Londra e quelle di Sebastiano Bach furono i suoi modelli classici; più tardi aggiunse a questi anche diverse composizioni degli antichi più stimati maestri italiani, nelle quali imparò senza dubbio la preziosa arte di far cantare le parti in modo facile e naturale perfino nelle più complicate combinazioni*, e questo lu in Ini un pregio che gli avrebbe assicurato un incontestabile superiorità sui compositori tedeschi di tutte le epoche anche nel caso che il suo genio fosse stato meno elevato. Sul finire di questo stesso anno 170/ la famiglia Mozart fece un secondo viaggio a Vienna, ove Wolfango allora in età di dodici anni, suonò di pianoforte alla presenza di Giuseppe II e tanto lo stupefece, così pel merito dell’esecuzione come per quello della composizione, che ebbe a dargli incarico di comporre la musica di un Opera. Il giovinetto maestro accettò 1 impegno e scrisse la Finta semplice che ottenne 1 approvazione di Ilasse e di Metastasio 0). Guarito da una breve malattia subita a Olmutz tornò Wolfango a Vienna ove tutto l’anno 17G8 si occupò a scrivere molta musica da Chiesa e per piano, e a dar 1 ultima mano all Opera-già cominciata. L anno susseguente ei lo passò in patria ove attese ad imparare la lingua italiana nell’intenzione di: fare un viaggio nella nostra Penisola. E in fatto ei la percorse e non è a dire se trionfalmente. Verona, Mantova, Milano, Fi-; renze, Roma, Napoli lo udirono e lo am-! mirarono. Un entusiasmo che non è sì facile a suscitarsi altrove come ne paesi meridionali, lo accolse dovunque. I poeti lo cantavano ne’loro sonetti e nelle loro odi, delle medaglie si coniavano in suo onore, le accademie gli spalancavano le loro porte, e i più dotti maestri delle severe scuole di Bologna e di Roma riguardavano attonite al suo ingegno (-). Ei non aveva compiti per anco i quindici anni, e l’antifona a quattro parti <3) da lui scritta per il concorso dell’Accademia filarmonica era riputata degna dei bei giorni di Paleslrina, e il musico più erudito d’Italia, il padre Martini, lo chiamava illustre maestro; egli non aveva compiti per anco i quindici anni e udito due sole volte il Miserere dell’Allegri gli bastò per scrivere a memoria quel celebre pezzo del quale era proibito estrar copia; egli non aveva compiti per anco i quindici anni e il più gran compositore drammatico del tempo, Adolfo Ilasse, sopraddetto in Italia il divino Sassone, dopo aver udito il suo Mitridate e la cantata Ascanio in Alba, non esitava ad esclamare «Questo fanciullo farà dimenticar tutti noi» e il fiore della popolazione di Milano radunata nel vasto teatro della Scala gli gridava trasportata d1 ammirazione: Evviva il maestrino! (1) Il signor Fólis tace nella sua biografia che quest’opera non potò rappresentarsi a Vienna. (•2) A Roma, colla mediazione del Cardinal Pallavicini, il giovinetto Mozart venne insignito del diploma di Cavaliere dello Speron d’oro. Però, sebbene delia sola età di quattordici anni, ci comprese che il più eletto suo distintivo sociale era il suo medesimo talento, e non voiie mai decorarsi dell’insegna, ottenuta senza ch’egli personalmente ne facesse domanda. (3) Questa Antifona tenne riprodotta dai Pott. Lichlentha! nel pregevole suo opuscolo di recente pubblicato col titolo Mozart e le sue Creazioni. Di questo opuscolo avremo a giovarci nel proseguire la presente biografia. Da detta Antifona valse a Mozart il grado di membro dell’Accademia filarmonica di Bologna e di Maestro Compositore. Citi voglia osservare le composizioni di Mozart scritte da lui fino a tutto questo primo periodo della sua vita, le giudicherà specialmente notevoli pel poco rapporto che esiste fra il merito di esse e la adolescente età dell’autore. Se già vi si rileva in generale uno studio profondo dell’armonia e del contrappunto, se dalle fresche ed eleganti sue melodie e dal sì caratteristico colorito della sua musica torna impossibile non ravvisare in lui un1 organizzazione piena di genio, è pur giuocoforza convenire che tutte le composizioni da lui prodotte fino a questa epoca riflettono d’assai la imitazione delle Opere de’ suoi grandi modelli, i Bach, gli Haendel, gli Ilasse. Ma è ormai per lui vicino il giorno in cui la sua mente, acquistando il vigore necessario a spiccare voli suoi proprii, farà pompa della più ricca originalità di ispirazione e vestirà forme nuove e darà vita a uno stile mirabilmente classico nella stessa libertà e varietà de’ suoi sviluppi. B. (Sarà continuato) DELL’1STROMENTAZIO NE. ARTICOLO VII. (fedi i fogli 5, S, IO, 19, il, 25, 26, 37 e 32/ Il corno è uno stromento d’indole nobile e melanconica; tali però non sono il suo timbro e la sua sonorità che egli non possa riuscire in ogni genere di pezzi. Egli si fonde agevolmente nel ripieno armonico; e il compositore eziandio più mediocre, può a suo agio adoperarlo ed assegnargli una parte che torni gradila quasi senza avvedersene. Il corno ha due maniere di suoni mollo fra loro differenti, i suoni aperti i quali spontaneamente escono dall’istromento senz altro mezzo o trovato che quello delle labbra e del fiato dell1 esecutore, e i suoni chiusi che si ottengono turando più o meno colla mano il buco della campana. Gli antichi maestri sortosi generalmente accontentali dimettere in opera i suoni aperti; e questi scrivevano, bisogna pur dirlo, assai puerilmente. Beethoven medesimo è grandemente riservato nell’uso de’ suoni chiusi, quando non tratti il corno in solo) gliesempj nella sua orchestra assai rari ne sono, e quando pur v’abbia ricorso, quasi sempre gli è per ottenere un effetto risentito: onde possono notarsi il la bemolle grave del terzo corno in mi bemolle, nello Scherzo della Sinfonia eroica, e il /à diesis grave del secondo corno in re nello scherzo della Sinfonia in la. Questo sistema è certo incomparabilmente migliore del contrario metodo adottato oggidì dalla più parte de’ compositori francesi e italiani, il quale consiste nello scrivere i corni come si fa i fagotti e i clarini, senza aver considerazione alla differenza grandissima che v’ha fra i suoni chiusi e gli aperti, e del pari fra certi suoni chiusi e certi altri, senza punto badare come sia malagevole all’esecutore il pigliare una od altra nota ove quella che la precede naturalmente non l’agevoli e spiani, senza considerare la difficoltà di ottener precisione, e la poca sonorità, o il rauco suono di cattiva intonazione che si lia dal chiudere per due terzi o tre quarti del buco della campana; e senza finalmente essere da tanto di supporre che una profonda conoscenza della natura dello stromento, il gusto e il buon senso possano aver che fare alcun poco coll’uso de’ suoni che questi maestri scolari gettano così alla inconsiderata nell’orchestra. La grettezza degli antichi è da preferirsi a questa profusione. Per cagione di un effetto speciale non si scrivono altrimenti i suoni chiusi, e quando ciò pur si faccia, bisogna almeno causare quelli che danno troppo debole suono e troppo diverso da’ suoni naturali del corno. Il mi bemolle, il la naturale, il si naturale, di mezzo, il fa diesis di mezzo (preparato da un sol)., il fa naturale di mezzo (preparalo da un sol o da un mi), il re bemolle di mezzo (preparato da un do) il si naturale basso (preparato da un do) il la bemolle, il fa diesis e il fa naturale basso (preparati da un sol),’ il la bemolle alto (preparato da un sol) debbono bastare all’uso de’corni nell’orchestra. Gli altri suoni chiusi, come il re bemolle e il re naturale sopra le righe; il la naturale basso, il si bemolle basso e il la bemolle di mezzo, non dovrebbono mai èssere adoperati come note di ripieno, ma Solamente per cagione di ottenere effetti comportati dal loro timbro sordo, rauco e selvaggio. Per un disegno melodico nel quale acì ogni patto si convengono queste note, io non indicherei da potersi usare che il la bemolle di mezzo. 11 si bemolle basso è stato scritto una volta da Weber nella scena del Freyschiilz in cui Gaspard congiura Samiel; ma questo suono è di tal sorte chiuso e per conseguente di tal sorte sordo che punto non si sente; nè potrebbe altrimenti farsene caso se non quando l’orchestra tutta si tacesse ed egli solo rimanesse alla scoperta. Così il la bemolle di mezzo scritto da Mcyerbeer nella scena delle monache del Robert le Diahle, quando Roberto s’avvicina al sepolcro per carpirne il ramo incantato, attrae l’attenzione così viva solamente in grazia del silenzio di lutti gli altri strumenti; e intanto questa nota è assai più sonora clic non il si bemolle basso. In certe scene di silenzioso orrore può ottenersi grandissimo effetto da queste note chiuse messe a più parti: Meliul è il solo (per me) che n ha tratto partito nella sua Opera Phrosine et Mélidore. La famiglia di questo stromento è completa. Egli ci ha de’ corni in tutti i tuoni, come che il contrario sovente si dica. Quelli che sembrano mancare nella scala cromatica si ottengono per mezzo di una giunta che abbassa lo stromento di un mezzo tuono. Noi abbiamo corni forniti di lutti i pezzi in si bemolle in do, in re, in rnibemolle, in mi naturale, tu fa, in sol, in la bemolle, in la naturale, in si bemolle alto, e in do acuto; ma, apponendo l’aggiunta ai tuoni di si bemolle e di do basso, si ponno avere quelli di la basso e di si naturale, e per questo mezzo medesimo tramutare il tuono di re in re bemolle (o do diesis) e il tuono di sol in sol bemolle (o fa diesis). Ora quantunque le antiche orchestre solamente avessero due corni, oggi i compositori tutti ne scrivono quattro. Nel primo caso, quantunque s’abbia ricorso a’ suoni chiusi, le risorse dello stromento saranno assai limitate, quando si tratterà di uscir modulando dal tuono onde è il corno piantato; nel secondo caso invece, quando ancora non si vogliano impiegare che i suoni aperti, collo scambio de’pezzi che costituiscono i tuoni ciò è agevole a farsi. Laonde in un pezzo scritto, per esempio, in la bemolle, il compositore può impiegare quattro corni nel medesimo tuono; ma meglio farà ancora a metterne [p. 168 modifica]due in un tuono e due in un altro, oppure a metterne i due primi in un tuono, il terzo in un altro e il quarto ancora in un altro; lo che tornerà per avventura più comodo e gradito all’effetto. Potrà finalmente mettere i quattro corni in quattro differenti tuoni, e ciò sarà da praticarsi in que’ casi in cui altri voglia solamente servirsi de’ suoni aperti. Pel tuono suddetto di la bemolle ciò potrebbe farsi, ponendo il primo corno in la bemolle, il secondo in J’a, il terzo in mi naturale, e il quarto in do. In questo mezzo, pochi accordi vi sarebbero ne’ quali non potessero essere introdotte quattro o tre od almeno due note aperte dei corni. Ma quando si voglia (siccome il senso comune detta) servirsi lodevolmente delle buone note chiuse e delle aperte insieme, basta scegliere un tuono pe’due primi corni, un altro pel terzo, ed un altro pel quarto. D’altra banda il genere di frasi più o meno melodiche che debbono essere eseguite dai corni a due o tre parti, la natura delle modulazioni, gli effetti da prodursi nel corso d’un pezzo e la forma degli accompagnamenti, debbono principalmente considerarsi dal compositore ed essergli guida nella scelta de’tuoni ove piantarei corni. Egli bisogna altresì guardarsi di scrivere i differenti corni in maniera uniforme, dando a’ tuoni acuti, per esempio, un’estensione in alto che solo è accessibile ai gravi tuoni, e scrivendo pe’tuoni gravi, certe successioni di rapide note nel basso della scala, le quali (rispetto alla lentezza delle vibrazioni) non possono ottenersi che in un movimento più lento, o sopra un tuono alto. Si dee altresì sino a certo segno considerare il mal vezzo che tuttavia regna fra molti esecutori di dividersi in suonatori di primo corno e suonatori di secondo corno, come se si trattasse di due stromenti diversi. Gli uni si servono d’una imboccatura o bocchino stretto che ajuta 1 emissione delle note acute ed hanno tanta facilità a montare quanta difficoltà a discendere; onde per essi non bisogna punto contare quanto alle note dell’estremità inferiore: questi sono i primi corni. Gli altri colla loro larga imboccatura, troppo penano a montare, ed agevolmente riescono nelle note gravi; a loro sono da affidarsi con sicurtà i pedali sul sol, il conira-do, e il contra-sol, bassi: e questi sono i secondi corni. Da ciò si pare che torna meglio, quando si pongano in atto più tuoni in una volta, affidare i tuoni acuti ai primi corni e i tuoni gravi ai secondi. Un altro avvedimento non guari avuto da molti compositori (di che meritano biasimo) è quello di guardarsi dal far cambiare all esecutore nel pezzo medesimo un tuono alto assai con un tuono de’ più bassi, e viceversa. Al suonatore di corno è d’incomodo, per esempio, un subitano passaggio dal tuono di la alto a quello di si bemolle basso: nè col mezzo che si ha oggidì di quattro corni nell’orchestra dee mai capitare necessità di dover ricorrere a cangiamenti così disparati e lontani. Io porto opinione che nessuno maestro abbia saputo trarre dal corno un partito più originale, più poetico e nel medesimo tempo più compiuto di Weber. Ne’ suoi tre capolavori, Oberon, Erjanthe e Freyschiitz, egli fa loro parlare un linguaggio mirabile e nuovo, che Meliul e Beethoven soli si direlibono avere appena compreso prima di lui, e Meyerbeer, meglio degli altri, mantenuto in tutta la sua purezza. Di tutti gli stromenti d’orchestra quello che Gluck meno bene scriveva era il corno: solo che un’occhiata si dia ad una delle sue Opere può agevolmente vedersi quanto poco valesse in questa parte: bisogna però ricordare come tratto di genio le tre note del corno che imitano la conca di Caronte nell’aria d’Alceste» Caron Cappelle!» Sono dei do di mezzo, resi all’unisono dai due corni in /’e; ma l’autore avendo imaginato di fare abboccare le due campane l’una contro l’altra, ne viene che esse si servono a vicenda di sordina l’una all’altra e che i suoni intersecantisi pigliano un accento lontano ed un timbro cavernoso di un effetto strano e drammatico quanto si possa imaginai’e. Io credo però che Gluck avrebbe ottenuto il medesimo intento col medio la bemolle chiuso, di due corni in sol bemolle. Ma forse a que’ tempi gli esecutori non erano abbastanza sicuri di pigliare somiglianti intonazioni, e l’autore ben fece a ricorrere al singolare mezzo da lui usato per smorzare e rendere lontani i più aperti e arditi suoni del corno in re. (Sarà continuato). NOTIZIE VARIE. — Milano. 11 sig. Dcssane, di recente si generosamente encomiato dai giornali di Genova e Torino, quanto prima si produrrà in una pubblica accademia per farci udire un nuovo istromento già da qualche tempo conosciuto in Francia sotto il nome di Melofono, e che ivi ottenne la piena approvazione di molti insigni maestri, fra cui basti nominare un Cherubini, un Aubcr, un Paer, un Halevy. Chi desiderasse esser informato delle particolarità e de’ pregi del Melofono può ricorrere al N. 14. di questa stessa Gazzetta, o meglio intervenire al concerto del sig. Dcssanc, a cui fra noi auguriamo l’esito ottenuto nelle capitali dello Stalo Sardo. — Bologna. Domenica 21 scorso agosto in una amena villa, ad un quarto di miglio da Bologna, fuori di Torta Castiglione, goduta dal maestro Gioachino Rossini, clic pochi giorni prima era stato insignito da S. ài. il Re di Prussia del nuovo ordine del merito, alcuni suoi affezionati, per festeggiarne il giorno onomastico nelle ore pomeridiane lo sorprendevano con varj trattenimenti. Consistevano questi nell’ascensione di un gigantesco globo areostatico e nella accensione di bellissimi fuochi artificiali. Poscia da un eletto numero di professori mediante acconcia riduzione, da stromenti da flato in giardino cseguivansi le incomparabili melodie colle quali il gran maestro vestì l’Inno - Stabat Mater. Giovanni Andrò, celebrato professore di fagotto, ne è stato il riduttore, e quanto bene egli siavi riuscito non è a dirsi, imperciocché sì grande ne fu l’effetto, tanta la precisione, sì ingegnoso l’adattamento delle parli vocali e l’intreccio degli accompagnamenti, che l’illustre autore ne rimase soddisfattissimo c gli ascoltanti, in gran quantità colà accorsi, compresi furono da indescrivibile diletto, e trasportati da entusiasmo più volte proruppero in strepitose acclamazioni ed in prolungali evviva, tutti facendo voli che il genio senza uguali voglia dotare l’Italia di nuovi insuperabili lavori e per lungi anni possa vivere felice. — Firenze. Nell’istesso giorno 2t dalla Società che porta il modesto nome di Conversazione Musicale, in una delle Sale dell’Accademia delle Belle arti in Firenze, eseguivasi da circa centoventi parti fra dilettanti e professori il rinomalo Oratorio - Cristo sull’Oliveto - di Beethoven, il quale ne’cori di questa sua composizione trasfuse le meraviglie della sua immaginativa e delia sua dottrina. Kell’esecuzione in pieno soddisfacente si distinse il tenore sig. Olimpo Mariotti, abile dilettante. Nella successiva domenica poi il già famoso cantante Nicola Tacchinardi volle prodursi in un trattenimento musicale dato nel Salone annesso alio stabilimento Goldoni. Il registro della sua voce ora non è più di tenore: cantò il duetto della Beatrice Tenda e quello dell’Elisir di Amore colla signora Irene Secci, giovane dotata dì bella c forte voce, in ispecie in questo ultimo duetto generosi applausi gli vennero tributati; in fatti le intenzioni gaje di Donizetli furono da lui con spirito espresse. Nell’istessa accademia si ammirarono il valente suonatore di arpa Marcucci, ed il Corazzi bravo allievo del Cavaliere Giorgetti, il quale con un zelo il più lodevole in Firenze dirige una pubblica scuola di violino che gode molta riputazione ed in quanto a giusto maneggio e regolare portamento di arco in Italia a nessun’altra è seconda. — Leggiamo nella Gazzetta Musicale di Parigi: ■ Rossini che colla nota sua schiettezza suol dire di non volerne più sapere dì comporre, e che ride seco stesso all’udire i suoi editori vantare il suo Stabat come una produzione degna di essere messa a Iato al Guglielmo Teli, Rossini al presente dedica i suoi ozii a rigenerare i Conservatomi eli Italia.» Crediamo dover notar due cose in queste poche righe: se è vero che Rossini rida seco stesso de’ suoi editori perchè pongono lo Stabat al Pjlro del Guglielmo Teli, non riderà già perchè ei creda che tra le sue due partizioni corra troppo divario di merito, ma perchè gli parrà da pigliarsi in ischerzo il bello spirilo di chi vuol paragonare tra essi due capolavori di indole tanto diversa che la menoma approssimazione appare tosto assurda. Poi osserviamo alla Gazzetta Musicale di Parigi clic è vero bensì che Rossini si occupa con sufficiente zelo di alcune riforme nella direzione del Liceo musicale di Bologna, ma per nulla affatto egli ha clic fare cogli altri Conservatorii di Italia, i quali se anche abbisognassero di essere rigenerati non vedrebbero la necessità di ricorrere al grande maestro. Voler far un merito a Rossini col supporre ch’ei renda all’arte di cosi fatti servizi, è più che altro un far torto alla grandezza del suo genio; ovvero è un modo mollo fino e diremmo quasi astuto di rimproverarlo del suo proponimento di non più occuparsi a scrivere pel teatro. — Si è ultimamente pubblicato a Parigi un opuscolo intitolato Exposition ilu sgstème de l’écrihtrc musicale chiffrie, di certo signor Joule. É scopo di questo scrino una radicale riforma della attuale notazione alla quale il dotto signor Jeule vorrebbe sostituire uria notazione in cifre arabiche o numeri, idea non punto nuova, coni’è nolo, ma che pure l’autore presenta con qualche sua particolare modificazione. Ci sarebbe da empire un grosso volume, dice un foglio francese, ove si volessero analizzare i diversi saggi di questo genere che si sono fatti da cento anni in poi, e che lutti andarono falliti. Tutti i sistemi di nuova segnatura proposti in sostituzione delle note illuso caddero dinanzi l’impossibilità di servirsene pei pezzi complicali. Quello del signor Jeule pare destinato alla sorte medesima. — TI conte Mortimero di Maltiahn, ministro di Prussia, agii affari esteri, durante una lunga indisposizione di salute, si occupò di comporre dei pezzi di musica clic dali alla stampa ebbero molta voga: «È raro, dice un giornale tedesco, vedere un uomo di slato impiegare di questo modo i proprii ozii forzati, e la Prussia può vantarsi d’avere forse la prima offerto un si bell’esempio di eccezione». — Ti Monde Musicale si lagna forse a ragione, clic la nuova direzione del teatro italiano di Parigi, avendo fallo proporre una scrittura a Rubini, gli mettesse per patto la rinunzia ad alcune parti importanti del suo repertorio come quelle della Lucia, della Sonnambula, del Pirata, de’Puritani. Rubini ricusò di assoggettarsi a questa condizione, probabilmente per non volere ricomparire ad un secondo posto sopra uno teatro ove per tanto tempo brillò come astro primario. Però non possiamo acconsentire a quanto dice il prenominato foglio clic lasciando a Rubini fra le altre, la parte di Don Giovanni, nell’Opera di questo nome, sia un limitarlo all’impiego di tenore leggiero. La parte di Don Giovanni è di tanta importanza, sia musicalmente, sia drammaticamente, che con essa sola può un artista procacciarsi la più splendida celebrità, ove sappia debitamente investirsi dello incomparabili ispirazioni di che è ridondante quel capolavoro mozartiano. Il detto giornale aggìugne le seguenti parole: «D’alcun tempo in qua dello voci assurde da noi già smentite continuano a spandersi, intorno alla pretesa alla croce d’onore, che si attribuisce a Rubini. Rubini è uomo troppo ragionevole e savio per aver voluto imporre, come si dice, questa condizione al suo contralto; Rubini sa dei pari che la croce d’onore non si dà se non se agli artisti che definitivamente rinunziarono a comparire sul teatro». — Dresda. La gran festa vocale ebbe luogo nello scorso mese d’agosto, alla quale prendevano parte circa 570 cantanti, fra cui anche un deputato dell’Unione de’ Cantori di Francoforte sul Meno. Il primo giorno fu dedicato alla gita sull’Elba. 35 gondole ornate festivamente, distribuite in 7 divisioni (la prima, composta di cinque gondole era l’unione de’ Cantori di Dresda; la seconda era quella di Gottleub, la terza della Bassa Elba, la quarta dell’Erzgebirg, la quinta del Voigtland, la sesta della Lusazia, la settima quella de’ contórni di Dresda) veleggiavano a Blascvitz e Loschwitz, eseguendo una serie di canti eccellenti. Nel secondo giorno, circa 350 cantori si recarono alla pianura di Plauen ove, distribuiti in varj luoghi, facevano risuonare i loro canti, e quelli eseguiti sui monti produssero un magnifico effetto. Trattali a lauta mensa dal sig. barone Burk, tornarono lietamente a Dresda. Il miglior ordine regnò in questa festa. — Salisburgo 5 seilcmbre. La prima giornata della festa di Mozart è passata, e ci lasciò in dietro una sublime impressione. S. ài. l’Imperatrice madre, LL. MM. il ile e la Regina di Baviera col principe Luilpohl ed ambe le principesse Ildegarda c Alessandra, arrivati da Berehtesgaden, furono testimonj dei momento dello scoprimento della statua del Maestro, il cui nome qui è sulle labbra di tutti e svolazza sur ogni vessillo. Il nobile ed illustre arcivescovo Ladislao Pyrkcr c’inviò già da Monaco un saluto festivo con un inno popolare, il quale messo in musica dal maestro Ncukomm, venne cantato alle 10 di sera presso l’illuminato monumento di Mozart. Alle ore II il corteggio colle torcie accese recossi al convento di S. Pietro’, ove abitava il canuto patriarca, e vi ripetevano un’altra volta l’inno. (Dalla Gazz. Univ.) GIOVAMI RICORDI EDITORE-PROPRIETARIO. Dall’I. R. Stabilimento Nazionale Privilegiato di Calcografia, Copisteria e Tipografia Musicale ili GIOVAMI RICORDI. Contrada degli Omenoni IV. 1720.