Gazzetta Musicale di Milano, 1842/N. 43-44
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N. 43-44 |
DOMENICA |
DI MILANO |
J. J. Rousseau.
STUDJ BIOGRAFICI.
W«M A.«MOZART.
ARTICOLO III. (1)
prima dimora fatta dal giovinetto
Mozart a Milano gli procacjp3§£eiò
l’incarico di scrivere la prisma
Opera pelcarnevaled. 1!77d.
’Tornatovi in fatto, dopo breve
giro, vi scrisse il suo Mitridate che fu rappresentato
alla nostra Scala il 26 dicembre
di quel medesimo anno, evi ottenne un
esito inusitato e venticinque non interrotte
rappresentazioni. E a questo luogo a ricordare
un singolare aneddoto. Alcuni giorni
innanzi la prima prova, la prima donna
Adelaide Bernasconi, poco confidando nel
talento di un pianista eli quattordici anni
per scrivere arie di bravura (cliè le prime
attrici, tanto le antiche come le moderne,
ciò che più curano nelle Opere, sono le
arie di bravura), dimandò al giovinetto compositore,
con un fare di superiorità protettrice,
che le mostrasse quella che doveasi
cantare da lei. Il maestrino la soddisfece
al momento, e 11011 è a dire se la Bernasconi
ne fosse contenta e meravigliala. Ma
il piccolo Mozart volle vendicarsi della sua
diffidenza schiccherandole all istante una,
due, tre altre arie, e ponendola nell"’imbarazzo
della scelta.
Durante il 1771 Mozart fece una gita
a Verona ove venne presentalo del diploma
di accademico, passò indi a Padova
e a Venezia, e nella prima di queste
due città fece attonito il padre Valotti
improvvisando sul grande organo ’della
Chiesa del Santo delle fughe mirabili.
Dopo una corsa a Inspruck fu novellamente
a Milano per iscrivere la cantata
drammatica Ascanio in Alba, nella quale,
Manzuoli aveva la parte principale, e fu
prodotta nei dicembre. Richiamato il padre
suo a Salisburgo nelfoccasione dell’installamento
d’un nuovo Arcivescovo, il giovinetto
compositore ebbe incarico di scrivere
per questa circostanza la serenata drammatica
Il sogno di Scipione} ma poi sul
finire del medesimo anno ei rivide Milano
per comporvi l’Opera seria Lucio Siila, le
cui parti principali vennero cantate da
Ranzini e dalla prima donna De Amicis.
Ai pari delle precedenti fu quest’opera accolta
con favore. Tenne dietro ad essa la
Finta Giardiniera data a Monaco nel-1774,
e la pastorale in due partì il Re pastore
(J) Fedi i N. 37 e 38 di questa Gazzetta.
composta per la Corte di Salisburgo e rappresentata
nel 1775.
Già circondato di tanta gloria,Mozart toccava
appena i vent’anni} e da quest’epoca
in poi ogni sua produzione piena di impronta
originale, e ispirata da un genio
che ormai ha saputo sciogliersi da tutti i
vincoli dell’imitazione, sarà stimata di classico
valore, e passeranno cinquanta e più
anni dalla sua morte, e ciascuna di esse
brillerà di una freschezza giovanile non mai
superata, e ad un tempo il profondo sapere,
l’ispirazione più sentita manifesteranno
la potenza di una mente privilegiala.
Di ritorno a Salisburgo nel 1774, Mozart
crasi persuaso che il principe, per compenso
dei suoi splendidi successi, gli avrebbe
accordato il posto di maestro di Cappella}
ma dopo aver indarno aspettato tre anni,
la miseria lo costrinse di l’arsi a cercar altrove
del pane, e si trasferì quindi a Monaco.
L’elettore di Baviera, al quale egli offerse
i suoi servigi, lo giudicò troppo giovine
e non ancora abbastanza sperimentato,
ed aveva già date due Opere nuove atl uno
dei primi teatri del mondo, alla Scala di Milano.
Il povero maestro è quindi costretto a
lasciar Monaco, e più bisognoso di soccorso
che noi fosse quando vi si recò, dovette
assoggettarsi a dare un concerto ad Ausburgo
onde procacciarsi i mezzi necessarii
a proseguire il suo viaggio. Grandi
onori e 90 fiorini in contante, ecco il risultalo
delia sua dimora in Ausburgo. A
Manbeim parimenti gli furono prodigate
distinzioni ed acclamazioni, ma nulla altro
più, tranne un orologio regalatogli dal
principe. Fu in queste angustie ch’ei pigliò
la determinazione di trasferirsi a Parigi in
compagnia di sua madre, nella lusinga che
in questa grande capitale i suol talenti
sarebbero stati, se non meglio apprezzati,
al meno più lautamente premiati. Vana
speranza! La madre di lui dopo più mesi
di dimora trovò di dover essere molto contenta
che una scolara del suo Woifango
fosse stata tanto generosa da pagargli dodici
lezioni in ragione di Ire luigi!
Lo sconforto onde Mozart aveva angustiato
il cuore traspare nel seguente passo
di una lettera ch’ei scrisse a suo padre da
Parigi «se in questa città ci fossero orecchi
alti a comprendermi, cuori capaci di
sentirmi, e solo qualche idea dell’arte, io
mi consolerei di tutte le mie disgrazie, ma
gli uomini coi quali mi trovo non sono
che
e bruti per quei che riguarda la musica».
Il grand’uomo, osserva qui il si?. Fétis,
qui
non comprendeva che presso un popolo
appena uscito dalle vie del cattivo gusto,
e ancora indeciso sulla grande rivoluzione
recentemente operata da Gluck nel genere
drammatico, le creazioni del suo genio non
potevano essere apprezzate,perchè, troppo
ardite, valicavano d’un salto delle fasi di trasformazione
che, nell’ordine naturale delle
cose, avrebbero occupato più d’un mezzo
secolo. Appena la Germania, molto più
avanzala allora nel saper musicale, era matura
per comprendere le tante sue innovazioni.
La morte dell1 ottima sua madre, accaduta
d improvviso, rese al giovine Mozart
poco meno che insopportabile la dimora in
Pari gi, e però se ne allontanò tostamente
per ire a raggiugnerc suo padre. Fra queste
circostanze, stanco di adoperarsi invano
a procacciarsi una felice collocazione, si
trovò costretto ad accettare nel 1779 il
posto di organista della Corte di Salisburgo,
e l’anno susseguente quella di organista
della Cattedrale. Fd ecco, esclama
il citato scrittore, a quale misera altezza
aveva potuto giugnere all’età di ventitré
anni il più meraviglioso fra i musicanti
moderni, dopo quindici anni consecutivi
di clamorosi trionfi! Non gli era neppur
conceduto di provare con delie nuove Opere
non essere stato il passato della sua vita
fuorché il preludio del suo avvenire. Una
fortunata congiuntura venne a toglierlo per
breve momento dalla prostrazione in che
si logoravano le sue forze, l’artigiano entusiasta
della musica di Mozart, il principe
elettorale di Baviera, Carlo Teodoro, Io
fece chiamare a Monaco nel mese di novembre
del 1780, egli confidò la composizione
àeWIdomeneo, Opera seria in tre
alti. Partito da Salisburgo nel novembre
del 1780, Mozart si pose immediatamente
al lavoro, e con prodigiosa attivila di pensiero
potè far cominciare le prove dei
due primi atti nel principiar del susseguente
dicembre.
Sebbene con tanta prontezza d’ingegno
composta, offre quesfOpera una compiuta
trasformazione dell’arte} essa è la creazione
originale delle forme e dei mezzi di
tutta la musica drammatica venula dopo Mozart,
il carattere melodico (leXYÌdomeneo non
rammenta nè la musica meramente italiana,
nè la musica tedesca formatasi poscia, sotto
l’influenza di quella di Graun, da Ilasse
e da Benda, nè lo stile francese, nè per <
ultimo la modificazione di questo stile quale f?
si operò dal genio di Gluck} Mozart trac v
il lutto dalla sua propria niente, e la sua &
Opera diventò il tipo di una musica così nuova nella sua propria espressione, nella
disposizione della sua frase, nella varietà
degli sviluppi della idea principale, come
nella modulazione, nell’armonia e nella stromentazione.
Nulla di quanto in fatto di
musica esisteva prima di lui, valer poteva
a dar l’idea dell1 overtura (TIdomeneo, dell’aria
Padre, germani, di quella di Elettra
nel primo atto, di quella d Ilia, accompagnala
da quattro stromenti obbligati, nè
del coro Pietà, Numi! e Coniam, fuggiamo.
Da tutto questo sorge una novella
epoca della musica drammatica, un mondo
di invenzioni, epoca che venne sviluppandosi
fino a’ nostri giorni; mondo dal quale,
da sessantanni in qua tutti i compositori,
chi più chi meno, attinsero la loro origine
musicale. La prima rappresentazione delYldomeneo
ebbe luogo il 29 gennaio del
-1781, in occasione dell’anniversario della
nascita dell’elettor di Baviera. Sarebbe sembrato
che un’Opera di sì nuova impronta
non dovesse essere compresa al suo primo
apparire; e nondimeno essa eccitò 1 entusiasmo
della popolazione di Monaco, e in
ispecie della gente dell’arte, i quali proclamarono
Mozart il più grande musico del
suo tempo.
Lusingato dagli elogi prodigati all’organista
della sua Corte, l’arcivescovo di Salisburgo
se lo fece venir addietro alla sua
andata a Vienna, nel marzo di quel medesimo
anno, lo alloggiò nel suo palazzo,
ma lo tenne confuso tra’ suoi servi e lasciò
che sedesse alla tavola della gente della
sua cucina. Una lettera di Mozart, scritta
intorno a quest’epoca, dipinge con quale
animo egli ricevesse un trattamento di questa
natura. Però il timore di recare pregiudizio
a suo padre e di fargli anche perdere
l’impiego, sola ultima risorsa del vecchio,
lo consigliò a sopportare pazientemente
la sua nuova situazione. Ei non poteva
neppure farsi udire nelle accademie
alle quali era di frequente invitato se prima
non ne aveva ottenuta licenza dalpadrone.
Da ultimo stancata la sua pazienza,
diede la propria demissione, e libero quindi
di sè, non cercò più verun impiego aulico,
e visse del prodotto del suo ingegno e delle
lezioni che dava. Alcuni ducati che queste
lezioni gli procacciavano furono per
quasi un intero anno la sola sua risorsa;
finché in forza di istanti sollecitazioni fatte
da qualche suo protettore gli venne allogata
dall’Imperatore Giuseppe II l’Opera
il Ratto del Serraglio, che Mozart doveva
•comporre per la Corte. Questo spartito, le
cui forme erano al tutto nuove, svegliò sulle
prime più sorpresa che piacere, ma gli artisti
di musica non tardarono a proclamarlo
quale capolavoro; Praga, Monaco, Dresda,
Berlino, Stuttgard, Carlsruhe, confermarono
l’opinione degli artisti; e i grandi signori
eli Vienna, per mostrarsi di spirito, ebbero
la degnazione di farsi a partecipare l’opinione
della maggioranza. Tuttavia all’Imperatore
non piaceva gran fatto la musica
di Mozart troppo forte pel suo gusto, per
il che non furono mai al tutto netti di retticenze
gli elogi ch’egli piacevasi largire a
colui che gli artisti collocavano al dissopra
di tutti i compositori del mondo.
«Questa musica è troppo bella per le
nostre orecchie, diceva egli a Mozart parlandogli
del Ratto del Serraglio; vi hanno
troppe note». «Nè più nè meno di quante
ne abbisognano», rispose l’artista. Giuseppe
II fece dare a Mozart centocinquanta
ducati per la composizione di quest’Opera.
Più tardi gli accordò una pensione di ottocento
fiorini col titolo di compositore di
Corte; ma pel durar di molti anni non gli
chiese nulla, tranne il piccolo spartito intitolato
Il Direttore di teatro, che si
rappresentò a Sclioenbrunn nel 1786. Piccato
di ciò, l’illustre compositore ebbe a
dire un giorno all’Intendente che gli pagava
gli stipendi: «Signore, è troppo pel
poco che mi si chiede, e non è abbastanza
pel molto che potrei fare». Malgrado questo,
Mozart era affezionatissimo al suo Sovrano,
tanto che gli bastò l’animo di rinunziare
alle seducenti offerte che gli fece il
re di Prussia, Federico Guglielmo, allorachè
ei visitò Berlino. Questo principe, avendogli
domandato che cosa ei si pensasse
della sua Cappella, ei rispose colla sua consueta
franchezza: «Sire, la vostra Cappella
possiede molti artisti distinti, e in nessun
altro luogo io udii eseguire meglio de’quintetti;
ma questi signori tutti insieme potrebbero
fare mollo meglio». «Ebbene,
gli rispose il re, fermatevi con me; voi
solo potete fare questo cambiamento; vi
offro per i vostri annui onorarli 3000 scudi
(11,260 franchi)». «E dovrei io abbandonare
il mio buon Imperatore?» replicò
Mozart. Toccato da questa prova di affetto
disinteressato, il re aggiunse: Ebbene,
pensateci meglio: non ritiro la mia offerta,
e sta in vostra facoltà accettarla anche entro
un anno». Di ritorno a Vienna, Mozart
si consultò co’ suoi amici intorno a
una sì importante circostanza che decider
dovea della sua sorte, ed essi lo eccitarono
ad accettare le offerte del re di Prussia,
ond’egli si decise a domandare la sua demissione
all’Imperatore. Giuseppe II udì con
dispiacere questa determinazione del grande
artista; e deliberato a trattenerlo gli disse
con aria di affabilità insolita «E che, mio
caro Mozart, vorreste voi lasciarmi?» Interdetto
a queste parole Mozart guardò il
principe con intenerimento e gli rispose:
«Maestà, io mi raccomando alla bontà vostra... Rimarrò al vostro servizio». Tornato
a casa sua, uno degli amici di lui gli
chiese se egli aveva saputo profittare di
questa circostanza per farsi aumentare gli
assegni: «Eh! chi pensa a queste cose?»
rispose Mozart con malumore!
Il Ratto del Serraglio erasi rappresentato
a Vienna il io luglio del 1782. Mentre
scriveva quest’Opera, sposò Costanza
Weber, virtuosa di pianoforte, dalla quale
ebbe due figli. Onde supplire ai bisogni
della sua famiglia ei non possedeva che il
suo reddito fisso di ottocento fiorini, quale
compositore di Corte; al resto provvedeva
collo scarso prodotto delle sue composizioni,
e in ispecie colle contraddanze e coi valz
che scriveva per le feste da ballo e per i
ridotti; perocché a cotal genere di lavori
era spesso condannata la penna che si riposava
dallo scrivere Don Giovanni, le
Nozze di Figaro, Così fan tutte, e il
Flauto Magico. La state Mozart viaggiava
per dare delle Accademie: fu per questi
viaggi artistici ch’ei compose la maggior
parte dei suoi concerti di pianoforte. Nel
1783 ei fece il suo Davide penitente,
oratorio che contiene diversi pezzi della
più gran bellezza, particolarmente un terzetto
per due soprani e tenore che può
annoverarsi fra le sue più lodate produzioni.
L’anno seguente si diede a’ suoi lavori
con un’attività prodigiosa che non
venne meno, fino al dì della sua morte.
I bellissimi sei quartetti componenti la sua
opera decima comparvero nel 1783. Egli
li dedicò ad Haydn. Nella sua lettera dedicatoria,
scritta con toccante semplicità,
ei dice al celebre maestro di Cappella del
principe Esterhazy che da lui imparò a far
i quartetti. Fu a quest’epoca che il padre
di Mozart venne a visitare suo figlio a
Vienna, e pregò Haydn di dirgli con sincerità
che cosa ei si pensasse di suo figlio,
oggetto delle speranze e della ambizion sua
di padre. «Sull’onor mio e al cospetto di
Dio, rispose il grand’uomo, vi dichiaro
che vostro figlio è il primo dei compositori
dei nostri giorni».
Dopo l’Operetta il Direttore di Spettacoli,
rappresentata a Schoenbrunn nel 1786,
produsse nell’anno stesso la mirabile partitura
delle Nozze di Figaro, la quale
racchiude maggior quantità di idee nuove
e di creazioni d’ogni specie che non in
tutte le Opere date dalla Germania e dal1
Italia nel corso degli ultimi cinquanta
anni (*). Le proporzioni della partitura le
Nozze di Figaro sono colossali; essa abbonda
di arie, di duetti e pezzi concertati
di carattere svariato, ne’ quali la ricchezza
delle idee, il gusto e la novità delfarmonia,
delle modulazioni e dell’istromentazione
si combinano per costituire il più
perfetto insieme. I due finali del secondo e
del quart’atto formano ciascuno da solo una
Opera intera più ricca di bellezze di primo
ordine che non verun’altra produzione musicale
drammatica. Nulla di quanto in musica
conoscevasi prima delle Nozze di Figaro
poteva dare idea d’un sì fatto capolavoro.
La riuscita di questa ammirabile
produzione dell’arte più elevata fu generale
in Germania, al suo primo comparire;
dovunque svegliò l’entusiasmo e tra tutte
le Opere di Mozart fu quella che meglio
venne compresa di primo tratto. Nel susseguente
anno, Bondini direttore del teatro
Italiano, il quale erasi stabilito a Praga,
allogò all’autore delle Nozze di Figaro
una nuova Opera e gli propose il soggetto
del Don Giovanni, il cui libretto era fattura
di un certo Abbate di Ponte. Mozart
si accinse al lavoro, e, cosa inaudita, il
mese d’ottobre del 1787 gli bastò per scrivere
questa immensa partitura, creazione
e tipo originale della musica che poscia si
volle chiamare romantica. La prima rappresentazione
dell’Opera fu data nel medesimo
anno sotto il titolo il Dissoluto
punito. Troppe bellezze si ammucchiavano
in quest’Opera, e codeste bellezze erano
d’un genere troppo nuovo perdi’essa potesse
essere compresa dal pubblico al suo
primo comparire; alcuni uomini dell’arte
solamente videro che Mozart aveva raggiunto
in questo lavoro il sommo grado dell’invenzione
e del sublime. I belli spiriti
ed i critici ne parlarono in vario modo;
ma posciachè il tempo ebbe fatto giustizia
di questi giudizii di poco peso, l’intera
Germania si entusiasmò per questa immortale
produzione del genio. B.
[Sarà continuato).
(ì) Questa è la sentenza del sig. Fétis. Vedi la Biografia
ili Mozart, nel suo Grande Dizionario biografico
alla quale ci siamo strettamente attenuti.
OSSERVAZIONI
©e un veedii» suonatore ili viola, ecc.
(Fedi il fotjlio N. 42 di questa Gazzetta)
Del resto mi sembra che in niun modo
debba venir meno la fama del nostro Palestrina
se egli non ha trattenuto il fui mine della scomunica, la quale non fu scagliata
giammai contro la musica nè da Papa
Marcello, che nel brevissimo suo regno di
solo 22 giorni aveva ben altro da pensare
che alla riforma del canto ecclessiastico,
nè dal Concilio di Trento, non facendone
cenno nè il Pallavicini, nè il Sarpi. Dosso
ebbe però il vanto di evitare nella sua
composizione tutti quei difetti non solo
che la sacra Congregazione voleva emendati,
ma di arricchirla pur anche con sinolar
magistero di tanti pregi di genio, e
i tutto ciò che caratterizza le inspirazioni
religiose, onde anche dopo tre secoli viene
la stessa, al pari di tutte le altre sue opere,
ammirata qual prototipo della vera musica
e del canto ecclesiastico. Probabilmente
si valuterà assai più il merito di aver saputo
appagare un illustre Consesso di Padri,
i quali dovevan essere nel giudicare la musica
tanto più rigorosi, in quanto che avevano
a risponderne al Concilio Universale,
a fronte di quello di soddisfare al gusto
di un solo Mecenate, che quantunque fosse
Papa non ho però mai sentito che dovesse
essere infallibile nelle cose musicali. Ed
apprezzo tanto più la loro approvazione
perchè unita al concorde voto di tutti gli
intelligenti e de’compagni del Palestrita,
i quali secondo il solito non saranno stati
sì facilmente scevri d’invidia, nè molto lontani
dal desiderio di criticarlo.
Nella mia raccolta trovo registrato il
nome di quel Fiammingo che ammaestrò
il nostro Palestrina nei più reconditi misteri
del cantrappunto, e non gli diede
già alcune lezioni di musica o piuttosto
di canto fermo, perchè in quel tempo non
essendovene altro diverso, tutti coloro che
si dedicavano alla nostra arte, ne venivano
istruiti. E ben meritava tale straniero di essere
nominato, perchè era quel Gondimel,
compositore di primo ordine, capo scuola
e maestro della Cappella Pontificia, di tanta
bravura e fama che quasi lutti gli scrittori
di allora cercarono d’imitarne lo stile, e
se Palestrina e Nannini se ne staccarono,
riputarmi pur sempre a loro gloria di essere
stati suoi allievi.
E bensì vero che lo stile di tutti i Fiamminghi
veniva sopraccaricato di troppi artifizj.
Quello di Gondimel però era più castigato.
Non si pensava che ad accozzare
nelle composizioni le più disparate combinazioni,
e seminarvi ammassi d’insuperabili
difficoltà, per lo che, intrecciate nei
loro perpetui giri, le sacre parole non potevano
essere intese... Bla non fu questa
la sola decadenza della musica ecclesiastica;
il signor Sevelinges dovea recarne in
mezzo delle altre. Già nella determinazione
dianzi mentovata della Congregazione dei
Cardinali per correggerne gli abusi, se ne
trovano ben indicate alcune, e particolarmente
quella mescolanza di lascivo ed impuro,
indegna non solo, del tempio del Signore,
ma anche di tutte le persone oneste.
Gravi scrittori di que’ tempi ascrivono
pure l’accennata decadenza alla soverchia
delicatezza di diminuzioni, di abbellimenti
leggieri, di passi veloci, saltellanti, istigatori
delle passioni, e convenienti soltanto
al teatro ed ai balli. Non sembra forse
ch’essi parlassero della musica di Chiesa
dell’età nostra?
Altri ancora, come Vincenzo Galilei,
padre del gran Galileo, il Doni, ecc., scagliavansi
contro l’uso scandaloso di scegliere
per temi delle composizioni sacre
le più contraddicenti parole. Ho notato;
alcuni di questi modi che si devon chia- j
mar non soltanto ridicoli, ma vere aberrazioni
di mente, simili a quelle di cui abbiamo
avuto esenuno in qualche secolo
anche nella poesia. Per esempio mentre uno
cantava Kyrie, l’altro diceva: Resurrexi
et adhuc tecum suni alleitija; e questi
gridava Osanna, e quegli ripeteva Fili
matri deplangenti. Bla ciò che è molto
peggio vi si associavano, come si disse, parole
profane, prese da canzoni, e talvolta
oscene Così avvi una messa di Hobrecht
in cui si cantava col primo Kyrie
- Te ne vis oncque la pareille; nel Christe,
boa te/nps: nel secondo Kirie, on le trouveres;
nel Sanctus; gracieuse gent; nelY
Osanna, je vous dis le secret de mon
coeur, e nel Benedictus, Madame, faites
moi savoir, ecc. ecc. Le cantilene di codeste
canzoni servivano ai maestri per
istamparvi sopra, a così esprimermi, gli
artifizi contrappuntistici coi quali eredevasi
di poterne scusare l’inconvenienza e
lo scandalo. Oltre a ciò era in voga una
maniera di espressione musicale affatto
singolare. Si tingevano costantemente le
note di quel colore che esse significavano;
se le parole dicevan tenebre, caligine, usavansi
note tutte negre; se dicevano luce,
sole, porpora si dipingevano di rosso, se
erbe, campi ecc., le note eran verdi. Ma
basti di queste bizzarrie, che se a noi sembrano
scempiaggini, erano in que’tempi tenute
per arguzie d’ingegno, come il segnar
sulle carte invece delle note e delle pause
certi fiori e fronde bellissime, e cento altri
indovinelli tutt’altro che spiritosi.
Avrei qualche altra cosarella da dire intorno
a quella Laurea in musica ed a quel
corso della parte letteraria e storica della
stessa, di cui si è parlato nelle poche righe
che precedono lo schizzo biografico.
Non solo ai tempi di Burney, ma vuoisi da
alcuni sino da quelli di Alfredo il Grande
che instituì la cattedra di musica in Oxfort,
e per lo meno da quei di Giacomo II,
si creavano de’ baccelieri e dottori in quest’arte,
ma l’esame non si faceva nella parte
letteraria, bensì nella teorica e pratica. Si
avrebbe anche potuto prenderne l’esempio
da una scuola Italiana, voglio dire da quella
di Bologna, ove si usava da lungo tempo,
e si usa ancora presentemente,di sottoporre
coloro che vogliano ottenere il diploma di
maestro ad un rigoroso esame, dovendo
essi all’improvviso elaborare un pezzo a
4, o 5 parti su di un dato canto fermo.
Haydn allorquando fu coronato colla laurea
dottorale in Inghilterra non ebbe a sostenere
dispute accademiche intorno al primo
inventore della musica nella China, o presso
gli Indi? egli ottenne quel distintivo
con un semplice seerzo musicale. Bla parlare
a’ nostri genj (e tali si credon ora tutti
quelli che si danno alla composizione) di
lezioni letterarie mi sembra una chimera,
una proposizione dannata - non pochi di
loro non si curano neppure di quelle del
contrappunto, e ciò che era stimato il capo
lavoro dell’arte, (voglio dire la fuga) è per
essi un rancidume, Un gotticismo.
In Germania sonovi in varie Università
de’Professori stipendiati dai governi, onde
facciano discorsi pubblici sulla filosofia e
sulla storia della musica; ma si può presumer
forse che siffatte scuole verrebbero
frequentale per un pezzo in alcune delle
nostre città? Se simile addottrinamento ve- i
nisse aggiunto alla parte teoretica dei pubblici
Conservatorj di musica, ove gli allievi;
sarebbero costretti di assoggettarvisi, ciò
potrebbe a parer mio tornar di sommo prò- |
fitto. Sarebbe bello il sentir ragionar filosoficamente
della musica, facendo nel tempo
stesso eseguire le grandi composizioni di ogni
genere, di ogni scuola, di ogni epoca, come
fece il consigliere Rocklilz a Veimar, ed il ©
professore Fétis in varie accademie date al
Conservatorio di Parigi, nella quale cantò
anche il nostro celebratissimo Giambattista
Rubini.
Ma prima farebbe di mestieri che questi
monumenti dell arte esistessero ne’ nostri
archivj. E qui mi conviene contraddir
con vero rammarico, poiché si tratta di ciò
che non ridonda a gloria degli Italiani, ma
la verità mi è più sacra di ogni cosa, qui
mi conviene contraddir nuovamente al letterato
francese scrittoi- di quell’articolo, ove
dice «che le opere del nostro Palestrina
«si conservano religiosamente in Italia, e
«sono sfortunatamente pressoché scono«sciute in altri paesi», giacché pare a me
che la bisogna vada al rovescio.
Choron in Francia nella sua scuola di
canto e di musica ecclesiastica fece di freuenle
ed in pubbliche accademie eseguire
a’ suoi allievi le opere di Palestrina, anzi
ne procurò la stampa di alcuni pezzi - dunque
ivi si posseggono! Nelle Corti e nelle
Cattedrali cattoliche della Germania, come
a dire in quelle di Blonaco e di Vienna
si cantano durante la Quaresima e Biotetti
e Salmi e Stabat Mater e Lamentazioni, ecc., dunque ne sono in possesso -.
Persino nelle scuole musicali di Lipsia e
di Berlino, e nelle molteplici unioni di canto
de’ paesi protestanti se ne eseguiscono tratto
tratto, si raccolgono, si ristampano, si trovano
ne’ vari negozi di musica anche al
giorno d’oggi, dunque, ecc.... Gli Inglesi
del pari le ascoltano nella famosa Accademia
della musica antica; ed i loro viaggiatori
quando le sentono eseguite in Roma
nella Cappella Sistina, rapiti da tante sfolgoranti
bellezze, ne comprano a caro prezzo
le edizioni antiche e le copie di esse. Dunque,
ecc.
Bla... e l’Italia? - In Roma sì che vengon
conservate e sfortunatamente fors’anche
con troppa gelosia: vengono pure conservate
in Bologna, ma dicesi che stien
sepolte nella Biblioteca del Liceo. Altri
Conservatorj non le posseggono (è questa,
ardirei dire, una specie di trascuranza irreligiosa),
nè in alcuna accademia d’esercizio,
nè in alcuna adunanza privata se ne
sente nota - A’ miei tempi usavasi almeno
di cantare i salmi di Marcello. E quasi non
esito ad affermare che non ve ne son pochi
fra i nostri compositori di Chiesa a cui le
opere di Pier Luigi Palestrina non sieno
terre incognite, e forse a taluno potrebbe
riuscir nuovo anche l’aneddoto deila Blessa
di Papa Blarcello.
Perchè mai non fece il Sevelinges nemmeno
un cenno di un eminente merito del
Palestrina, da cui venne alla nostra Italia
una gloria esclusiva? Parlo della famosa
scuola ch’ei fondò dapprima solo, poscia
insieme con Nannini, e la diresse in modo
che da essa uscirono lutti i compositori
della Cappella Pontificia, ed in una serie
non interrotta di uomini sommi si mantenne
mai sempre tutto il magistero dell’arte
nella imitazione del suo stile, che anche
oggidì chiamasi stile alla Palestrina.
Ragion voleva che in un articolo in cui
trattavasi di uno di quegli ingegni che de- <5
von formar l’orgoglio della nazione, di un
maestro sì grande che segnò un’epoca tanto
luminosa nei fasti della musica, venissero
maggiormente rilevati i pregi singolari del sullodato suo stile, il quale è ancora ridente
di tutta la freschezza della gioventù.
Le picciole traccie, che ne dà la Biografia
dicendo che Pier Luigi avea colto il carati
eie del vero bello, che i suoi canti sono
puri, la maniera nobile e magnifica, sono
colori veridici, non ci ha dubbio, ma troppo
vaghi. Ragion voleva che si desse qualche
ragionata analisi di alcune delle sue composizioni,
almeno dell’unica Messa di Marcello,
mostrando in essa la differenza della
sua maniera propria di un Italiano di sentir
dilicato e forte, da quella degli autori Fiamminghi
inorriditi nei labirinti del contrappunto.
Mostrando in qual modo egli abbia
concepito e trattato lo stile ecclesiastico
nel quale riluce tutta la sublimità della
sua mente e la bellezza del suo cuore
angelico, e su cui è fondata la sua fama
immortale. Dovevasi mostrare come egli
si proponesse nelle sue musiche sacre di
essere preciso e stringato, com’egli volesse
che fossero facili ad intendersi, e facili del
pari ad eseguirsi, ma sempre nobili, elevate,
onde soddisfaceva mirabilmente ai
requisiti della scienza, nella quale si fa conoscere
a ninno inferiore, ed insieme usava
una sobrietà senza pari, non però tale da
non permettersi forse una frase vuota, comune
o riempitiva, ed oltre a ciò osservava
nelle voci l’andamento più semplice
e naturale del pari che le armonie e le modulazioni.
Sono poi tanto più mirabili le
eccezioni, le quali usa raramente, ma sempre
a tempo come le ispira il vero genio;
toccando all’improvviso con mano gagliarda
le corde della sua cetra, ne trae suoni singolari,
arditi, non più intesi. Egli è cosa
inconcepibile, come il Paleslrina produca
effetti straordinari con pochi accordi, talvolta
con un solo, o con una innalzata
de’ bassi che montano non di rado anche
sopra i tenori. E inutile il dire che tutte
le sue composizioni sono lavorate per sole
voci cantanti, (perchè allora non si usava
altra musica che la vocale) ed in istile legato,
ma con una facilità e libertà senza
pretenzione alcuna, come tutta venisse da sé,
e non potesse essere altrimenti, lo che sembra
veramente un incanto. Là dove l’espressione
richiede cantilene dimesse e melanconiche,
come nelle Lamentazioni e nei
Miserere ecc., non sono queste d’una tristezza
effeminata, o di un affettato sentimentalismo,
e così pure ne’canti di giubilo,
l’energia delle sue frasi non trascende
mai all’appassionato, perchè egli non dimentica
la dignità del soggetto religioso
che tratta, nè quanto debba a sè stesso
un maestro conscienzioso. Se l’analisi delle
sue opere diventa un continuo panegirico,
mi appello al giudizio di tutti i più profondi
conoscitori, che le hanno esaminale,
se ciò si debba ascrivere ad una preoccupazione
d’entusiasmo per l’autore, ovvero
alle stupende loro bellezze.
Si avverta però che queste sue opere
non si vogliono legger soltanto, ma couvien
sentirle eseguite in un vasto tempio
e da numeroso coro, e particolarmente dai
cantori ponlificj nella Cappella Sistina con
quella ammirabile unione, con quella perfezione
d’arte che eccita la meraviglia di
tutto il mondo musicale, ed appunto di
questa esecuzione sarebbe stata cosa bella
ed importante il fare alcun molto nello
schizzo. Tutti i viaggiatori ne parlano in
esteso, e ci dipingono coi più vivaci colori
le impressioni che desta negli animi quella
musica della quale così scrive il già encomiato
Baini: v Sia de’nostri, sia strati
niero, sia colto, sia barbaro, sia libero, o
«schiavo di qualsivoglia passione, ognuno
tt riconosce a quel puro linguaggio, a quei
«puri accenti, si perfettamente modulati,
«le voci dell umile preghiera dovuta alti
1 Unte Supremo, e tutti si compongono,
«e si commovono, e non manca chi triti
buta eziandio con contento la sua lati
grima di divozione all’efficacia di quelle
«celesti armonie.»
DELL’ISTROMENTAZIONE.
(tontimm emione (i).
Il trombone è, per mio avviso, il vero
capo di quella razza di strumenti da fiato
che io ho chiamati epici. Egli possiede di
fatto l’ultimo confine di elevatezza della
nobiltà e della magnificenza; egli ha tutti
gli accenti gravi o forti della sublime musical
poesia, dal riposato e grave accento
religioso, sino a’forsennati clamori del baccanale.
Dipende dal compositore di farlo
di tratto in tratto cantare come un coro
di sacerdoti, minacciare e gemere cupamente, mormorare un funereo responso,
intuonare un inno di gloria, intronare di
orribili grida, o tuonare il poderoso suo
squillo per risvegliare i morti a vita e portar
la morte ai viventi.
Si trovò modo però di renderlo vile un
frent’anni, fa costringendolo al servile raddoppiamento
inutile eridicoio della parte dei
contrabbassi. Questo sistema è oggidì pressoché
abbandonato, ed è pur gran mercè.Ma
in molti e molli spartiti, d’altronde assai
belli, si può vedere la parte de’bassi quasi
costantemente raddoppiata da un solo trombone.
Non si può dare cosa più pedestre
e meno armoniosa di questa maniera d istromentazione.
Il suono del trombone è
di tal guisa sui generis che egli non deve
mai essere inteso se non a produrre un effetto
speciale ed a sè.’ il suo officio non è
dunque quello di rinforzare i contrabbassi,
col suono de’ quali il suo timbro non ha
punto nè tanto che fare. Oltre a ciò, bisogna
convenire che un solo trombone in
un’orchestra sembra sempre più o meno
mal collocato. Questo strumento ha bisogno
dell’armonia, od almeno, dell’unisono
degli altri membri della sua famiglia, acciocché
le sue diverse virtù possano manifestarsi
completamente. Beethoven l’ha
alcuna volta impiegato simultaneamente
colle trombe; ma l’uso invalso di scriverlo
a tre parti mi pare da preferirsi.
Y hanno quattro specie di tromboni, ciascuna
avente il nome della voce umana
alla quale si assomiglia pel suo timbro e
per la sua estensione. Il trombone soprano,
più piccolo e più acuto di tutti, si ha in
Germania; in Francia non è conosciuto;
nè quasi mai è stato adoperato negli spartiti
de’grandi maestri; la qual cosa non
sarebbe una ragione perchè ivi non si dovesse
introdurre tosto o tardi, nè certo è
che le trombe a chiavi eziandio le più acute
possano vantaggiosamente supplirvi. Gluck
solo, nel suo spartito italiano l’Orfeo ha
scritto il trombone soprano sotto il nome
di cornetto. Egli gli ha fatto raddoppiare
la voce del soprano del coro, mentre che
il trombone contralto, tenore e basso raddoppiano
le altre tre voci.
11 trombone contralto s’estende presso
a poco di due ottave e mezzo, togliendosi
(1) Fedi i fogli b, 8, 10, 19, 21, 25, 26, 27, 32, 38, Il
39, il e 48.
dal do o dal si sotto le righe (in chiave
di contralto) sino al fa sopra. 11 suo timbro
è un poco stridulo in paragone di
quello de tromboni più bassi. Le sue note
inferiori suonano assai male; onde tanto
più è ragionevole Io evitarle quanto che
queste note medesime sono eccellenti nel
trombone tenore, dal quale il trombone
contralto nell’orchestra non va mai scompagnato.
I suoni alti come il si, do, re,
mi, fa, possono essere al contrario utilissimi,
onde è a lamentarsi che il trombone
contralto sia oggi sbandito da tutte le orchestre
di Parigi (eccetto quella solamente
dell’Opera Comica).
Il trombone tenore è il meglio di tutti.
Egli ha una forte e piena sonorità; può
eseguire passi che per la loro rapidità non
si confarebbono al trombone basso, e la
sua estensione è maggiore di quella degli
altri tromboni. Egli può, togliendosi dal
mi naturale sotto le righe (chiave di basso),
ascendere facilmente sino al si bemolle sopra
(chiave di baritono), ed anco al si naturale,
al do e al re, secondo il valore del
suonatore, badando però che nello esigere
dallo stromento queste note acute non si
pretenda che egli sia costretto a pigliarle
togliendosi dalle basse che mal preparano
le labbra a poter cavare gli acuti. Esso
comprende tre ottave a un dipresso. È
buono avvedimento quello di non iscrivere
(nell’orchestra) il trombone tenore più alto
del si bemolle. Nè qui sta solo la ricchezza
di questo stromento. Oltre alla lunga scala
che egli può cromaticamente percorrere,
possiede ancora, all’estremità inferiore, quattro
poderose e magnifiche note dette peduli,
pi r cagione della loro rassomiglianza
colla sonorità delle più basse note dell’organo:
esse sono molto difficili ad essere
bene scritte, e non sono conosciute eziandio
da molti esecutori. Queste note sono:
si bemolle, la, la bemolle, e sol sotto le
righe (chiave di basso), e per conseguente
sotto l’ultimo do basso del violoncello. Esse
sono separate dal resto della scala per mezzo
di una lacuna che consiste nelle cinque note
intermedie si, do, do diesis, re e mi bemolle,
le quali mancano affatto. Le vibrazioni
delle note pedali sono lente e addimandano
assai d aria: bisogna dunque,
perchè possano escir bene, dar loro una
ben lunga durata, farle succedersi lentamente,
e intramezzarle di pause die facciali
luogo alla respirazione del suonatore.
Egli si vuol por mente altresì die il pezzo
ove esse sono adoperale sia generalmente
scritto assai basso, perchè le labbra dell’esecutore
si dispongano - per gradi alle profonde
intonazioni. La miglior maniera di
prendere i pedali è di fare sul primo (si
bemolle) un salto di quinta o d’ottava togliendosi
dal fa o dal si bemolle superiore;
poscia, dopo aver dato luogo ad una respirazione,
passare, discendendo cromaticamente
al la e al sol diesis (il sol naturafle
è il più difficile d’una estrema rozzezza
e d’una emissione durissima). In
questo modo, in una messa da Requiem
moderna, l’autore ha trattato queste tre
note, e sebbene alla prima prova della sua
opera degli otto suonatori di trombone che
dovevano farle sentire, cinque o sei avessero
gridato che non era ciò possibile, gli
otto si bemolli, gli otto la e gli otto sol
diesis ne sortirono non di meno pienissimi
e giustissimi, e per opera di alcuni artisti
che non avevano mai tentato di cavarli
dallo stromento nè credevano anzi che queste
pedali tornò assai più bella che quella del Jh diesis (ben conosciuto), precedente il» fa naturale che portava il contra-si bemolle. Quanto effetto di tromboni, nell opera citata, è collocato sotto un’armonia di flauti a tre parti, mentre taciono le voci e gli altri stromenti tutti. Il suono dei flauti separato da quello de’ tromboni da un immenso intervallo, pare essere così la risuonanza armonica sopracuta di questi pedali, il cui lento movimento e la profonda voce intesi sono a raddoppiare la solennità delle pause che vanno inframmezzando il coro al versetto: «Hostias et preces tibi laudis offerirnits. Detto è di sopra che il trombone tenore manca del mi bemolle grave, e che si trova compreso nel vano che separa dai pedali F ultimo mi naturale basso; ora, credo dover anche ripetere, questa nota dà sempre luogo ad una farraggine di errori eziandio negli spartiti più sapientemente ordinati. Per la qual cosa uno degli attuali maestri, il cui valore nell’arte della instromentazione è una delle incontrastabili sue eminenti qualità, ha incominciato l’ultima sua opera con molti mi bemolli gravi del terzo trombone tenore. L’officieide gli eseguisce e il trombone altro non fa che raddoppiarli all’ottava superiore, e l’autore per avventura non s’è mai avveduto che il suo mi bemolle basso non è altrimenti dato dallo stromento pel quale egli lo scrisse. Un’altra particolarità del trombone tenore poco conosciuta dai compositori, è la difficolta e l’impossibilità che in certi casi egli trova a fare le due note la diesis e si. o si bemolle e do bemolle dell’ottava inferiore fra le righe (chiave di basso), quando con qualche rapidità si succedano. 11 passaggio dall’uua all’altra, richiedendo un gran salto del pezzo scorritore dello stromento, e per conseguente uno sbracciamento enorme della destra del suonatore, non può farsi se non in movimento alquanto moderato. Un celebre maestro, avendo scritto questa rapida successione si, la diesis e si, ripetuta più volte, i trombonettieri dell’orchestra del teatro Italiano si spartirono come i suonatori di corno russo che fanno una nota per uno; l’uno dava il si naturale e l’altro il la diesis, con grandi risa degli altri suonatori, che si smascellavano spezialmente veggendo la pena che aveva il secondo trombone nel cogliere di contrattempo il suo la diesis. Il trombone basso è un trombone tenore quanto al suo timbro e alla sua estensione che sta come la voce del basso a quella del tenore. Egli si leva meno alto d’una quinta e discende più in basso d una quarta aumentata. Dunque, dato che per l’orchestra si spinga il trombone tenore solamente sino al si bemolle acuto, bisognerà scrivere il trombone basso solamente sino al mi bemolle, comechè, in mano a certi esecutori, ei potesse montare più alto d’assai. In grave egli discende sino al si bemolle sotto le righe ( chiave di basso ), e riempie cosi il vano che è nel trombone tenore fra l’ultimo mi naturale basso e i pedali. Ma stando al fatto, il trombone tenore discende più basso che il trombone basso, dappoiché questo non ha le tre note pedali, la, la bemolle e sol, e il suo si bemolle si cava molto difficilmente, il suono del trombone basso è maestoso, formidabile e terribile: a lui per diritto si spelta la parte grave infra tutta la schiera degli istromenti di metallo. Ad onta di ciò noi abbiamo la disgrazia a Parigi d’esserne affatto sprovvisti; non si insegna al Conservatorio, e nessuno trombonettista se n’è voluto finora impratichire a dovere. Onde ne segue che per la più parte gli spartiti tedeschi moderni e anche gli antichi spartiti francesi e italiani, scritti per orchestre che possedono o possedevano questo stromento, debbono essere più o meno storpiati quando si eseguiscono a Parigi. Peróne! Freyschiitz di Weber, v’hanno di re naturale bassi sotto le righe (chiave di basso) nell’accompagnamento del coro de’cacciatori: poscia, all’entrare deH’Eremila s’incontrano dei mi bemolli bassi. Queste note dunque per necessità si fanno sentire all’ottava superiore, poiché i tre artisti dell’orchestra del!’Opera si servono tutti e tre del trombone tenore che non le ha. V’hanno altresì dei do naturali gravi, sostenuti, nel coro AeWAlceste di Gluck: «Piangi, o patria, o mia Tessaglia! «Qui l’effetto ui questi contra-do bassi è grandemente importante, onde il trasportarli è cosa al tutto sconveniente. Il trombone basso non può prestarsi a movimenti rapidi come gli altri stromenti della medesima natura; la lunghezza e grossezza del suo tubo richiedono un poco più di tempo per entrare in vibrazione, e si vede agevolmente che il suo pezzo scorritojo, fatto giuocare per mezzo d’un prolungamento d’un’asta di metallo che serve a poter portare il pezzo suddetto a certe posizioni estreme dalla parte dei bassi, non dà luogo ad una grande agilità. Quindi l’impossibilità reale in cui sono gli artisti tedeschi, che usano il trombone Lasso, di eseguire molti passi delle nostre partizioni francesi moderne, le quali i nostri trombonettieri rendono sì bene che male sul trombone tenore. L’imperfetta esecuzione di questi passi, malgrado l’abilità d’alcuni de’ nostri arstisti, prova ad evidenza che essi passi sono troppo rapidi anche pel trombone tenore, e che i tromboni in generale non sono atti a rendere successioni di questo genere. Ciò prova per lo meno, supposto che i compositori sieno senza più colpevoli d’un poco di esagerazione nella difficoltà, che bisogna sempre servirsi degli stromenti indicali da loro, e non mai d’altri. Per mala sorte molli maestri, conseii che nella più parte delle nostre orchestre non vi sono che tromboni tenori, si ostinano a scrivere nei loro spartiti: trombone contralto, trombone tenore e trombone basso, invece di indicare formalmente.°2.°3.°tromboni tenori. Ne segue che per potere eseguire, in paesi forestieri, le loro opere, come si eseguiscono a Parigi, bisognerebbe, senza badar punto alle impresse indicazioni, servirsi di quegli stromenti che si adoperano a Parigi. Ma come potere ammettere una somigliante libertà nella interpretazione della volontà del compositore? Non sarebbe egli questo un far lecito ogni capriccio, ogni abuso? Non è egli giusto che gli altri che mettono tanta negligenza a redigere le opere loro, soffrano un poco, piuttosto che far invadere l’abuso di far vedere le loro opere mutilate a coloro che scrivono sempre con cura, e con profonda cognizione de’ mezzi stromentali? Difficile è poter dire fin dove i tromboni possono compromettersi di loro agilità; nondimeno, ecco ciò che potrebbe dirsi: nel tempo inquartato e nel movimento allegro moderato, un tratto di crome, può eseguirsi col trombone basso; gli altri tromboni, tenore e soprano, scudo un po’ più agili, potranno eseguire tratti in terzine di crome (12 ogni battuta); ma questi sono i confini naturali dell’esecuzione eguale e precisa; trapassarli sarebbe quanto cadere nel guazzabuglio, nella confusione, o meglio, sarebbe un tentare l’impossibile. Il carattere del timbro del trombone varia in ragione del grado di forza onde il suono è emesso. Nel foltissimo egli è minaccioso, formidabile; massimamente se i tre tromboni sono all’unisono, od almeno se due sono all’unisono e il terzo all’ottava loro. Tale èia fulminante scala in re minore sulla quale Gluck ha disegnato il coro delle furie nell’atto secondo dell’Ifigenia in Tauride. Tale è ed ancor più sublime il grido immenso di tre tromboni uniti che risponde, come se fosse la voce corrucciata de’numi infernali o all’invocazione di Alceste» Ombre! larve! compagne di morte! «in quest’aria prodigiosa in cui Gluck ha lasciato snaturare 1 idea principale del traduttore francese, ma che, tale qual’è, s’imprime nella memoria di tutti, col suo tremendo primo verso: «Numi diStige! ministri di morte! «Notiamo ancora che verso la fine del primo periodo di questo pezzo, quando i tromboni in tre parti divisi rispondono imitando il ritmo del canto a quella frase:» La vostra non bramo crudele pietà» notiamo, dico, che per l’effetto medesimo di questa divisione, il timbro de’tromboni assume all’istante un accento d’ironia, roco e ferocemente esultante, differente assai dal tremendo furore degli unisoni precedenti. Nel forte semplice, i tromboni, in armonia a tre parti, massimamente nelle note di mezzo, hanno un’espressione di pompa eroica, di maestà, di fierezza, che solamente il fango d’una prosaica poesia potrebbe render vana o nulla. Essi prendono, in questo caso, aggrandendola d’assai, l’espressione delle trombe; essi più non minacciano, ma proclamano, e invece di ruggire, cantano. Nel mezzo-forte di mezzo, all’unisono o in armonia in lento movimento, prendono il carattere religioso. Mozart nel coro de’sacerdoti d’Iside, del Flauto magico, ha prodotto mirabili modelli della maniera di dare ai tromboni la voce e la gravità pontificale. Gliene era già stato lasciato esempio da Gluck nel coro de’Sacerdoti di Diana nell’atto terzo della Ifigenia in Aulide; «Prezzo del sangue che da noi fia sparso.» Il pianissimo de’ tromboni appropriato ad armonie appartenenti al modo minore è cupo, lugubre, e direi quasi magico. Massimamente nel caso che gli accordi sieno brevi e intramezzati di pause, pare che si senta l’ululato di strani mostri mal represso fra l’ombre. Mai non è stato, a mio credere, tratto partito più drammatico da questo peculiare accento, di quello che abbia fatto Spontini nella sua eccellentissima funebre marcia della Festale: «Pera ornai l’empia Vestale!» Gluck nelle scale discendenti dell’aria:» Caron t’appella, «nell’atto terzo dell’Alceste, e Beethoven nell’immortai duetto del secondo alto del Fidelio, cantato da Eleonora e dal carceriere nello scavare la fossa del prigioniero che ne va a morte. L’uso adottato oggidì da alcuni maestri di formare un quartetto dei tre tromboni e de 1l’officleide, assegnando il vero basso all’officleide forse non è senza merito di biasimo. Il timbro de’ tromboni cosi rilevato e dominante è ben diverso da quello dell’officleide, ond’io credo sia meglio far raddoppiare la parte grave a questo stromento, od almeno cercare di dare a' tromboni un basso buono e ben cantante, come se quelle tre parti dovessero figurare scoperte.
Il sistema delle chiavi adattate al trombone gli dà molta agilità, ma alcun poco gli toglie di precisione. Chiaro è che il pezzo scorritoio, obbedendo agevolmente ad ogni minima impulsive, rende (dato che il suonatore abbia fino orecchio) il trombone il più giusto degli stromenti a fiato, e che il trombone a chiavi senza il pezzo scorritoio è da annoverarsi nella classe degli stromenti che hanno l'intonazione stabilita e ferma, a' quali solo le labbra possono portare piccole modificazioni. Sovente pel trombone contralto a chiavi sogliono scriversi soli cantabili. Per questo mezzo una melodia bene fraseggiata può tornare assai dilettevole: intanto errore è quello di credere che affidata ad un vero virtuoso meno dovesse riuscire sul trombone duttile; il sig. Dieppe l’ha fatto molte volte sentire con applauso. Dall’altra parte, ripeto, dall’esecuzione di rapidi tratti in fuori, il vantaggio di una maggior precisione debbe avere la preferenza e molto essere considerato dai compositori.
Gluck, Beethoven, Mozart, Weber, Spontini, ed altri hanno avuto riguardo all’importante parte del trombone, essi hanno assegnato con perfetta intelligenza la pittura delle umane passioni, e la imitazione de’ fenomeni della natura ai caratteri di questo stromento. Per conseguente essi punto non gli hanno tolto della sua potenza, della sua dignità, della sua poesia. Ma costringerlo come fa oggidì il volgo de’ compositori a urlare in un Credo melodie brutali, più degne della taverna che del sacro tempio, a suonare come per l’ingresso d’Alessandro iri Babilonia, quando si tratta d’una capriola d’un ballerino, a marcare accordi di tonica e di dominante sotto una canzonetta che basterebbe fosse accompagnata da una chitarra, a mescere la sua voce olimpica alla meschinella melodia di un duo di vaudeville, al vano romore d’una contraddanza, a preparare nei tutti di un concerto, lo scoppio trionfale d’un oboe o d’un flauto, altro non è che impoverire, degradare un magnifico mezzo stromentale; egli è convertire un eroe in ischiavo o in buffone; scolorire l’orchestra; rendere insufficente, inutile tutta la progressione ragionata delle forze stromentali; egli è un rovinare il passato, il presente e l’avvenire dell’arte; egli è finalmente un volontario atto vandalico, o una manifestazione di niuno buon senso e di tutta stupidità.
E. Behlioz.
(Vers. di C. Mellini)
DEGLI ARTISTI
MELODRAMMATICI.
Furono in queste pagine già toccate le cause per le quali l’arte della musica venne a' dì nostri ad una fase di decadimento. Alcune ci parvero in persuadevol modo discusse; altre per la moltiplicità delle materie appena sfiorate. Tra queste vuol essere primariamente annoverata l’ineducazione artistica de’ virtuosi, la capitale loro inscienza, la vanità, la presunzione, e le ventose pretese con che si rendono spesse volte ridicoli, non pure nella comune società, ma ben anche nel breve circolo del loro mondo teatrale.
V’hanno tra gli uomini degli uomini, i quali stimano sè stessi costituiti d’una creta di cui tutti gli altri npn furono costrutti. Chi penetrasse ben bene nell’animo loro direbbe ch’essi discendono sulla terra per vivere tra la terra e le nubi. La stirpe de’ virtuosi primeggia tra queste privilegiate generazioni; e basta per costoro avere un gorgozzule sonante ed una laringe ben formata perchè facilmente si persuadino che tutte le virtù, tutte le più pregevoli prerogative si raccolgono nel loro fortunato corpicino, come in un luogo di predilezione. Una voce sonora tiene il posto in essi dell’ingegno, dello studio, della coltura, dell’inspirazione, della civiltà, e soventissime volte persin del buon senso. Una bella voce vale una celebrità, una gran fortuna, una ricchezza; essi facilmente si convincono che tutte le grandezze, gli onori, i favori di questo mondo sono fatti per loro. A che giovan dunque gli studj, le meditazioni, le fatiche, le discipline? Sciogli la tua voce, dicon fra sè medesimi, e udrai i rumori dell’entusiasmo colpirti l’orecchio ed inebbriarti l’anima di compiacenza. L’oro verrà dopo le dolcezze, degli applausi; e in questa vita ove tutto è vanità e miseria tu solo avrai la sorte di godere di una felicità reale a cui nessuna delle umane condizioni potrà paragonarsi.
Vale dunque una voce per tutto; ed invece di educare lo spirito all’intima comprensione di ciò che imprendono a trattare, anzicchè nobilitare la mente ed il cuore a quelle squisitezze di sentimento che sono il vero principale elemento di un’arte tutta fatta per l’animo, con un cuore incapace di affetti, con una mente incapace d’intelligenza, sognano un bel mattino d’essere artisti, e vengono nella grande società a chiedere ricchezze, onoranze, festività, distinzioni, come se nelle loro mani serbassero la felicità de’ loro contemporanei. Coloro che negli andati tempi recarono l’arte italiana a quella elevatezza d’onde i presenti tanto sono discesi, pensarono che l’attore melodrammatico non potesse meritamente guadagnarsi un tal nome senza una perfetta conoscenza della musica, senza un indefesso studio del canto, senza un lungo esercizio e tirocinio che rendesse la voce atta a superare qualsiasi difficoltà di modulazione e l’occhio esperto a rilevare a prima vista qualunque immagine scritta, così nei passi che l’anima della melodia ajuta ed agevola la lettura, come in quelli che il cantante è abbandonato alla propria esperienza, perchè costretto a freddamente secondare nelle vie dei calcoli armonici il filo aureo della melodia ad altri appoggiata. Pensarono ch’era di massima importanza l’essere in arte periti, perchè il bello musicale traendo vita e vigore dalla novità, bisognava sapere all’improvviso variare i passi d’arbitrio che il compositore affida all’abilità ed al gusto del cantante; nella quale particolarità tante meraviglie ci vennero udite dalle labbra di coloro che, fastiditi della moderna macchinale uniformità, ricordano le gare prodigiose del gran Marchesi col vecchio David, e con molta verità e giustizia vengono sclamando: quelli sì ch’eran cantanti! Pensarono che non solamente un artista debbe essere valente nel magistero della voce, ma deve egualmente esserlo nell’arte drammatica, perchè non solo egli canta, ma agisce; e perchè un gesto improprio scema grandemente ii buon effetto della bella espressione musicale. Perciò non era coltura della mente che possibilmente non attendessero a procacciarsi, dovendo l’uomo drammatico essere formato ad ogni più nobile sentimento, e dovendo con eguale naturalezza così simulare gli atti forbiti del cortigiano, come i rozzi ed ingenui modi dell’abitatore dei campi. In simil guisa molte altre cose pensarono coloro che ne’ tempi andati fondarono un patrimonio di musicale rinomanza alla presente melomaniaca generazione.
Ma ben altrimenti si pensa oggidì. Il secolo che ha fatto disegnatore il sole, e piloto e condottiero il vapore, trovò che anche le arti potevan comminare su veicoli di fuoco; e giudicò ch’era uno sprecare gli anni e la fatica il condannarsi a tanti studj preparatorj, di che le genti illuminate della felice età nostra poteano far di meno; e dalla camera del solfeggio passare alla grand’aula del teatro, anzicchè un tratto di ceca temerità, parve non altro che una prova di ammirevole coraggio. Se i veri artisti d’un tempo tremavano all’idea di presentarsi ad un pubblico che ha sol una bocca per lodare e cento per biasimare, epperciò s’iniziavano per gradi a sostenerne il terribile aspetto ed a correre la difficil carriera melodrammatica, ora s’è sbandita ogni pusillanimità; il primo passo che si muove è quello che deve portare alla più ardua meta dell’arte. Il pubblico ha cangiato natura; e le cento bocche che prima erano aperte al biasimo ora sono spalancate alla lode. Prodursi in una parte che fosse minore di quella di una Norma, di una Semiramide, di una Beatrice, o da meno di quella di un Pirata, di un Percy, d’un Assur, d’un Torquato, sarebbe un traviare dal sentiero sublime a cui la natura li aveva fin dal nascere destinati. Sono storie da romanzo, novelle in versi quelle che si van raccontando di alcuni de’ più celebri cantanti, che per potere con miglior animo fissare in volto quel tremendo demone del pubblico, raffrontavano per la prima volta confusi nella turba plebea dei coristi. Ora non v’è più un’anima che vi creda. I grand’ingegni debbono mostrarsi grandi fin dai primi tratti: Achille uccideva i serpenti nella culla: i nostri campioni sono tanti Achilli. Non v’è dunque cimento difficile a che la loro gagliardia non basti: si sa che la fortuna latta colle sue mammelle gli audaci e dà alle nudrici mercenarie i figli modesti e virtuosi. Si è mai udito che la verecondia abbia trovato fortuna su questa terra, ove tanto si cercano le sostanze perchè tutto è coperto di fallaci apparenze?
Così l’esempio d’un primo che ragionò in tal guisa fu la pietra dello scandalo pei molti che trovavano assai comodo d’immitarlo; e la scena melodrammatica fu popolata di gente la quale manca perfino della facoltà di comprendere quali cose si oossono richiedere dall’abilità d’un artista. I neofiti della più ricca tra le arti gittansi sul teatro ad uno ad uno prima d’aver imparato a decifrare le note, prima di saper apprendere una parte da sè, ignorando che sia declamazione, che sia mimica, non intendendo (e questo è pur troppo una verità) il significalo delle parole che proferiscono.
Quali prove si possano sperare da simili campioni è facile immaginarlo. Usciti appena dalla tutela del maestro il quale a versamenti di un artista suonatore, il signor Berlioz non possedeva i mezzi di formarsi da sè stesso la propria celebrità, egli aveva bisogno dell’altrui concorso per giugnere al possesso di quella fama che al presente sì degnamente lo premia: e questo altrui concorso vieppiù dilFicil cosa esser doveva ottenerlo a lui che dotato di potente fantasia non creò che opere ardite e colossali le quali escono dalle ordinarie proporzioni e domandano un intero popolo di esecutori maestri a validamente interpretarle. Berlioz è alla musica ciò che il pittore inglese Martin è alla pittura} egli non ama le vie già segnate e battute dagli altri} egli si ride degli ostacoli e delie ostilità dei poveri di spirito che invidiano e abborrono in lui una incontestabile superiorità di intelligenza e di dottrina. E ben fa: quando si è nel caso suo, e si può vantare tanta forza d’ingegno, tanto vigore di giovinezza e di immaginazione, sta bene r attendere senza impazienza il momento della giustizia del pubblico, per trionfare della turba dei rivali pigmei.» Ammettendo anche che in queste parole del corrispondente della Gazzetta Musicale di Parigi ci sia dell’esagerazione dettata dall’amicizia, abbiamo voluto riportarle, perchè tutte le espressioni di encomio rivolte al sig. Berlioz riescono gradite a noi che amiamo in lui un artista dedicato con tanto nobile ardore ai culto della musica, un artista che se anche talvolta non seppe frenare gli slanci di una maschia fantasia, ebbe però sempre di mira di innalzare la sua arte facendola ispiratrice di forti e generosi sentimenti, e non effeminata corrutrice degli animi e molle serva di un volgare sensualismo. Ogni compositore il quale si porrà su questa via sarà certo delle simpatie dei veri amatori delFarte di Mozart, di Beethoven e di Rossini} a coloro che fanno della musica una fiacca blanditrice di passioncelie da romanzo, o un mestiere di guadagno, o un iene e soave narcotico dell’anima, o tutte queste cose insieme, non verranno mai concedute le lodi del giornalismo non venduto. Dopo questa forse troppo seria digressione, che per altro può aver significato importante pei lettori non disattenti della nostra Gazzetta, torniamo ai sig. Berlioz. Fra i diversi pezzi dei grande Concerto di cui teniamo parola, quasi tutti di composizione del sig. Berlioz, nulla vi ha che abbia un’impronta di maggior novità del prologo della grandiosa sinfonia Giulietta e Romeo, della Marcia de’ Pellegrini che cantano la preghiera della sera, della romanza del Giovine pastore brettone, e finalmente della grande Sinfonia funebre e trioiifale per due orchestre e cori, composta per la traslazione delie spoglie delle vittime di Luglio e per l’inaugurazione della colonna della Bastiglia. In questo ultimo pezzo la marcia e l’orazione funebre hanno un carattere maestoso degno della maggior attenzione. Ma sopra ogni altra cosa, apoteosi produsse un effetto magico e destò un vero entusiasmo. Gli applausi scoppiarono con una forza che a mala pena bastava a gareggiare colle duecento parti d’orchestra che eseguirono mirabilmente questo pezzo capitale. DIZIONARIO MUSICALE CRITICO UMORISTICO’ Fedi il foglio JV. 1 2 e 29 di questa Gazzetta. Accademia. — Centone musicale, ove i più disparati elementi concorrono a formare un trattenimento, il cui pregio principale è appunto la varietà: pezzi stroinentali, pezzi vocali, Sinfonie, Concerti, Calcatine, Variazioni, Fantasie, Canzoni, Duetti, Cori, pezzi serj, bulli, buflo-serj. Questo genere di trattenimento potrebbe essere di grande giovamento al far progredire l’arte musicale, al propagare il buon gusto, all’eccitare fra i Dilettanti e gli Artisti una bella e nobil gara, ma oimèl sono d’ordinario di grave danno alla musica, perchè d’ordinario presiede a direzione delle accademie musicali, ben altro che un sentito amor dell’arte. Un po’ di vanità, un po’ di ganimedismo, ecco le molle, che con rare eccezioni, mettono in movimento le accademie private. E lo scopo primissimo, la mira finale della maggior parte delle accademie a pubblico affìsso qual è?... 11 maggior peso possibile del bacile. Talvolta il peso del bacile fa onore alla filantropia del pubblico e degli artisti, salvo il caso ove la maschera del filantropo non copre il disinvolto artista. (V Beneficenza) (Y. altri articoli sotto la parola Accademia) Accademia privata. — Uno dei più graditi trattenimenti sociali, ove l’amore della soavissima fra l’arti belle tien luogo del dotto Tarocco, dell’importante Scacco o di simili spreca-tempo, che occupai! seriamente il cerebro nelle ore destinate ad alleviarlo dalla fatica dello studio, dal peso delle cure della vita; trattenimento ove le alternate melodie o patetiche, o energiche, o gioviali, danno elasticità all’anima di chi non l’abbia del tutto floscia 0 borichina. Questo nobile divertimento potrebbe essere di molto vantaggio all’arte, alla civiltà, ai costumi se come d’ordinario, chi le dirige, non pensasse ben più alla scelta di belle invitate, al numero e simmetria delle steariche, od ai proprii guantini sopraflìni, che non alla scelta de’pezzi di buona musica, di senso poetico chiaro per sè solo, gradevole, utile (V. Cavatina)’, e se una falsa urbanità non vi profondesse l’adulazione. Esca pure dal corallino labbro di una signorina Dilettante la più sdolcinata Romanza, sian pure a stento inleljigibili le parole da lei cantate, o scminullo o falso l’accento, o mal applicate o soltanto abbozzale le fioriture, bisogna applaudirla a furore, bisogna decantarla una professora, bisogna dire che sa la musica a fondo, c simili insulti alla verità, per cui la signorina Dilettante Professora non pensa nemmen per sogno a correggersi, a cambiar maestro c metodo, come farebbe forse quando non ricevesse che gli applausi di civiltà e incoraggiamento. (V. questi articoli). Il signor Dilettante Cajo canta un’ina buffa con sonnifera vena comica, o con lazzi non buffi ma bu/fonici, con sali insipidi o sporchi? Bisogna battere generosamente palme a paline, bisogna dire che canta con una gran comica, che ha un gran spirito, è un genio... e’1 meschinello se la beve; fa il bocchino del ritroscllo a tanta gloria, ed invece di correggersi, di cambiar stile, di cercare quel vero sale comico che eccita la giovialità senza ricorrere alle caricature, alle scempiaggini, e senza offendere il pudore delle uditrici educate, non civettine, non sciocchine, fa ogni studio per toccare la gloria di scr Pagliaccio. E ’1 peggio si è poi che costui quando va al teatrò è il primo ad applaudire l’artista sguajato che colla lusinga di acquistarsi la simpatia dell’udienza, impresta dal trivio i scurrili equivoci, da Brighella la mimica; con quell’applauditore del mal gusto fa tosto pieno coro la race maulonniere degli applauditoli per riverbero; il pseudo-artista crede aver tocco il non plus ultra dell’arte, e così, con tutto il bisogno di imparare, non tenta di andar plus ultra. Ed ecco partire dalle accademie private il danno al Dilettantismo, agli artisti, all’arte ed al gusto del pubblico, in grazia dell’adulazione buttata senza risparmio dai vagheggini, dagli ultra-devoti al Bon-ton, dai giornalisti di pasta slra-dolce, e soprattutto dai Lioni pranzófìli. Accademia pubblica. — All’entrare in un’accademia musicale pubblica si paga una moneta sempre piccola in confronto di quel caro diritto compralo di esternare con urbana libertà il propro giudizio sul merito dei Cantanti, dei Sinfonisti, sulla regolarità della disposizione dell’orchestra (Vedi Orchestra - CembaloJ, sulla scelta dei pezzi, sulle convenienze rispettale senza pettegolezzi fra Artisti e Artiste, fra questi e Dilettanti (V. Convenienze - Dilettanti - Dilettantismo), sulla giustizia o falsità degli applausi della massa, e via dicendo. Altro diritto che si acquista col biglietto tascato si è quello di provarvi grate sensazioni, di sentirvi canto significante e non garrulette suonatine di gola, di gustarvi eloquenti melodie slromentali e non continui sforzi di mano, non le interminabili chiacchierine, insignificanti Variazioni, non 1 pasticcini Capricci, non le pazze strampalate Fantasie da giocolieri musicali non da professori, non pezzi insomina che se anche eseguiti con tutta la precisione possibile, assicurano bensì che l’esecutore ha leste le dila, intonalo l’orecchio, buoni i polmoni, ma lasciano però in dubbio se abbia anima pielo-armonica senza la quale si potrà (la capiscano una volta gli Euterpei) si potrà dilettare le orecchie, di qualunque dimensione siano, ma toccare le anime, movere i cuori non mai. Ben dirette le accademie, potrebbero essere di un utile grandissimo all’arte, ma appunto per iscarsità di buon gusto, di criterio musicale, di vero amore dell’arte in chi ne forma il piano e le dirige, riescono d’ordinario dannose. Le cause principali della cattiva riuscita delle accademie sono la scelta di que’ pezzi d’Opera clic non possono ottener effetto staccali dal complesso drammatico, spogliati de’ prestigi della scena, le stomachevoli pretese di convenienze di certi artisti di canto, le basse gelosie di alcuni sedicenti professori invidiosi o sprezzatori per VARIETÀ. 11. SI». ETTORE BEREIOZ A BRESSEEEES. Colla scorta della Gazzetta Musicale di Parigi riferiamo alcune particolarità intorno alla grande Accademia musicale data a Brusselles dal signor Ettore Berlioz. Il signor Ettore Berlioz arrivò a Brusselles preceduto da una grande fama la quale egli molto difficilmente doveva poter confermare. Se non che ei confidava nei mezzi grandiosi che gli sarebbero stati offerti a far mostra del forte suo ingegno; egli sperava di poter disporre di un orchestra di duecento parti e non meno. La sola Società reale della Grande Armonia poteva offrirgli le grandiose e vaste risorse vocali e stromentah necessarie alla sua riuscita. <t Per verità, il signor Berlioz, così si esprime il corrispondente della Gazzetta Musicale di Parigi, non pare a suo agio che allorquando dirige e comanda a un esercito intero di parti musicali. Epperò egli fa una magnifica figura al legto, allorachè con un solo gesto o con uno sguardo scatena o modera dei turbini d1 armonia, il suo temperamento forte e nervoso ha bisogno di esercitarsi in simili giganteschi sperimenti, nel modo stesso che il suo maschio ed acre spirito si pascola nelle gare delta polemica e nei conflitti del Giornalismo. Dotato di ferma, anzi di ferrea volontà, irremovibile nel mirare al suo scopo, non può mancare di coglierne o tosto o tardi quel compenso che, malgrado 1 invidia e le stupide arti della mediocrità, è dovuto agli ingegni distinti. E tosto o tardi il signor Berlioz sarà veramente risarcito di tante fastidiose tergiversazioni e accanite nimistà contro le quali altro artista meno forte di lui avrebbe da un pezzo soccombuto.o sarebbesi stancato. Ben diII seie, e i che veispre- rsi a ti ileano iggio icchè altro >. Se idea i sol iasi. so•rere s’è asso •tare dico che lono arte ina, i da rcj, un u aono ielle più lior de1 la dei i vi arsi;ciun- che la ìuigli la sta ernò nei n10- no si la. i isi I er I a- j lo j in! m | a- 0 gran fatica di braccia e di fiato fa loro penetrare per l’orecchio ciò che non possono rilevare cogli occhi, accade alcuna volta che il loro esordire non è senza qualche buon rispltamento, frutto il più sovente della freschezza della voce o della novità del soggetto. Ma le promesse di simil gente sono ìùochi fatui che scompaiono coll apparire. Esciti da una meschina educazione, crescono ad una carriera più meschina, benché tu i l’altro sia il premio che ne ritraggono. Essi non si mantengon poveri che nel sapere. Chi volesse raccogliere tutte le incongruenze, tutte le assurdità, tutte le ridicolaggini che si commettono dai cantanti anche de’più famosi a’nostri giorni, intraprenderebbe un’opera senza fine. Chi scrive queste parole si ricorda di aver udito su un teatro di cartello, un cantante di cartello, il quale, rappresentando il Pollione della Norma, dopo di aver cantato i primi versi di recitativo della sua cavatina, spiegando tutta quanta la voce che aveva in petto, giunto laddove dice airamico di parlar sommesso, allora pareva che a bello studio sciogliesse ancora la sua voce più forte. Egli che gridava a tutto fiato pregava l’amico di parlar sommessamente. Ma, ripeto, l’intraprendere una narrazione di questi fatti ci porterebbe all’infinito. Ne daremo alcun altro esempio col ritornare che faremo su quest’argomento che riescirebbe troppo ampio per un articolo. G. V.;iano, ibitaaltre ndati nma: sendezza sistema delle abilità dei Dilettanti (V. Professori - Dilettanti), e soprattutto poi la nullità delle prove (Vedi Prove). Le accademie pubbliche non vedrebbero sì di spesso il rari nantes nelle udienze, a dispetto delle larghe dimensioni de’ generosi promettitori Cartelloni, se l’esperienza non avesse ormai convinto il Pubblico che il sentimento dominatore non è già la tenerezza per la Musa Euterpe, non la nobile brama di meritare i favori della Diva dalle immortali trombe, ma bensì la esclusiva sincerissima devozione ai Numi... (Vedi Cassetta - Bacile) fSarà conlinuatoj Nicolò Eostjcmo Cattaxeo. NOTIZIE VARIE. — Vienna. Il 6 novembreavrà luogo in questa Capitale una grande festa musicale nella quale si eseguirà il Giuda Macabeo di Haendel. L’orchestra e i cori si comporranno di oltre mila parti. Speravasi che Thalberg, che al presente si trova nella gran Capitale del nostro Impero, avrebbe preso parte al grandioso concerto, ma per quante domande gli si facessero egli sempre ricusò. Dicesi che sia sulle mosse di partire per l’Inghilterra ove è impegnalo pei Meetings nelle primarie città; o passerà il resto della stagione a Parigi (La France Musicale) — Gli amici del nome di Beethoven che sono molti in Vienna, e che lungo tempo vissero col grande compositore preparono un libro che promette di riuscire molto interessante, vogliam dire la sua biografia. Era tempo, dice la Gazzetta Musicale di Pargi, che al line ci venisse data una vera biografia del grand’uomo il quale per sì lunga pezza fu e sarà la meraviglia e la gioja dei sinceri amatori dell’arte. — Il signor Lumley comperò la sala dell’Opera di Londra all’esorbitante prezzo di 105,000 lire sterline (2,625000 franchi) lo che reca la cifra di locazione alla somma di 136,000 franchi per anno, per un teatro oyg non si da’spettacolo che sei o sette mesi all’annoi — 11 27 settembre venne deposta a Stutgarda la prima pietra del monumento che deve erigersi in commemorazione del 25.°anniversario dell’innalzamento al trono del regnante sovrano. In codesta occasione quattrocento fra professori e dilettanti eseguiranno nella Cattedrale il Te Deum di Giuseppe Haydn, e nella Chiesa Cattolica si eseguirà la messa in re maggiore di Cherubini. — Berlino. Scrivono da questa Capitale: Nel mese d’agosto del venturo anno si celebrerà in questa nostra Capitale una grande festa la quale sarà probabilmente celebrata in tutte le altre maggiori città della Germania; quella cioè del millesimo anniversario dell indipendenza di questo paese; perocché ei fu nell’agosto del 843 che venne conchiuso il famoso trattato di Verdun in virtù del quale l’Allemagna fu separata dalla Francia e dall’Italia, a cui era unita dal tempo di Carlo Magno, e fu posta sotto lo scettro di Luigi il Germanico (nipote di Carlo Magno) il quale per ciò diventò il primo re del l’Allemagna. In occasione di questa festa si darà qui un festival nel quale si eseguiranno due nuovi Oratori, l’uno scritto dal celebre poeta Tieck, e posto in musica da Felice Mendelssohn - Bartholdy; autori dell’altro Oratorio, si dicono i poeti Rauppach e Masclmer. {La France Musicale) — Leggiamo nella Melodia, nuovo foglio musicale di Parigi. «Da alcuni giorni giunse tra noi Donizetti. Al teatro Italiano si attende già alle prove della Linda di Chamounix: tutti coloro i quali udirono questa nuova Opera dell’autore d’Anna Balena la reputano il suo capolavoro. „ Siamo ansiosi di aver presto occasione a proferire anche il nostro giudizio. Ma temiamo che abbia ad esserci di molto ritardata questa soddisfazione. - La France Musicale, altro giornale Parigino, chiude un suo articolo intorno al teatro Italiano di Parigi recentemente riaperto, colle seguenti parole: «Quanto alla novità della corrente stagione si fa discorso di Linda di Chamounix già rappresentata a Vienna con gran successo. Si parla anche dell’Opera di Federico Ricci, Corrado d’Altamura’, e in fine d’uno spartito espressamente composto da Donizetti per madama Orisi, Mario, Lablachc e Tamburini. „ — Basilka-citta’ Allorquando, alcun tempo fa, la società d’utilità pubblica mise ai concorso la quistione di sapere come potrebbesi nobilitare le ricreazioni delle classi degli operaj, si pensò che il canto potrebbe esercitare un’immensa influenza, e si raccomandò di riunire gli operaj per esercitarsi in comune. Alcuni maestri di canto furono incaricati di dare regolarmente delle lezioni a diversi cori di operaj, i quali presero il più gran piacere in sillàtti esercizj. La giornata del 9 ottobre corrente provò che tale istituzione ha preso di già profonde radici. In fatto, diversi cori di operaj si sono riuniti nelia chiesa di S. Leonardo, dinanzi ad un numeroso uditorio, e vi hanno eseguito diversi pezzi: nel dopo-mezzodì un banchetto riunì tutti i cantanti. Si eseguirono dei pezzi di grandi maestri, e gli uditori poterono convincersi di quanto possano Io zelo e la perseveranza. Alcuni pezzi sono stati mirabilmente ridotti, e s‘ intesero delle voci a-solo le quali non sarebbero stale fuori di posto in qualsiasi concerto. Vedcsi con piacere che queste riunioni di operaj avranno eccellenti risultali. {Dalla G. P. di M.) — II celebre maestro Weyse è morto il giorno 8 ottobre a Koppcnhaghcn in età di 70 anni. Poco prima pubblicò una collezione di belle melodie su antiche canzoni eroiche nordiche. Le sue opere in musica e composizioni ecclesiastiche gli assicurano una fama permanente. — I! maestro Davidson di Londra adattò lo Stabat Mater di Rossini a quadriglie, pubblicandole col titolo: Slabat-Mater-Quadrilles. — Il decano di Westmunsler a Londra, Ircland, morto non ha guari, lasciò come legato al signor Lcman iìrownsmith dell’Abbazia di Westmunsler 67 volumi MSS. di composizioni di Phunder, scritte dall’amanuense del gran maestro, signor Smith. La collezione contiene 33 opere eouvertures, 22 oratorj. serenate, e molli altri componimenti, parecchi de’quali ignoti tuttora. (Gazi. Univ.) — Tempo fa venne eseguila a Bordò la Sinfonia Eroica di Beethoven, e fischiata dagli uditori. Durante il fischio s’innalzò una voce, gridando:» Gran Beethoven, perchè non hai piuttosto venduto V Ihdigo? «Noi crediamo che tale esclamazione era piuttosto diretta alla esecuzione di quella sinfonia. (Gazz. Mus. di Vien.) M OVE Pl’i M MUSICALI DELL î. R. STABILIMENTO NAZIONALE TRIVILEG. DI GIOVACI RICŒ2&25I. liowr Me SUR DES MOTIFS FAVORIS DE L’OPERA SI Miglili COMPOSÉE PAR TE. DOHLUE Op. 43. - Fr. 5. 25. NABUCODONOSOR MUSICA DEL M.° Ia’ Oliera coni gliela ridotta Iter Pianoforte a 4 mani P. TONASSI Fr. 26. Sta sotto i torchi la suddetta Opera completa per Pianoforte e Piotino o Flauto STABAT MA.TER. transcri! gioite Pfifgsarmonica aree accomgi. de Piano ou glonr denoti Pianos mmàm idi mim ME» MBienES El DE MISES ITALIE® COMPOSES PAR glassa SB transcrits inner Pfotjsharinoniea avec accomgi. de Piano ou giour deuæ Pianos «TS.» Fr. 5. FANTAISIE CARACTÉRISTIQUE giour fa Margte SUR UN MOTIF DE I/OrÉRA OBÉRON de WEBER M.MÏSII-A!¥A13 Op. 59 - Fr. 5. Fr. A4. JÜÎTOÜXD (KDIÜIPIllTO 1)1 imi L A B LACHE Fr. 16. gioite la SSargie PAR Op. 61. - Fr. 4 50. QUARTO GRAN CONCERTO Per Arpa sola Fr. 9 Idem, con dccomp. di Quartetto.» 44 Idem, cou accotnp. d’Orchestici.»48 gier Plauto e Pianoforte SOPRA UN MOTIVO DELL’OPERA MlìiM m il Jl A àlb ll ùi l S5I IMtitfIZETTI COMPOSTA DA DBAJ9JÜVIA URICO SM QUATTRO SBASITI DI Urlerà Fr. 4. liioviwi s&icorjui EDITORE-PROPRIETARIO. Dall’I. SS. Stabilimento Stazionale Privilegiato di Calcografìa, Copisteria e Tipografìa Musicale di eiOVM9TI RIC©I5SiI Contrada degli Omenoni iVr. 1720.