Geografia (Strabone) - Volume 2/Libro II/Capitolo IV

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CAPITOLO QUARTO

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Strabone - Geografia - Volume 2 (I secolo)
Traduzione dal greco di Francesco Ambrosoli (1832)
CAPITOLO QUARTO
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CAPO V.


Sistema geografico di Strabone – Principj generali della Geografia – Divisione del globo terrestre – Dimensioni e divisione della Terra abitata – Maniera di delineare una carta della Terra abitata sopra un globo o sopra una superficie piana – Viaggi di Strabone – Descrizione sommaria e generale della Terra abitata – Dei mari che circondano la Terra abitata, e delle coste ch’essi bagnano – Dell’Europa – Dell’Asia – Della Libia od Africa.

Poichè, dopo quanto abbiam detto contro i citati scrittori, è naturale che poniam mano all’adempimento della nostra promessa; noi pigliando nuovo principio diciamo, come chiunque toglie a descriver paesi dee premettere alcune di quelle cose che insegnansi nella fisica e nella matematica, e secondo la norma e sulla fede di quelle venir poi ordinando il proprio lavoro. E già si è detto che nè un edificatore nè un architetto potrebbe erigere acconciamente una casa od una città, qualora fosse ignorante dei climi, dei fenomeni celesti, delle figure, delle dimensioni, del caldo, del freddo, e di altre cose siffatte: e però tanto meno potrebbe descrivere senza di ciò tutta la Terra abitata.

E nel vero il presentare delineati sopra una sola superficie piana i paesi dell’Iberia e dell’India e quelli che stanno fra mezzo a queste due regioni, determinandone nel tempo stesso sopra quella medesima superficie il levante, il ponente ed il mezzogiorno, siccome punti comuni a tutti i predetti paesi, è un modo opportuno per dare una giusta idea geografica a colui [p. 235 modifica]il quale conosca già innanzi tratto la disposizione ed il movimento del cielo, e sappia che la superficie della terra nella realtà è sferica, e che qui rappresentasi piana soltanto in servigio de’ riguardanti: ma non gioverebbe a colui al quale mancassero siffatte cognizioni. Perocchè ben può chi fa grandi viaggi, come a dire per le pianure di Babilonia o per vasti mari, immaginarsi piano tutto lo spazio che gli è d’intorno, sia dinanzi, sia da tergo o dai lati, e non accorgersi d’alcun cambiamento nei fenomeni celesti, nei movimenti e nelle posture del sole e delle altre stelle rispetto a noi: ma non si può dire che a chi considera il mondo in qualità di geografo, queste cose possano parer sempre le stesse. Infatti chi discorre i mari o attraversa per terra qualsivoglia paese ha d’uopo soltanto di certi comuni fenomeni1, secondo i quali e l’uomo sprovveduto d’ogni educazione e l’uomo di Stato possono regolarsi nella loro vita: sicchè anche senza esser pratico dei fenomeni celesti, e non conoscendone le apparenze diverse secondo la diversità dei luoghi, vede il sole levarsi e tramontare o pervenuto a mezzo il suo corso, ma non investiga poi in qual modo ciò avvenga: perocchè il saperlo non gioverebbe punto a quel fine ch’ei [p. 236 modifica]s’è proposto, come non gli gioverebbe il conoscere se il luogo nel quale si trova sia o no parallelo col suo2. O s’egli per caso si volge alcun poco a questa investigazione, giudicherà nelle cose spettanti alla matematica conformemente agli abitatori del sito; perocchè ciascun luogo ha opinioni sue proprie3. Ma il geografo non iscrive in servigio di chi abita il paese di cui egli tratta, nè di quell’uomo di Stato il quale non suol mai meditare sopra le cose propriamente dette di matematica; e nemmanco in servigio dello zappatore o del mietitore: ma bensì per colui che sa persuadersi la terra nella sua intierezza essere tale quale descrivonla i matematici: e vuole che quanti si accostano a lui, avendo da prima ammesse codeste dottrine, si facciano poscia a considerarne le conseguenze. Quanto egli dice conseguita a quelle dottrine: e però i suoi discepoli potranno tanto meglio giovarsi di quelle cose ch’egli verrà loro esponendo, quanto più saranno già innanzi nelle matematiche: ma nega di scrivere per coloro che non ne hanno punto contezza.

Colui pertanto che vuole descriver la terra dee in quelle cose che gli servono di principio credere ai geometri che l’hanno misurata tutta intiera; questi agli astronomi; e gli astronomi ai fisici. Ed è la fisica una [p. 237 modifica]scienza perfetta4; sotto il qual nome s’intendono quelle scienze che non si fondano sopra ipotesi, ma dipendono solo da sè medesime, ed hanno in sè stesse i proprj principj e le prove di quanto esse insegnano.

Queste poi sono le cose che la fisica somministra siccome già dimostrate: Il mondo ed il cielo sono di forma sferica: I corpi gravi inclinano verso il centro: La terra trovandosi collocata intorno a questo centro ed essendo sferica anch’essa ha comune col cielo il centro e sta immobile, essa ed anche quell’asse che l’attraversa per lo mezzo in uno col cielo: Ma questo s’aggira intorno alla terra ed all’asse predetto dall’oriente all’occidente, e con lui si movono anche le stelle fisse, colla sua stessa celerità5: Ora le stelle fisse colle rivoluzioni nelle quali son trasportate descrivono cerchi paralleli; e fra questi cerchi i più conosciuti [p. 238 modifica]sono quello dell’equatore, i due tropici e gli artici: E le stelle erranti, e con esse anche il sole e la luna, si muovono in cerchi obliqui descritti nello spazio del zodiaco.

Gli astronomi dunque prestando fede a tali dottrine dei fisici o in tutto od in parte, determinano poi conformemente a queste i movimenti, i periodi, gli ecclissi, le grandezze, le distanze degli astri e mille e mille altre cose a queste somiglianti. E così anche i geometri per misurar, come fanno, tutta quanta la terra, presuppongono come provate le dottrine degli astronomi e dei fisici: e il geografo alla sua volta presuppone quelle che gli vengono somministrate dalla geometria.

Egli è dunque necessario supporre che così il cielo come la terra siano divisi in cinque zone, attribuendo a quelle di sopra gli stessi nomi che a quelle di sotto: e le ragioni per le quali adottiamo questa divisione in zone le abbiamo già dette. Le zone poi si possono limitare con cerchi paralleli all’equatore, e descritti dall’uno e dall’altro lato di quello; sicchè due di questi cerchi disgiungano la zona torrida dalle temperate, e due altri le zone temperate dalle fredde. A ciascuno dei cerchi celesti è sottoposto un cerchio di ugual nome segnato sopra la terra, e così parimenti una zona a ciascuna zona.

Diconsi poi temperate quelle zone che sono abitabili: le altre non si possono invece abitare, le une per eccesso di caldo, le altre per troppo freddo.

E questo vale anche dei cerchi artici e dei tropici, rispetto almeno a quelle regioni dove trovansi cerchi [p. 239 modifica]artici; supponendo che sotto ai tropici ed ai cerchi artici celesti v’abbiano sulla terra altri cerchi corrispondenti a quelli, e cogli stessi nomi.

Come poi l’equatore divide tutto il cielo in due parti, così è di necessità che anche la terra sia divisa da un altro equatore: e questi emisferi (tanto quelli del cielo come i terrestri) si chiamano l’uno settentrionale, l’altro meridionale. E poichè anche la zona torrida è divisa in due parti da questo medesimo cerchio dell’equatore, perciò una di queste è la parte settentrionale di essa zona, l’altra è la parte meridionale; ed è manifesto che anche delle due zone temperate l’una si dee nominare settentrionale e l’altra meridionale, con nome corrispondente a quello dell’emisferio nel quale si trova. Chiamasi poi settentrionale quell’emisferio che in sè comprende quella zona temperata, nella quale chi guarda da oriente ad occidente ha dalla destra il polo, dalla sinistra l’equatore; ovvero quello dove a coloro che guardano verso il mezzogiorno si trova alla destra l’occidente ed alla sinistra il levante. Meridionale per lo contrario si chiama quell’emisferio dove le posizioni riescono opposte a quelle orora indicate.

Ora è manifesto che noi dobbiamo trovarci in uno di questi emisferi, e propriamente nel settentrionale: ma in tutti e due non potremmo già essere; perocchè v’hanno frammezzo di grandi fiumi, primo de’ quali è l’Oceano, e poscia la zona torrida. Ma nella nostra Terra abitata non avvi nè Oceano che la divida tutta per mezzo, nè torrido luogo; nè vi si trova parte veruna nella [p. 240 modifica]quale siano condizioni opposte a quelle che già dicemmo trovarsi nella zona temperata settentrionale.

Il geometra dunque pigliando queste dottrine e valendosi delle osservazioni gnomoniche e delle altre verità che l’astronomia dimostra, e col soccorso delle quali si trovano in ciascheduna regione i cerchi paralleli all’equatore e quegli altri che tagliano questi cerchi ad angoli retti attraversando i poli, misura la parte abitabile della terra viaggiandovi, e pel rimanente argomenta dalle distanze6. Di questa guisa egli trova quanto v’ha dall’equatore al polo: e poichè questo spazio è la quarta parte del cerchio massimo della terra7, perciò quando egli l’ha una volta trovato, ha trovato eziandio il suo quadruplo, val quanto dire ha trovata la circonferenza della terra intiera.

Come pertanto colui che misura la terra suol prendere dall’astronomo i suoi principj, e l’astronomo dal fisico; nello stesso modo è necessario che il geografo, cominciandosi da quelle cose che insegna chi misurò tutto il globo, a lui presti fede ed a quelle dottrine alle quali credette anch’esso alla sua volta il geometra8; e da prima dimostri quanta sia l’estensione della [p. 241 modifica]nostra Terra abitata, quale ne sia la figura, qual la natura, o quale la sua proporzione rispetto alla terra intiera, perocchè questo è veramente lo scopo proprio del geografo: poscia ragioni ad una ad una di tutte le cose che sono in terra od in mare, indicando quelle che non furono opportunamente trattate da’ nostri predecessori, e da coloro sopra tutto che in queste materie sono tenuti migliori.

Vuolsi9 presupporre dunque che la terra insieme col mare siano un globo con una superficie sola e uniforme. Perocchè quelle parti della Terra che levansi fuori di questa superficie si perdono in tanta grandezza come cose piccole e da passarsi inosservate; e la forma sferica intendesi qui, non come di cose lavorate al torno, o come il geometra la definisce; ma sibbene a giudizio del senso che pur non sia squisito. Si consideri poi questo globo come diviso in cinque zone; e il cerchio equinoziale in esso descritto; e un altro cerchio parallelo a questo, che limita la zona fredda nell’emisfero settentrionale; e un altro ancora che passa pei poli e taglia ad angoli retti i due già mentovati.

L’emisfero settentrionale comprende due quarte parti della terra, alle quali servon di limite l’equatore e quel cerchio che passa pei poli. Ora in ciascuna delle [p. 242 modifica]quarte parti predette immaginiamo uno spazio quadrilatero, in cui il lato settentrionale sia la metà del cerchio parallelo all’equatore e vicino al polo; ed il meridionale la metà dell’equatore: e gli altri due fianchi siano segmenti del cerchio che passa pei poli, opposti fra loro e di uguale grandezza: e nell’una o nell’altra di quelle due quarte parti (nè punto v’ha differenza qualunque delle due si pigli) diciamo essere posta la nostra terra abitata, cinta all’intorno dal mare e somigliante ad un’isola; ciò che già si è detto essere dimostrato dal senso del pari che dalla ragione. Se poi qualcuno a questo non crede è cosa indifferente alla geografia o che si faccia della terra un’isola come l’esperienza c’insegna, o che si conceda invece ch’essa può navigarsi tutto all’intorno partendosi da levante o da occidente, tranne soltanto alcuni piccoli luoghi nel mezzo. I quali si possono indifferentemente supporre occupati o dal mare o da terra non abitata; perocchè il geografo curasi di descrivere le parti conosciute della terra abitata, e passa sotto silenzio quelle che sono tuttora ignote non altrimenti che quelle situate fuori di essa. E però a compiere tutta la figura dell’isola che abbiamo già detta basterà congiungere con una linea retta i punti estremi della navigazione dall’una e dall’altra parte.

Si ponga pertanto quest’isola nel quadrilatero che abbiamo detto: poi se ne pigli la grandezza apparente10, [p. 243 modifica]sottraendo dalla grandezza di tutta la terra questo nostro emisfero, da questo la metà, ed anche da questa metà il quadrilatero nel quale dicemmo esser posta la Terra abitata: e per analogia se ne determini anche la figura apparente, deducendola da quella delle parti a noi conosciute. Ora siccome la parte dell’emisfero settentrionale ch’è fra l’equatore ed il parallelo vicino al polo somiglia nella figura ad una vertebra11, e dall’altra parte il cerchio che passa pei poli e divide l’emisfero settentrionale divide anche la vertebra e ne fa due quadrilateri: così quello fra questi due quadrilateri in cui è compresa la Terra abitata, e sul quale si stende per un certo spazio l’Atlantico, corrisponderà alla metà della superficie della vertebra; e la Terra abitata, posta in quel mare come un’isola che somiglia nella sua figura ad una clamide12, occuperà meno che la metà di quel quadrilatero. E questo riesce evidente prima da prove desunte dalla geometria; poi argomentando dall’estensione del mare ch’è diffuso all’intorno e copre dall’una e dall’altra parte le estremità dei continenti, [p. 244 modifica]sicchè a misura che andiam progredendo verso il levante o verso il ponente, vediamo la loro forma diventare sempre più angusta; e finalmente dalle dimensioni medesime della Terra abitata. E nel vero la sua maggiore lunghezza, che quasi da tutte le parti finisce in un mare grande e deserto per modo che niuno osò navigarvi finora, non oltrepassa i settanta mila stadii; e la sua larghezza maggiore è al di sotto di trenta mila a motivo dei climi renduti inabitabili dall’eccesso del freddo o del caldo: mentre la porzione del quadrilatero che il calore eccessivo non permette di abitare è larga otto mila e otto cento stadii, e nella sua maggiore lunghezza si estende a cento ventiseimila, corrispondenti alla metà di tutta la circonferenza dell’equatore; ed il restante di ciò che la Terra abitata non occupa è uno spazio ancora più grande13.

Con queste dottrine concorda in qualche modo ciò che vien detto da Ipparco: perocchè costui avendo supposto che la grandezza del globo sia quale la dice Eratostene, afferma che sopra questa misura dobbiamo determinare l’estensione della Terra abitata, non v’essendo notabile diversità, rispetto ai fenomeni celesti di ciaschedun paese, dal seguitare l’opinione di Eratostene o quelle che ci furono tramandate dagli scrittori venuti dopo di lui. Siccome pertanto, secondo Eratostene, il cerchio dell’equatore è di duecento [p. 245 modifica]cinquantadue mila stadii, la quarta parte di esso sarà di sessantatrè mila. Questa sarà dunque la distanza dall’equatore al polo, la quale comprenderà cinque di quelle sessanta parti in cui si divide l’intiero cerchio dell’equatore14. Quattro di queste cinque sessantesime parti sono comprese fra l’equatore ed il tropico d’estate, cioè fra l’equatore ed il parallelo di Siene15. Perocchè le distanze dei luoghi argomentansi da quelle dei corpi celesti; e il tropico d’estate dee senza dubbio passare per Siene, giacchè quivi nel solstizio estivo il gnomone di mezzo giorno è senz’ombra. Il meridiano poi di Siene descrivesi principalmente secondo il corso del Nilo, cominciando da Meroe fino ad Alessandria, per uno spazio di circa dieci mila stadii, nel mezzo del quale è fabbricata Siene, sicchè da questa città a Meroe v’ha cinque mila stadii. Chi va poi da Meroe verso il mezzogiorno uno spazio di circa tre mila stadii, incontra regioni che non sono più abitabili per eccessivo calore: e però si vuol porre come limite e principio della nostra Terra abitata dalla parte di mezzogiorno il parallelo che passa per questi luoghi, ed è lo stesso con quello del Cinnamomoforo. Poichè dunque da Siene a Meroe sono cinquemila stadii, se a questi ne aggiungiamo tremila, ne avremo in tutto ottomila per giungere sino all’estremità meridionale della Terra abitata. [p. 246 modifica]Or da Siene all’equatore v’hanno sedicimila e ottocento stadii; perocchè tanti ne comprendono le quattro sedicesime parti già dette, ammettendo che ciascuna di esse ne abbracci quattromila e duecento; e però lo spazio che resta fra i confini (meridionali) della Terra abitata e l’equatore, sarebbe di ottomila e ottocento stadii, e da quelli ad Alessandria ventun mila e ottocento.

Tutti poi s’accordano a dire che chi naviga da Alessandria fino a Rodi, e di quivi lungo la Caria e la Ionia fino alla Troade, a Bizanzio ed al Boristene, prosegue la linea retta che fa la corrente del Nilo16. Noi dunque pigliando le distanze già conosciute per mezzo della navigazione, e procedendo nella stessa linea retta al di là dal Boristene, dobbiamo considerare fin dove la terra sia abitabile, e dove siano i suoi confini dalla parte settentrionale. Al di là dal Boristene abitano i Rossolani17, ultimi fra gli Sciti da noi conosciuti, ma nondimeno ancor più meridionali dei popoli più remoti che noi conosciamo al di là della Britannia. Cominciando dalle frontiere dei Rossolani, i paesi non [p. 247 modifica]sono più abitabili a cagione del freddo. I Sauromati e gli Sciti18 stanno in regioni più meridionali al di là della palude Meotide fino all’oriente della Scizia.

Ben è il vero che il marsigliese Pitea afferma le ultime terre essere quelle di Tule, la quale è fra le isole Britanniche la più settentrionale dove il tropico d’estate si confonde col cerchio artico: ma del resto non dice poi nulla, nè se Tule sia un’isola, nè se i paesi dove il tropico diviene cerchio artico sieno tutti abitabili. Io per me porto opinione che quei confini settentrionali della Terra abitabile siano molto più vicini al mezzogiorno ch’egli non dice: perocchè i recenti descrittori del globo non indicano verun paese al di là dell’Ierna, la quale giace vicino alla Britannia dalla parte di settentrione, e dove appena e con disagio possono abitare alcuni uomini selvaggi. Il perchè poi mi pare che quivi dovrebbe porsi l’estremo confine della Terra abitabile.

Qualora pertanto si ammettesse che il parallelo di Bizanzio fosse presso a poco lo stesso che quel di Marsiglia, come dice Ipparco dando fede a Pitea (perocchè Ipparco afferma che in Bizanzio il gnomone è coll’ombra in quella relazione che Pitea asserì di avere osservata in Marsiglia); e che il parallelo del Boristene fosse distante da quel di Bizanzio circa tremila e ottocento stadii, dovrebbe il parallelo del Boristene [p. 248 modifica]attraversare tutta quanta la Britannia; così richiedendo la distanza che v’ha fra Marsiglia e la Britannia stessa. Ma questo Pitea che trae spesse volte in errore chi in lui si fida, dice il falso anche in questo luogo. Perocchè s’accordano molti a dire che la linea condotta dalle Colonne allo stretto di Sicilia ed alle regioni d’Atene e di Rodi si trova sotto un sol parallelo; si tiene eziandio da molti che vada lungo il mezzo del Mediterraneo quella linea la quale dalle Colonne si stende fino allo stretto di Sicilia; e i naviganti asseriscono, la maggiore distanza dalla Celtica alla Libia essere di cinque mila stadii partendosi dal golfo Galatico, e questa essere eziandio la maggiore larghezza del Mediterraneo. Di sorte che la distanza dalla linea predetta fino all’intimo fondo del golfo Galatico sarebbe di due mila e cinquecento stadii; e fino a Marsiglia un po’ meno, per essere questa città più meridionale che il fondo del golfo. Ora lo spazio da Rodi a Bizanzio è di quattromila e novecento stadii; d’onde il parallelo che attraversa Bizanzio riesce molto più settentrionale che quel di Marsiglia. La distanza poi da Marsiglia alla Britannia può corrispondere a quella ch’è da Bizanzio al Boristene: e quella dalla Britannia all’Ierna non si conosce per anco quanto essa sia, nè se v’abbiano al di là paesi abitati19; ma per le cose già dette non giova [p. 249 modifica]punto cotesta investigazione. Perocchè rispetto alla scienza basta l’ammettere il principio adottato per le parti meridionali, dove ci parve conveniente di porre i confini della Terra abitata a tre mila stadii da Meroe; non già perchè questo sia veramente il preciso confine, ma perchè gli si accosta. E così conviene supporre che anche al di là dalla Britannia v’abbiano soltanto tre mila stadii o poco più, per esempio, quattro mila. Ed in quanto ai bisogni dell’uomo di Stato, il conoscere siffatti paesi ed i loro abitanti non gli tornerebbe punto a maggiore vantaggio; principalmente trattandosi d’isole, le quali non ci possono nè nuocere nè giovare, non avendo con quelle veruna relazione. Perocchè i Romani potendo avere anche la Britannia non se ne curarono, per aver veduto che da quegl’isolani non potevano nè avere alcuna cagion di timore (giacchè non sono forti abbastanza per venire ad assalirci al di qua del mare), nè trarre vantaggio veruno quando bene se li tenessero soggiogati: ed ora si crede che le gabelle a cui quell’isola è sottoposta fruttino più di quello che potrebbe produrre un tributo, dedotta la spesa che occorrerebbe per la soldatesca necessaria a presidiarla ed a ritrarne il tributo stesso. Molto maggiore sarebbe l’inutilità di possedere le altre isole che le stanno d’intorno.

Se poi aggiungiamo alla distanza che trovasi fra Rodi [p. 250 modifica]ed il Boristene uno spazio di quattro mila stadii procedendo dal Boristene stesso alle parti settentrionali, la somma intiera sarà di dodici mila e settecento stadii; e da Rodi al confine settentrionale della Terra abitata se ne avranno sedici mila e seicento: sicchè poi tutta la larghezza della Terra abitata dal mezzogiorno al settentrione sarà minore di trenta mila. In quanto alla sua lunghezza si dice che sia di settanta mila stadii all’incirca, andando dal ponente al levante, cioè dalla estremità dell’Iberia fino a quella dell’India, e misurando cotesto spazio parte con viaggi terrestri, parte col mezzo di navigazioni. Che poi questa lunghezza si trovi compresa nel quadrilatero di cui abbiamo parlato si fa manifesto paragonando la circonferenza dei paralleli con quella dell’equatore: d’onde la lunghezza della Terra abitata riesce più che il doppio della sua larghezza. E dicesi che nella figura è somigliante a una clamide, perchè si trova che la sua larghezza si contrae di molto verso le estremità, e principalmente verso le occidentali, qualora ci facciamo ad esaminarla nelle singole sue parti.

Fin qui pertanto abbiam disegnato sopra una superficie sferica20 il luogo nel quale diciamo che trovasi la Terra abitata: e certo chi vuole accostarsi il più che si possa alla verità con imitazioni fatte a mano debbe figuarsi la Terra in una sfera, come quella di Cratete21; pigliare sovr’essa il quadrilatero che abbiamo [p. 251 modifica]detto; e dentro di quello collocare il disegno della Terra abitata. Ma perchè fa bisogno di una sfera grande per modo che una piccola sua porzione ci somministri il quadrilatero già ripetuto più volte, capace di contener chiaramente le parti della Terra abitata e di offerirle distintamente allo sguardo di chi le viene considerando; perciò dove alcuno se la possa far costruire siffatta, sarà questo il meglio (ma debbe avere il diametro non minore di dieci piedi); e chi non può averla di tal grandezza e nè anche di grandezza che sia poco minore di questa, costui descriva la sua carta geografica sopra una superficie piana che sia almeno di sette piedi. Perocchè poco differirà se in luogo de’ cerchj paralleli all’equatore e de’ meridiani curvantisi in giro, coi quali distinguiamo i climi, i venti, e le altre differenze e posizioni delle parti della Terra, considerate fra loro o rispetto ai fenomeni celesti, descriveremo invece linee rette le une parallele, le altre perpendicolari all’equatore; poichè la nostra mente può trasportar di leggieri la figura e la grandezza sottoposte allo sguardo in una superficie piana, ad una superficie rotonda e sferica22: e questo vale sì pei cerchj obliqui [p. 252 modifica]come pei diritti. E se nella sfera i meridiani dei singoli paesi, condotti tutti a traverso dei poli, tendono tutti ad un punto23, nondimeno trattandosi di una carta piana non potrebbe recar gran vantaggio l’avere questi meridiani convergenti alcun poco per modo da formare una specie di cono o meta. Perocchè questa convergenza non trovasi necessaria se non di rado; ed anche nel globo il concorrere di questi meridiani che sulla carta piana si mutano in linee rette, non si scorge punto così evidentemente come la loro curvatura circolare24. Laonde noi esporremo qui appresso la nostra dottrina, supponendo la carta disegnata sopra una superficie piana. E diremo in parte ciò che di terra e di mare abbiamo visitato noi stessi; in parte quello che ne sappiamo sulla fede di coloro che ne hanno parlato o scritto. In quanto a noi viaggiammo verso il ponente dall’ [p. 253 modifica]Armenia fino a que’ luoghi della Tirrenia25 che stanno rimpetto alla Sardegna; e verso il mezzogiorno dall’Eussino fin ai confini dell’Etiopia: nè fra quanti altri hanno trattato della Geografia potrebbe trovarsi pur uno che abbia visitata egli stesso un’estensione di luoghi molto maggiore di questa; ma quei che mi vincono nei viaggi verso occidente, non attinsero poi una pari distanza nei paesi orientali; e quelli invece che in queste regioni mi superano, mi rimangono a dietro in quelle verso ponente. Lo stesso dicasi de’ viaggi verso il mezzogiorno od il settentrione. Del resto egli è principalmente col raccogliere le altrui relazioni che e gli altri e noi abbiamo potuto comporre la figura, la grandezza e le altre proprietà di ciascun paese: in quel modo che l’intelletto raccoglie le nozioni dai sensi. Perocchè la figura e il colore di una mela, il suo odore, la consistenza, il sapore ci vengono annunciati dai sensi; e da queste qualità la nostra mente poi si compone la nozione di quel frutto. Così anche nelle grandi masse addiviene che il senso ne vede le parti, ma il tutto sel forma la mente dalle parti vedute. E così anche gli uomini desiderosi di sapere, prestando fede, non altrimenti che ai sensi, a coloro che videro e viaggiarono parecchi luoghi, quali nell’una quali nell’altra parte del globo, mettono poi insieme in un solo disegno il prospetto di tutta la terra abitata. E i condottieri di eserciti dirigono bensì ogni cosa, ma non si trovan però da per tutto, e il più delle cose sanno per mezzo [p. 254 modifica]degli altri, credendo alle relazioni e secondo quello che ascoltano determinando ciò ch’è da fare. Colui poi il quale stimasse che sappia le cose soltanto chi le ha vedute torrebbe il criterio dell’udito, che pur contribuisce all’acquisto delle cognizioni molto più della vista.

A’ dì nostri possiamo parlare meglio che per lo passato dei Britanni, dei Germani, di quelli che abitano lungo l’Istro al di qua e al di là, dei Geti26, Tirigeti, Bastarni, ed anche di quelli che abitano presso al Caucaso, come gli Albani e gl’Iberi. Così parimente noi possiamo vantarci di migliori notizie intorno alla Battriana e all’Ircania27; le quali ci sono date da coloro che scrissero, come Apollodoro di Artemita, sulle cose dei Parti, e determinarono la posizione di questi due paesi più esattamente che non fecero molti altri. Siccome poi i Romani penetrarono recentemente anche nell’Arabia felice con un esercito di cui era capo Elio Gallo nostro amico e familiare, e i mercatanti di [p. 255 modifica]Alessandria navigano con loro flotte pel Nilo e pel golfo d’Arabia insino all’India; così anche questi paesi sono conosciuti da noi meglio che dai nostri maggiori. Quando Gallo pertanto presiedeva all’Egitto, andai io stesso colà, e risalimmo insieme fino a Siene ed ai confini dell’Etiopia, dove mi fu detto che centoventi navi solevano salpare dal porto di Myos alla volta dell’India; mentre per lo passato, sotto i re Tolomei, pochissimi ardivano di navigare in que’ luoghi e trasportarne le merci indiane.

La prima e principal cura pertanto, così rispetto alla scienza, come rispetto ai bisogni dell’uomo di Stato, consiste nel tracciare nel modo più semplice, e per quanto la tavola geografica lo comporti, la figura e la grandezza dei luoghi, sicchè facciasi manifesto quanta e qual parte di tutta la terra sia da ciascuno di essi occupata: perocchè questo è propriamente ciò che appartiene al geografo. Il discorrere poi con esattezza intorno a tutta quanta la terra, od anche soltanto intorno a tutta quella vertebra o zona che già dicemmo, è ufficio d’altra scienza: e così anche l’esaminare se la vertebra sia abitata nell’altro quadrilatero come in quello dove noi siamo; perocchè se mai questo fosse, non sarebbe al certo abitata da uomini che avessero un’origine stessa coi nostri; ma bisognerebbe dire che quella è un’altra terra abitata, siccome è probabile. Or noi dobbiamo parlare soltanto di questa nostra.

La figura pertanto della terra abitata è somigliante a una clamide. La sua maggiore larghezza è descritta da una linea che va nella direzione del Nilo, principiando [p. 256 modifica]dal parallelo che passa pel Cinnamomoforo e per l’isola dei banditi egiziani fino al parallelo dell’Ierna: e la lunghezza è determinata da un’altra linea che taglia questa prima ad angolo retto28, e movendosi dalle parti occidentali, attraversa le Colonne d’Ercole e lo stretto della Sicilia andando fino a Rodi, al golfo d’Isso ed al Tauro che ricinge l’Asia, poscia si volge29 verso il mare d’oriente fra gl’Indi e gli Sciti che stanno al di là della Battriana. Conviene adunque immaginarsi un parallelogrammo, dentro cui stia descritta una figura che somigli una clamide, per tal maniera che la maggior lunghezza dell’una di queste due figure sia corrispondente a quella dell’altra, e la larghezza alla larghezza.

Questa figura di una clamide è dunque la terra abitata; e già dicemmo che la sua larghezza viene determinata da quegli ultimi paralleli i quali da ciascun lato disgiungono le parti abitabili dalle altre. Sono poi questi paralleli dalla parte del nord quello che attraversa l’Ierna, e dalla parte della zona torrida quello che [p. 257 modifica]attraversa il Cinnamomoforo. Queste due linee prolungate alle parti orientali ed occidentali fino ai due punti estremi della terra abitata formano una specie di parallelogrammo congiungendosi fra loro per mezzo di altre linee condotte a traverso delle parti settentrionali. Che poi la terra abitata si trovi in questo parallelogrammo è manifesto, perchè nè la sua maggiore lunghezza nè la sua maggiore larghezza esce fuori di quello: e che la sua figura somigli ad una clamide si raccoglie dal vedere che da ogni parte le estremità della sua lunghezza a poco a poco si van restringendo per dar luogo al mare, sicchè se ne menoma la larghezza, come raccontan coloro che navigarono a levante ed a ponente. Perocchè al dir di costoro l’isola denominata Taprobana30, la quale è pur abitata e giace rimpetto all’isola degli Egiziani ed alla terra produttrice della cannella, è molto più meridionale dell’India, ed ha un clima somigliante a quello dei paesi predetti. Le regioni poi vicine alla bocca del mare d’Ircania sono più settentrionali dell’ultima Scizia al di là delle Indie; e l’Ierna ancor più.

Così dicasi anche dello spazio al di fuori delle Colonne, dove il punto più occidentale della terra abitata è quel promontorio d’Iberia cui chiamano Sacro31 ed è situato quasi su quella linea che passa per Gadi, per le Colonne, per lo stretto della Sicilia e per Rodi. Perocchè presso a quel promontorio, per quanto vien [p. 258 modifica]detto, osservansi gli stessi accidenti nell’ombra del gnomone, e la stessa direzione di venti, che sono ne’ già detti paesi, ed uguale è anche la maggiore lunghezza dei giorni e delle notti, cioè di quattordici ore equinoziali32. Sulla spiaggia marittima poi dell’Iberia nelle vicinanze di Gadi dicono essersi qualche volta veduta una stella che probabilmente è Canopo. Posidonio almeno racconta che stando sopra un’elevata abitazione in una città distante da questi luoghi un quattrocento stadii, vide una stella che gli parve Canopo, congetturandolo così dalla concorde testimonianza di quanti navigando s’inoltrano un po’ più verso mezzogiorno, e dicono di aver veduto quell’astro, come da una storia che raccontasi a Cnido33. Perocchè l’osservatorio d’Eudosso non è molto più elevato delle altre abitazioni, e nondimeno si dice ch’egli di quivi abbia veduta la stella Canopo: e Gnido è sotto lo stesso clima 34 di Rodi, di [p. 259 modifica]Gadi e di quella costa marittima di cui abbiamo parlato.

Chi di quivi naviga verso mezzogiorno, trova la Libia, le cui parti più settentrionali oltrepassan di poco Gadi; poscia formando uno stretto promontorio35 dà volta verso l’oriente ed il mezzogiorno; e a poco a poco si viene allargando finchè si congiunge cogli Etiopi esperii36, i quali sono gli ultimi al di sotto di Cartagine e toccano il parallelo del Cinnamomoforo.

Coloro poi che movendosi dal promontorio Sacro già detto vanno ad una parte opposta37, hanno la Lusitania alla destra38, fino ai popoli denominati Artabri; poi tutto il restante della loro navigazione, facendo un angolo ottuso, si dirige all’oriente fino alle estremità de’ Pirenei dov’essi congiungonsi coll’Oceano. A queste estremità dalla parte del settentrione sta dirimpetto il lato occidentale della Britannia: e così parimente anche rimpetto agli Artabri verso settentrione stanno le isole Cassiteridi39, situate nell’alto del mare; ma presso a poco sotto lo stesso clima della [p. 260 modifica]Britannia. Laonde è manifesto quanto la larghezza della Terra abitata nelle sue estremità si ristringa pel mare che l’è diffuso all’intorno.

Poichè dunque la figura dell’universo è siffatta, sembra opportuno pigliare due linee rette, le quali tagliandosi fra di loro ad angoli retti, attraversino la Terra abitata; l’una secondo la sua maggiore lunghezza, l’altra secondo la maggiore larghezza: e quella sarà uno dei paralleli, questa uno dei meridiani. Poi tornerà bene l’immaginare altre linee parallele a ciascuna delle due predette, per dividere con esse in più parti la terra ed il mare che solitamente frequentiamo. Perocchè in cotal modo si farà sempre più aperto la figura della Terra abitata essere quale noi l’abbiam detta, e che le linee sono di varia misura, sì quelle che segnano la lunghezza, come quelle che vanno pel largo; e si potranno anche distinguer meglio le posizioni dei luoghi secondochè sono più all’oriente od all’occidente, al settentrione od al mezzogiorno40. Come poi [p. 261 modifica]queste linee rette si debbano condurre per luoghi conosciuti, noi ne abbiamo già alcune, nelle quali questo requisito si trova; parlo delle due di mezzo che indicano la lunghezza e la larghezza, e delle quali ho parlato già prima. Le altre si potranno facilmente condurre col soccorso di queste: valendoci, per così dire, di siffatti elementi ad ordinare i luoghi paralleli, e determinare gli altri accidenti de’ siti abitabili, o rispetto al rimanente della terra, o rispetto ai fenomeni celesti.

A determinar poi la figura della terra contribuisce principalmente il mare facendo golfi, pelaghi, stretti, istmi, e penisole e capi: e concorrono all’opera anche i fiumi ed i monti, col mezzo de’ quali si divisarono i continenti, le nazioni, le comode posizioni delle città, e tutta quell’altra varietà di cose delle quali è piena la carta geografica. Fra queste v’ha una moltitudine d’isole sparse e negli alti mari e lungo tutta la spiaggia, ciascuna delle quali ha qualche buona o cattiva qualità sua propria, con qualche o vantaggio o danno che le corrisponde, e tutto ciò o per natura o per industria. E poichè le qualità naturali sono durevoli, il geografo deve farne menzione: le avventizie soggiacciono a mutamento; ma nondimeno dobbiamo anche fra queste illustrar quelle che hanno possanza di durare più a lungo, e quelle eziandio che, sebbene passeggere, hanno peraltro una certa celebrità e rinomanza; la quale [p. 262 modifica]durando anche presso i posteri, suole in qualche maniera far sì che coteste qualità si riguardino come naturali, e non più come accidentali. Sicchè ben si vede che anche di queste è da far menzione. Perocchè di molte città si vuol dire quello che Demostene disse di Olinto e delle città circonvicine; affermando che disparvero sì pienamente da non potere chi vi arriva conoscere se furono mai abitate; ma nondimeno gli uomini viaggiano volentieri a que’ luoghi, cercando di vedere i vestigi di opere sì rinomate, come si va ai sepolcri dei celebri personaggi. Così noi farem ricordanza anche di legislazioni e d’istituzioni politiche che non sussistono più; potendo questa menzione esser utile non altrimenti che quella dei fatti; parte mettendoci innanzi cose imitabili, e parte avvertendoci di astenerci da alcune altre.

Ripigliando pertanto la prima descrizione41 diciamo che la nostra Terra abitata, la quale è cinta tutto all’intorno dall’acque, riceve in sè molti seni fatti o dal mare esteriore o dall’Oceano. Quattro sono maggiori degli altri: l’uno settentrionale chiamasi mar Caspio, ed alcuni lo denominano anche mare d’Ircania: il Persico e l’Arabico dove inonda il mare di mezzogiorno stanno rimpetto, quello al mar Caspio, questo all’Eussino: il quarto poi che supera di gran tratto i già mentovati forma il mare che dicesi Interno42 o [p. 263 modifica]Nostro, il quale piglia il suo principio da settentrione dov’è lo stretto delle Colonne d’Ercole, e si allarga verso la parte d’oriente con disuguale ampiezza, poi si divide e finisce in due golfi, l’uno dei quali volge a sinistra denominato Ponto Eussino, e l’altro si compone del mare Egizio, Panfilio ed Issico.

Tutti questi golfi formati dal mare esteriore hanno l’imboccatura angusta: più quello d’Arabia e quello delle Colonne; meno gli altri. La terra poi che d’intorno li cinge è divisa in tre parti, come s’è detto. L’Europa è configurata più irregolarmente di tutte; la Libia per lo contrario è la più regolare; l’Asia tiene per così dire il di mezzo tra queste due: e in tutte la cagione dell’essere irregolari o no procede dalla loro spiaggia interna43: quella al di fuori è uniforme e somigliante a una clamide. S’intende che sono in ciò da passare in silenzio le irregolarità di poco momento; perocchè dove trattasi di oggetti grandi il piccolo è nulla.

Siccome poi nella geografia non cerchiamo soltanto la figura e la grandezza dei luoghi, ma sì anche le relazioni che hanno fra loro, secondochè abbiamo già detto, così noi diremo che la costa interiore presenta più irregolarità che quella al di fuori. Oltre di ciò sulla costa interiore sono più luoghi conosciuti44 e posti sotto un clima temperato, e v’abbondano più che sull’altra, città e nazioni incivilite. Noi poi desideriamo di conoscere principalmente que’ luoghi nei quali ci si [p. 264 modifica]appresentano in maggior numero fatti, istituzioni, arti, e quant’altro contribuisce a perfezionare la mente; e l’utile ci guida a que’ siti dove si possono stabilire commerci o società; quali sono tutti i luoghi popolati, e quelli soprattutto dove i popoli vivono con buone leggi. Ora in tutti questi rispetti il nostro mare supera di gran lunga le altre regioni; e perciò noi di quivi cominceremo la nostra descrizione del globo.

Abbiamo già detto che il principio di questo golfo è lo stretto delle Colonne d’Ercole, il quale dov’è più angusto si tiene che sia di settanta stadii. Chi esce poi di quella stretta imboccatura che si estende per lo spazio di cento venti stadii, vede le spiagge pigliare maggiore larghezza; principalmente quella a sinistra45. Quindi ecco la vista di un gran pelago46 limitato nel fianco destro dalla spiaggia libica fino a Cartagine, e nel sinistro dall’Iberia celtica fino a Narbona e a Marsiglia, poscia dalla ligustica47 e all’ultimo dall’italica fino allo stretto della Sicilia. Il fianco orientale di questo pelago il fanno la Sicilia e i due stretti che stanno dall’una e dall’altra parte di quella, larghi sette stadii quello verso l’Italia, e mille cinquecento quello verso Cartagine. La linea che si conduce dalle Colonne all’Eptastadio (Dardanelli) è una parte di quella che va a Rodi ed al Tauro, e taglia in certo modo pel mezzo il pelago già detto, allungandosi, come si crede, per [p. 265 modifica]lo spazio di dodici mila stadii. Tale è dunque la lunghezza di questo pelago. La sua maggiore larghezza poi è di circa cinque mila stadii, dal golfo Galatico fra Marsiglia e Narbona, fino alla Libia che gli sta rimpetto. Quella parte di questo mare ch’è vicina alla Libia la chiamano mar Libico: e quella parte che bagna la terra opposta chiamanla mare Ibero, Ligustico e di Sardegna; poi di quivi fino alla Sicilia, mar Tirreno.

V’hanno lungo la spiaggia del mar Tirreno fino a quella di Liguria molte isole. Le maggiori sono la Sardegna e Cirno48 dopo la Sicilia, la quale è più grande e più riguardevole di quante ne sono fra noi. E ve n’ha alcune di lunga mano inferiori a queste, parte nell’alto del mare, come Pandataria49 e Ponza, parte vicine a terra, come Etalia, Planasia, le Pitecuse, Prochita, Caprea50, Leucasia, ed altre consimili.

Nell’altro lato del mar Ligustico quelle che stanno rimpetto alla spiaggia fino allo stretto delle Colonne non sono molte; fra le quali si annoverano Gimnesia51 ed Ebiso52. E non sono molte nemmanco le isole lungo la Libia e la Sicilia, fra le quali sono però [p. 266 modifica]Cosura, Egimuro53 e quelle de’ Liparesi, che alcuni denominano anche isole d’Eolo.

Al di là poi della Sicilia e degli stretti ch’essa ha dai lati, seguitano altri mari; ciò sono quello rimpetto alle Sirti ed alla Cirenaica, e le Sirti stesse, ed il mare che anticamente fu detto Ausonio ed ora Siculo viene denominato per essere contiguo e confluente con quello di cotal nome. Quel mare pertanto che sta rimpetto alle Sirti ed alla Cirenaica dicesi Libico, e finisce in quello d’Egitto. In quanto alle Sirti, la minore54 ha una circonferenza di circa mille e seicento stadii, e le stanno dinanzi da ciascun lato della sua imboccatura le isole di Meningia e di Cercina55. Della Sirti maggiore poi dice Eratostene ch’essa ha un circuito di cinquecento stadii, e la profondità di mille e ottocento, andando dalle Esperidi ad Automala56 ed al confine che disgiunge la Cirenaica dal restante della Libia. Altri dicono che la circonferenza è di quattromila stadii, e la profondità di mille e cinquecento, come l’ampiezza della sua bocca.

Il mar Siculo bagna la Sicilia e l’Italia dalla parte [p. 267 modifica]orientale, dallo stretto di Reggio fino ai Locrii, e da Messene57 fino a Siracusa e a Pachino. E si prolunga verso il levante fino alle estremità di Creta58, sicchè circonda la massima parte del Peloponneso, ed empie quel golfo che denominasi da Corinto. Verso il settentrione si spinge fino al promontorio Iapigio59, alla bocca del golfo Ionio, alle parti meridionali dell’Epiro fino al seno Ambracico ed alla spiaggia con quello congiunta, la quale, stando rimpetto al Peloponneso, forma il golfo di Corinto.

Il golfo Ionio è una parte di quello che ora si chiama Adriatico, di cui l’Illiria forma il fianco destro, e l’Italia il sinistro, sino al fondo dov’è Acilea60. Stendesi poi questo golfo verso il settentrione e verso l’occidente, stretto e lungo: perocchè la sua lunghezza è di seimila stadii, e l’ampiezza (dov’essa è maggiore) di mille e duecento. Vi sono parecchie isole rimpetto all’Illiria, come a dire le Absirtidi, Cerittica e le Liburnidi, poi Issa, Tragurio, e Corcira la nera, e Faro. Rimpetto all’Italia stanno le isole di Diomede61.

La lunghezza del mar di Sicilia da Pachino a Creta si dice che sia di quattromila e cinquecento stadii, ed altrettanto dal punto predetto fino a Tenaro di Laconia. Dal promontorio Iapigio sin al fondo del golfo [p. 268 modifica]Corintio ve n’ha men di tremila: e il tragitto di chi naviga da quel medesimo promontorio alla Libia è di quattro mila stadii.

Le isole di quel mare sono Corcira e Sibota in faccia all’Epiro; e poi, dinanzi al golfo Corintio, Cefalenia, Itaca, Zacinto62 e le Echinadi.

Col mar Siculo si congiungono quello di Creta, ed anche il Saronico e il Mirtoo, il quale63 sta nel mezzo fra Creta, l’Argolide e l’Attica, e, chi lo misuri dall’Attica dov’esso è più ampio, si allarga a mille e duecento stadii. La sua lunghezza è poco meno che il doppio della larghezza. Quivi poi trovansi le isole di Citera, di Calauria, di Egina, di Salamina64, ed alcune anche delle Cicladi.

Tien dietro a questi mari l’Egeo col golfo Melano e coll’Ellesponto; poi il mare Icario e il Carpazio65 fino a Rodi, Creta e Cipro ed alle prime parti dell’Asia. E le isole di colà intorno sono le Cicladi, le Sporadi, e [p. 269 modifica]quelle rimpetto alla Caria, alla Ionia e all’Eolia fino alla Troade, cioè Coo, Samo, Chio, Lesbo e Tenedo: e così anche quelle che stanno d’innanzi all’Ellade sino alla Macedonia ed al confine della Tracia, val quanto dire Eubea66, Sciro, Pepareto, Lemno, Taso, Imbro, Samotracia e più altre; di ciascuna delle quali daremo poi una particolare descrizione. Frattanto la lunghezza di questo mare è di circa quattromila stadii o poco più, e la larghezza di duemila. Ed è cinto all’intorno dalle parti dell’Asia già dette, e dalla spiaggia marittima che va dal Sunio fino al golfo Termaico verso settentrione, ed anche dai golfi di Macedonia fino al Chersoneso di Tracia. Da questa parte è l’Eptastadio67 di Sesto ed Abido, a traverso del quale l’Egeo e l’Ellesponto si confondono verso il settentrione con un altro mare detto Propontide, e questo con un altro soprannomato Ponto Eussino.

Quest’ultimo è in certo modo un doppio mare: perocchè verso il suo mezzo si addentrano due promontorii, l’uno dall’Europa e dalle parti settentrionali, l’altro opposto al già detto dall’Asia, i quali restringono il passaggio fra mezzo e fanno quasi due grandi mari. Il promontorio poi dell’Europa si chiama Crio-metopo68; quello dell’Asia Carambi: e l’intervallo che li separa è di circa duemila e cinquecento stadii. Il mare adunque che in conseguenza di questa divisione si trova [p. 270 modifica]dalla parte occidentale è lungo tremila e ottocento stadii da Bizanzio alle foci del Boristene, e largo duemila. Quivi è l’isola Leucea69. La parte orientale è oblunga e finisce in un seno angusto presso Dioscuria, allungandosi a cinquemila stadii o poco più: la sua larghezza è di circa tremila. Tutta poi la circonferenza dell’intiero mare è di venticinque mila stadii; e nella sua figura alcuni lo paragonano ad un arco scitico teso: perocchè raffrontano il nervo colle parti destre del Ponto, val quanto dire colla spiaggia che dalla sua imboccatura va fino a quell’intimo recesso dov’è Dioscuria, tuttaquanta un lido con pochi sporgimenti e pochi seni, talchè rende immagine d’una retta: e il restante della circonferenza lo paragonano al corno dell’arco che ha due seni, dei quali il superiore vuol essere un po’ più rotondo dell’inferiore; e così appunto anche questa parte della spiaggia forma due golfi; e l’occidentale è molto più circolare dell’altro.

Al di là del golfo orientale, ma dalla parte che accenna a settentrione, giace la Palude Meotide che ha novemila stadii di circonferenza, o fors’anche qualcosa di più. Essa mette foce nel POnto per mezzo del Bosforo denominato Cimmerio70; e il Ponto poi entra nella Propontide71 pel Bosforo Tracio (così chiamano lo stretto di Bizanzio) di quattro stadii. [p. 271 modifica]

Dicesi poi che la Propontide sia di mille e cinquecento stadii nella sua lunghezza dalla Troade a Bizanzio: e presso a poco uguale nella larghezza. Quivi è l’isola de’ Ciziceni72 colle altre minori che le stanno d’intorno.

Così dunque si diffonde l’Egeo verso il settentrione.

Dall’altra parte che incomincia da Rodi e fa i mari d’Egitto, di Panfilia e d’Isso, stendesi verso l’oriente per lo spazio di cinquemila stadii lungo la Licia, la Panfilia e tutta la spiaggia dalla Cilicia fino ad Isso; e verso il mezzogiorno, e poi verso il ponente bagna la Siria, la Fenicia e l’Egitto fino ad Alessandria.

Nel golfo d’Isso e di Panfilia ritrovasi Cipro che tocca anche il mare d’Egitto.

Il passaggio da Rodi ad Alessandria, dal settentrione al mezzogiorno, è di circa quattro mila stadii; e v’ha il doppio seguitando le coste. Eratostene dice che in quanto al passaggio diritto è questa la stima che ne hanno fatta alcuni navigatori; e che mentre alcuni così dicono, altri non dubitano di assegnargli invece cinque mila stadii: ma ch’egli col mezzo di osservazioni gnomoniche ha trovato che sono soltanto tremila e settecento cinquanta.

Quella parte poi di questo mare (Interno) che bagna la Cilicia e la Panfilia, con esso le spiagge del Ponto che si dicono destre, e la Propontide, e le spiagge che vengono appresso fino alla Panfilia, formano una specie di [p. 272 modifica]gran Chersoneso73, con un gran istmo, dal mare vicino a Tarso fino alla città di Amiso ed al campo delle Amazzoni o Temiscira. Perocchè tutto il paese al di dentro di questa linea74 fino alla Caria e alla Ionia ed alle nazioni che si conoscono al di qua dell’Ali, è tutto circondato all’intorno dall’Egeo, e da quelle altre due parti di mare di cui abbiamo parlato: e questo paese anche di per sè solo noi lo chiamiamo Asia75, con nome peraltro comune a tutto quel continente.

A dir breve, il punto più meridionale del nostro mare è il fondo della Sirti maggiore; e dopo di questo Alessandria d’Egitto e le foci del Nilo. Il punto più settentrionale è la foce del Boristene, o quella del Tanai, qualora si voglia aggiungere all’Eussino anche la Palude Meotide, che a dir vero n’è in qualche modo una parte. Il più occidentale è lo stretto delle Colonne: e il più orientale è quel seno già menzionato che finisce a Dioscuria. Ed a torto Eratostene afferma che il punto più orientale sia il golfo Issico. Perocchè questo golfo è sotto il meridiano d’Amiso, di Temiscira, e, se vuolsi, anche della Sidene fino a Farnacia. Ora da questi luoghi andando verso oriente fino a Dioscuria si navigano più che tre mila stadii, ciò che si farà più manifesto quando descriveremo a parte que’ [p. 273 modifica]paesi. Il nostro mare pertanto è quale noi lo abbiamo rappresentato. Ora è d’uopo descrivere le terre che lo circondano, pigliando principio da quelle parti medesime dalle quali abbiam cominciata anche la descrizione del mare.

A chi dunque vi entra per lo stretto delle Colonne giace a destra la Libia76 fino alla corrente del Nilo, ed a sinistra, sulla sponda opposta dello Stretto, l’Europa fino al Tanai77: e l’una e l’altra finiscono nell’Asia. E noi dobbiamo cominciare dall’Europa, siccome quella ch’è di più variata figura, ch’è per natura sommamente opportuna all’industria ed all’incivilimento de’ suoi abitatori, e comunica alle altre due gran parte de’ suoi proprj beni78. E nel vero l’Europa è tuttaquanta abitata, tranne una piccola parte inabitabile a cagione del freddo; quella cioè che confina coi nomadi79 lungo il Tanai, la Meotide ed il Boristene. Del rimanente quella parte ch’è fredda e montuosa, non è per propria natura abitabile senza difficoltà; ma avendo buoni cultori s’inciviliscono anche i luoghi in prima abitati a disagio e con abitudini di ladroni. Così gli Elleni possedendo solo montagne e rocce, a forza di [p. 274 modifica]buoni provvedimenti nelle cose politiche, e di perizia nelle arti e in tutto ciò che risguarda la vita, si condussero e vivere agiatamente. E i Romani che soggiogarono molte nazioni, alcune delle quali erano naturalmente feroci a motivo dei luoghi o aspri, o importuosi, o troppo freddi, o per qualche altra cagione male abitabili, seppero consociare gli uni cogli altri popoli prima insocievoli affatto, ed insegnarono ai più selvaggi di vivere civilmente. Quella parte poi dell’Europa che si compone di luoghi piani e temperati, ha la natura stessa cooperatrice nel conseguire tutti cotesti beni. E poichè in una regione felice tutto è pacifico, e ne’ paesi sterili per lo contrario regnan la guerra e il valore; perciò avviene che gli abitanti si possano mutuamente beneficare, soccorrendosi gli uni colle armi, gli altri colle produzioni del suolo, colle arti e colle civili istituzioni. O quando accada che non si aiutino fra di loro ne provengono manifesti danni; e n’ha sempre il vantaggio la forza dei popoli abituati alle armi, tranne il caso in cui siano soverchiati da un numero molto maggiore. Ed anche sotto questo rispetto l’Europa è da natura assai bene ordinata, siccome quella ch’è tutta e di pianure e di montagne variata; per modo che da per tutto si trovan vicini i popoli coltivatori e quelli esperti nella politica o nella guerra. Ma vince peraltro la parte naturalmente quieta, sicchè in essa prevale l’amor della pace; al che hanno contribuito i popoli che quivi ebbero preponderanza sugli altri, cioè prima gli Elleni, e poscia i Macedoni ed i Romani. [p. 275 modifica]

Per questo l’Europa e nella pace e nella guerra basta pienamente a sè stessa; perocchè possiede un numero sufficiente sì di guerrieri, come d’uomini coltivatori e di abitanti delle città. In questo poi è distinta dagli altri due continenti, ch’essa produce i frutti migliori e quelli che sono necessarii alla vita, e quanti metalli giovano all’uomo; e fa venir dal di fuori i profumi e le pietre preziose, oggetti che non possono render peggiore la vita a chi ne scarseggia, di quello non sia a coloro che ne hanno abbondanza. Aggiungasi che l’Europa ha grande quantità di bestiame d’ogni maniera, e nel tempo stesso ha pochissimi animali feroci.

Tale si è per natura, generalmente parlando, l’Europa. Volendo ora farci a considerarne ciascuna parte da sè, la prima di tutte venendo dall’occidente è l’Iberia80. Essa somiglia ad una pelle di bue, le cui parti del collo suppongansi rivolte alla Celtica81, che a quella è congiunta dal lato d’oriente. Ivi il suo fianco è diviso dai paesi contigui per mezzo dei monti chiamati Pirenei: in tutto il restante è circondata dal mare; cioè nella parte meridionale dal Mediterraneo fino alle Colonne; e nelle altre dall’Atlantico, fino alle estremità settentrionali de’ Pirenei. La lunghezza poi di questa regione, dov’è maggiore, è di circa sei mila stadii: di cinque mila la sua larghezza.

Dopo l’Iberia viene la Celtica, la quale stendesi verso l’oriente sino al fiume Reno. Il suo fianco [p. 276 modifica]settentrionale è tutto bagnato dallo stretto Britannico82: perocchè le sta parallelamente di contro l’isola di Britannia, uguale alla Celtica in tutta la sua lunghezza di cinquemila stadii. Da oriente il suo confine è descritto dal fiume Reno che scorre parallelo a’ Pirenei83. Il lato meridionale è formato in parte dalle Alpi dopo il Reno, ed in parte dal nostro mare: e quivi s’interna il golfo denominato Galatico, nel quale si trovano Marsiglia e Narbona, città famosissime. A questo golfo, ma dalla parte opposta84, ne corrisponde un altro, chiamato anch’esso con ugual nome Galatico, e rivolto al settentrione ed alla Britannia: e il luogo frammezzo a questi due golfi si è quello dove la Celtica è più angusta; perocchè si restringe in un istmo di meno che tre mila stadii, ma più che duemila. In mezzo poi di questo spazio avvi un dosso montuoso che ferisce ad angoli retti i Pirenei, e chiamasi monte Cemmeno85; il quale finisce proprio nel mezzo alle pianure dei Celti. [p. 277 modifica]

Le Alpi, le quali sono montagne molto elevate, segnano una linea curva; e dove la loro figura è convessa accennano alle pianure già dette dei Celti ed al monte Cemmeno; e dalla parte contraria dove è invece la concavità, guardano alla Ligustica ed all’Italia. Molte nazioni occupano questi monti, tutte celtiche all’infuori dei Liguri: e questi comunque sieno diversi di nazione, sono ciò nondimeno somiglianti ai Celti nel tenore della loro vita; abitano quella parte delle Alpi che si congiunge cogli Apennini, e tengono eziandio una parte degli Apennini stessi.

Sono poi gli Apennini un dosso montuoso che va pel lungo di tutta quanta l’Italia dalle parti settentrionali al mezzogiorno, e finisce allo stretto di Sicilia.

Le prime parti dell’Italia sono le pianure sottoposte alle Alpi86 fino a quel punto in cui viene a finire il golfo Adriatico, ed ai luoghi circonvicini. Le altre parti che vengono appresso sono un promontorio angusto e lungo in forma di penisola, vi si stende, come dicemmo, pel lungo il monte Apennino per lo spazio di settemila stadii, e la sua larghezza non è sempre uniforme. E fanno dell’Italia una penisola, prima il mar Tirreno che principia da dove finisce il Ligustico, poscia l’Ausonio e quel d’Adria87. Dopo l’Italia e la [p. 278 modifica]Celtica stanno le altre parti d’Europa verso l’oriente, le quali sono divise in due dall’Istro88. Questo fiume poi scorre dal ponente ai paesi orientali ed al Ponto Eussino, lasciandosi a mano manca tutta la Germania, la quale comincia dal Reno, e tutta la Getica89, non meno che i paesi dei Tirigeti, dei Bastarni, dei Sauromati, sino al fiume Tanai ed alla palude Meotide; a mano sinistra la Tracia tuttaquanta e l’Illiria e la Macedonia, ed all’ultimo tutta l’Ellade.

Vicino all’Europa giacciono poi quelle isole che già dicemmo; fuori delle Colonne, Gadi, le Cassiteridi e le Britanniche; dentro di quelle le Gimnesie ed altre isolette de’ Fenici, quelle de’ Marsigliesi e dei Liguri, e quelle che stan dinanzi all’Italia fino alle isole d’Eolo ed alla Sicilia; e quante se ne trovano intorno all’Epiro ed all’Ellade fino alla Macedonia ed al Chersoneso di Tracia90.

Partendosi quindi dal Tanai e dalla Meotide trovansi tosto le parti dell’Asia al di qua del Tauro, e congiunte con quelle via via anche le parti al di là di [p. 279 modifica]cotesto monte. Perocchè l’Asia è divisa in due dalle montagne del Tauro che si distendono dalle estremità della Panfilia sino al mare d’oriente91 dove trovansi gl’Indi e gli Sciti: e quella parte di quel continente che accenna a settentrione i Greci la dicono al di qua del Tauro, e la parte meridionale, al di là. Laonde quel tanto dell’Asia che confina colla Meotide e col Tanai compone l’Asia al di qua del Tauro. I primi paesi di questa porzione dell’Asia sono quelli situati fra il mar Caspio ed il Ponto Eussino, i quali da una parte finiscono al Tanai ed all’oceano (s’intende l’oceano esteriore92 al di là del mare d’Ircania); dall’altra in quel sito dove l’istmo fra il Ponto Eussino e il mar Caspio è più angusto. Poi seguono que’ paesi situati anch’essi al di qua del Tauro, ma al di sopra (all’oriente) dell’Ircania, i quali si stendono fino al mare orientale, le cui rive sono occupate dagl’Indi e dagli Sciti più vicini al monte Imao93. Questa porzione d’Asia è abitata in parte dai Meoti Sauromati94, e da quelle altre popolazioni che stanno fra l’Ircania ed il Ponto insino al Caucaso; ciò sono i Sauromati, gli [p. 280 modifica]Sciti, gli Achei, i Zigi, gli Eniochi, oltre agli Iberi ed Albani: in parte, all’oriente del mare d’Ircania, dagli Sciti, Ircani, Parti, Battriani e Sogdiani. Al mezzo giorno di una parte del mar Caspio, e poscia anche di tutto l’istmo che giace fra questo monte ed il Ponto Eussino trovasi la maggior parte dell’Armenia, la Colchide, tutta la Cappadocia, e gli altri paesi che stendonsi fin all’Eussino, e quelli delle nazioni tibaraniche95. V’hanno inoltre i paesi che diconsi al di qua (al ponente) dell’Ali; cioè, intorno al Ponto ed alla Propontide, i Paflagoni, i Bitinii ed i Misii e la Frigia, come suol dirsi, dell’Ellesponto, alla quale appartiene anche la Troade; verso l’Egeo ed il mare che a quello tien dietro, l’Eolide, la Ionia, la Caria e la Licia96; nelle regioni mediterranee, la Frigia97 di cui è parte il paese de’ Gallogreci detto Galazia, poi la Frigia Epitteto e i Licaoni ed i Lidj.

Fra le nazioni abitanti al di qua del Tauro seguono [p. 281 modifica]quelle che stanno proprio fra’ monti, come a dire i Paropamisadi, e parecchie tribù di Parti, di Medi, di Armeni e di Cilicj, oltre ai Licaoni98 e Pisidj.

Dopo questi popoli montanari vengono i paesi al di là del Tauro. Prima fra questi è l’India, nazione grandissima e felicissima fra tutte l’altre, la quale finisce al mare d’oriente ed alla sponda meridionale dell’Atlantico. Nella parte più meridionale del mare giace rimpetto all’India l’isola di Taprobana, non minore della Britannia99. Dopo l’India chi si volge all’occidente ha dalla destra i monti, ed entra in un paese disagiatamente abitato, a motivo della sua sterilità, da uomini [p. 282 modifica]sommamente barbari e raccolti di varie nazioni: li chiamano Ariani, e si stendono dalle montagne fino alla Gedrosia ed alla Carmania100. Quindi a procedere verso il mare si trovano i Persiani, i Sussi ed i Babilonesi abitanti lungo il mare di Persia, ed altre piccole nazioni che stanno d’intorno alle maggiori già dette. Verso i monti sono i Parti, i Medi, gli Armeni, e le nazioni confinanti con queste; poi la Mesopotamia.

Passata la Mesopotamia si trovano le regioni al di qua dell’Eufrate: e queste sono tutta l’Arabia felice, limitata dal golfo Arabico quanto esso è lungo e dal golfo Persico; poi tutto il paese abitato dagli Sceniti e dai Filarchi101 verso l’Eufrate e la Siria.

Vengono appresso, dal golfo Arabico fino al Nilo, gli Etiopi e gli Arabi; e dopo costoro gli Egizii, i Sirii e i Cilicj, sì gli altri, come quelli detti Trachioti, ed ultimi di tutti i Panfilii.

Dopo l’Asia avvi la Libia102 contigua all’Egitto ed all’Etiopia. La spiaggia della Libia rivolta verso di noi si stende in linea retta quasi fino alle Colonne cominciandosi da Alessandria, tranne le Sirti e qualche altra [p. 283 modifica]piccola sinuosità formata dallo addentrarsi e dallo sporgere di alcuni golfi o promontorii. Quella spiaggia invece ch’è sull’oceano, partendosi dall’Etiopia va per un certo spazio di paese quasi parallelamente alla prima: ma poi le regioni meridionali del continente si restringon, sicchè riescono in un promontorio acuto fuori delle Colonne, e formano in qualche modo la figura di un trapezio. Secondo quello poi che raccontano gli altri, e che ci ha riferito Gneo Pisone stato governatore di quella provincia, essa somiglia alla pelle di una pantera: perocchè è quasi picchiettata qua e là da alcuni luoghi abitati, e cinti all’intorno da una terra deserta ed arsiccia. Gli Egizii chiamano Auasi queste abitazioni.

Tale si è la figura di quel continente: esso ha poi anche altre proprietà per le quali può considerarsi come diviso in tre parti. Il più della spiaggia situata lungo il nostro mare è molto fertile, principalmente la Cirenaica103, e i dintorni di Cartagine fino ai Maurosii ed alle Colonne d’Ercole104. Anche quella parte ch’è bagnata dall’oceano è mezzanamente comoda ad abitarsi. Ma è incomoda invece la parte di mezzo, la quale [p. 284 modifica]produce il silfio, ed è deserta per la maggior parte ed arenosa. Lo stesso avviene anche di quella porzione dell’Asia la quale giace sotto il parallelo onde sono attraversate l’Etiopia, la Trogloditica, l’Arabia e quel tanto della Gedrosia ch’è occupato dagl’Ittiofagi105.

Le nazioni che abitano la Libia sono per la maggior parte sconosciute: perocchè non suol accadere che vi s’internino molto nè eserciti nè viaggiatori d’altro paese: e i nativi di quella contrada, oltrechè pochi son quelli che dall’interno vengano a noi, non sogliono nè dir cose credibili, nè raccontar tutto quello che sanno. Nondimeno le cose da loro dette son queste.

I popoli più meridionali della Libia si chiamano Etiopi. Al di sopra di questi106 si chiamano per la maggior parte Garamanti, Farusii107 e Nigriti: e al di sopra anche di questi sono i Getuli. Quelli poi che stanno vicini al mare o sulla costa di quello, verso l’Egitto fino alla Cirenaica, li chiamano Marmaridi. Al di sopra della Cirenaica e delle Sirti108 stanno i Psilli, i Nasamoni ed alcune tribù dei Getuli; poscia i Sinti ed i [p. 285 modifica]Bizacii fino a Cartagine, la quale ha un gran territorio, a cui sono contigue alcune nomadi popolazioni. Fra queste si conoscono massimamente i Massili e i Massesili; e ultimi di tutti sono i Maurosii. Tutto il paese poi da Cartagine fino alle colonne è felice; ma nondimeno produce bestie feroci al pari delle province interiori: nè sarebbe irragionevole il dire che alcune di quelle genti furono chiamate nomadi, perché la gran moltitudine delle fiere impedivali anticamente dal coltivare la terra. Ma nella nostra età que’popoli, in parte per la loro perizia della caccia, in parte col favor dei Romani che danno opera alle teriomachie109, sanno e vincere le fiere e coltivare la terra.

Queste cose intorno ai continenti siano dette.

  1. Gli Editori francesi traducono forse meno letteralmente, ma peraltro con più chiarezza: ha d’uopo soltanto di un piccol numero di fenomeni giornalieri. Notisi poi che qui l’espressione ὁ πολιτικὸς contrapposta ad ἀπαίδευτος senza educazione significa non già un uomo di Stato propriamente detto, ma un uomo fornito di quella istruzione che all’uomo di Stato è necessaria.
  2. Ὤσπερ οὐδὲ τὸ παράλληλον ἑστάναι τῷ παρεστῶτι ἢ μή. Queste parole parvero un enigma a tutti gl’interpreti e commentatori; nè io vorrei affermare di essermi accostato al vero intendimento dell’Autore seguitando la traduzione francese. Il latino dice: Utrum cum adstante parallelus sit necne.
  3. Leggo col Coray ῖδια δόγματα.
  4. Letteralmente: la Fisica poi è una virtù (ἡ δέ φυσικὴ ἀρετή τις). Anche il traduttore latino disse virtus quaedam vel perfectio. Gli Stoici chiamavano virtù (ἀρεταὶ) le tre scienze principali, Fisica, Morale e Lagica; e insegnavano che al vero sapiente abbisognavano tutte e tre.
  5. Il testo ordinario legge ὁμοταχεῖς τῷ πόλῳ, cioè: Si movono colla stessa celerità del polo. Ma perchè i poli sono le estremità dell’asse che l’Autore ha già dichiarato immobile, cadrebbe in un’aperta contraddizione se questa lezione dovesse adottarsi, o bisognerebbe dare alla parola polo un significato arbitrario affatto. Quindi gli Editori francesi e poscia anche il Coray lessero invece τῷ ὂλῳ a significare assai naturalmente che le stelle fisse si movono colla medesima celerità colla quale si move il cielo da cui sono strascinate.
  6. Cioè determina l’estensione delle altre parti confrontando gl’intervalli celesti dei luoghi misurati con quelli dei luoghi tuttora ignoti, e lo spazio di paese corrispondente a quegl’intervalli.
  7. Siccome Strabone parla qui di un meridiano, così l’espressione ch’egli usa può parere inesatta: perchè essendo tutti i meridiani uguali fra loro, nessuno è massimo, ma ciascuno di essi è uno dei più grandi cerchi della terra. (Ed. franc.)
  8. Cioè alle dottrine astronomiche.
  9. Il Casaubono dice che in alcuni codici antichi principia qui il terzo libro, perchè di qui veramente comincia l’Autore ad esporre la sua dottrina geografica. Ma egli poi non approva siffatta divisione; e gli Editori francesi aggiungono di non avere veduto alcun manoscritto dov’essa apparisse adottata.
  10. Strabone non pretese di determinare i limiti meridionali e settentrionali della Terra abitata se non per approssimazione, e secondo quello che ne faceva naturalmente presumere il progressivo aumento del caldo o del freddo a misura che si progrediva verso l’equatore o verso il polo.
  11. Σπόνδυλός ἐστι τὸ σχῆμα. Osservasi peraltro che il luogo di cui parla Strabone non rende punto l’immagine a cui egli lo somiglia, sicchè potrebb’esservi forse nel testo qualche alterazione.
  12. Possiamo immaginarci la clamide simile ad un mantello di forma semicircolare, e largo nella estremità inferiore assai più che nell’alto.
  13. In tutto questo passo, dove la lezione è in più luoghi o evidentemente corrotta o sospetta, mi sono attenuto agli Editori francesi; il Coray propone qualche variante che discorderebbe alcun poco da loro: ma senza autorevoli manoscritti.
  14. I Greci dividevano come noi questo cerchio in 360 gradi; ma lo dividevano poi anche in sole sessanta parti, ciascuna delle quali abbracciava sei gradi o quattro mila e ducento stadii. Quindici parti comprendevano novanta gradi. (G.)
  15. Assoan nell’alto Egitto.
  16. Così la pensarono Eratostene, Ipparco e Strabone, credendo che Rodi si trovasse sotto la stessa longitudine di Alessandria: le più recenti osservazioni però hanno dimostrato che la linea di cui parla Strabone non è punto una retta. (G.)
  17. I Rossolani, dai quali si crede che sia venuto il nome di Russi, abitavano quel paese che ora dicesi Ucrania. I popoli accennati subito dopo sono quelli dell’Ierna o dell’Irlanda, che il nostro Autore collocava al nord dell’Inghilterra, considerandola come l’ultimo paese abitabile da quella parte. (G.)
  18. Quelli che abitavano lungo il Don ed il Volga. All’oriente di quest’ultimo fiume cominciavano gli Sciti orientali nel nord dell’Asia. (G.)
  19. Osserva il Gossellin che Strabone nel lib. iv confessa bensì che l’isola di Ierna gli è quasi sconosciuta, ma poi ne determina con precisione la latitudine; sicchè non par ragionevole quanto qui afferma. Però, soggiunge, considerando bene la frase del testo: Τὸ δ᾽ ἐκεῖθεν ἐπὶ τὴν Ἰέρνην, οὐκέτι γνώριμον πόσον ἄν τις θείη, potrebbe anche significare: Mais, à partir de là jusqu’à l’íle d’Ierné, on ne sauroit dire que ce soit encore un pays tant soit peu connu.
  20. Cioè, supponendo di avere fra le mani un globo.
  21. Probabilmente si tratta qui di Cratete il grammatico, già citato da Strabone nel primo libro. Costui scrisse un commento sui poemi di Omero, e come attese a chiarire principalmente la parte geografia dell’Odissea, così è probabile che avesse fatto costruire per suo studio un globo di notabil dimensione. (Edit. franc.)
  22. Il Gossellin nota opportunamente che alla precisa cognizione geografica non è tanto indifferente l’avere dinanzi una superficie piana o sferica. Ma che nè Strabone nè gli altri antichi furon solleciti della precisione.
  23. Cioè, sono convergenti.
  24. Questo luogo viene considerato come uno dei più oscuri che incontrinsi in tutta l’opera di Strabone. Gli Editori francesi ai quali mi sono attenuto, dopo una nota assai lunga soggiungono, che a loro mal grado, ma senza arrossire, lasciano a più abili interpreti il vanto di coglier meglio e di esprimere più nettamente il concetto dell’Autore. Il testo dice: Οὐδὲ γὰρ πολλαχοῦ τοῦτ᾽ ἀναγκαῖον, οὐδ᾽ ἐκφανής ἐστιν ὥσπερ ἡ περιφέρεια οὕτω καὶ ἡ σύννευσις, μεταφερομένων τῶν γραμμῶν εἰς τὸν πίνακα τὸν ἐπίπεδον καὶ γραφομένων εὐθειῶν. La versione latina: Non enim saepe hoc necessitas exiget, neque ut superficies, ita etiam coitio evidens est, translatis in tabulam delineationibus, ed descriptis rectis lineis. E l’italiana: Perciocchè questo non è in molti luoghi necessario. Nè così bene come la circonferenza si discerne il concorrere di queste linee trasportate nella tavola in piano, essendo descritte le linee rette.
  25. {{{Testo}}}.
  26. I Geti occupavano una parte della Moldavia. I Tirigeti stavano lungo il Tyra, ora Dniester; i Bastarni nelle provincie meridionali ed orientali della Polonia: gli Albani nel Sirvan lungo il mar Caspio. (G.)
  27. I paesi di Balk ed il Corcan. Tutto poi questo luogo è assai dubbioso e la lezione non è sincera. Secondo il Casaubono il concetto dell’Autore sarebbe il seguente: Exposita etiam sunt a nobis ea quae de Hyrcania et Bactriana accuratius Apollodorus Artemita quam alii conscripsit. E fonda questa sua interpretazione su quel luogo del lib. xi, dove Strabone, descrivendo l’Ircania e la Battriana, cita frequentemente Apollodoro.
  28. Il luogo dove queste due linee tagliavansi era la città di Rodi; e l’una era il meridiano, l’altra il parallelo di quella stessa città. Queste due linee poi servono di fondamento a costruire la Carta di Strabone. (G.)
  29. Riferisco questo rivolgimento alla linea leggendo con tutte le edizioni (compresa anche quella del Coray) καταστρέφουσα. Gli Edit. franc. ci fanno peraltro sapere che un manoscritto da loro veduto porta la lezione καταστρέφοντα, secondo la quale dovrebbe tradursi al Tauro che ricinge l’Asia e mette capo al mare d’oriente.
  30. L’isola di Ceilan.
  31. Il capo San Vincenzo.
  32. Leggasi (dice il Gossellin) quattordici ore e mezzo, le quali al tempo di Strabone indicavano una latitudine di 36° 0’ 47. - La lezione del testo porterebbe 30° 20’ 23, e non può accettarsi, trattandosi qui dell’altezza del diaframma che non si allontanava dal grado 36.° di latitudine - Gli antichi (soggiunge) dividevano costantemente in dodici ore ciascun giorno e ciascuna notte. Queste ore dovevan per necessità essere eguali fra loro soltanto nei tempi degli equinozii, perchè allora soltanto abbracciavano un ugual durata di tempo: e perciò si distinguevano accuratamente dalle altre. Si raccoglie pertanto di qui, che le ore equinoziali degli antichi erano uguali alle nostre.
  33. Cinido, e più comunemente Gnido, fu una città della Caria.
  34. Cioè, sotto lo stesso parallelo.
  35. Il capo Cantin.
  36. Leggo col Coray Έσπερίοις, e non Άιθερίοις. - Non si conoscono Etiopi Eterei; e tutti gli esemplari manoscritti degli estratti di Gemisto Pletone hanno Έσπερίοις. (Ed. franc.).
  37. Verso il settentrione.
  38. Il più della Lusitania è ora compreso nel Portogallo. Gli Artabri occupavano i luoghi vicini a Finisterre nella Galizia.
  39. Le isole Scilly o Sorlinghe. Ma Strabone, come si vedrà meglio in progresso, non assegnò il loro vero posto nè all’Inghilterra nè a queste isole.
  40. Al tempo di Strabone non s’era per anco introdotta l’usanza dei meridiani e dei paralleli di grado in grado sulle carte particolari, e di cinque in cinque o di dieci in dieci gradi sulle carte generali. Invece di questa comoda usanza, per la quale si scopre ora con somma facilità la corrispondenza di ogni punto della carta coi cerchj della sfera, tiravansi un meridiano ed un parallelo in ciascun luogo principale, la cui posizione era, o credevasi, nota. La carta trovavasi quindi divisa in quadrati molto disuguali fra loro; e invece d’indicare la longitudine e latitudine delle città intermedie con un numero qualunque di stadii, o per gradi e minuti, dicevasi: La tal città è sotto lo stesso clima, o presso a poco sotto lo stesso parallelo della tale, e presso a poco sotto il meridiano della tal altra. Metodo lungo e faticoso, di cui pare che Tolomeo pel primo abbia liberata la scienza. (G.)
  41. Letteralmente: la prima ipotiposi.
  42. Il Mediterraneo. Questo nome dichiara abbastanza perchè si chiamasse Interno: i Greci poi e i Romani lo dissero Nostro perchè bagnava le coste dei loro paesi.
  43. Cioè dalle coste che hanno sul Mediterraneo.
  44. Il Coray legge: καὶ τὸ γνώριμον καὶ τὸ εὔκρατον κ. τ. λ.
  45. Cioè, dalla parte della Spagna.
  46. È questa la prima delle tre parti nelle quali Strabone divideva il Mediterraneo.
  47. Di Genova.
  48. La Corsica.
  49. Pandataria è oggi Vendotena.
  50. Elva, Pianusa, Ischia, Procida, Capri. - Leucasia, fu probabilmente uno scoglio presso al capo in cui finisce dalla parte di mezzogiorno il golfo di Salerno.
  51. Osserva il Gossellin che dovrebbe leggersi le Gimnesie, giacchè Strabone accenna qui le isole Baleari, Maiorca e Minorca.
  52. Ivica.
  53. Cosura è l’isola Pantellaria fra la Sicilia ed il capo Bon. Egimuro è una piccola isoletta sull’ingresso del golfo di Cartagine, ora golfo di Tunisi. (G.)
  54. Il golfo di Cabi.
  55. Le isole di Gerbi e di Kerkeni.
  56. Esperide fu il nome di quella città che i monarchi d’Alessandria dissero poi Berenice ed ora si chiama Bernio o Bengazzi. Pare che Automola fosse nel punto più meridionale della Sirti maggiore, detta dai moderni Sidra. (G.)
  57. Messina. Pachino è il capo Passaro.
  58. Candia. Il Peloponneso è ora la Morea, e il golfo di Corinto dicesi golfo di Lepanto.
  59. Il capo Leuca o di Finisterre.
  60. Aquileja.
  61. Le isole Tremiti.
  62. Zanto e le piccole isole Curzolari.
  63. Il quale ec.; così il testo: ὃ μεταξὺ ec. Siccome peraltro le dimensioni che l’Autore viene poi indicando non possono convenire al solo mare Mirtoo, così è da credere ch’egli abbia considerati i tre mari come in un sol corpo, e quasi come un mar solo che piglia diversi nomi nelle differenti sue parti.
  64. Citera ec., cioè: Cerigo, Egina, Coluri. Le Cicladi, ora dette Dili o Sidili, stavano intorno a Delo.
  65. Il mare Icario è quello intorno all’isola che ora dicesi Nicaria. Il Carpazio è quello in cui trovasi Scarpanto. Queste denominazioni non contraddicono (dice il Gossellin) ai nomi generali di mar Egeo e di mar Mirtoo, ma servono solo a suddividerli.
  66. Negroponte.
  67. Lo stretto de’ Dardanelli, di sette stadii.
  68. Cioè: Fronte di montone.
  69. Dicevasi anche Isola d’Achille ed Isola dei Beati; ora Isola dei Serpenti, dinanzi alle foci del Danubio.
  70. Lo stretto delle Zabacche.
  71. Il mar di Marmara. Il Bosforo Tracio è il Canale di Costantinopoli.
  72. Cizico fu congiunta col continente da Alessandro: ora dicesi Artaki. (G.)
  73. Cioè: Di gran penisola.
  74. Al ponente del meridiano d’Amiso.
  75. Ora dicesi Asia Minore, e questo aggiunto la distingue dal continente intiero. I Greci antichi la dissero anche Anatolia, e i moderni Anadoli; significando con ciò un paese situato all’oriente, rispetto a loro. (G.)
  76. L’Africa.
  77. Fino al Don.
  78. S’intende il frutto delle scienze e delle arti ch’essa ha perfezionate; giacchè Strabone non potè ignorare che l’Europa ricevette dall’Asia e dall’Africa non solo i principj delle scienze e delle arti, ma ben anche gli elementi della civiltà. (G.)
  79. Nomadi. Il testo dice: τοῖς Αμαξοίκοῖς, cioè: coi popoli che abitano sopra carri.
  80. La Spagna.
  81. La Francia.
  82. La Manica. Già s’è notato altrove che nella misura e nella posizione della Britannia Strabone va errato.
  83. Il corso del Reno è piuttosto perpendicolare che parallelo ai Pirenei: ma Strabone (come vedremo nel lib. iii) credette che questi monti si prolungassero da mezzogiorno a settentrione. - Così anche subito dopo afferma l’Autore che le Alpi, cominciando da Basilea dove il Reno dà volta, cingono la Francia dalla parte di mezzogiorno, mentre le stanno invece a levante. (G.)
  84. Cioè, sull’Oceano. Accenna il golfo di Guascogna opposto a quel di Lione. Si vedrà poi nel lib. iv che Strabone estendeva l’Inghilterra fin dentro a questo golfo. (G.)
  85. Oggi Le Cevenne.
  86. I Romani diedero a questo paese il nome di Gallia Cisalpina, o Gallia al di qua dalle Alpi. Ora chiamasi Piemonte la parte occidentale, Lombardia il restante.
  87. Il mar Tirreno cominciava verso la foce dell’Arno e stendevasi fin verso Napoli. – Il mar Ligustico è il golfo di Genova. – Il mare Ausonio, detto poi di Sicilia, bagnava le parti meridionali dell’Italia. - Quel d’Adria è lo stesso che il golfo di Venezia. (G.)
  88. Il Danubio.
  89. La Moldavia. – I Tirigeti occupavano le rive del Tira oggidì chiamato Dniester. – I Bastarni abitavano l’Ukrania. – I Sarmati o Sauromati si stendevano dalle sponde del Tanai o Don fino al mare d’Azof anticamente detto palude Meotide. (G.)
  90. Cioè tutte le isole dell’Arcipelago da Corfù sino allo stretto dei Dardanelli.
  91. Intende il golfo del Gange. (G.)
  92. Cioè l’Oceano settentrionale. Strabone lo credeva meno lontano dall’Eussino di quello ch’è nel fatto. (G.)
  93. Con questo nome chiamavasi la parte orientale della gran catena del Tauro.
  94. Il testo: τὰ μὲν οἱ Μαιῶται Σαυρομάται. Ma questa origine sauromata assegnata qui ai Meoti parve sospetta agli Edit. franc. ed al Coray, perchè Strabone non ne fa cenno quando nel lib. xi parla più a lungo di questa nazione.
  95. Altrove l’Autore li chiama Tibareni, e Tibarenia il paese occupato da queste popolazioni, che formavano una parte del regno di Ponto, e stendevansi fino alla Colchide. - La Colchide è poi la Mingrelia. - La Cappadocia comprendeva una parte del Roum e del Kerman moderno. - L’Armenia ha conservato il suo nome. (G.)
  96. Queste province appartengono ora al Sarukan ed all’Aidin, e sono comprese nell’Anatolia o Anadoli de’ moderni. (G.)
  97. La gran Frigia è parte dell’Anatolia e del Kerman. - La Galazia è compresa anch’essa nell’Anatolia. - La Frigia Epitteto corrispondeva presso a poco al Kodavendikiar dell’Anatolia. (G.)
  98. Strabone ha nominati già i Licaoni fra i popoli assolutamente al di qua del Tauro, sicchè pare che non dovrebbero trovarsi fra quelli che abitano dentro ai monti. Il Siebenkees crede che debba forse leggersi Cataoni; e gli edit. franc. osservano che questa congettura non è senza fondamento, guardando a ciò che Strabone stesso dice nel lib. xii. – I Paropamisadi sono gli abitanti del Paropamiso o delle montagne che dividono la Battriana dall’India. – I Parti o Partieni occupavano i monti al nord del moderno Korazan. - Sotto il nome di Medi comprende qui Strabone i varii popoli che abitavano i paesi montuosi da quello de’ Partieni fino all’Armenia. – I Cilicj abitavano l’Aladulia. – I Licaoni montanari occupavano le montagne che disgiungono il Kerman dall’Ichtiili. – I Pisidj il paese di Hamid. (G.)
  99. Taprobana è l’isola di Ceilan. Il confronto che fa Strabone fra quest’isola e l’Inghilterra è assurdo: egli avea misurato il fianco più piccolo dell’Inghilterra, credendolo invece il più lungo; oltre di che gli stadii coi quali erasi misurata l’Inghilterra erano stadii grandi di 700 al grado, mentre nel misurare Taprobana eransi adoperati gli stadii piccoli di 1111 1⁄9. (G.)
  100. Sebbene l’espressione del testo paja escludere dai paesi degli Ariani la Gedrosia e la Carmania, nondimeno il Gossellin è d’opinione che l’Autore abbia voluto comprendervele. La Gedrosia è il Mekran: la Carmania dicesi ora Kerman.
  101. Sceniti significa popoli abitanti sotto tende: e Filarchi vale capi di tribù, o meglio tribù soggette ad un capo. (Edit. franc.)
  102. L’Africa.
  103. Cirene al presente dicesi Curen; ma il paese è tutto deserto (il deserto di Barca) tranne alcune parti vicine al mare. Tuttavolta è da notarsi che i primi Greci collocarono appunto nella Cirenaica, sulle coste bagnate dalla Sirti maggiore, i loro giardini Esperidi. (G.)
  104. Da Tunisi fino allo Stretto. – I Maurosii, detti Mauritani dai Latini, occupavano i moderni regni d’Algeri e di Fez. (G.)
  105. Gl’Ittiofagi della Gedrosia sono gli abitanti delle coste del Mekran. – La Trogloditica trovavasi sulla costa occidentale del golfo Arabico. (G.)
  106. Verso il nord.
  107. La lezione comune è Maurosii. – I Garamanti poi abitavano il Kawar; e Garama loro capitale è ora denominata Gherma. – I Farusii e i Nigriti eran vicini alle frontiere meridionali del regno di Marocco. – I Getuli occupavano il Darah, e stendevansi anche fino alle Sirti. (G.)
  108. Verso il mezzogiorno e il ponente.
  109. Combattimenti di fiere.