Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri/Libro III/IV

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Libro III - Cap. IV

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CAPITOLO QUARTO.

Arrivo in Arzerum, e descrizione della

stessa Città.


L
A mattina del Venerdì 7. innoltrandoci per un bellissimo, e ben coltivato piano, popolato di più borgate, e coronato di monti coperti di neve, a fine di dodici miglia giugnemmo in Arzerum. In entrando al borgo pagammo quindici grani per cavallo (riducendo il valore di quella moneta alla Napoletana). Andammo poscia in Dogana, ma trovandosi il Doganiere alla preghiera di mezzo dì; quando venne, ch’era già tardi, lo pregammo a suggellar le valige, per potere indi a qualche tempo venirle a [p. 425 modifica]visitare in casa. Con molta cortesia si contentò, mandando poco appresso a visitarle da una persona a posta, che non vi trovò cosa soggetta; di maniera tale, che ebbi fortuna di non trovarvi quel rigore, che narra Mr. Tavernier di suggellarsi le valige, e fardelli, una giornata prima dell’arrivo in Erzeron, da persone deputate dal Doganiere; acciò non se ne traggano le robe soggette, per fraudar la Dogana.

Presi una bellissima camera nel Karvanserà vicino la medesima Dogana, per potere essere spesso in compagnia di Mr. Preschet mercante Inglese, che facea anche l’ufficio di Consolo, ed abitava dirimpetto. Egli venendo a darmi il benvenuto, m’obbligò con cortesi esibizioni ad essere in quel giorno di sua tavola, e mi trattò assai bene mattina, e sera; affliggendosi di non potermi regalare come in Cristianità, perche il paese non dà quelle delicatezze, che s’hanno in Italia, ed altrove: mi tormentava bensì con lo spesso bere, volendo ch’io facessi altrettanto; ciò che mi era affatto impossibile. Da lui riseppi con gran mio dispiacere, che un giorno prima del mio arrivo, s’era partita una famosa [p. 426 modifica]Caravana per Tauris, che sarebbe stata un’ottima occasione per me.

Arzerum, Erzeron, o Adirbegian, alcuni la situano nell’Armenia minore: la maggior parte la fan Metropoli della maggiore; nella quale stimano probabile, che sia stato creato il primo Uomo Asiæ nova descrip. lib. 5. cap. 1., e costituito da Dio negli amenissimi orti del Paradiso. Paese in vero nobilissimo, poiche ebbe per primo agricoltore Adamo scacciato dal Paradiso; e (terminato il diluvio) Noè vi scese dall’Arca, e porse a Dio divoto sacrificio Gen. 8.. Regione in fine, che conservò lungo tempo negli alti suoi monti le reliquie dell’Arca Joseph l. 1. antiq. c. 4., giusta le antiche tradizioni, e fu Sede de’ primi Patriarchi. Vogliono i profani Autori, che prendesse il nome da Armeno Eroe Tessalo.

E’ situata Erzeron in luogo piano, non molto lungi dal fiume Eufrate, sotto ben alte montagne, in fine d’una pianura lunga 30. miglia e larga dieci. Due miglia di circuito contengono le sue mura, doppie sì, ma non terrapienate. E’ difesa da un mezzano fosso, e da varie Torri In convenevole distanza disposte, e fornite di piccioli pezzi d’artiglieria detti falconetti; onde di fuori s’assomiglia [p. 427 modifica]molto a Costantinopoli. Tiene nell’estremità verso Oriente un Castello, ed un Forte per l’Agà de’ Giannizzeri, dominati amendue da una collina con una Torre, donde può scoprirsi da lungi il nemico. Vicino questo Castello è la Chiesa Arcivescovale degli Armeni, in buona parte rovinata; fuorche due Torri, che sono fabbricate di mattoni. Le porte della Città sono tre, e di ferro; in quella, che si chiama di Tauris, sono per terra 20. buoni cannoni; essendosi gli altri rotti, volendogli trasportare a Costantinopoli. Le case (come anche quelle de’ Borghi che sono la maggior parte abitate da Armeni) sono basse, e composte di legno e fango: le strade strette, senza selici; e i Bazar ordinarj: ma è così popolata, che si contano solo ne’ borghi 22. Karvanserà per le Caravane di Persia.

Per le continue nevi, che cuoprono le vicine montagne, l’aria è molto fredda; non vi si patisce però tanto degli occhi, quanto vuole il Tavernier: ciò che sa anche maturar molto tardi le frutta (onde sul principio vengono dalla Georgia) e se non fusse provveduta da’ vicini villaggi, si passarebbe male.

Il vitto con tutto ciò è a vilissimo [p. 428 modifica]prezzo, avendosi per un tornese di Napoli pane bastante per un giorno, e per un carlino quasi 30. libre di biscotto; per cinque grani una gallina, per un tornese cinque uova; ed a proporzione la carne, ed ogn’altra cosa. Tutta questa abbondanza proviene dalla fertilità dei riferito piano; però il formento non viene a perfezione (per quel che mi dissero) in 60. giorni, e l’orzo in 40. come narra Mr. Tavernier; poiche, mentre io vi fui, si seminava attualmente per farsi la raccolta a Settembre.

Nasce l’Eufrate da una montagna dell’Armenia detta Afrat, o Mingol, sei ore discosta d’Arzerum; onde (secondo la Sacra Scrittura, ed Interpreti Incerti Authoris Asiæ descrip. lib. 4. cap. 13.) avendo questo fiume la sorgiva nel Paradiso terrestre, poteva io in sei ore andare in Paradiso. Altri però credono, che il vero fonte sia nella Georgia, e che i continui tremuoti l’abbiano coperto.

Il governo d’Arzerum è di gran guadagno, e appresso de’ Turchi ragguardevole. Le donne della Città vanno vestite di panno, con stivali, ed un riparo nero avanti la fronte, per nascondersi il volto: sopra la testa hanno una lunga tela, che scende sino al ginocchio. [p. 429 modifica]

Il Sabato 8. giunse con la Caravana da Persia Mr. Laironiere della Provincia di Blois, il quale il dì seguente si fece Maomettano, disperato d’ottener il perdono di due duelli, ed omicidj fatti in Francia. Pubblicò egli, che era stato mandato dal Re in quelle parti, per servire di spia contro i Turchi; però che non volendo fare un tal mestiere, avea risoluto abbracciare la legge Maomettana; dando ad intendere a’ Turchi, che tutti i Franchi, che vanno in Levante sono spioni, mandati dal Re a stimolare il Persiano alla ricuperazione delle Piazze di Bagadat, ed Erzeron; ed altri al Moscovita, acciò sorprenda le Città, che sono sopra il Mar nero: e che perciò portano le lettere di credenza cucite dentro le scarpe. Benche costui sia tenuto per pazzo appresso i Francesi, non lasciano però quei Barbari di dargli fede, per far torto a’ Franchi; onde mi fece vivere con qualche apprensione.

La Domenica 9. fui a sentir Messa nella Chiesa de’ Padri Gesuiti. Avendo lasciato il mio schioppo nella porta d’Arzerum, come si costuma, mandai il Lunedì 10. il solito pagamento al Turco di guardia per riaverlo; ma perche [p. 430 modifica]v’andò il servidore di Mr. Preschet da parte del suo Padrone, rendè l’arme senza prender nulla.

Il Martedì 11. però, mentre era uscito dalla mia stanza, per entrare in quella del mentovato Mr. Preschet, vidi venire, per la porta del Karvanserà, il Turco, che avea renduto lo schioppo; e farmi segnale, che mi fermassi. Io senza pensare ad altro, passai oltre; perche non intendendo la sua favella, mi sarebbe stato vano il trattenimento. Sdegnato il superbo Turco, che io facessi poco conto del fatto suo, si pose in fretta dentro, e posto mano al Cangiar o coltello, mi corse sopra per ferirmi, e già l’arebbe eseguito, se il Preschet non l’avesse trattenuto, abbracciandolo per mezzo. Io non avrei temuto della sua arroganza, se fussimo stati altrove; ma nel paese Turchesco troppo rigorosa pena s’eseguisce contro un Franco, che pon mano addosso ad un Turco; e perciò facendogli dare quello, che pretendeva, me lo tolsi dinanzi.

Il Mercordì 12. fui convitato a desinare dal P. Villot, e bevemmo allegramente per lo nostro felice arrivo: ma questa allegrezza mi fu disturbata il Giovedì [p. 431 modifica]13. perche vennero nel Karvanserà tre persone a dirmi da parte del Mussellin, o Luogotenente del Bassà, che l’istesso giorno partissi dalla Città; ordine che aveano fatto a’ Padri Gesuiti ancora, e al Domenicano, perche ne credeano tutti cinque Papàs, o Religiosi. Noi giudicammo, che questa fusse stata opera non solo del Francese rinegato, ma degli Armeni scismatici ancora, per impedire lo stabilimento de’ Padri in Arzerum, e l’amministrazione della Divina parola. A tale effetto eglino due anni prima avean fatto al Bassà un presente di due mila piastre, per fargli scacciare, insieme col Padre Filippo Grimaldi, che passava alla China: ciò che seguì non senza qualche commozion popolare suscitata dagli Armeni; essendo andate 2500. persone tumultuanti alla casa del Bassà, e da 400. alla porta del Convento: se i Padri non avessero ben chiuse le porte, avrian passato gran pericolo della vita.

Per ovviare a sì gran male, si mandò al Mussellin il Fratello Manfredi (che sacca la profession di Medico, per rendere ben affetto il popolo alla Compagnia) a presentare il Firman del Gran [p. 432 modifica]Signore per lo ristabilimento de’ Padri in Arzerum; ma il Mussellin senza volerlo vedere, non che leggere, ordinò che lo stesso giorno ce ne ritornassimo verso Trabisonda. Per la lunga distanza dalla Corte, egli non facea conto del Firman: e poi dicea, che i Papàs aveano rappresentato al Sultano, ciò che loro era piacciuto; ma che egli volea informarlo bene della ripugnanza, che avea la Città tutta a sì fatto stabilimento. Andò poi il Fratello dal Cadì, per ottenere almeno qualche dilazione alla partenza; e n’ebbe umana risposta, di partire colla prima Caravana, per non farci esporre soli al pericolo di perdere i beni, e la vita per mano di ladri. Pervenuto ciò all’orecchie del Mussellin, mandò a chiamarsi il Manfredi; e sgridatolo che fusse stato cagione del ritorno, e poi della dilazione della partenza de’ Padri, lo fece porre in prigione: ma dettogli, che la dilazione l’avea conceduta il Cadì, lo fece indi a 2.ore scarcerare, minacciandolo di farlo restare in Città, e (fattogli il processo) dar tante bastonate, sinche gli saltassero l’unghie de’ piedi.

L’istesso giorno il Mussellin volle informarli di me da Mr. Preschet, il [p. 433 modifica]quale, fattagli relazione de’ miei viaggi, gli disse; che io non era altrimente Religioso della Compagnia, ma un Secolare, che viaggiava per curiosità. Nel ritorno ch’egli fece a casa, sopravvenne il P. Domenicano, e pregollo dì rappresentare al Mussellin, che nè anche egli era della Compagnia, ma Domenicano, che andava in Persia mandato dal suo Generale: e che non essendo la sua Religione compresa nell’ordinanza fatta a richiesta degli Armeni, gli procurasse la licenza di partire. Ma le parole del Consolo nè per me, nè per lui giovarono appresso quel Barbaro, il quale solamente col suono dell’argento si sarebbe piegato alle nostre dimande.

Si offese gravemente il P. Villot, che il P. Domenicano fusse andato dal Preschet a dir tai cose: onde adirato venne a dirmi la sera, che ogni uno facesse il meglio che poteva, perche egli co’ compagni avea il Firman per potere passare in Persia. Io gli risposi, che attendesse pure a’ fatti suoi, perche Iddio non avrebbe mancato di darmi il suo ajuto. Sin dalla mia partenza d’Italia avea preveduto, e m’era preparato a soffrire pazientemente tal sorte dì travagli; onde [p. 434 modifica]senza punto sbigottirmi, determinai, quando non potessi per Arzerum, tornare in Trabisonda, e di là passare in Persia per la Georgia.

Essendo andato il Venerdì 14. a udir la Messa da’ medesimi Padri Gesuiti, vidi prima partire il Fratello Manfredi, e poi ritornare colla risoluzione favorevole del Mussellin; quale udita dal Padre Villot, mi disse: Monsieur Gemelli, l’affare è accomodato per 25. ducati; toccheranno due zecchini di parte vostra, per passare in Persia. Avrei potuto io rispondere, che non avendomi la sera antecedente voluto comprendere nel loro trattato, avea preso altro ricapito: e che quella cortesia la mi facea per risparmiare; giacchè il Mussellin tanto volea per tre, quanto per cinque: ad ogni modo non volendo mostrarmi signoreggiato dall’interesse, dissi che avrei volentieri pagata la mia parte; ciò che con gran difficultà fece il Domenicano.

Dopo desinare il Nazar, o protettore de’ forestieri, ch’era stato avvisato dal Musseliin suo fratello, mandò a chiamare il Manfredi; e fece gran rumore, che noi non eravamo partiti. Rispose quegli, che aveamo ottenuto licenza di [p. 435 modifica]partire per Persia. Nò, rispose il Nazar, partirete per Trabisonda con la Caravana, ch’è già pronta. Conoscendo il Manfredi che il fin di costui era d’aver anche egli parte del nostro danajo, gli disse che il dì seguente sarebbe ritornato colla risposta. Volle però il Cielo, che il Sabato 15. essendo sopraggiunta novella ad amendue i fratelli, che il Bassà avea mandati altri in luogo loro; eglino occupati tutti in non voler dare a quelli il possesso, non si ricordassero più di tal fatto.

Verso la sera mandò il Mussellin a chiamare qualche Padre, che sapesse la favella Turchesca; acciò gli facesse l’esplicazione d’alcune Carte Geografiche, dategli dal rinegato Laironiere, il quale non sapea fargliela. Vi andò il P. Villot, il quale soddisfattolo appieno delle notizie di parte dell’Asia (senza però che il Turco capisse molto) fu interrogato, dove avea appresa la lingua Turchesca; ed avendo risposto: in un’anno, che dimorai in Costantlnopoli, replicò il Mussellin, che non avria potuto in un solo anno parlarla così bene. Cadendo adunque in acconcio di parlare della nostra causa, soggiunse il Padre: per qualche tempo mi trattenni anche in questa Città, e fu [p. 436 modifica]appunto allora, quando furono scacciati tutti i Religiosi: ciò che mi par d’udire, che vogliate fare un’altra volta, con tutta l’ordinanza del G. Signore. Ripigliò il Mussellin: perche non andate a far la Missione in Alemagna? perche gli Alemani sono nemici del nostro Re (rispose il Padre) e ne ucciderebbono, e perciò vegniamo in questi paesi di amici. Andarono poi insieme dal Cadì (uomo che per la sua prudenza avea occupate le prime cariche dell’Imperio, in tempo del Sultano Mehemet) ed avendo esplicati anche a lui molti paesi dell’Asia, volle quegli sapere se gli ballava l’animo di fare una consimil Carta in lingua Turchesca, ed in quanto tempo: dettogli di sì, e che in una sola settimana; lo rimandarono a casa, dicendogli che si restasse, e la facesse.

Or dovendo restare il P. Villot, si mandarono la Dom. 16. al Mussellin 8. zecchini per mezzo del fratello Manfredi: dopo di che il Chiajà mandò a cercarne degli altri, ed affrettarci alla partenza; facendoci sapere, che anche il P. Villot finita la Carta dovea partire. Il Nazar chiamò di nuovo il Lunedì 17. il fratello Manfredi, acciò ne dicesse che volea essere [p. 437 modifica]anch’egli regalato, nè più nè meno dì suo fratello; ma all’uno, e all’altro si diedero solamente buone parole, e speranze, che non doveano giammai venire a fine. Vennero oltreacciò l’istesso giorno nel karvanserà due servidori del Nazar, a cercarmi da parte di lui una veste. Io che compresi essere questa loro invenzione; per non mandargli via mal soddisfatti, sì che pensassero a nuocermi, promisi loro una piastra di regalo, da riceverla per mano di Mr. Preschet dopo che sarei partito; acciò non mandassero altri compagni a far lo stesso.

Vedendomi da ogni canto esposto a ladronecci e furberie, risolvei di partire all’improviso senza Caravana, con tutti i rischi del mondo: stimando meglio io, e’ Padri ponerci in camino coll’incertezza d’esser rubati per istrada da ladri, ma colla libertà di poterci difendere; che rimanere in Città come tanti agnelli in balia de’ lupi, senza poter dire le nostre ragioni. Quindi presi in affitto i cavalli a 4. piastre l’uno, segretamente ci disponemmo ad uscir da Arzerum.