Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. II/Libro II/IX

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Cap. IX

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Libro II - VIII Libro III

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CAPITOLO NONO.

Descrizione del Palagio di Dario, e di altre

rovine dell’antica Persepoli.


C
Onciossiecosa che molti per dritto intendimento estimino, non esser cosa nel Mondo, che desti maggior maraviglia nel petto de’ curiosi, che ciò che rimane ancora in piedi della magnificenza dell’antica Roma; v’ha nondimeno Taluno ch’afferma, tutto ciò esser nulla a comparazione delle Piramidi d’Egitto, e dell’opere, che si veggono sino al dì d’oggi d’Alessandro. Ma coloro i quali son passati più oltre viaggiando, han giudicato, che nè le Romane cose, nè quelle di Egitto, o d’Alessandro ponno stare appetto delle ruine di Persepoli, e fra le altre del Palagio di Dario. Quindi da ragionevole curiosità mosso, pigliai ad affitto il Mercordì 15. due cavalli (per me, e per lo servidore) a ragione di tre Abassì il giorno; e postomi in cammino feci 20. miglia prima di giugnere al fiume, e ponte, che s’appella di Polixan. Quivi erano Rattar, ma discreti, e non molestatori de’ passaggieri come que’ di [p. 242 modifica]Tauris. Dal ponte in poi, lasciate le montagne, camminammo per vie paludose; e fatte 15. miglia, un’ora prima che tramontasse il Sole, smontammo nel Karvanserà del Casale di Mirxascon, discosto mezza lega dal Palagio di Dario.

Il Karvansedar volle sapere dal mio Servidore a qual fine io vi era andato, e saputane la cagione, gli disse: Se il tuo Signore saprà leggere una certa Iscrizione, ch’è nel Palagio, troverà un gran tesoro; ma se nò, stia sicuro, ch’entrando in una grotta, rimarrà morto. Da queste parole intimorito l’Armeno, quando io volli la mattina del Giovedì 16. andare a vedere quelle antichità, s’ostinò in tal modo a non voler venir meco, che non feci picciola fatica, a far che rimanesse almeno un miglio discosto a guardare i cavalli.

Per non tenere dunque più a bada il cortese leggitore, egli si dee sapere, che questa gran fabbrica giace appiè d’un’alta montagna, dominante un piano lungo più di 30. miglia, e largo 20. dove si crede che fusse già la famosa Persepoli. Il suo prospetto riguarda Occidente, ed è lungo 500. de’ miei passi: il lato Settentrionale 400. il Meridionale 250. da Oriente ha la montagna in vece di muro. La [p. 243 modifica]figura, come dalla misura stessa può scorgersi, è irregolare, e potria rassomigliarsi a una Fortezza; perché quantunque non abbia Torri, come si costumava in tempo della sua edificazione, ha nondimeno per ciaschedun lato diversi angoli di distanza in distanza, con bellissima simmetria disposti, che chiamar si potrebbono, come mezzi baloardi, giusta i proprj termini dell’Architettura militare. Le pietre, di cui è composta la fabbrica, sono d’una grandezza prodigiosa; e vedesi apertamente essere state tagliate nella vicina montagna, sì per lo comodo della vicinanza, come per render piana la sommità della medesima, et adeguarla al Palagio. Le mura, che rimangono in piedi del primo piano sono incrustate di marmo nero, ed alte dove dieci, dove venti, e dove trenta piedi.

Dal lato di Mezzodì si vede al di fuori scolpita un’Iscrizione (in un vano lungo 15. palmi, e largo 7.) di un carattere, che non v’ha oggidì persona intendente nel Mondo, che possa per alcun conto tentar di leggerlo. Egli non è Caldeo, non Ebraico, non Arabico, non Greco, nè di alcuna di quelle lingue, delle quali s’ha contezza da’studiosi; ma solamente [p. 244 modifica]triangoli di diversi generi diversamente situati, dalla cui varia combinazione erano forse formate varie parole, ed espressi varj sentimenti. La opinion più ricevuta vuole, che sia carattere degli antichi Gori, che signoreggiarono la Persia; ma nè anche ciò può di facile affermarsi, essendo oggidì i Gori stessi ignorantissimi delle loro antichità, ed inetti a darne qualche sorte di giudicio.

La scala maggiore del Palagio è nel lato Occidentale; però non è giustamente nel mezzo, ma alquanto verso Settentrione, dalla parte del Villaggio di Mirxascon. Ella si divide in due, ciascheduna delle quali tiene da una parte la muraglia, dall’altra una balaustrata del medesimo marmo: nel mezzo parimente d’ogniuna (essendo tutte due d’un medesimo lavoro, e grandezza) è un piano quadrato della larghezza della scala, dove si può riposare; e girando quindi all’altra simile si viene a salire sopra il primo piano, in forma tale che viene a fare la scala, tre delle quattro parti del circolo; e per due parti opposte, cioè da destra, e da sinistra conducono circolarmente amendue sul primo piano, com’è detto. A me non pare, che vi siano [p. 245 modifica]parole atte a spiegarne la magnificenza, perocchè se si considera la larghezza, ella è di ben 30. piedi; se l’agevolezza, ella è tanta, che per salire 22. piedi Geometrici di altezza, vi sono 95. gradini. Quanto alla bellezza delle pietre, elleno sono lunghe 30. e 35. palmi l’una, e profonde a proporzione; sicchè in una medesima sono tagliati talvolta 6. e 7. gradini: e se pure in qualche parte era rotta, vi fù con tale arte il manchevole collocato, che difficilissima cosa si è a qualunque occhio, per molto perspicace che fusse, rintracciarne la giuntura: e di qui nasce che a’ meno intendenti sembrano quelle scale, o fatte d’una sola pietra (che fora stato impossibile) o tagliate nella rocca. S’aggiunga a ciò, che tanto elleno, quanto le muraglie, sono d’un marmo nero così duro, che ha potuto resistere per tanti secoli alla voracità del tempo; e conservarne le maravigliose vestigia di sì pregievole, ed incomparabile opera.

Dal piano quadrato, ove terminano le due scale, si entra in un portico di marmo bianco, largo 20. piedi. L’Architrave oggidì è caduto; però da’ pilastri che rimangono in piedi si scorge, essere stato [p. 246 modifica]con tanta maestria, e proporzion disposto, che difficil cosa mi pare, potersi trovar reliquia di fabbrica Romana, che in alcun modo agguagliar se gli possa. Vi sono scolpite di basso rilievo due fiere grandi come Elefanti, che sporgono le teste in fuori, come se riguardassero le scale suddette. Elleno sono una capricciosa invenzione dello scultore, o pure qualche simbolo degli antichi, per dinotar l’Imperio Persiano, e Medo; avendo i corpi, come di cavalli; i piedi, e le code bovine, lunghe e rivolte in sù come quelle de’ Lioni.

Venti palmi più oltre, sulla stessa linea, si veggono due colonne scanalate, co’ loro capitelli e basi, d’una pietra che sembra bianca, ma inclina alquanto al rosso. La loro altezza (senza il capitello e base) sarà d’intorno a 70. piedi; e la grossezza tale, che appena può essere abbracciata da tre uomini; noverandosi in ogn’una di esse 40. canaletti, larghi tre pollici l’uno. In simigliante distanza per dritto sono due altri pilastri, scolpiti bene e minutamente come i primi; con questa sola differenza, che gli animali intagliati negli ultimi sono alati, ed hanno il capo umano rivolto verso il lato [p. 247 modifica]della montagna. Sopra ciascheduno di sì fatti pilieri sono intagliate tre Iscrizioni dello stesso carattere, che in tutto fan dodici.

Passato questo atrio (che tale lo dimostrano la disposizion delle colonne, e pilastri) si vede dal lato destro una simigliante doppia scala, che conduce agli appartamenti superiori. Ella si è meno larga (essendo di 25. piedi) e più brieve anche delle prime; però incomparabilmente più bella, e magnifica: imperocchè nelle sue mura, e parapetti si vede scolpito di basso rilievo come un Trionfo, consistente in una gran comitiva di persone in diverse foggie bizzarramente vestite, le quali portano, chi bandiere, e chi doni da offerire. In fine viene un carro tirato da molti cavalli, che ha un picciolo altare, dal cui mezzo esce una fiamma. Potrebbe dirsi con qualche fondamento, che questa fusse una pompa di sacrificio, poiche sappiamo (spezialmente da Erodoto) che gli antichi Persiani adoravano il fuoco; anzi che i Re lo menavano in un magnifico carro con esso loro, allor che givano in guerra: e forse quei, che dissi esser doni, sono cassette d’aromi, che il perito Scultore finge, che se gli portano [p. 248 modifica]dinanzi, per bruciarvegli di quando in quando. Dall’altra parte si veggono scolpiti combattimenti di fiere; e fra essi tocca l’ultimo segno di perfezione, quello d’un Lione con un Toro, la di cui ferocità è così bene rappresentata, che la natura stessa par che vi rimanga confusa; tanto maggiormente, che per la durezza della pietra, ogni più dilicato, e sottil lavoro perfettissimamente sta conservato.

Montata questa seconda scala si truova un luogo quadrato, circondato di colonne, di cui 17. solamente restano in piedi delle cento, che da’ piedestalli s’argomenta esservi state: e ad alcune mancano eziandio i capitelli. Sono però scanalate, e d’un pezzo intero di marmo, mischio di bianco e rosso, alcune alte 60. altre 70. piedi; e dodici di esse simili di circonferenza alle 2. notate di sopra. L’ordine che riguarda però la campagna, e le due verso la montagna sono più ordinarie dell’altre. Dicono che queste sostenessero il Tempio del Sole, nè senza apparente ragione; però non può affermarsi certamente cosa alcuna per l’ignoranza de’ Persiani intorno alle loro antichità.

Allato delle suddette colonne, nell’istesso piano, si vede un luogo di 50. passi in [p. 249 modifica]quadro, chiuso di mura grosse 6. o 7. piedi; dove per l’addietro erano molte camere d’un marmo assai più fino del descritto fin ora, e in sì maravigliosa maniera lavorato, che saria stato d’uopo trattenermi molti giorni per considerarne distintamente le figure, e mesi a volerle disegnare. S’entra in questo luogo per quattro porte, fatte di eccellente lavoro, et adorno de’ più leggiadri, e vaghi fogliami, che l’arte possa immaginare M. A. Baudran. Geograph. to. 2. verb. Persepolis.; ed in qualche parte eziandio d’Iscrizioni, nel carattere di sopra mentovato. Di queste camere oggidì restano in piede solamente le mura (alte 24. piedi) perche le volte sono tutte andate in rovina: vedendosi tutto il pavimento occupato dalle pietre, che ne sono cadute, e da bellissimi lavori di marmo, che in parte l’adornavano. Le finestre riguardavano nel cortile, o sul primo piano; e se ne veggono molte di passo in passo tre piedi larghe, e sei alte, e tre piedi parimente alte dal solajo.

Da per tutto ove si volge lo sguardo dentro questo secondo piano, rimaso in essere a dispetto delle ingiurie de’ tempi, si veggono scolpite varie figure di basso, e mezzo rilievo: spezialmente in un luogo di 15. palmi in quadro (vicino alla [p. 250 modifica]descritta colonnata, che mostra aver servito di sala) in alcune parti osservai scolpiti uomini, che combattevano con Lioni, o che tenevano Monoceronti per lo corno; o stavano con coltelli in mano (a guisa degli antichi gladiatori di Roma) in atto di uccider le fiere, che teneano già prese colle forti, e nerborute braccia: altrove erano Principi, che givano come in trionfo accompagnati da numerosa Corte: in due lati opposti, due figure di Giganti per parte: in altri luoghi, Principi seduti in atto di ricevere ambascerie, o pure in atto di camminare sotto spaziosi parasoli.

Nelle mura, che restano in piedi dal lato di Mezzodì (ch’è il più elevato del piano) oltre varj sassi per terra, si vedono scolpiti Principi portati in sedia, e cortigiani appresso, che loro sanno ombra co’ parasoli. Sono altre statue con vasi in mano, ed uomini, che conducono animali come montoni, che senza alcun dubbio dinotano pompa di sacrificio. Non lungi in un pilastro dell’istesso marmo nero, si vede un’Iscrizione dell’istesso carattere, ed un’altra in una simil pietra; le quali io vedendo, e riandando per lo pensiero le altre vedute, presi fra [p. 251 modifica]me stesso a considerare, quanto siano ingannevoli i giudici umani, e quanto spesso tutt’altro accada di quello, che l’uom si propone; poiche la dove per mezzo di quelle scritture pensava l’Autore far rimanere eterna la sua ricordanza appresso i posteri, (e certamente, che la bellezza dell’opera lo meritava) indi appunto tutto a contrario par che avvenuto ne sia.

Nella parte interiore, e propriamente nel mezzo del Palagio, è l’Anfiteatro per gli spettacoli delle fiere, e di altri combattimenti; siccome dalle figure, che in varie sue parti si veggono intagliate di mezzo rilievo, apertamente si può discernere (se pure il giudicio non m’inganna) cioè a dire persone, che colle fiere combattono con coltelli nelle mani, ed altre, che lottano con Lioni. Vi si veggono anche che Principi seduti con bastoni nelle mani, o che camminano coperti da un parasole. Altre figure portano in mano vasi, altre lancie, e taluna tocca una sampogna, come quella, con cui si dipinge il Dio Pane, di sette canne insieme ed ordinatamente congiunte. Potrebbe essere, che tutte queste figure fussero ivi state poste per semplice ornamento; però la [p. 252 modifica]situazione del luogo, e la simmetria mi fan credere, che abbia servito (com’è detto) per gli spettacoli. Questa fabbrica non è più che 50. de’ miei passi in quadro, ed è situata, come tutte l’altre descritte sin’ora, dalla parte d’Occidente.

Prima di passare oltre non dee tacersi, come oltre la perfezion del disegno, e del lavoro di tante diverse figure testè mentovate, sono elleno anche degne di considerazione per la varietà degli abiti; poiche alcune hanno la barba sì lunga, che giugne sino alla cintura, e i capelli per lo contrario, che appena arrivano al collo: altre hanno in testa una berretta rotonda e piatta, e la veste lunga sino a’ talloni, larga, copiosa di pieghe (simile appunto a quella de’ Senatori di Vinegia) e con maniche sì larghe, che l’apertura scende sino al ginocchio; e tengono in piede come zoccoli di legno. Altre figure differiscono da quelle solamente per la berretta; perche l’hanno d’una maniera più rilevata sulla fronte. Altre hanno la barba, e’ capelli più corti, e le berrette più alte. Vi sono anche intagliati servidori, che portano bastoni, con code di cavallo attaccate all’estremità, per cacciar le mosche. Sopra tutto è [p. 253 modifica]degno di particolare osservazione, come fra tante centinaja di figure, in sì grande edificio contenute, non ve ne sia pur una di donna: e in secondo luogo la durezza, e lucidezza del marmo, che senza ricevere alcuna alterazione, stassene come ora lo Scultore avesse compiuto di lavorarlo; e pure qual unico miracolo di natura, sono presso a tre mila anni Phil. Briet. Annal. to. 3. lib. 5. cap. 3. pag. 292., che egli è in tale stato, non potendosegli dar minore antichità di quella della Monarchia degli Assirj, o per lo meno de’ Medi; benche alcuni stimino quegli abiti più antichi assai, ma senza niun fondamento Philip. Ferrar. Lexicon verb. Persepolis..

Andando un tiro di moschetto in su verso il monte, si truova una facciata di trenta piedi in quadro, tagliata nell’istessa rocca, con figure di marmo bianco incastrate, però di più basso rilievo delle suddette. Vedesi nella parte superiore un Personaggio in piede, con arco in mano, riguardante un’Idolo (che tiene il corpo di uomo, e’ piedi di mostro) portato in trionfo. Da presso gli stà un fuoco, che arde in una conca, e un Mondo scolpito. Sotto si vedono uomini, che col capo, e colle mani alzate sostengono questa macchina; e più in giù varj [p. 254 modifica]animali. Tutte queste figure umane tengono capelli corti, e barba lunga; e portano, una spezie di berretta detta Cauch, simile a quella de’ Turchi, però senza Sessa. Sotto questa facciata è tagliata una bassa volta, dentro la quale entrato, con la pancia per terra, trovai due sepolcri tagliati nell’istessa rocca, e coperti di due pietre lunghe sette palmi, e larghe tre: erano però pieni dell’acqua, che distilla dalla stessa volta Incerti Authoris Asiæ descrip. l. 5. cap. 13.. In questo luogo si stima nascosto il Tesoro Regio; benché la particolar grotta, che diceva il Karvansedar, sia stata fabbricata per ordine del Kan della Provincia, a cagion delle persone, che vi andavano continuamente a cavare, per tentar la loro fortuna.

Due tiri di schioppo verso Mezzodì, all’istessa linea, e sulla medesima rocca si vede un’altra simile facciata, con figure affatto simili, e con simile volta cavata sotto; nella quale però in vece d’una, sono tre separazioni, con un sepolcro per ciascheduna, coperto della medesima pietra, però senz’acqua dentro.

Cento passi fuori del Palagio, parimente verso Mezzodì, sta in piedi una Colonna, come le notate, che tiene per base l’istessa rocca; ma a quale uso ella [p. 255 modifica]servisse, non è facile il giudicare.

I Persiani chiamano tutta questa maravigliosa fabbrica sin’ora descritta Celmonar, overo 40. Colonne (perocchè Cel significa 40. e Monar Colonna) e sebbene oggidì non ve ne sono in piedi che 20. dee nondimeno giudicarsi, che quando tal nome le imposero, non 20. ma 40. ve ne fussero, e che poi siano state in parte rovinate dal tempo, o tolte per uso d’altre fabbriche. Alcuni Baudran. lex. Geogr. v. Persepol. ricorrendo a troppo favolosi principj, dicono che fusse edificata da Perseo figliuolo di Giove, e di Danae, da cui ebbe nome la nazione Persiana.

Stimano altri, che queste ruine siano d’un famoso Tempio fabbricato da Assuero sulla falda d’una montagna, che si stendea sin dentro l’antica Persepoli: altri vogliono che sia il Palagio di Dario, ma non sanno dir di quale, per l’antichità della tradizione; e noi come che la loro opinione è la più verisimile, bisogna che la seguitiamo, coll’istessa incertezza Thevenot. voyag. de Levant. 2 p. liv. 3. p. 7.. In fatti osservando io que’ marmi, e fra gli altri i diaspri, con vestigia di fuoco (che altro, per la lor durezza, non ha fatto, che offender la superficie) mi venne in mente, quel che gli antichi Scrittori [p. 256 modifica]registrarono Maillet. descript. de l’Univers. tom. 2. pag. 172., che ubbriaco una volta Alessandro, pose fuoco nella Reggia di Dario, ad istigazione di Taide sua concubina, che volle vendicati gl’incendi fatti in Atene sua Patria da Serse, e Dario Quint. Curt. lib. 5. pag. 55. Stephan. de Urbibus v. Persepolis.. Cadde in questo errore Alessandro circa gli anni del Mondo 3724. ma i naturali indegni affatto di scusa, l’hanno anch’essi fatto dapoi diverse volte Gran. Diction. de Moreri v. Persepolis..

Tutti quelli i quali averanno vedute sì belle, e superbe memorie della venerabile antichità, non avran dubbio a credere insieme l’antichità, e pregio della Città di Persepoli; poiché quantunque la Scrittura Santa, e’ profani Scrittori non ci diano conoscenza, che dall’antichità di Ninive, e di Babilonia, non perciò si dee dire, che non vi possano essere memorie più antiche: oltre che sono le preziose, e quasi eterne reliquie di Celmonar, e della Città di Persepoli, così avanzate nell’Oriente, che poco sono state frequentate dagli Europei, et ignote a gli antichi Storici, per poterne dar le notizie, che la frequenza degli stranieri in quelle parti ha poscia dato alla Repubblica delle lettere.

Bastevole argomento di ciò esser potrebbe Memphis, la quale non cedeva [p. 257 modifica]nè a Ninive, nè a Babilonia; così per l’antichità, come per la riputazione, ch’avea per tutto il Mondo, a cagion della lunga, e non mai interrotta serie de’ suoi Re: e nondimeno che gran conto ne fanno gli antichi Scrittori? Certamente poco più che mezzano: e se non fusse che di presente gli Europei fanno spessi viaggi in Egitto, e maraviglie narrano di quelle immense Piramidi (che in fine altro non sono che gran mucchi di pietre, testimonj più della potenza, e ricchezza, che dell’ingegno degli Autori) chi di grazia ne farebbe quel gran concetto, che se ne fa? Or se ugualmente fusse la Persia dagli Europei frequentata, quai lodi non si dariano alle reliquie di questo veramente Real Palagio Ambassade de D. Garzias de Silua de Figueroa en Perse pag. 160., in cui par che l’arte abbia fatto l’ultime pruove in vincer la natura, colla bellezza degl’intagli; e la natura dal suo canto in apprestar degna materia a sì fatto lavoro? Io per me son di parere, ch’egli non solo dovria essere stato annoverato con le sette maraviglie, per cui tante parole spesero gli antichi Lexicon Geograph. Philip. Ferrar. verbo Persepolis., ma che non vi sia stata, ne sarà mai maraviglia al Mondo, che possa in alcun conto stargli al paragone

Che quivi fusse l’antica Persepoli, non [p. 258 modifica]può cadere in questione, considerato che s’abbia il suo fertilissimo sito, e la vicinanza del fiume Arasse (oggi Bendamir) presso al quale gli antichi la collocarono. Oltreacciò gli Autori, che ne favellano dicono, che 400. passi distante dalla medesima, in una montagna chiamata Monte Reale, sono i sepolcri de’ suoi Re tagliati nella rocca; ciò che manifestamente si scorge doversi intendere de’ sepolcri poco prima da me descritti, che pur nella viva rocca verso Oriente intagliati si veggono: e così anche quando eglino favellano del palagio bruciato da Alessandro il Grande (nell’ultima rovina del Persiano Imperio) e della Cittadella di Persepoli Figueroa al luogo cit., forza è, che il mentovato abbiano avuto in mente. Gran disavventura, che le più belle memorie dell’Asia, fra sì barbare nazioni ne giacciano Lexicon Geograph. Philipp. Ferrar. verb. Persepolis., che proccurano ridurle al niente, per togliere a’ forestieri l’occasione di penetrarvi.

Non sarebbe di mestieri far tante conghietture, se legger si potessero gli sconosciuti caratteri delle iscrizioni, che sono in più luoghi del palagio. Tutti gl’intendenti, che si credevano poterlo fare, sono poi rimasi delusi; nè s’è trovato [p. 259 modifica]pur uno, che ne avesse avuto qualche contezza. Ciò non mi reca alcuna sorte di maraviglia; e penso, che quando l’Imperio Persiano passò in potere d’altre Nazioni, i nuovi Re per togliere affatto dal cuore de’ naturali ogni rimembranza delle loro antiche grandezze, e l’inchinazione al loro leggittimo Signore, avessero anche vietato l’uso dell’antico carattere; introducendo nuovi abiti, nuovi costumi, e nuova forma di scrivere, affinche i figliuoli almeno meglio s’assuefacessero a soffrire il novello giogo.

Questa Politica è così bene in uso oggidì, come ne’ trasandati tempi. E’ poco più di mezzo secolo, che la Cina geme sotto il duro giogo de’ Tartari; e questi, benche ignoranti, incivili, e di costumi brutali, pure s’affaticano di far dimenticare quella virtuosa Nazione de’ suoi antichi costumi, e dell’ ottima forma del suo Governo; avvegna che conoscano la insuperabile resistenza de’ Cinesi, a gran ragione fermi conservatori delle loro giuste leggi, e maniere gentili.

Parimente se si porrà in mano degl’Indiani delle Filippine una scrittura del loro antico carattere (simile a quello della Cina) certo è, che non si troverà nissuno [p. 260 modifica]oggidì, che sappia leggerlo; perche tutti s’applicano alla lingua Spagnuola. Or quanta maggior difficultà dovranno trovare i Popoli della Persia, dopo migliaja d’anni dalla caduta del loro Imperio, in leggere l’antiche scritture?

Ben meritarebbero sì preziose reliquie dell’antichità esser’intagliate distintamente in rame, per diletto de’ virtuosi, prima che per colpa de’ naturali finiscano d’andare in perdizione; ma troppo dura impresa si era di far disegnare più di due mila bassi rilievi, e grave spesa porgli in istampa. Si contenterà dunque il cortese lettore d’avere delineata la pianta del Palagio, con alcune delle principali figure; acciò s’abbia qualche contezza della diversità degli abiti degli antichi Persiani: e di più due righe, delle dodici, che compongono l’iscrizione del pilastro del primo piano; forse per l’avvenire alcun più fortunato indagatore delle lingue Orientali vi trovasse campo di far pompa del suo ingegno.

Avendo utilmente impiegato tutto il dì in vedere, e notare distintamente la miglior parte di tali anticaglie, finalmente me ne ritornai; e appena giunto al luogo, dove avea lasciato il servidore [p. 261 modifica]Armeno, sentii dal medesimo interrogarmi, se avea ritrovato il tesoro; credendo egli, che le iscrizioni fossero in lingua Portughese, e che io le avessi lette, e pigliato poscia il tesoro, siccome gli avea detto il Karvansedar: ciò che mi fece rider di voglia per tutto il cammino.

Montato adunque a cavallo feci ritorno in Mirxascon. Per istrada uccisi nel lago uno stravagante uccello, bianco di colore, che rosseggia un poco sotto l’ale: egli ha le gambe alte, i piedi d’oca, e’l becco lungo più dilicato nella superiore, che nell’inferior parte: i Portughesi lo chiamano Flamengo.

Dormii la notte del Giovedì 16. nel medesimo Karvanserà; e la mattina del Venerdì 17. ben per tempo cavalcai per Sciras. Incontrai nel cammino tre ladri presi da’ soldati del Kan di Sciras in Mirxascon, per aver rubati, ed uccisi sulla strada pubblica più, e più viandanti. Venivano condotti con un legno biforcato nel collo, et inchiodato come un triangolo; ciò che fece venirmi in mente il legno anche biforcato, che ponevano i Romani antichi a’ loro schiavi trovati in qualche errore; onde presso i Comici così sovente furciferi vengono appellati. Al [p. 262 modifica]grosso del medesimo legno ogni uno teneva bene stretta la mano destra, per mezzo d’un legno curvo, sicchè impossibile si era trarnela fuori. Un poco più avanti vidi una macchina per trar su l’acqua negli orti, differente assai dalle nostrali; perche là dove nelle nostre il cavallo, o mulo gira all’intorno, ivi un bue tirava una corda per dritto.

Prima di terminar questo capitolo non debbo passare in silenzio il P. Amodeo. Egli, mentre facemmo dimora a Sciras, non volle che noi spendessimo, per non offender le leggi dell’ospitalità; ma dall’altro canto era sì grande la sua parsimonia, che non solo la sua mensa non ebbe mai virtù di satollarci, ma ne amareggiava per lo più il palato coll’ingrato sapore delle vivande. I polli che rimanevano la mattina, s’apprestavano un’altra volta per la sera; e se non si mangiavano per lo dispiacevole gusto, di nuovo la mattina seguente compariva allesso a tavola, quel che il dì antecedente se ne era tolto arrostito: e così il buon Religioso, che gran Peripatetico si era, tentava dopo la forma cadaverica, introdurre infine nella non più comestibile materia la forma di paglia, per mezzo del fuoco; e [p. 263 modifica]peggio ancora se non seguiva giorno di magro. Per ultimo compimento dell’opra ne dava a bere un licore, che ugualmente sarebbe stata mensogna il chiamarlo o vino, o aceto. Per altro egli avea fama di buon Religioso, e di vita esemplare; però per la sua miseria non era mai stato riputato a proposito da’ Superiori per governare Conventi (come dicono) formali; considerando, che i Religiosi avrebbon potuto pericolare della fame sotto la sua cura. In fatti nell’Ospizio esercitava il suo zelo per l’astinenza sopra un povero Religioso Polacco suo compagno, e settuagenario, facendogli fare in età così cadente aspri digiuni: ma con noi ben sapeva il Padre Amodeo, che non sariano rimase senza premio le sue cortesie; ed in realta ebbe dal Padre Francesco un Toman (che sono 19. scudi) per cinque cattivi dì, che facemmo penitenza nella sua tavola; e pure non seppe, o non volle moderare la naturale avarizia.