Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. III/Libro I/I

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Cap. I

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Libro I Libro I - II
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CAPITOLO PRIMO.

Descrizione di Daman, Città de’ Portughesi

nell’Indostan.


G
Iammai peregrino, dopo avere assai lungo spazio di tempo, in lontani paesi mille travagli sofferto; non ebbe tanta, e sì gran letizia, in vedersi lotto il patrio tetto, in mezzo a’ cari amici, delle vedute cose ragionare; quanta lì fu quella, che per l’arrivo nell’Indostan il mio [p. 2 modifica]animo del nojoso navigar turbato, ebbe forza di raddolcire. Se il racconto delle pregievoli cose in quel ricco paese, per comodo dell’umana vita, dalla Natura allogate, infinito diletto arrecar ne suole; pensate qual dovea essere il mio in vedendomi sul punto, d’averle co’ proprj occhi a discernere, ed a presenzialmente prenderne isperienza. Avuto adunque in Daman albergo nel Convento degli Agostiniani, e riavutomi in parte dal disagio della navigazione, mi diedi il Martedi 11. di Gennajo 1695. a far calare le mie robe dal vascello. Tanta e sì grande fu la gentilezza del Fattore di Portogallo, che se nel Congo non furono riconosciute per rispetto del Soprantendente; in Daman mercè di lui non s’apersero nè anche le mie valige. Egli con parole oltremodo cortesi, disse: che il suo desiderio fora stato, che io vi avessi portato il valore di cento m. scudi, che come forestiere, nè anche mi avria fatto pagar dritto di dogana; perche se stato fussi Portughese, mi saria stato d’uopo pagare il dieci per cento (che pur troppo avrebbe importato a dire il vero) a quei Gentili, che teneano in affitto la dogana. In fatti, quando io raccontai questa [p. 3 modifica]generosità del Fattore al Padre Francesco, mi disse: che con tutto che egli fusse Religioso, ed avesse portate due balle di tappeti di Persia, per servigio della sua Chiesa; pure i Doganieri glie le aveano ritenute, volendo il dritto, che loro apparteneva. Mi adoprai quindi io col medesimo Fattore per fargliele restituire; rappresentando il gran merito del Padre Francesco, e la stima, che in Ispahan ne faceano tutti i Grandi; onde in fine colle mie preghiere riebbe le balle.

La Città di Daman è situata a sinistra del fiume di tal nome, a 20. gradi di elevazione di Polo. Quantunque ella sia poco abitata, è nondimeno assai bella, e fabbricata alla maniera Italiana. La dividono per lungo tre spaziose strade parallelle, e quattro altre per traverso; disposte con tal simmetria, e proporzione, che gli angoli delle case (che sono per lo più isolate) non sporgono un palmo in fuori più l’uno dell’altro: è ben vero, che la maggior parte delle abitazioni sono in piano, e poche quelle, che hanno appartamenti superiori, e generalmente coperte di tegole. In vece di vetri, tengono gli abitanti alle finestre scorze d’ostriche, [p. 4 modifica]delicatamente lavorate, e trasparenti. Ogni casa ha il suo giardino di frutta.

L’aria di Daman si è ottima, essendo più Settentrionale di Goa; e quantunque abbia la State, e’l Verno nello stesso tempo, che Goa, e tutta la Costa (essendo in tempo della mia dimora, per tutti quei luoghi Estate; e da Maggio per tutto Settembre Inverno, con continue pioggie, e tempeste) nulladimanco, in quel tempo, che io dissi Estate, si sente qualche poco di fresco la mattina, ciò che non si sperimenta in Goa.

E’ questa piazza di quattro moderni, e bene intesi baloardi; però alquanto irregolare, nè molto ben provveduta d’artiglieria. Il circuito è di due miglia, senza fosso dalla parte Orientale, e Meridionale, ma con un basso muro, o falsa braga a petto d’uomo. Nell’altre parti, l’acqua entra nel fosso per un braccio del fiume, verso il quale sono due porte, e la prima con ponte levatojo: nel rimanente le mura della Città sono terrapienate.

E’ governata quanto al Politico da un Capitano, e nel Militare vien custodita da buona guarnigione. Del patrimonio, o Azienda Reale ne ha cura il [p. 5 modifica]soprammentovato Fattore. Vi abitano Portughesi, Mestizzi (che sono nati di padre bianco, e madre nera) Gentili, e Mori; non si permette però a queste due ultime spezie l’esercizio pubblico di loro Religione. Vi sono molti Conventi assai ben fabbricati, cioè quello de’ PP. Gesuiti, de’ Riformati, degli Agostiniani, e la Chiesa Parrocchiale; però in niuna d’esse vi sono più che tre Altari dirimpetto la porta. Le abitazioni di questi Monasterj sono anche comode. Quello di S. Agostino, dove io dimorava, avea un’ottimo Chiostro quadrato, con dodici colonne di buona pietra, oltre i quattro pilastri degli angoli: nel dormentoro superiore si veggono 28. altre colonne più picciole.

Tutto ciò ch’è detto appartiene a Daman nuovo; ma il vecchio è alla destra riva del fiume suddetto, malamente composto di basse case (per non dir tugurj) coperte di rami di palme, e fabbricate con loto. Quivi vivono per lo più i Gentili, e Mori, tenendovi loro botteghe di varj mestieri, lungo le mal concie strade.

Fra la Città vecchia, e la nuova è il porto, formato dal medesimo fiume Daman; però non possono entrarvi barche [p. 6 modifica]nè grandi, nè picciole, se non nella crescenza dell’acque, in sei ore del giorno (com’è detto nel libro precedente) alla maniera che sono in Fiandra i Porti di Oltenden, Cales, ed altri di quell’Oceano. La corrente è sì rapida quando l’acque mancano, che non può per alcun conto passarsi a remi; ma è necessario dar fondo (purche non vi sia un gran vento favorevole), e attendere l’altra della credenza. Questo s’intende per le barche di poco carico; perche i vascelli grandi non possono entrare, nè uscire che due volte il mese, cioè quando la Luna è nuova, e quando è piena; perche all’ora è più grande l’alterazione, che riceve il Mare, e’l crescere dell’acque; onde i naturali hanno in costume di chiamarle grandi mareggiate.

L’ingresso di questo porto vien difeso da un picciol Castello, posto nel terreno di Daman vecchio. Egli è di figura bislunga, con tre bastioni provveduti di bastevole artiglieria. Dalla parte Settentrionale della Città si à posto un picciolo Borgo, con capanne coperte di palme, ed abitate da’ Neri Cristiani; e poco indi lontano un Casale di Gentili, con un Bazar. [p. 7 modifica]

Martino Alfonso Sosa nel 1535. prese, e distrusse Daman in tre dì P. Maff. Histor. Indie. pag. 252. lit F.: D. Costantino.... figlio del Duca di Braganza V. Re d’India, la ritolse nel 1559. dalle mani di Asid Boseta Abyssino (che occupata l’avea ribellandosi al suo legittimo Signore) e la ridusse a buona difesa. Ha tentato più volte il G. Mogol di farne acquisto; particolarmente cinquanta cinque anni sono vi andò Oranzevo Alanguir (poi XIV. Re) ad assediarla con un’esercito di 80. m. soldati; però la difesero sì valorosamente i Portughesi (con continue sortite di notte facendo notabile stragge de’ nemici) che l’obbligarono, dopo un’assedio di sei mesi, a partirsene con la perdita della metà di sua oste. Ciò avvenne, perche avendo voluto i Mogoli far l’ultimo sforzo, per espugnarla, e disposti perciò ducento agguerriti Elefanti nella vanguardia, con lunghe, e taglienti spade nelle proposcidi; atterrite le bestie dal fuoco degli archibusi, e moschetti Portughesi, si diedero disordinatamente a fuggire fra l’esercito Maomettano; tagliando a pezzi gran numero di persone, coll’istesse armi, di cui per danneggiare i Cristiani, erano stati armati. Ridotti a pessimo stato i Barbari, [p. 8 modifica]fabbri del lor proprio male, i Portughesi ritiratisi nella Piazza, cominciarono per beffa a tirar sul campo nemico porcelletti (tanto abbominati da’ Maomettani) per mezzo del Pappagallo, ch’è un’ingegno dì carta (ottenuto da cannuccie, che ajutato dal vento si porta in aria, e vien governato da una corda.

Si mantengono con molta splendidezza i Portughesi nell’Indie; così nella mensa, come nel vestire, e nel numero de’ Cafri, o schiavi a loro servigio; facendosi da alcuni di quelli portare il Palanchino, e da altri grandi parasoli di foglie di palme. Il Palanchino è come una bara di legno dipinta, e dorata, lunga sette palmi, e larga quattro, con due ben lavorati ripari da capo, e da piedi. Dentro vi pongono un tappeto di Persia, e sopra un cuojo di Moscovia (per non riscaldarsi le reni) e due origlieri coperti di seta, sopra i quali va la persona distesa. Vi stanno poi attaccate le corde, o pure annelli di ferro, per cui si passa il Bambù, o canna d’India ben grossa; che poscia si recano in spalla i Neri, due avanti, e due dietro in fila; essendo pochi coloro, che si sanno portare da due. Colui, che va dentro, vien coperto da un parasole d’otto palmi [p. 9 modifica]di diametro, portato da uno schiavo, o pure attaccato al medesimo Bambù, che traversa il Palanchino, e quindi può voltarsi, e calarsi dalla parte, donde viene il Sole. Usano per la pioggia un’altra sedia chiamata Andora, che si cuopre con un cielo (fatto a forbice) di foglie di palmera, poste sopra l’istesso Bambù: vi sono anche due porticciuole a’ lati, che ponno aprirsi, per vedere chi va per istrada. Non differisce in altro l’Andora dal Palanchino, che nel Bambù; perche quello lo tiene curvo, acciò sieda comodamente chi vi và dentro; o l’Andora dritto: sicchè bisogna andarvi disteso, come in un letto. Egli sarebbe in vero un’agiato camminare su quei morbidi origlieri, a un dilicato, ed effeminato Europeo, che avesse a noja gli sbalzi delle sedie portatili Napoletane, e volesse insieme sicuro della persona viaggiare, e dormire. Sono quivi comunemente usate da donne, Religiosi, e da ogni altro genere di persone; non veggendosi mai in India un Religioso di qualità andare altrimenti, che in Andora, o Palanchino, accompagnato da molti servidori, per la scarsezza de’ conversi. La spesa per altro è molto tenue, perche [p. 10 modifica]chi non ha schiavi, non paga altro a’ quattro Indiani, che lo portano, che in tutto e per tutto dodici carlini il mese della nostra moneta di Napoli.

Quando però si va in campagna, o si fa cammino di più giornate, si usa una carozza tirata da Bovi, i quali vengono guidati con una corda passata loro per entro le narici. Sono queste carrozze quadrate (come una sedia) e capaci di 2. persone: solamente il cielo suol’esser coperto di tela; tre de’ lati aperti, e quello della spalliera, chiuso di cannuccie intessute.

Non si mangia carne, che vaglia in Daman; perche la porcina, e quella di vacca è di mal sapore; molto di rado si macellano pecore, e capre; e le galline non ponno tutti comprarle. Il pesce parimente è poco, e di non molto buona qualità; al che s’aggiugne, che non v’ha olio d’olive per apparecchiarlo, ma in iscambio si servono di quello di Cocco. Il pane solamente è ottimo, anche quello, che fanno di riso. Quindi un forestiere, che in Daman non sta ospite di qualchuno, ha mal fatto i fatti suoi, se spera col danajo trovar qualche cosa in piazza; perche la nobiltà tiene le sue [p. 11 modifica]provvisioni in casa; e la plebe se la passa col riso, e Sura (cioè vino di palme) rade volte assaggiando pane in tutto l’anno.

Frutta delle spezie d’Europa non ve n’ha d’alcuna sorte, ma tutte Indiane, come cocchi, mangas, figos, papayas, caramblas, mansanas, giambos, undis, ananasas, atas, anonis, ed altre, che a lor luogo si descriveranno, con le figure. Per l’erbe, ve ne sono molte Europee, e molte del paese; fra le quali ottime sono le radici d’una detta Cassaràs, simili a’ tartufi bianchi, e della grandezza, e sapore della castagna.

Grande si è anche la rinomanza di Daman per la cacciagione; perche oltre i molti animali Europei, come cinghiali, lupi, volpi, e lepri; vi sono ne’ monti alcuni detti Baccareos, limili nella figura a’ daini, e nel sapore al porco; Zambare, che tengono il corpo di bue, e le corna, e piedi di cervo; Gazelle, che sono come capri; Dive, come volpi; Rose, col corpo di vacca (così dette da una Rosa, che hanno nel petto:) di questa spezie il machio vien detto Merù, ed ha le corna lughe mezzo palmo, e’l corpo, e la coda di cavallo: lupi cervieri con corna pelose; cervi d’Europa; gatti selvaggi neri, [p. 12 modifica]che tengono ale di vispistrello, e volano, e saltano d’un’albero in un’altro, benche molto distante; vacche, e cavalli selvaggi. Tigri ve n’ha di tre spezie, cioè Bibò, Citò, e Reale, ciascheduna differente dall’altra nella grandezza del corpo, e varietà delle macchie. Come che elleno vanno sempre mai in traccia de’ cinghiali; questi dalla natura insegnati a difenderli, si voltolano nel fango, e si asciuttano al Sole tante fiate, sin che quella scorza sia divenuta ben dura. In sì fatta guisa armati, invece di rimaner preda, sbranano sovente, coll’acute zanne, le Tigri; imperocchè dando elleno coll’unghie nell’indurito fango, lunga pezza si dibattono per trarnele fuori; e così danno tempo al Cinghiale di ucciderle.

I Portughesi usano di cacciar le Tigri in due maniere: l’una è, ponendosi in» aguato dentro un fosso, vicino l’acqua, dove denno venire a bere; l’altra, andando in una carretta, tirata da bovi lentamente per lo Bosco (che lo permette il terreno, e l’altezza degli alberi) ed indi tirando sulle fiere. S’ingegnano però con ogni studio di colpirle nella fronte, perche se al primo colpo non rimane la Tigre abbattuta; tale è la sua fierezza, [p. 13 modifica]accresciuta poi dal dolore della ferita, che s’avventa, e sbrana senza fallo il cacciatore.

Oltre i quadrupedi, si truova nelle selve gran quantità di pavoni, pernici di due sorti, anitre, colombe, tortore, rondini, cornacchie, ed altri uccelli d’Europa. Per passatempo se ne tengono in gabbia alcuni detti Martignos (grandi quanto un tordo) di Città, e di campagna. I primi sono neri, e bianchi; i secondi hanno le penne a color di cenere e’l petto rosso.

Egli fa di mestieri nell’Indie esser molto regolato nel vitto, perche altrimente si cade in infermità incurabili; o che si curano (all’uso del paese) solamente col fuoco; la sperienza avendo insegnato M. de Thevenot. Voyag. des Indes ch. 10 pag. 319., non essere ivi giovevoli le medicine Europee. Quel male, che si chiama Mordazin, porta seco febbre, vomito, debolezza di membra, e dolor di testa. Egli vien cagionato sempre dal mangiar troppo, e si guarisce bruciando con uno spiedo infocato amendue le calcagna, sino a tanto che l’infermo senta l’ardore del fuoco. Quello che si dice Bombaraki e Naricut, fa enfiare, o doler forte la pancia; e per curarlo medesimamente s’adopera il fuoco sulla parte enfiata; [p. 14 modifica]onde coloro, che hanno fortuna dì restarne liberi, si veggono poi co’ segni del fuoco sulla pancia. Quindi i Medici, che vanno in quelle parti da Portogallo, bisogna che sul principio s’accompagnino co’ Cerusici Indiani, per renderli pratichi; altrimente curando col metodo di Europa quei morbi, assai diversi da quelli del nostro clima, forz’è, che ne uccidano più, che non ne sanano. Per temenza adunque di sì fatte infermitadi, ne’ giorni di grasso solamente la mattina si mangia carne, e la sera universalmente pesce.

Il vestire de’ Portughesi, che nell’Indie hanno stabilito lor domicilio, e de’ loro figliuoli, è ben goffo; portando sotto la sciamberga una spezie di brache, appellate Candale, che io non ho giammai vedute simili in tutta Europa; imperocchè dapoi che sono ligate, lasciano sopra la gamba come una tromba di stivale. Altri sotto un giubbone corto usano calzoni, e brache larghe di tela; e taluno alla marinaresca sino al collo del piede, sicchè servono insieme di calze.

I Gentili poi portano una lunga verte di tela, come ciamberlucco; ma con pieghe alla cinta, a guisa di gonna. Si [p. 15 modifica]lega, con nastri dinanzi al petto, e sotto il braccio sinistro, come la cabaya de’ Persiani; e di sopra con una cintola: di sotto portano brache lunghe sino a’ piedi. Sulle spalle hanno una tovaglia di tela o di lana, colla quale avvolgono il capo quando fa freddo; essendo ben picciolo il loro turbante. Altri però vanno nudi, coprendosi solamente con un poco di tela le parti vergognose.

Le donne non hanno altra veste, che una lunga tela, colla quale cuoprono tutto il corpo, fuorche le gambe, e parte della pancia. Alcune vi aggiungono una camiciuola, con mezze maniche; ornando le nude braccia di maniglie, e cerchi di vetro, o d’ottone; l’orecchie di grandi pendenti d’argento; e i piedi d’annelli dell’istesso metallo.

Il Mercordì 12. andai a visitare il Fattore del Re, essendogli molto tenuto per le cortesie ricevutene. L’istesso giorno per passatempo andai col Padre Costantino a Daman vecchio. Il Giovedì 13. andammo a spasso in un giardino de’ PP. Agostiniani (tanto gli ospiti, quanto i Religiosi, ed altri) in cinque carrozze del paese. Il Padre Francesco fece la spesa, e ne diede un lauto desinare. Nel [p. 16 modifica]ritorno vidi nella marina fabbricarsi una barca detta Galavetta, in cui poneano chiodi di legno, e poi bambagia nelle commessure.