Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. III/Libro I/VI

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Cap. VI

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CAPITOLO SESTO.

Descrizione della Città di Goa, e suo delizioso

Canale.


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Oa è situata a 15. gr. e 20. m. di latitudine, e 104. di longitudine, dentro una Isola di nove leghe di giro, sopra il fiume di Mandova, che sei miglia più sotto entra nel Mare. Si stende la sua pianta lungo il canale, per due miglia di luogo ineguale, non avendo che mezzo miglio di larghezza. Ella è posta sotto la Zona Torrida, che gli antichi Filosofi stimarono inabitabile, per l’eccessivo ardore de’ raggi Solari: ma la Provvidenza Divina, che tutte le cose con somma regola dispose, l’ha mitigato con le continue pioggie; che cadono in tale copia dal mese di Giugno, sino a Settembre, e Ottobre, che la piena dell’acque serra il porto, ed impedisce la navigazione; oltre l’oscurarsi per settimane intere il Cielo dalla densità delle nuvole. Quando poi [p. 75 modifica]cessan le pioggie, al comparire del Sole si rende intolerabile il caldo. Egli suol’essere perciò fervente nel mese d’Aprile, e Maggio, quando il Sole è più verticale, e le pioggie non sono ancora cominciate.

Alfonso Alburquerque tolse senza spargimento di sangue Goa all’Idalcan nel 1508. P. Maff. hist. Ind. lib. 4. p.100. lit. P. e 105. lit. C innalberando un Padre Domenicano lo stendardo della nostra Santa, Fede. Riprese poscia la Città l’Idalcan; ma nel 1510. glie la ritolse l’Arburquerque, con la stragge di sette mila Barbari; e vi fece fabbricare una Fortezza (siccome un’altra in Malaga, che poi perde nei 1641.) Considerando poscia la bontà del paese, e la comodità del luogo, la stabilì Capo, e Sede dell’Imperio Indiano.

Per renderne poi, coll’amore de’ sudditi, più sicuro il possesso al Re Emanuele, moderò il tributo, ch’essi pagavano all’Idalcan; e per aver bastevoli soldati per uso della guerra, dispose: che le Vergini Indiane si battezzassero, e s’unissero in matrimonio co’ Portughesi; acciò gl’Indiani prendessero ad amare la nazione, e non fusse d’uopo sempre nuova soldatesca far venire, e spopolare il Reame di Portogallo. [p. 76 modifica]Crebbe Goa (centro di tutti gli acquisti Portughesi) in sommo splendore, e ricchezza, per esser divenuta la chiave di tutto il commercio d’Oriente, e’l primo Emporio dell’Indie. Bastevole testimonianza ne rende il circuito delle sue mura, che si dilatano ben quattro leghe, co’ loro ben disposti Bastioni, e Forti; che dalla Chiesa di Nostra Donna de Deos per dodici miglia (lungo i Castelli di San Biagio, e San Giacomo) vanno a terminare nella Polveriera; fabbrica certamente, che non ha potuto farsi senza infinita spesa; siccome le altre, che sono dalla parte del canale (che separa il Dominio Portughese da quello del Mogol) incominciando dal Forte di San Tommaso, e terminando dopo tre miglia, in quello di S. Cristofano. Potrebbe dire alcuno, che quelle ultime fortificazioni siano erette per custodia de’ confini, e direbbe il vero; però le prime mura non si fecero ad altro fine, che per difendere, e chiudere la Città, siccome mi disse il Signor V. Re Marchese di Villa Verde un dì, ch’ebbi curiosità di saperlo; parendomi non esser di mestieri mura così ampie in una Città così fatta.

Egli è vero bensì, ch’al dì d’oggi non [p. 77 modifica]è quella, che fu per l’addietro; imperocchè con le perdite considerabili, che fecero i Portughesi nell’Indie, allor che impiegate tenevano le loro forze nella guerra domestica; mancò affatto il traffico, e cadde dall’antica magnificenza, e ricchezza; anzi ad estrema miseria venne ridotta.

Le abitazioni sono le meglio fabbricate d’India; però non vi saranno di presente, che 20. mila abitanti di differenti nazioni, abiti, e Religione. La minor parte è di Portughesi, che vengono con qualche carico, e poi vi si stabiliscono con matrimoni; imperocchè le donne Indiane per la mala qualità di quelli, che nascono in India, si maritano più volontieri con un povero soldato Portughese, che con un ricco loro paesano; benche nato di padre, e madre parimente Portughesi.

I mestizzi sono in maggior numero: e si chiamano tali coloro, che nacquero da’ Portughesi, e donne Bramine, colle quali si congiunsero in matrimonio dopo l’acquisto di Goa; e benche le Canarine fusser nere, col tempo poi si andò (co’ seguenti matrimonj con bianche) facendo men’oscuro il colore. La quarta [p. 78 modifica]parte quasi de’ Cittadini sarà di mulati, cioè nati di nera, e bianco.

I Canarini sono Cristiani, neri come Etiopi, però con capelli lunghi, e volto ben fatto. Così in Goa, come nell’Isole; molti ne sono Sacerdoti, Avvocati, Proccuratori, Scrivani, e Sollecitatori di cause, diligentissimi nel servigio de’ lor Signori. Essi traggono loro origine da differenti schiatte di Gentili; secondo la nobiltà, o bassezza, delle quali han continuato i costumi. La maggior parte discendono da’ Bramani, Baniani, e Ciarados; e questi sono d’ottimo intendimento, docili in apprender le scienze, perspicaci, accorti, e pronti; e perciò non v’ha persona, che non proccuri di averne in casa per servidori.

Per lo contrario quelli, che sono di stirpe bassa, come quelli di Langotì, sono il roverscio della medaglia. Non si truovano in tutt’Asia i maggiori ladroni, e scherani, nè i più menzogneri, e mal Cristiani. Vanno nudi, coprendo solamente le parti vergognose con un pezzo di tela (detto Langotì) che per mezzo le coscie passando dietro, vien ligato da una cordella, che vien dalla cintura. S’esercitano a lovorare il [p. 79 modifica]terreno, a pescare, remare, portar l’Andora, ed in altri vili mestieri; però, come dissi, sono così inchinati al furto, e rubano con tal destrezza, ch’è impossibile, che alcun se ne avvegga.

Se la miserabil vita, che menano fusse per amor di Dio, sarebbono in vita annoverati tra’ Santi. Eglino dormono ignudi giorno, e notte sulla nuda terra; si nutriscono di un poco di riso, che va a nuoto nel piatto; giammai gustando pane a’ lor dì, fuor che in qualche grave infermità. Tutto ciò vien cagionato dalla lor pigrizia; perche appena avranno un poco di riso, per sostentarsi una settimana, che lasciano la fatica; vivendo da poltroni sin che dura.

Di quelli Canarini narrano i Portughesi, che sul principio del loro scoprimento, andarono a consigliarli co’ loro Idoli (cioè a dire col Demonio) per sapere quello, che far dovessero colla nuova gente, che gli avea soggiogati: e fu loro risposto, che con essa non la potevano a viva forza; ma che a gl’impertinenti Portughesi, fingendo di non intendergli, dassero acqua quando dimandavano pane, e riso quando cercavano vino. La sperienza fece conoscere falso il [p. 80 modifica]consiglio dell’Oracolo; imperocchè i Portughesi trovarono subito il modo di guarirgli dalla sordità; prendendo un Bambù (canna durissima d’India) e battendogli sì terribilmente, che poscia ad ogni cenno servivano a volo. E veramente nel tempo che stiedi in Goa, sperimentai, che la canna suddetta oprava maraviglie; poiche battendogli intendevano i pensieri, e servivano prontamente; ma comandandogli colle buone vi si perdeva il tempo. Sono cotanto in grado le battiture a questi miserabili, che in esse ripongono una parte del piacere amoroso; imperocchè sposati, si pongono amendue gli sposi nel duro letto, e vengono i parenti, e convitati a battergli, e fargli di sì belle asinine carezze, che ne rimangono ben conci per un pezzo.

Il maggior numero de’ Cittadini, e mercanti di Goa è d’Idolatri, e Maomettani; che abitano in quartiere separato, e senza l’uso pubblico di loro Religione. Degli uni, e degli altri si parlerà appresso diffusamente. Vi sono anche Cafri, o Neri in gran numero; perche vi sarà Portughese, che ne terrà 30. e 40. o almeno dodici, o sei; per farsi portar l’ombrella, e l’Andora, e per altri [p. 81 modifica]vili esercizj di casa: nè loro costa altro il mantenergli, che un piatto di riso la mattina, e un’altro la sera; perche circa l’abito, hanno quello, che trassero dal ventre delle madri. Questi schiavi sono portati a vendere in Goa, e in tutto il Dominio Portughese da’ vascelli di Lisboa, o d’India (che dicono della Giunta) che gli comprano in Mombas, Mozembique, Senna, ed altre parti della Costa; perocchè essendo quelle nazioni in guerra fra di loro, si fanno schiavi da amendue le parti, che poscia vendono a’ Portughesi. Vi sono anche di quelli, che astretti dalla necessità, danno i loro Padri per lo solo prezzo d’un zecchino; ed altri, che venuti in disperazione, barbaramente vanno da se stessi a venderli. Moltissimi vi sarebbono di costoro, se non avessero scioccamente appreso, che in Goa gli riducono in polvere. Or perche si comprano a vilissimo prezzo, come sarebbe a dire per 15. o al più 20. scudi di Napoli il miglior che si truovi; non è gran fatto, che ve ne sia tanto novero, e che i Tavernari medesimi ne tengano per vendere il vino; oltre i Canarini, di cui per altri mestieri si servono.

Eglino sono di Religione Idolatri, [p. 82 modifica]facilmente però abbracciano la Fede Cattolica; nè bisogna molto faticare per ridurgli, poiche si rendono alle prime parole, e ricevono il santo Battesimo con fermezza, e buona volontà.

Per lo contrario quei della Coda d’Africa dirimpetto le Spagne, sono di pessima natura. Truovansi fra di loro alcuni, che oltre il mangiarsi l’un l’altro; quando tuona, scoccano freccie inverso il Cielo, sfidando brutalmente Dio a pugnare con esso loro.

Or’i Neri, di cui ragioniamo, avvegnache barbari di volto, hanno talora l’animo cosi gentile, e nobile, che piacesse pure al Cielo, che ogni Cavaliere Europeo l’avesse tale. Governando D. Francesco di Tavora Conte d’Alvar (che poi fu Viceré in Goa) nel Regno d’Angola, venne una fiata a visitarlo il figlio d’un Re confinante; e sapendo che la nazion Portughese era superstiziosa sul fatto de’ complimenti, e che sarebbe ricevuto all’impiedi ( come seguì) menò seco due schiavi, ben’istrutti di quello che far doveano. In fatti giunto in camera del Governadore, nè vedendo alcuna sedia recare; fece porre i due schiavi carpone, e sopra di essi s’assise. Ammirò il [p. 83 modifica]Portughese la bizzarria del Cafro, ed ordinò tantosto, che venissero sedie. Finita la visita restarono in casa del Conte i due schiavi: e detto ciò al lor Signore dalle genti del Conte, affinchè gli richiamasse, rispose: che egli non avea in costume di portar via le sedie, sopra le quali sedeva.

Nel medesimo Regno d’Angola furono fatti prigioni di guerra due fratelli del Re de las Pedras dalle armi di Portogallo. Costoro condotti in Lisboa, veggendo in una visita fatta al Marchese di Marialva, non recarsi sedie; se le tirarono colle loro mani, e sederono: dicendo al Marchese, ch’egli era Marchese, ed essi Principi.

Siccome ne’ Principi, e Nobili albergano generosi pensieri, così nella plebe valore, ed accortezza (a differenza de’ Neri della Costa contraria) imperocchè eglino con deboli armi atterrano gli Elefanti, ed i più feroci Lioni. Per cacciare il primo, fanno un’angusto calle, per lo quale conducono, con varj artificj, a passar la bestia; e quella poi da sopra un’albero feriscono destramente con una zagaglia. Da tal ferita renduta esangue, e caduta finalmente a terra, vi accorrono tutti gli abitanti del vicino Casale; e tanto vi [p. 84 modifica]dimorano sotto tende, finche s’abbian tutta la carne divorata. Altri trovato l’Elefante a terra disteso, vi monta su, e lo ferisce con un lungo pugnale; tenendosi ben forte sino a tanto che non è morto: ciò che non può farsi da chi non ha gran cuore.

Uccidono poi i Lioni quasi per giuoco; imperocchè vedendone alcuno errante per lo bosco, s’avanza un di essi con due piccioli bastoni in mano; e postone uno nella branca del Lione, con l’altro prende a scherzarvi. Intanto l’altro nero, che gli stà vicino, con gran destrezza, prende la fiera per gli testicoli; e così poscia l’uccidono a colpi di battone. Parimente, quando vogliono, che il Lione abbandoni qualche vacca predata, se gli avvicinano, e salutanlo alla maniera, che in Africa si fa alle persone di maggior conto: cioè, sendendosi a terra di fianco, tenendo un piede alto, e facendo nello stesso tempo rumore colle mani, e colla bocca. Tanto mi narrarono comunemente i Portughesi: sia ora in arbitrio di chi legge prestarvi credenza; perche io non affermo per vere le cose, che non ho vedute.

A proposito di questi Neri, egli è da sapersi, che in Africa ve n’ha, che si [p. 85 modifica]chiamano Nudoy, Macua, così fieri, ed inumani, che mangiano la carne de’ nemici presi, od uccisi in battaglia. Vanno tutti nudi fuor che nel sesso: s’increspano le folte chiome, avvolgendole ad alcuni piccioli legni, che gli fanno deformi come diavoli: dormono in campagna sopra alberi, accostumati a questo periglioso letto, per temenza delle fiere, delle quali è pieno il Parse. Dall’altro canto non v’ha parte del mondo più ricca d’oro; imperocchè in alcuni Regni si truova eziandio sopra terra, senza che bisogni d’andarlo cercando fra le caverne; onde in vece di chiodi di ferro alle volte s’adoprano d’oro.

Per ritornare (dopo si lunga digressione) a Goa Tavernier. Vojag. des Ind. liv. 1. chap. 13., il suo porto vien comparato a’ migliori del nostro gran Continente, come sarebbe a quello di Costantinopoli, e di Tolone. Ed in vero oltre le doti di natura, l’ingegno Portughese si è molto adoprato a renderlo perfetto, e munito con molte Castella, e Torri di assai buona artiglieria provvedute; imperocchè a sinistra entrandovi, sulla punta della Isola di Bardes, è una buona Fortezza detta de l’Aguada, con buone fortificazioni, e cannoni a fior d’acqua: [p. 86 modifica]sopra la sommità del Colle (presso al canale) si vede una lunga muraglia, da per tutto fornita di cannoni; ed all’incontro il Castello, detto di nostra Signora del Capo, fabbricato nell’Isola di Goa. Due miglia dopo entrato il canale, sopra» l’Isola di Bardes, è un’altro Castello detto de los Reyes con buone fortificazioni, ed artiglieria a fiord’acqua; e quivi quando vengono i Signori V. Re prendono il possesso. Vicino la medesima Fortezza è un Convento di Padri Francescani. Dirimpetto, ed a tiro di cannone è il Forte di Gaspar Diaz; non essendo che due miglia distante da quello de los Reyes.

Passate queste Castella, il Canale si va ristrignendo dove uno, e dove due miglia; e sono così vaghe le differenti prospettive, che fanno le sue rive adorne delle migliori frutta, ed alberi d’India, che più belle non ponno immaginarsi. Oltreacciò vi sono bellissime case di delizia, appellate Quinte, e varie abitazioni di Contadini.

Durerà questa vistosa scena otto miglia sino a Goa. A mezza strada dalla destra riva si truova un Palagio detto Passo di Daugì, dove per l’addietro abitavano i V. Re: oggidì serve di [p. 87 modifica]quartiere a’ Soldati della guarnigione. Indi comincia uno spazioso muro, lungo due miglia, acciò possano passare i pedoni, quando la corrente innonda il terreno; e vi si raccoglie quantità di sale. All’incontro quello muro, o Diga, è un colle, sopra il quale i PP. Gesuiti tengono il Noviziato. Nel medesimo canale il V. Re tiene il suo Palagio (detto la casa della Polveriera) come anche l’Arcivescovo. Quivi comincia la Città, e ponno giugnere i vascelli, lasciando una parte del carico.

Quello Canale, onde vien formato sì famoso porto, si dilata per più miglia dentro terra; tagliando il Paese in varie fertili Isole, e Penisole, che non solo, colla fecondità del loro sempre verde terreno, portano l’abbondanza a’ Cittadini; ma colla diversità tanto grande degli alberi, recano diletto al palato, che no gusta le frutta, piacere all’occhio de’ riguardanti, e profitto alla borsa de’ Nobili, che ne sono per lo più i padroni. In somma la placidezza, ed amenità di questo Canale può dirsi emula del nostro Posilipo; sì perle mentovate vaghezze, come per lo numero delle barche, che vi vanno a di porto.

Contiguo a quello Porto è quello di [p. 88 modifica]Murmugon, formato dall’altro Canale, che corre fra l’Isola di Goa, e Penisola di Salzette; per dar sicuro ricovero a’ Vascelli, che vengono da Portogallo, ed altre parti, dapoi ch’è impedito loro l’ingresso dall’arene, che porta il fiume Mandua, fatto gonfio dalle prime acque di Giugno; non aprendosi il varco sino al mese d’Ottobre. E’ guardato questo Porto di Murmugon dal Castello di tal nome, posto nell’Isola di Salzette, con buona Artiglieria, e Presidio.

Da questi due canali, che si congiungono in S. Lorenzo, vien formata, per lungo da Levante a Ponente, l’Isola di Goa, in 27. m. di circuito contenente 30. Casali. Entrandosi adunque in porto, si lascia a destra la Penisola di Salzette, che avrà 60. m. di giro, e 20. di lunghezza, con 50. m. anime in 50. villaggi, ove i PP. Gesuiti amministrano i Sacramenti. A sinistra è l’altra Penisola di Bardes, dove sono le fortezze dell’Aguada, e Reys. Ella sarà 15. m. lunga, e 45. di giro, con 28. Casali, governati nello spirituale da Preti.

Il Sabato 26. essendo andato in Dogana, per trovare il Capitano della Manciuca, e dirgli, che i suoi soldati mi aveano tolto dal forzieretto uno [p. 89 modifica]sciamberghino, e le posate d’argento; vidi il servidore del Padre Francesco condotto prigione, per aver parlato immodestamente al Doganiere, a cagion delle robe del padrone. A mia richiesta fu liberato; dopo di che con molta compitezza mi disse il Doganiere, che se io teneva roba, la mi facessi portar via senza riconoscersi; cortesia che non s’usa nelle nostre Dogane a’ forestieri.

Dopo desinare andai a vedere , ch’è la Chiesa Arcivescovale. Ella è ben grande a volta (con tre navi, formate da dodici pilastri) tutte vagamente adorne di stucchi, come anche le cappelle. La sedia Arcivescovale stà dentro il Coro, non molto elevata dal suolo. Il Palagio è magnifico, e grande, con vaghe loggie, ed ottimi appartamenti, per quello, che permette l’India; però l’Arcivescovo per l’aria dimora in quello, che dicemmo essere sul canale vicino la casa della Polvere. Pochi passi discosta dall’Arcivescovale è la picciola Chiesa della Misericordia.

La Domenica 27. fui due miglia lontano dalla Città, a vedere il Convento de’ Padri Riformati, sotto il titolo della Madre de Deos. I dormentori sono grandi, [p. 90 modifica]e vistosi; e i giardini forniti di varie frutta d’India, e d’Europa. La Chiesa se non è molto grande, è bella, con tre Altari ben dorati; uno nel mezzo con balaustrata, e due a’ lati. Nel giardino, dov’è l’Eremita di San Girolamo, si vede un vivajo con buoni pesci.

Vicino questo Convento, nel luogo detto di Daugì, principia la muraglia, che quando la Città era in fiore, nel secolo passato, i Portughesi fecero lungo il Canale, per guardarla dall’invasione de’ nemici. Sarà quattro miglia lunga, stendendoli sin’a S. Blas, Forte di S. Giacomo, e S. Lorenzo, con Torrioni in convenevoli spazj, forniti di piccioli pezzi di artiglieria.

Nel ritorno entrai a vedere il Convento, e la Chiesa di S. Domingo. Esse è a tre navi, formate da sei colonne per fianco. Le sue volte sono dorate, particolarmente quella del Coro, dove da per tutto oro scintillar si vede. L’Altar maggiore, e le Cappelle sono altresì bene ornate. Il Convento poi è magnifico, per le lunghe volte de’ dormentori, Chiostro, ed altri capacissimi luoghi, che bisognano a una gran famiglia di Frati. I giardini sono anche ottimi, e belli. [p. 91 modifica]

Desinato ch’ebbi, andai a vedere il Convento di S. Agostino, situato sopra un’eminenza, che domina la Città. Per un’ampia scala si saglie al frontispicio della Chiesa, dove sono due alte Torri con ben grandi campane. S’entra quindi nella Chiesa, ch’è ad una nave a volta, adorna di buoni stucchi. Così gli Altari delle otto Capelle laterali, come il maggiore, con due altri allato, sono tutti riccamente dorati. Il magnifico Coro è stimato in alto sopra la porta maggiore. Quanto al Convento v’ha buono Chiostro con smisurati dormentorj, ed infinite celle: s’aggiugne a tutto ciò la bellezza de’ sempre verdi giardini, adorni de’ più belli alberi, che produca l’India.

Vicino a quello Convento è il Collegio per gli Novizj, con convenevole Chiesa, ed abitazione.

La picciola Chiesa de’ PP. Teatini è fabbricata sul disegno di S. Andrea della Valle in Roma. Quattro pilastri sostengono la cupola, adorna di stucchi, come il rimanente delle volte. Così l’Altar maggiore, come le bellissime Cappelle a’ lati, si veggono ben dorate. Il Coro sta sopra le tre porte dell’ingresso. Il Convento è anche picciolo, con un giardino vicino. [p. 92 modifica]

Il Lunedì 28. il P. D. Salvadore mi fece assaggiare la radice del Sagù, cotta in latte di Cocco, e zucchero. Sebbene apprestata ha sembianza di colla, è nondimeno di gran nutrimento, e sapore. Ella viene da Malaga, e dall’Isola di Borneo, stritolata in grani minuti come miglio, e di color bianchiccio.

Il Martedì primo di Marzo ritornò il V. Re dalla visita della Costa Settentrionale; giunsero dalla Cina due vascelli, trattenuti lungo tempo in viaggio per temenza degli Arabi; ed io andai in San Francesco de’ Padri dell’Osservanza, ch’è una delle migliori Chiese di Goa: imperocchè quantunque picciola, sembra nondimeno tutta una massa d’oro; tanto ne stà sparso nell’Altar maggiore, nel Sepolcro, per riporvi il Signore nel Giovedì santo; e nell’otto cappelle, che son allato della nave. Il tetto è ingegnosamente adorno di stucchi.

Il Collegio de’ Padri Gesuiti, detto di S. Rocco, tiene una picciola Chiesa con sei cappelluccie: però la casa è grande, e capace di 70. Padri, che vi abitano; non essendone nella Casa Professa più di 25.

Santa Monica, delle Religiose Agostiniane, è una Chiesa a volta, con tre [p. 93 modifica]Altari ben dorati. Qui vi si vede un Crocifisso miracolosissimo. In questo Convento morì con fama di santità Suor Maria di Giesù; alla quale si trovarono i segni delle Stimmate, ed in testa come punture di spine; di che si prese informazione dall’Arcivescovo.

Passai dopo desinare in San Paolo, prima Chiesa fondata da’ Padri della Compagnia nell’Indie, onde ebbero il nome di Paulisti. L’abbandonarono poi per la cattiva aria, e per esser fuori della Città; onde di presente vi stanno due soli Padri. Come che serviva per l’addietro di Collegio per gli studj; i dormentorj, che stanno in piedi, sono magnifici. Nel giardino sono due alberi di Giacchere, ed altri di Manghe, fattivi piantare da S. Francesco Saverio. Vi si vede parimente una Cappellata, fatta in ricordanza dell’estasi, che in quel luogo ebbe il Santo. Or’in questa Chiesa, benche magnifica per lo passato, non si vede oggidì che l’Altar maggiore, con due piccioli per ciaschedun de’ lati. Quivi s’istruiscono i Catecumeni; per gli alimenti de’ quali dà il Re 400. pezze d’otto l’anno.

In India tutti i Cristiani portano la Corona al collo, come i Religiosi. I [p. 94 modifica]Gesuiti in luogo della berretta da Prete, ne portano una lunga, e rotonda, che si dilata nella sommità.

La Cruz de Milagre è una Chiesa fabbricata sopra il monte, in un luogo, dove per lo passato essendo posta una Croce di legno, in un piedestallo di pietra; si narra, che miracolosamente 74. anni sono il Crocifisso si trovò colle spalle voltate a Goa; la quale dall’ora in poi ha molto perduto del suo splendore.

Il Mercordì 2. di Marzo andai in San Tommaso, Chiesa de’ Padri Domenicani, molto ben fabbricata alla riva del Canale. Vi sono sette Altari; e’l Convento è bello, e ben grande, ed abitato da 25. Frati.

San Bonaventura de’ Padri di S. Francesco dell’Osservanza è poco quindi distante. Tiene una picciola Chiesa, e mezzani dormentorj: ed è là prima, che fusse fabbricata in Goa, in onor di San Francesco da Eduardo Manesio.

L’Ospedale di Goa non è molto grande P. Maff. hist. Ind. lib. 1. p. 184 lit. B., e malamente governato, quantunque il Re gli dia 400. pezze d’otto l’anno. Vi muojono perciò, e perla pestilente aria del paese, migliaja d’infermi, e spezialmente di miseri soldati Portughesi. [p. 95 modifica]

Il Giovedì 3. mi posi in Andora, ed andai in Nostra Signora del Pilar, posta sopra un colle, sei miglia lontano dalla, Città. Quivi è lo studio de’ Padri Riformati. La Chiesa sebbene picciola, è bella, con tre Altari dorati. Nel ritorno essendosi ubbriacato un Bue, (o facchino) de’ quattro, che portavano l’Andora, mi fu d’uopo farla portare da’ villani, che incontrava per istrada; ubbedendo essi prontamente in vedendo il bastone.

Deesi sapere, che tutti i Conventi così di Goa, come di tutte l’Indie Portughesi, hanno dalla pietà del Re assegnamenti detti Quarteles, più o meno, secondo la quantità de’ Religiosi, che vi sono.