Gismonda da Mendrisio/Atto quarto

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Atto quarto

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Atto terzo Atto quinto
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ATTO QUARTO


SCENA I.


GISMONDA, ERMANO.


Gismonda.Cura secreta, Erman, tu volgi: parla.
Ermano. Consólati, Gismonda; all’arrogante,
Vicino è il precipizio.
Gismonda.                                              E che! Del Conte
E d’Ariberto uno è il voler: signori
Essi, non tu, qui sono. Apparecchiata
È la difesa, molte l’armi, il core
Di tutti gli abitanti: inespugnato
Contro a ben altre forze il castel fòra.
Ermano. Eppur.... da tali forze.... ed in brev’ora
Preso sarà.
Gismonda.                          Che dici?
Ermano.                                              In queste sale
Vivo od estinto a’piedi miei prostrarsi
Dovrà il fellon.
Gismonda.                                   Qual sogno mai t’illude?
Celatamente nel castel presumi
Forse gli Svevi addur?
Ermano.                                                   Sì
Gismonda.                                                       Nella possa
Ciò d’uom non è, da tai fedeli al Conte
Guardate son le porte.
Ermano.                                                   Un sotterraneo
È non guardato: alcun timore il padre
Quindi non preme. Angusto fosso in mezzo
Alla selva conduce, il sai.
Gismonda.                                                   Ma chiuso
Da ferree porte.
Ermano.                                    Ecco le chiavi; il padre
Di me non diffidava.

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Gismonda.                                             Un tradimento,
Ermano, tu?
Ermano.                              Che parli? È tradimento
A Cesare servir? da obbrobrïoso
Fáscino il padre liberar? mondarci
Della più turpe della macchie, sciolto
Ogni legame fra un ribelle e noi
Manifestando? Il voto tuo più ardente
Non era qnesto?
Gismonda.                              Egli era.... Oh! ma del padre
Qual fia lo sdegno contro a te! Vederti
Vorrà più mai nel tetto suo, nel tetto
Che a’nemici schiudevi?
Ermano.                                                Altro signore
Del castel fuorché Erman più non conosce
Il Margravio. Investito io dal monarca
Ne sarò certo. — Non turbarti, o donna:
Tempo è alfin d’esultar: quella vendetta
Che pe’tuoi cari, che per te si a lungo
Hai sospirata, oggi si compie.
Gismonda.                                                            Arresta.
Vendetta anelo, ma opportuna, e tale
Onde disdoro a te non torni. Ahi, questa
Può dello stesso imperador, di tutti
Suoi baroni alla mente apparir vile,
E pria fruttarti spregio, indi rovina.
Del suo dominio spodestare un padre!
Ermano.Se a spodestarnel tarderò, del padre
Schiavi non sarem più, ma d’Ariberto.
Primogenito egli è: guai se il canuto
Morisse, e qui più sire io non sedessi
Gismonda.Deh, ascòltami! invincibile m’assale
Un turbamento.... Cessa: agli stranieri
Un genitor non vendere, un fratello!
Opra è sì rea, che prosperar non puote!
Ermano.Da te plauso sperai. Stupor mi reca
Questo mutarti. Appien qual sia d’Augusto
L’animo so; fallir non può l’impresa.

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SCENA II.


GISMONDA.


Stupor gli reca il palpitar mio novo:
Ah son palpiti antichi! Ah, veder temo
Preda Ariberto a’vili suoi nemici!
Empio Ermano! E che val che a me medesma
Finga d’amarti, di pregiarti? Basso,
Inverecondo, di te solo amante
Ti vidi sempre. E sposa tua son io!
Che dico? Incitatrice io d'odio sempre
D’Erman nel cor non fui contra Ariberto?
Cangiata, ohimé! cangiata io son. La vista
D’Ariberto m’affascina. Invocai
Mille volte sua morte, e or la pavento.


SCENA III.


IL BAMBINO E DETTA


Gismonda.Ecco il suo figlio. — Oh come è vago! Al padre
Come somiglia! — Odi, bambin; chi cerchi?
Bambino.La madre mia.
Gismonda.1                                   Tua madre.... esser vogl’io.
Invidïabil sorte! Oh tenerezza!
Essere ai figli d’Ariberto madre!
Come que’figli amato avrei! Ribrezzo
Fammi il pensar che un’altra il partoria;—
Pur la sua vista i miei dolori attempra,
Ah, d’Ariberto, d’Ariberto è figlio!


SCENA IV.


GABRIELLA E DETTI.


Gabriella.Fra le tue braccia il figlio mio? Ma ratto
Perchè il deponi? Dolce emmi vederti

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Dall’innocente suo blandir commossa.
Tu non sei quella immite, onde perenne
Meco esser possa nimistà. Tu fremi,
E piangi. Oh, perché piangi? Ah, certo lutta
Nel petto tuo magnanimo l’antico
Odio, e il pensier che questo è d’un proscritto
L’infelice figliuol, nato nell’ira
Dell’offeso avo suo che orribilmente
Maledicea suoi genitori e lui!
E forse i genitori e il pargoletto
Funesta sorte attende ancor. Nemico
Abbiam l’imperadore, abbiam nemico
Lo sposo tuo. Chi ne sottrae dai rischi
Che, se non or, fra pochi dì, all’arrivo
D’esercito maggiore, alti esser ponno?
Gismonda, io t’ho sorpresa: eri....ancor sei
Intenerita.... Ah, se tu il puoi, ne salva.
Gismonda.E come?
Gabriella.               Placa il tuo consorte. In pregio
Appo il regnante il poser sue prodezze.
S’ei perdonasse al fratel suo, s’ei stesso
Intercessore un dì movesse al trono
Accanto al vecchio padre, allor concordi
Le preghiere d’un padre e d’un fratello
L’irato sir commoverían. Ma s’ora,
Ove calmarlo aneli il genitore,
Ode il monarca esser furente Ermano,
Egli ad Erman compiacerà, inchinato
Fia que’furori a secondar. Ahi, veggo
Nell’avvenire un giorno orrendo! il giorno
Ch’oste gagliarda queste torri assalga,
E di dolor muoja il canuto, e truci
Un contro l’altro pugnino i fratelli,
E il men forte soccomba! Ah, si, il men forte
Non di valor, ma d’armi, è il ritornato
Esule, il maledetto, il già segnato
Non solamente de’guerrieri a’brandi,
Ma di qual siasi mercenario sgherro

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Al volante pugnale.
Gismonda.                                        Oh ciel!
Gabriella.                                                       Gismonda,
Di quelle vigorose alme tremende
Tu sei che all’odio corrono se offese,
Ma la cui vigoria move da conscia
Nobil natura. E queste son quell’alme
Che a virtù più son atte, e più son atte
Quindi al perdono.
Gismonda.                                        Tu.... Ariberto... il figlio....
Gabriella.La tua pietà, no, non reprimer. — Vieni,
Accarezzala, o figlio; ella è turbata
Da pensieri angosciosi. Oh, dille: «Io mondo
Son delle colpe onde il tuo spirto freme.» —
Partir tu vuoi, Gismonda. Odimi, arresta.
Una sventura il secol nostro avvolse
Che inimicò città e città, fratelli
Contro fratelli; e scevra di delitto
Non lasciò forse alcuna sponda. Intanto
L’innocente che nasce in que’furori
Alza pe’rei sua debil voce, e Iddio
Vuol che s’ascolti. E venir dee quell’ora
Che gli offesi si dicano a vicenda:
«Struggerem noi per vendicarci intera
La nostra stirpe?»
Gismonda.                                        Vïolenza è questa.
Basta, lasciami.
Gabriella.                                   Il ciel madre ti faccia,
E i figli nostri obliin l’ire dei padri;
E non accada che tu ed io veggiamo
Que’figli, un dì, l’un contro all’altro i ferri
Volgere scellerati e trucidarsi.
Gismonda.Non vedi tu che da contrari affetti,
Da dolori indicibili angosciata
È colei che tu supplichi? Infelice
Non sono io più di te? Me benedetta
Non chiamerei, se potess’io abbracciarti
E averti suora? Ma.... non posso; io t’odio!

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Gabriella.Ah no, Gismonda: al seno il figlio mio
Dianzi stringevi con amore.
Gismonda.                                                       Amore?
Per chi? Che dici?
Gabriella.                                      Avvinghiati, o fanciullo,
Alle ginocchia della zia. Seconda
Madre l’appella.
Bambino.                              O mia seconda madre!
Gismonda.Me sventurata! Oh figlio.... d’Ariberto!
Gabriella.Qual tremito! qual voce!
Gismonda.                                                  O figlio mio!
Deh, fossi in tempo!....
Gabriella.                                              Che?
Gismonda.                                                       A salvar.... Che parlo?
Dal mio seno scostatevi, o serpenti.
Bambino.Madre!
Gismonda.               Non io tua madre son. Costei
Di te fe’dono al traditor! — Io v’odio!


SCENA V.


GABRIELLA COL BAMBINO.


Oh che scopersi! — E saria vero? — Io tremo
Di prestar fede a me medesma; ed altra
Credenza aver non posso. In quella voce,
In quella tenerezza, era.... Oh spavento!
No, non sarà. — S’amavan dunque pria?
Perchè parola non men fece ei mai?


SCENA VI.


ARIBERTO E DETTI.


Gabriella.Ariberto....
Ariberto.                         Sì pallida a me incontro
Onde? T’acqueta. All’arroganza sveva
Modo porrem: munita è assai la rocca.

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Gabriella.Quanti i perigli intorno sieno, ignoro.
Un m’atterrisce, e nol conobbi io pria. —
Ariberto, che festi? A qual cognata
Addurmi consentisti? Ella....
Ariberto.                                                       Prosegui.
Misero me! che ti dicea?
Gabriella.                                                  Baciava
Quasi tenera madre il figlio tuo....
E con tal voce che tradíala, il nome
Profería.... d’Ariberto.
Ariberto.                                             Oh sposa! un tempo
Fu,... che indovini: e di quel tempo ognora
Favellarti temei.
Gabriella.                                   Da te fu amata?
Ariberto.Il fu, ma sua superba anima, e il cieco
Idolatrar le imperïali insegne,
E il plauso ch’ella dava alla ferocia
Del popol suo contro a Milan, tal mosse
Sdegno nell’alma mia, che il già fermato
Imeneo rigettai. Dalle paterne
Case allor mi ritrassi; e, te veduta,
Sentii che donna del cor mio tu sola
Esser potevi.
Gabriella.                         Ella ancor t’ama.
Ariberto.                                                            Offeso
Orgoglio forse più che amor. Felice
Io con Ermano la credea: tal parve
Al padre mio sinor. Ma non soverchia
Ansïetà perciò t’affanni. Scansa
Dell’insana il cospetto; agio le dona
A ridar calma agli agitati spirti.
Virtù in lei forse estinguerà un affetto
Prodotto sol dal ritornar primiero
Di dolci, perturbanti ricordanze.
Gabriella.Tai perturbanti ricordanze il tempo
Cancellar potrà mai? Donna che amarti
Potè una volta, cesserà? No, in queste
Mura ella ed io capir più non possiamo.


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Deh, pertanto non sia che abbandonarle
Debba Gismonda: altrove andiamo.
Ariberto.                                                                      Altrove,
O Gabriella, andrem: tale è mia mente.
Di Gismonda all’insania, ahi, qui s’aggiunge
Nel cor d’Ermano tracotanza e invidia,
Che tollerar non posso. Ad aspre liti,
Al sangue forse mi trarria. Miei dritti
Sosterrò col perverso in altri tempi,
Ma non vivente il genitor. Già troppo
La veneranda sua canizie afflissi.
Finchè respira il genitor, — e oh lunghi
Anni respiri! — il vil qui segga, erede
Si presuma, m’insulti, io contra lui
La spada mai non alzerò.
Gabriella.                                                     Frattanto
Ove ricovrerem? Quando?
Ariberto.                                                     M’affida
De’liberi stendardi veronesi
Il campion Turrisendo: ei sovra il lago
Di Garda ha inespugnabile castello:
A lui ci avvierem. — Né se miei dritti
Or qui volessi sostener, gran tempo
A noi vittoria arrideria, tal oste
L’imperador può rovesciar su noi.
Ma scarsa è la presente oste: disfarla
Agevol fia, disfarla è d’uopo. E quando
Ceffo nemico più non sia che irrida
Il partir nostro, e schiuso torni il varco,
Un’altra volta, o fida assocïata
A tutti i miei dolori, esuleremo.2

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SCENA VII.


GISMONDA SI FERMA A GUARDARLI.


Desso non è? — Di sala in sala errando
Vo.... perchè?... per vederlo? — Ed or che il vidi?
O forsennata, che ti giova? — Allato
Colei gli sta. Col braccio ei mollemente
La persona le cinge e la sostiene.
Oh inconsolabil gelosia! Oh bisogno
Non so se più di pianto o di delitti,
Di feroci delitti! Al seno mio
Dianzi stringendo quel fanciullo, immensa
Or dolcezza premeami, or fera voglia
Di lacerarlo con mie mani. Un passo,
Un atomo di polve mi divide
Dalla più spaventevol de’ dannati
Scelleratezza. Oh me infelice! Oh amore!—
E sola son sovra la terra: niuno
Che la smarrita mia ragion conforti!
Non una madre e non una sorella
Fra le cui braccia piangere! Sotterra
Tutti i miei cari da gran tempo! E tutti
Trucidati da chi? — Questo è il pensiero
Che rammemorar deggio ad ogni istante!
Trucidati da chi? Dalle masnade
A cui non vergognò d’affratellarsi
Colui che amore un dì giurommi.— Ah, invano
Ciò vo rammemorando: io l’amo, io l’amo!
Io salvarlo vorrei! Perfido Ermano,
No, non sarà tua vittima. — Che penso?
Il tempo incalza. — Chi mi pone in core
Quest’affanno invincibile? Salvarlo,
Salvarlo io vo’.

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SCENA VIII.


IL CONTE, ARIBERTO, GABRIELLA E DETTA .


Il Conte.                                Dove t’affretti?
Gismonda                                                            Udite:
Provvedete allo scampo: un tradimento
Tutti vi perde.
Ariberto.                               Spiegati.
Il Conte.                                                    Vaneggi?
Gismonda. Ohimè! che dissi?
Ariberto.                                    Ermano forse?...
Gismonda.                                                                       Io stessa,
Io vi tradii. Pel sotterraneo fosso
Che mette capo nella selva, addurre
Entro il castello immaginai gli Svevi.
Ariberto. Chiusi i cancelli non ne son?
Gismonda.                                                             Le chiavi
Consegnate ho al nemico.
Il Conte.                                                      Empia!3 — Accorrete
Del loco alla difesa. — Onde perfidia
Così inaudita?
Gabriella.                               Ah, no, delirio è questo.
Non vedete quai palpiti angosciosi
La sventurata opprimono? Gismonda!
Gismonda!... tu non m’odi. — Ah soccorriamla!
Fuori è di sè.
Gismonda.                               Ti scosta, o fra le donne
La più esecrata. E allor ch’io ti respingo,
Perchè a me innanzi, o invereconda, il braccio
Afferri d’Ariberto, e a lui ti serri
Quasi secura di sua aita? Aita
Darti sovra la terra uomo potria
Se a te avventarmi voless’io e sbranarti?
Già, dacchè, per mio strazio, ospite vivi
In queste mura, dieci volte e dieci

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Di trucidar te, il traditor tuo sposo,
E il figlio vostro fui tentata. E s’io
Al tormentoso demone che m’arde
Non resistea, fallito avrian miei colpi?
Ariberto.Oh mostro!
Gismonda.                         Maledicimi! che importa
Poichè m’hai fatta misera? Che importa,
Purch’io da’ tuoi nemici or ti sottragga?
Gratitudin da te forse io sperava?
Nulla ti chieggo, nulla al mondo io chieggo.
E nulla chieggo a Dio.... fuorch’ei ti salvi,
E che pietoso a questi affanni, a questo
Odio di me mi tolga, a questo amore
Disperato dell’uom.... che non è mio!
Il Conte.Gismonda! Oh ciel! Possibil fora?
Alcune voci.                                                                    All’armi!
Il Conte, Ariberto, Gabriella.
Quai voci?


SCENA IX.


RICCIARDO E DETTI.


Ricciardo.                         Già irrompean! già il sotterraneo
Dagli assalenti è invaso!
Il Conte, Ariberto.                                                  All’armi! All’armi!


Note

  1. Lo prende in braccio.
  2. Partono non vedendo Gismonda che s’avanza.
  3. Alle guardie.