Gli amori di Zelinda e Lindoro/Atto I

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Atto I

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Personaggi Atto II

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ATTO PRIMO.

SCENA PRIMA.

Camera con un grande armadio nel fondo, due porte laterali aperte, che poi si chiudono, ed un tavolino da una parte, ad uso di segretario, col bisogno da scrivere, e sedie.

Fabrizio solo.

Ah! Ci scommetterei la testa che Zelinda e Lindoro si amano segretamente. Li vedo troppo attaccati, e credo, se mal non ho inteso, si abbiano dato l’appuntamento di trovarsi qui insieme. Ecco la ragione, per cui costei mi disprezza, che altrimenti, se Lindoro è segretario, io son mastro di casa, e tutti due serviamo onorevolmente lo stesso padrone, ed ella quantunque dia ad intendere di esser nata signora, è obbligata, come me, a nutrirsi del pane altrui, ed a servire da [p. 14 modifica] cameriera... Ma... Eccoli a questa volta. Vuo’1 chiudermi in quest’armadio, e scoprire, se posso, i segreti loro. Se ne vengo in chiaro, se si amano veramente, non son Fabrizio, se non mi vendico. (si chiude nell’armadio)

SCENA II.

Zelinda, Lindoro, Fabrizio nascosto.

Lindoro. Qui, qui, Zelinda, qui potremo parlare con libertà.

Zelinda. Gran cosa! in questa casa tutti ci fan la spia. Tutti ci tengono gli occhi addosso. Specialmente Fabrizio.

Lindoro. Maledetto Fabrizio, non lo posso soffrire.

Zelinda. Zitto, che non ci sentisse.

Lindoro. Non crederei che il diavolo lo portasse qui.

Zelinda. Ho delle cose da confidarvi. Guardate da quella parte se vi è nessuno.

Lindoro. Guardiamo. No, non vi è nessuno. Ho anch’io da dirvi qualche cosa che mi dà pena.

Zelinda. Ditemela, caro Lindoro.

Lindoro. Ditemi prima voi.

Zelinda. No, prima voi.

Lindoro. Prima di tutto vi dirò che quest’impertinente di Fabrizio m’inquieta, poichè vedo, capisco che ha delle intenzioni sopra di voi...

Zelinda. Oh per questa parte potete viver tranquillo. Mi conoscete, sapete che vi amo, sapete quel che ho fatto per voi...

Lindoro. Sì, è vero, una giovane ben nata come voi siete, non può dar retta ad un uomo vile, che ha fatto qualche danaro alle spese di un padrone indulgente.

Zelinda. Ma parlate piano, che se per disgrazia ci sentisse, saremmo perduti. Serrate quella porta. Io serrerò quest’altra. (chiudono le due porte) [p. 15 modifica]

Lindoro. Ecco fatto. Ora siamo sicuri di non essere scoperti. Per tutti questi riflessi adunque sono sicuro per la parte del servitore, ma il padrone mi fa tremare.

Zelinda. Qual padrone?

Lindoro. Non so che dire, tutti due, il padre ed il figlio egualmente.

Zelinda. Oh in quanto al vecchio, vi assicuro che sospettate a torto. Il signor don Roberto2 è un uomo savio, dabbene, pieno di carità, che mi ama con amore paterno, che compatisce il mio stato, che sa che io non sono nata per servire, e procura colle sue buone grazie di raddolcire la mia condizione.

Lindoro. Sì, tutto va bene; ma lo fa con troppa caricatura, e so che sua moglie medesima interpreta malamente le finezze ch’egli vi usa.

Zelinda. Donna Eleonora pensando sì malamente fa torto a suo marito, e fa a me un’ingiustizia. Non crediate però ch’ella agisca per gelosia, poichè una giovane che sposa un vecchio per interesse, raramente è di lui gelosa. Dubita ch’egli mi sia liberale di qualche cosa. Sa che mi ha promesso alla sua morte di beneficarmi, teme3 ch’io vaglia a pregiudicarla.

Lindoro. Ma.... E il figlio?

Zelinda. Oh circa il signor don Flaminio, questo è quello ch’io volea confidarvi. Mi si è scoperto liberamente.

Lindoro. Povero me! Sono nel maggior affanno del mondo.

Zelinda. Non temete di nulla. Siate sicuro della mia costanza.

Lindoro. Ma non posso viver tranquillo. Cara Zelinda, profittiamo della protezione del vecchio, scopriamogli il nostro amore, ed impegniamo la sua bontà ad acconsentire alle nostre nozze.

Zelinda. Caro Lindoro, ci ho pensato anch’io, ma vi scopro delle grandi difficoltà. Il signor don Roberto non vi conosce, non sa che per amor mio siate fuggito di casa vostra, e siate venuto a servirlo per segretario unicamente per star meco. Appunto perch’egli mi ama, e perchè ha qualche considerazione per me, [p. 16 modifica] non vorrà maritarmi con un giovine che apparentemente non può mantenermi, e in fatti non lo potete, se vostro padre non vi acconsente, e non vi accorda il modo di farlo.

Lindoro. Scriverò a mio padre, gli farò scrivere, gli farò parlare, ma intanto ho da soffrire di vedervi accarezzata dal padrone, e perseguitata dal mastro di casa?

Zelinda. Non temete ne dell’uno, ne dell’altro. Ma bisogna che ci conteniamo colla maggior cautela, perchè se venissero ad iscoprirci...

Lindoro. Certamente; se Fabrizio sapesse quel che passa fra di noi, sarebbe capace di rovinarci.

Zelinda. Non ci facciamo trovare insieme.

Lindoro. Sì, e quando c’incontriamo, che gli occhi parlino, e che la lingua soffra.

Zelinda. Ma non basta ancora. Per togliere ogni sospetto, mostriamo di fuggirci.

Lindoro. Facciamo di più, mostriamo d’odiarci.

Zelinda. Se lo potessimo fare, sarebbe il sicuro metodo per nascondere il nostro amore.

Lindoro. Quando si va d’accordo, si può fingere qualche cosa.

Zelinda. Bene, ci regoleremo così.

Lindoro. Poi troveremo qualche momento...

Zelinda. Oh sì; siamo in casa, profitteremo dell’occasioni...

Lindoro. Profittiamo intanto di questa.

Zelinda. Andiamo, andiamo, che se i padroni ci chiamano...

Lindoro. Io posso restar qui a scrivere, a far qualche cosa.

Zelinda. Ci tornerete poi. Andiamo per ora, per non dar sospetto. Io per di qua, e voi per di là.

Lindoro. Guardiamo nell’aprir le porte, se qualchedun ci vede.

Zelinda. Guardiamo per il buco della serratura. (tutti due guardano dalla lor parte)

Lindoro. Nessuno. (a Zelinda)

Zelinda. Non c’è nessuno. (a Lindoro; ciascheduno apre la lor porta pian piano, e guarda)

Lindoro. Non c’è persona. (a Zelinda) [p. 17 modifica]

Zelinda. Qui neppure. (a Lindoro)

Lindoro. Va tutto bene. (stando sulla porta in atto di andarsene)

Zelinda. Benissimo. (nella stessa situazione)

Lindoro. Addio.

Zelinda. Vogliatemi bene.

Lindoro. E che nessuno lo sappia.

Zelinda. Nessuno l’ha da sapere. (partono)

SCENA III.

Fabrizio esce dall’armadio.

Non dubitate, che nessun lo saprà. Sono venuto a tempo. Non mi sono ingannato, ed ho scoperto abbastanza. Lindoro è anch’egli una persona civile, che si nasconde per amor di Zelinda? Tanto peggio per me. Bisogna cercare il modo di farlo cacciare di questa casa. Il mezzo più sicuro è quello del signor don Flaminio. Egli ama Zelinda, e se viene a sapere i segreti amori di lei con Lindoro, son sicuro che farà di tutto per allontanare un rivale, ed io medesimo lo avvertirò, e gli suggerirò di disfarsene sicuramente. Bisogna ch’io nasconda il mio amor per Zelinda, che faccia valere l’interesse ch’io prendo per il mio padrone, e che mi serva dell’amor suo per facilitare il mio. Vado subito a ritrovarlo. Ma eccolo ch’egli viene. Eh il diavolo è galantuomo, contribuisce di buona voglia alle cattive intenzioni.

SCENA IV.

Don Flaminio e detto.

Flaminio. Dov’è Zelinda, che non si vede?

Fabrizio. Signore, io non so dove sia, ma so dov’è stata finora.

Flaminio. Come! Dove è ella stata? Vi è qualche novità? (affettando dell’agitazione)

Fabrizio. Vi è una novità, signore, che deve interessare la vostra passione, ed anche il vostro decoro. [p. 18 modifica]

Flaminio. Oh cieli! E Zelinda ne ha parte?

Fabrizio. Ne ha parte grandissima, poichè ella è amante di Lindoro, e costui è sì temerario, che sapendo la vostra inclinazione per questa giovane, ha il coraggio di burlarsi di voi, e di perdervi ancora il rispetto.

Flaminio. Indegno! lo farò morire sotto un bastone.

Fabrizio. No, signore, non vi consiglio di far rumore, poichè perdereste la speranza di venire al termine de’ vostri disegni.

Flaminio. Che mi consigli dunque di fare?

Fabrizio. Vi consiglio di parlarne al signor don Roberto...

Flaminio. Credi tu che mio padre acconsentirebbe ch’io sposassi Zelinda?

Fabrizio. Oh sono ben lontano di credere una simil cosa.

Flaminio. Finalmente Zelinda è nata assai civilmente.

Fabrizio. Non importa; è povera, è in qualità di serva, non l’accorderà mai.

Flaminio. Che dunque vorresti tu ch’io dicessi a mio padre?

Fabrizio. Voi non avete che a scoprirgli i segreti amori, che passano fra Zelinda e Lindoro. Mettergli sotto gli occhi il torto che fa costui alla casa amoreggiando colla cameriera, e il pregiudizio che ne verrebbe a questa giovine, se si maritasse con uno che non ha il modo di mantenerla. Aggiungete che Lindoro è di un cattivo carattere, che sapendo essere Zelinda di buona nascita, dà ad intendere d’essere egli pure qualche cosa di buono, ma è un falsario, un impostore, un birbante. Sapete quanto il signor don Roberto ama e stima questa buona figliuola. Son certo che s’egli sa tutto questo, non differisce un’ora a licenziar quel birbone.

Flaminio. Tu dici bene, ma io ho il cuore buono, e non so far male a persona.

Fabrizio. Lodo la vostra bontà, la vostra umanità, ma voi, scusatemi, non siete in obbligo di risparmiare un temerario, un indegno che parla di voi con disprezzo, e che vi mette in ridicolo a tutto andare.

Flaminio. Mi mette in ridicolo? [p. 19 modifica]

Fabrizio. Vi assicuro, signore, ch’io mi sentiva rodere per parte vostra. Vedete voi quell’armadio? Là dentro mi sono celato per intendere, per rilevare, e per voi l’ho fatto, per voi, ed ho rilevato ed ho inteso cose, che mi facevano inorridire. Come? il mio padrone un imbecille, una caricatura, un fanatico?

Flaminio. Giuro al cielo! a me questo?

Fabrizio. Vi assicuro, che se non fosse stata la prudenza che mi avesse trattenuto...

Flaminio. Qual prudenza a fronte delle ingiurie?

Fabrizio. Signor mio, la prudenza è necessarissima. Se si fa dello strepito, vostro padre viene a rilevare che voi amate Zelinda.

Flaminio. È vero, conviene dunque ch’io soffra.

Fabrizio. Ma che vi disfacciate di quest’ardito.

Flaminio. Hai ragione, ne parlerò a mio padre, e ne parlerò in modo che lo manderà via.

Fabrizio. Ma soprattutto non date a conoscere la vostra passione.

Flaminio. Sarò cauto. Mi guarderò di darne alcun segno.

Fabrizio. Mi preme troppo la vostra quiete e la vostra soddisfazione.

Flaminio. Ti ringrazio, e non lascierò di ricompensarti.

Fabrizio. Non perdete tempo, signore.

Flaminio. Vado subito. (È gran fortuna aver un servitore fedele). (da sè, parte)

SCENA V.

Fabrizio, poi Lindoro.

Fabrizio. Questo si chiama cavar la castagna dal foco colla mano altrui. Che vada Lindoro fuori di casa, e mi comprometto di guadagnare l’animo di Zelinda. Ella ha voglia di maritarsi. Don Flaminio non avrà mai la permissione di sposarla. Io sono in buon credito presso il vecchio; affè di bacco, non ci vedo altri ostacoli per averla.

Lindoro. (Ecco il mio tormento e l’ho sempre dinanzi agli occhi). (da sè, vedendo Fabrizio) [p. 20 modifica]

Fabrizio. (Conviene dissimulare). (da sè)

Lindoro. (Va al tavolino, siede, e si mette a scrivere.)

Fabrizio. Di buon’ora al lavoro. (a Lindoro)

Lindoro. Io non faccio che il mio dovere. (scrivendo)

Fabrizio. È ben fortunato il nostro padrone d’aver al suo servizio un giovine attento e morigerato, come voi siete.

Lindoro. Vi ringrazio dell’elogio cortese.

Fabrizio. In verità, vi amo anch’io infinitamente.

Lindoro. (Oh se sapessi quanto ti odio!) (da sè) È un effetto della vostra bontà.

Fabrizio. Ma voi dite quel che volete, avete delle maniere così gentili, ed una condotta sì nobile e sì decente, che giurerei che siete d’una condizione superiore al grado in cui vi trovate.

Lindoro. Per esser galantuomo, e per far il suo debito, non vi è bisogno di nascita, ma di cuore.

Fabrizio. Meritereste per altro uno stato molto più fortunato.

Lindoro. Io mi contento del mio.

Fabrizio. Mi viene in mente una cosa... Io penso a voi, come se foste qualche cosa del mio.

Lindoro. (Più ne dice, e meno gli credo). (da sè)

Fabrizio. Sì, dovreste prender moglie.

Lindoro. Io? E come vorreste che facessi per mantenerla?

Fabrizio. Coll’abilità e colla condotta che avete, non potreste mai mancar di star bene.

Lindoro. Sarebbe assai difficile ch’io trovassi chi mi volesse.

Fabrizio. Affè, ne conosco una io, che pare fatta per voi.

Lindoro. E chi? se vi piace.

Fabrizio. Chi? Zelinda.

Lindoro. (Ah il furbo!) (da sè) Zelinda è povera, ma è nata bene; ella non vorrà maritarsi per continuar a vivere del pane altrui.

Fabrizio. Chi sa? In questa casa siete tutti due ben veduti, ben collocati. Volete ch’io ne parli?

Lindoro. No, vi ringrazio, non sono in caso di maritarmi; e poi, per dirvi la verità, per Zelinda non ho inclinazione veruna. [p. 21 modifica]

Fabrizio. (Ah il birbone!) (da sè) Eppur Zelinda ha del merito, ha delle buone speranze....

Lindoro. No, no, lasciatemi in pace, e non mi parlate di questo.

SCENA VI.

Zelinda e detti.

Zelinda. Fabrizio, i padroni vi domandano.

Fabrizio. Tutti due?

Zelinda. Tutti due.

Fabrizio. Vado subito. (Chi sa che il giovine non mi voglia in testimonio contro Lindoro? Lo servirò a dovere). (da sè) Zelinda, voi siete venuta in tempo ch’io parlava di voi a Lindoro.

Zelinda. Di me?

Fabrizio. Di voi.

Zelinda. Su qual proposito? Che cosa v’è di comune fra di noi?

Fabrizio. Se non c’è altro di comune, c’è il merito.

Zelinda. Voi vi prendete spasso di me. Ei bada a’ fatti suoi, io bado a’ miei. Ne io sono fatta per lui, nè egli è fatto per me. (parte)

SCENA VII.

Lindoro e Fabrizio.

Fabrizio. (Oh, si regolano perfettamente!) (da sè) Mi dispiace davvero di vedere in voi due una specie di avversione, di antipatia, di contrarietà. (a Lindoro)

Lindoro. Lasciatemi scrivere, lasciatemi lavorare.

Fabrizio. (Sì, sì, lavora pure, che lavorerò anch’io). (da sè, parte)

SCENA VIII.

Lindoro, poi Zelinda.

Lindoro. Senz’altro costui ha qualche sospetto, e fa per tirarmi giù, poichè non è possibile, s’egli ama Zelinda.... [p. 22 modifica]

Zelinda. Ah il mio caro Lindoro.... (affannata, guardando se è veduta d’alcuno)

Lindoro. Che cosa c’è?

Zelinda. Ho gran paura e per voi, e per me.

Lindoro. Oh cieli! Che cosa è stato?

Zelinda. Il padrone vecchio ed il giovine parlano insieme segretamente. Sono andata per prendere della biancheria, mi hanno guardata tutti due bruscamente, e credo per farmi andar via, mi abbiano ordinato di venire a cercare Fabrizio.

Lindoro. Da un momento all’altro non vi possono essere gran novità.

Zelinda. Io credo che tutti i momenti siino4 per noi pericolosi.

Lindoro. Certamente l’amore non si può tenere lungamente nascosto.

Zelinda. Povera me!

Lindoro. Non vi affliggete per questo; bisogna risolvere, bisogna parlare.

Zelinda. Consigliatemi voi, come ho da contenermi.

Lindoro. Non saprei. Io credo che se ne parlaste al signor don Roberto....

Zelinda. Non sarebbe meglio che gliene parlaste voi?

Lindoro. Non so. (pensano tutti due)

SCENA IX.

Don Roberto e detti.

Roberto. (Eccoli, eccoli, mi hanno detto il vero). (da sè)

Lindoro. Ci penserò, ma in ogni caso.... Oh cieli! Il padrone. (piano a Zelinda, e si mette a scrivere)

Zelinda. (Povera me!) (mostra il timore, poi si determina a fingere, come segue, mostrando di non sapere che vi sia don Roberto) Oh guardate lì il bel soggetto! Non si degna di mischiarsi nelle [p. 23 modifica] faccende basse. L’illustrissimo signor segretario non si degna di scrivere.... Oh scusate, signore, non vi aveva veduto. (mostra di voltarsi a caso e di ceder Roberto)

Roberto. Andate a consegnare la biancheria. La lavandaia vi aspetta. (a Zelinda)

Zelinda. Ecco qui, signore. Voleva che Lindoro ne stendesse la lista, e non lo vuol fare. Si crede pregiudicato, teme di perdere il suo decoro. Oh egli è un buon umorino, ve l’assicuro.

Lindoro. Ecco qui, tutto il giorno m’inquieta. (a don Roberto)

Roberto. Basta così. Ho capito; andate a consegnar la biancheria, e poi ritornate qui. (a Zelinda)

Zelinda. Ma la lista, signore....

Roberto. Oh la lista è una cosa grande! è un affare di conseguenza! Ci vuole un segretario per farla! Povera giovane, non sa scrivere, poverina! non sa metter giù sopra un pezzo di carta quattro rampiconi per darli alla lavandaia!

Lindoro. Questo è quello che le dicevo ancor io.

Roberto. Oh senz’altro.

Zelinda. Ma io li numeri5 non li so fare.

Roberto. Davvero? Povera innocente! vi troverò un maestro d’abbaco. Andate, andate; fate quel che vi dico, e poi ritornate.

Zelinda. Bene, mi farò aiutare dal mastro di casa....

Lindoro. Ma se volete che lo faccia io.... (a Zelirìda)

Roberto. Non signore, la non s’incomodi. (a Lindoro)

Zelinda. Oh sì, che non s’incomodi, perchè già lo farebbe per dispetto. (Capisco che ha gelosia di Fabrizio). (da sè) O bene, o male, lo farò da me. (forte per consolare Lindoro) (Ho gran timore che siamo scoperti). (da sè, parte)

SCENA X.

Don Roberto e Lindoro.

Lindoro. Io non so che cos’abbia quella fanciulla. È inquieta, è fastidiosa, non mi può vedere. (scrive) [p. 24 modifica]

Roberto. Alzatevi.

Lindoro. Signore, ho da terminare questa lettera....

Roberto. Alzatevi, che vi ho da parlare.

Lindoro. (Vi è del torbido). (da sè; si alza)

Roberto. È qualche tempo ch’io m’accorgo dell’odio, dell’avversione che passa fra voi e Zelinda, e questa cosa m’inquieta infinitamente.

Lindoro. Ma io, signore, ve l’assicuro....

Roberto. Voi siete, lo so benissimo, un giovine savio, dabbene, e soprattutto sincero.

Lindoro. Voi avete della bontà per me.

Roberto. Zelinda è fastidiosa, altera, e bisognerebbe mandarla via.

Lindoro. Oh per dire la verità, non è poi di un cattivo temperamento. Può essere ch’io sia un po’ troppo delicato.... Non posso naturalmente adattarmi a soffrir le donne.

Roberto. Sì, è vero. Tanto meglio per voi. Ma vedo che, sia per una ragione o per l’altra, voi non potete star tutti due in una medesima casa.

Lindoro. E vorreste per me licenziare quella povera giovine? Ne avrei un rimorso infinito, sarei alla disperazione. Una giovane civile, sfortunata, che fida unicamente in voi, che ha bisogno della vostra carità, della vostra protezione.

Roberto. Voi parlate da quel giovine saggio e prudente che siete. Bisogna aver riguardo a tutte le circostanze, che accompagnano lo stato deplorabile di questa povera figlia. Io ho anche dell’attaccamento per lei, vedo, conosco che in fondo non è poi sì cattiva. Tutto il male deriva dalla contrarietà de’ vostri temperamenti. Questo è il motivo delle inquietudini vostre e mie; onde per non perdere questa giovane civile, sfortunata, che fida in me, che ha bisogno della mia carità, della mia protezione, ho deciso, ho stabilito, ho risolto di licenziare, di mandar via immediatamente il bravo, il saggio, il prudente signor Lindoro.

Lindoro. Come, signore?

Roberto. Oh il come ve lo dirò io. Voi non avete che a [p. 25 modifica] prendere la spada e il cappello, e andarvene in questo stesso momento.

Lindoro. Ma questo è un torto che voi mi fate....

Roberto. Voi chiamate un torto il licenziarvi di casa mia, ed io qual titolo dovrò dare alla vostra falsità, alla vostra impostura? Credete ch’io non sappia quel che passa fra voi e Zelinda, ch’io non conosca la furberia delle vostre finzioni? M’avete preso per uno sciocco, per un rimbambito? Vi servite della mia buona fede per burlarvi di me? Andate, sortite subito di questa casa.

Lindoro. Signore, non istrapazzate così il decoro e la riputazione d’un uomo onorato.

Roberto. La ragione per cui vi licenzio, non fa torto alla vostra riputazione: andate.

Lindoro. Voi non sapete con chi avete a fare.

Roberto. Temerario.... ardireste voi minacciarmi?

Lindoro. Non è così, signore; ma voi non sapete chi io sia.

Roberto. E non mi curo saperlo. Andate, o vi farò partire per forza.

Lindoro. (Povero me! E partirò senza veder Zelinda!) (da sè)

Roberto. Prendete la vostra spada e il vostro cappello. (accennando il tavolino ove sono)

Lindoro. Per carità, signore.

Roberto. Corpo di Bacco! Prendete, e andate. (va egli a prender la spada e il cappello, e gli dà l’uno e l’altro)

Lindoro. Pazienza! mi licenziate di casa vostra.

Roberto. Sì, signore.

Lindoro. E perchè?

Roberto. Perchè son padrone di licenziarvi.

Lindoro. È vero, lo confesso, ho fatto male, vi domando perdono.

Roberto. È tardi; andate.

Lindoro. Abbiate compassione almeno....

Roberto. Ehi, chi è di là? (sdegnato chiama gente)

Lindoro. No, signore, non v’inquietate. V’obbidirò6. Partirò. Vi [p. 26 modifica] raccomando almeno quella povera sfortunata, abbiate pietà di lei, se non l’avete di me; ma7 permettete che prima ch’io parta....

Roberto. No, non la vedrete più; andate.

Lindoro. Non domando di vederla, ma voglio dire almeno che non sono io il solo che l’ama.... (con aria di adegno)

Roberto. E che vorreste voi dire?

Lindoro. Dico che in questa casa la sua innocenza non è sicura, che vi è qualcuno8 che la insidia, forse per disonorarla....

Roberto. Temerario, ardireste così pensare di me?

Lindoro. Non intendo....

Roberto. Io l’amo con amore paterno, e voi siete una mala lingua.

Lindoro. Se avrete la bontà di ascoltarmi....

Roberto. O andate via subito, o vi farò cacciar da’ servitori.

Lindoro. (Misero me! Son perduto, sono avvilito, son disperato.) (da sè, parte)

SCENA XI.

Don Roberto solo.

Oh son persuaso benissimo che la gente viziosa penserà male di me, e che la maggior parte degli uomini vorranno credere ch’io ami Zelinda per interesse, e chi dà fomento a questi falsi giudizi è quella sospettosa fastidiosissima mia consorte. Gran pazzia che ho fatto a maritarmi!9 prendere una seconda moglie, giovine, altiera, e senza beni! e perchè? per una di quelle pazzie che fanno gli uomini, quando si lasciano trasportar dal capriccio. Era ben meglio ch’io avessi dato moglie a mio figlio. Ma se non ci pensa, tanto meglio per lui. I matrimoni sono per lo meno pericolosi. Ecco qui: anche la povera Zelinda, se io non vi riparava, era sul punto di precipitarsi. Quale stato poteva darle un giovine che non [p. 27 modifica] sa far altro che scrivere una lettera? Si vanta di essere di condizione; ciò non serve che a renderlo più orgoglioso, ed a fargli meglio sentire il peso della sua miseria. Ma ecco Zelinda. Sarà afflitta, lo prevedo. Bisognerà ch’io cerchi di consolarla.

SCENA XII.

Zelinda e detto.

Zelinda. Eccomi qui, signore.... (Non vi è più Lindoro). (da sè)

Roberto. Che avete, che mi parete turbata?

Zelinda. Niente, signore. Voleva far vedere a Lindoro, se questa lista va bene. (gli fa vedere una carta)

Roberto. Date qui, date qui, la vedrò io. (prende la carta) Lindoro è un giovine che ha de’ capricci, che non sa le sue convenienze, che ha avuto l’ardire di trattar male con voi, e chi tratta male con voi, tratta male con me.

Zelinda. Che volete? È giovine. Io poi mi scordo facilmente di tutti.

Roberto. Ma io ho veduto che voi eravate assai disgustata di lui.

Zelinda. Sì, è vero; ma la collera in me non dura. In verità, s’egli fosse qui, vi farei vedere che non ho alcun astio contro di lui.

Roberto. Davvero?

Zelinda. Oh sì, io sono di buon cuore. Volete ch’io vada subito a ritrovarlo? (in atto di partire)

Roberto. No, no, non v’incomodate. (la ferma)

Zelinda. Perchè, signore? (con sorpresa)

Roberto. Perchè Lindoro non è più in questa casa.

Zelinda. Non è più in questa casa? (con passione)

Roberto. No certamente. Un giovinastro malcreato, incivile, che merita il vostro odio....

Zelinda. Vi accerto ch’io non l’odio sicuramente.

Roberto. Sì, son certo che non l’odiate. Ho finto bastantemente, vi parlo schietto, e vi dico che sono al fatto di tutto, e che per vostro bene l’ho licenziato. [p. 28 modifica]

Zelinda. Ohimè! questo è un colpo non preveduto, questo è un colpo che mi dà la morte.

Roberto. Figliuola mia, la passione vi tradisce vostro malgrado: voi vi confondete: si vede chiaro che voi l’amate.

Zelinda. Sì, signore, vel confesso, io l’amo, l’amerò sempre; e poichè voi avete scoperto un segreto ch’io custodiva gelosamente nel cuore, abbiate pietà di me. Non mi private del mio Lindoro.

Roberto. Ma non vedete, figliuola mia, che se io vi accordassi quello che mi domandate, sarei la vostra rovina?

Zelinda. Voi mi farete tutto il male possibile, se mi negate la grazia, poichè siate certo che mi vedrete morire.

Roberto. Che morire? che morire? Sono favole: sono discorsi inutili, romanzeschi. Non si more per così poco. Vi costerà qualche lacrima, ma poi ve ne chiamerete contenta.

Zelinda. No certo; non posso vivere senza Lindoro. Voi mi tiranneggiate senza ragione, voi mi volete perdere, voi mi volete sagrificare.

Roberto. Così parlate ad un padrone che vi ama, ad uno che ha promesso fare la vostra fortuna, e che è capace di farla?

Zelinda. Ogni fortuna senza Lindoro, è per me una disgrazia. Rinunzio a tutto, rinunzio al vostro amore, alla vostra promessa. Lasciatemi seguir l’amor mio, o lasciatemi abbandonare alla mia disperazione.

Roberto. No, Zelinda, no, cara, venite qui. Non voglio vedervi sì afflitta, sì disperata. (Bisogna lusingarla per renderla a poco a poco capace di sentimenti). (da sè

Zelinda. Per carità, non siate meco sì crudele.

Roberto. No, non lo sono, e non lo sarò mai.

SCENA XIII.

Donna Eleonora e detti.

Eleonora. (Ecco lì il caro signor consorte. Sentiamo un poco i bei ragionamenti che tiene colla cameriera). (da sè [p. 29 modifica]

Roberto. Sapete quanto vi amo. Quietatevi, e col tempo spero di potervi render contenta.

Zelinda. Ah, voglia il cielo che diciate la verità!

Eleonora. (Che sì che costoro contano sulla mia morte!) (da sè

Roberto. Fidatevi di me, e non temete. Ma rallegratevi, per amor del cielo. Fate che in casa non vi vedano così trista. Non fate ridere li vostri nemici. Nascondetevi soprattutto a mia moglie.

Eleonora. (Avanzandosi) Bravo, signor consorte, lodo il suo spirito, la sua condotta....

Zelinda. (Eccomi in un nuovo imbarazzo). (resta mortificata

Roberto. E che cosa fate voi qui?

Eleonora. Vengo ad ammirare ciò che ella ha la bontà di dire a questa buona figliuola.

Roberto. Ebbene, se avete sentito quel che le ho detto, sarete meglio persuasa e di lei e di me.

Eleonora. Sì, sono persuasissima, che vorreste ch’io crepassi per isposarla. (con collera

Roberto. Circa al desiderio che voi crepiate, lasciamola lì; ma circa allo sposare Zelinda....

Eleonora. E avreste coraggio di aspirare alle terze nozze? (come sopra

Roberto. Io non vi rendo conto del mio coraggio. Vi dico solamente che pensate male....

Eleonora. Ma spero che creperete prima di me.

Roberto. Sarà sempre meglio crepare, che vivere con una furia, come voi siete.

Eleonora. Quella sfacciata me ne renderà conto.

Zelinda. Signora, voi non mi conoscete....

Eleonora. Taci là, impertinente.

Roberto. Rendetele più giustizia. Ella ha delle massime, che voi non avete mai conosciute.

Eleonora. Ardireste di mettermi a fronte d’una mia serva?

Roberto. Una serva morigerata vale assai più d’una cattiva padrona. [p. 30 modifica]

Eleonora. Questo è troppo soffrire. Prenderò il mio partito. Farò quelle risoluzioni che mi convengono.

Roberto. Ne farò io una sola, che valerà per tutte le vostre.

Zelinda. No, signor padrone, per amor del cielo....

Roberto. Voi perseguitate a torto questa innocente. (ad Eleonora)

Eleonora. E’ innocente, come voi.

Roberto. Sì, come me. Che vorreste voi dire?

Eleonora. Due perfidi....

Roberto. Parlate bene.

Zelinda. Vi prego....

Roberto. Venite meco, non posso più tollerarla. (a Zelinda)

Eleonora. Sì, ricoveratela sotto de’ vostri innocenti auspici. (con ironia)

Roberto. Andiamo. (a Zelinda, fremendo)

Zelinda. Signore, lasciatemi qui un momento. (a Roberto)

Eleonora. Ecco il bell’acquisto10 che ho fatto! un marito, che potrebbe esser mio padre.

Roberto. Sì, per il consiglio, per la prudenza.

Eleonora. E ho da soffrire tutte le sue imperfezioni?

Roberto. Di quali imperfezioni parlate?

Eleonora. Di quelle del cuore, di quelle dello spirito, e di quelle della persona.

Roberto. Andate, che non posso più tollerarvi. (parte)

SCENA XIV.

Donna Eleonora e Zelinda.

Eleonora. Per causa tua, disgraziata.

Zelinda. Signora, se sapeste lo stato mio, vi movereste a pietà di me.

Eleonora. Pretendi di migliorare il tuo stato alle spese di mio marito?

Zelinda. Ah no, signora, ve l’assicuro. Sappiate che per mia disgrazia.... [p. 31 modifica]

Eleonora. Non vo’ saper altro. L’unica pruova che tu puoi darmi della tua innocenza, è il sortir subito di questa casa.

Zelinda. Se non credessi di offendere il mio padrone....

Eleonora. Che padrone? Sono io la padrona. Egli ti ha preso per servirmi. Le cameriere non dipendono che dal piacere e dal dispiacere delle padrone. Non son contenta di te, ti licenzio, vattene immediatamente.

Zelinda. Mi licenziate?

Eleonora. Sì, ed ho l’autorità di farlo.

Zelinda. (Ah, profittiamo dell’occasione per vivere e per morir con Lindoro). (da sè)

Eleonora. Se ricusi d’andartene, mi confermerai nel sospetto.

Zelinda. Signora, sono innocente, e se deggio darvene una pruova coll’allontanarmene di casa vostra, partirò col maggior piacere del mondo.

Eleonora. Bene, farete il vostro dovere.

Zelinda. Permettetemi ch’io unisca le mie poche robe.

Eleonora. Andate, e sollecitatevi.

Zelinda. (Oh! Amore mi renderà sollecita più che non credi). (da sè, in atto di partire)

Eleonora. Se vi avvisaste di parlarne con mio marito.... (minacciandola)

Zelinda. Non temete, signora, non lo vedrò certamente. (Ah, fra le mie disgrazie questa è la meno sensibile, e può essere la più fortunata). (da sè, parte)

SCENA XV.

Donna Eleonora, poi don Flaminio.

Eleonora. Potrebbe anche essere ch’ella fosse innocente, ma in ogni modo deve partire. L’orgoglio con cui mio marito mi tratta, merita ch’io ne faccia un risentimento. Sia amore, sia pietà che lo mova, agisce sempre male, se pretende di agire a mio dispetto. Se io non mi vendico da me stessa, poco conto far posso de’ miei parenti. Se fosse quivi don [p. 32 modifica] Federico, son certa che molto farebbe valere la sua amicizia per me! E’ un anno ch’ei partì da Pavia. Doveva ritornare dopo sei mesi.... Ma che vuole il mio signor figliastro? degna prole del mio graziosissimo sposo! (guardando fra le scene)

Flaminio. Signora, con sua permissione, si potrebbe sapere che cosa ha con Zelinda?

Eleonora. Ho io da render conto a vossignoria, di quello che passa fra me e la mia cameriera?

Flaminio. Ma che ha Zelinda che piange?

Eleonora. Domandatelo a lei.

Flaminio. Oh bene, senza ch’io lo domandi, contentatevi che vi dica che so ogni cosa; che ho sentito tutto da quella camera; che voi, signora, con vostra permissione, non potete licenziare Zelinda senza il consentimento di mio padre, ch’è il padrone di questa casa.

Eleonora. Voi mi fareste ridere, se ne avessi voglia: che dice il padrone di questa casa? Si oppone egli alla mia risoluzione?

Flaminio. Non lo so, non è in casa, e quando ritornerà....

Eleonora. Tanto meglio se non è in casa; che Zelinda sen vada, e quando ritornerà....

Flaminio. Signora, non isperate che ciò succeda. Zelinda non sortirà certamente.

Eleonora. Siete voi che vi opponete?

Flaminio. Sì, signora, son io, che dopo mio padre....

Eleonora. Sì, tocca a voi dopo il padre ad usarmi le impertinenze.

SCENA XVI.

Fabrizio e detti.

Fabrizio. Signori, che cosa c’è? Mi perdonino. Non si facciano sentire dal vicinato.

Eleonora. Così si perde il rispetto ad una donna della mia sorte? Sì, Zelinda deve sortire di qui, l’ho detto, lo sostengo, e se n’andrà. [p. 33 modifica]

Flaminio. Non se n’andrà....

Fabrizio. Signore, una parola in grazia. Con permissione della padrona. (a Flaminio, tirandolo in disparte)

Eleonora. (A costo di tutto vuo’ sostenere il mio punto), (da sè)

Fabrizio. (Caro signor padrone, perchè non lasciate sortir Zelinda? non vedete voi che fuori di casa, lontana da vostro padre, e nel bisogno in cui sarà di soccorso, avrete miglior agio per vederla, trattarla ed obbligarla ad amarvi?) (piano a don Flaminio)

Flaminio. (Hai ragione: non ci avevo pensato). (piano a Fabrizio)

Fabrizio. (Ci penso io per il mio proprio interesse). (da sè)

Eleonora. Che si fa, signori miei garbatissimi? Si trama qualche insidia contro di me?

Flaminio. Al contrario, signora mia. Fabrizio mi ha dette delle buone ragioni, ed io consento che Zelinda sia licenziata.

Eleonora. Oh, oh, che buone ragioni ha saputo dirvi? come vi ha sì presto guadagnato lo spirito? Posso essere a parte anch’io di queste buone ragioni? (Non mi fido nè dell’un, nè dell’altro). (da sè)

Fabrizio. Signora, non è necessario che voi sappiate....

Eleonora. E’ tanto giusto ch’io lo sappia, che vi farò parlare vostro malgrado.

Flaminio. Contentatevi che Zelinda sen vada.

Eleonora. Ma vuo’ sapere il perchè.

Flaminio. (Abbiamo fatto peggio, mi pare). (piano a Fabrizio)

Fabrizio. Orsù, poichè la signora vuol saper il segreto, conviene svelarlo.

Flaminio. (No, non facciamo....) (piano a Fabrizio)

Fabrizio. (Lasciate fare). (a don Flaminio) Son persuaso che la signora non vorrà mettermi in un imbarazzo. (ad Eleonora)

Eleonora. No, vi prometto di risparmiarvi ogni dispiacere.

Fabrizio. Sappiate dunque che ho scoperto al signor don Flaminio una cosa che lui non sapeva, e questa lo ha determinato ad acquietarsi su l’articolo di licenziare Zelinda, e la cosa è questa.... ma per amor del cielo....

Eleonora. Non dubitate. [p. 34 modifica]

Fabrizio. Il signor don Roberto ama troppo questa giovane, ed ella, non so che dire.... Tutto il mondo ne mormora, e ne sospetta....

Eleonora. Oh ecco ch’io diceva la verità. Oh mio marito si voleva difendere, e quell’indegna.... ma eccola. Si è pentita forse di andarsene? Partirà suo malgrado.

SCENA XVII.

Zelinda e detti.

Zelinda. Signora....

Eleonora. Che ardir avete voi di ricomparirmi dinanzi gli occhi? Perchè non ve ne andate, come vi ho ordinato, come mi avete promesso? (con collera)

Zelinda. Signora, voi mi avete data la permissione di unire le mie poche robe. L’ho fatto, sono pronta a partire, e vengo unicamente per far con voi il mio dovere. (con una riverenza)

Eleonora. Bene, andate, e prego il cielo vi dia migliore condotta, e migliore fortuna.

Zelinda. Circa alla fortuna, sono avvezza ad averla contraria; ma circa alla condotta, grazie al cielo, non ho niente a rimproverarmi.

Flaminio. (E pur la vedo partire mal volentieri). (piano a Fabrizio)

Fabrizio. (Andremo a consolarla dove sarà). (piano a Flaminio)

Zelinda. Se non fosse troppo ardire il mio, vi supplicherei d’una grazia. (a Eleonora)

Eleonora. Se io potrò farvi del bene, lo farò volentieri.

Zelinda. Vorrei... Ma se non voleste incaricarvene voi, pregherò il signor don Flaminio, o Fabrizio.

Flaminio. Dite, che posso fare per voi?

Fabrizio. Eseguirò i vostri ordini assai volentieri.

Zelinda. Vorrei che l’uno o l’altro facesse le parti mie doverose col signor don Roberto.... [p. 35 modifica]

Eleonora. Sì sì, me ne incarico io, ma vi avvertisco, che se il signor mio consorte viene intorno di voi, e che voi abbiate l’ardire di riceverlo e di trattarlo, vi farò uscire di questo paese con poco vostro decoro.

Zelinda. Oh cieli! e volete ancora mortificarmi sì ingiustamente? Non siete ancor persuasa della mia innocenza?

Eleonora. No, perchè ho dei testimoni in contrario.

Fabrizio. (Signora mia...) (piano ad Eleonora, perchè non parli)

Zelinda. E chi è, signora, che ardisce d’imposturare?... Quali sono li testimoni?

Eleonora. Eccoli lì. Don Flaminio e Fabrizio.

Fabrizio. (Diavolo!) (da sè)

Flaminio. (Me l’aspettava). (da sè)

Zelinda. Come! hanno avuto coraggio quei due di parlare contro di me, in tempo ch’io ho avuto la discrezione di non parlare di loro? Sono falsi, sono mendaci. Rispetto il signor don Flaminio come figliuolo del mio padrone, ma l’onor mio vuole che mi difenda. Se avessi badato a lui, meriterei, signora, la vostra collera ed il vostro disprezzo. Egli non ha mancato di tormentarmi con dichiarazioni amorose, con studiate lusinghe, e con promesse di matrimonio; e quell’indegno di Fabrizio che fa l’amico del suo padrone, mi ama egualmente, mi perseguita, ed è il suo rivale. Ecco, signora mia, chi dovete rimproverare, non un padrone pietoso, non un marito saggio e prudente, non una povera sfortunata. Parto di qui volentieri per non soffrire inquietudini, per togliermi alla vista degl’impostori, per salvare il mio decoro, la mia insidiata riputazione. (parie)

SCENA XVIII.

Donna Eleonora, don Flaminio e Fabrizio.

Eleonora. Bravi, bravissimi, l’uno e l’altro. (a Flaminio e a Fabrizio)

Fabrizio. In quanto a me, vi protesto.... (ad Eleonora) [p. 36 modifica]

Flaminio. Indegno! vorreste gettar la colpa sopra di me? (a Fabrizio)

Eleonora. È inutile che parliate meco. Zelinda è sortita, ed ecco una ragione di più che giustifica la risoluzione che ho presa. Se avete delle cose da dire, voi le direte al padre, (a Flaminio) voi le direte al padrone. (a Fabrizio) Eccolo lì, è ritornato. (osservando fra la scene) Sarà mio carico l’istruirlo. Toccherà a voi a giustificarvi. (Presto, presto, impediscasi ch’ei non trattenga Zelinda.) (da sè, parte)

SCENA XIX.

Don Flaminio e Fabrizio.

Flaminio. Tu m’ingannavi dunque, tu ti prendevi gioco di me?

Fabrizio. Signore, credete voi a tutto quello ch’avete inteso?

Flaminio. Sì, lo credo anche troppo. Sei un perfido, uno scellerato, e troverò la via di mortificarti.

Fabrizio. Se avrete la bontà di ascoltarmi....

Flaminio. Sì, se ti ascoltassi, non ti mancherebbero dei pretesti, delle menzogne. Fabrizio. (Io sono nel più grand’imbarazzo del mondo). (da sè)

Flaminio. (A costo di tutto, non vuo’ perder di vista la mia adorata Zelinda. (da sè)

SCENA XX.

Don Roberto e detti.

Roberto. (Non avrei mai creduto che mio figliuolo... Eccolo lì, con quell’altro ipocrita disgraziato). (da sè)

Fabrizio. (Povero me! il padrone!)

Flaminio. (Ecco mio padre. Oh cieli! Chi sa, se sarà istruito?)

Roberto. Fabrizio.

Fabrizio. Signore.

Roberto. Ritiratevi.

Fabrizio. Signor padrone.... [p. 37 modifica]

Roberto. Andate via, vi dico. Ho da parlare con mio figliuolo.

Flaminio. (Ah ci sono!) (da sè)

Fabrizio. ((Conviene obbedire. Chi sa che tutta la colpa non sia rovesciata sopra di lui). (accennando don Flaminio, e parte)

SCENA XXI.

Don Roberto e don Flaminio.

Roberto. Ebbene, signor figliuolo carissimo, voi siete quello ch’è lontano dal pensiero di maritarsi, che ricusate tutti i partiti che vi si propongono, che non amate le conversazioni delle donne....

Flaminio. Signore, è verissimo, non lo nego, l’occasione, il merito di Zelinda mi hanno fatto cedere alla mia avversione.

Roberto. E con qual’animo? con qual’intenzione?

Flaminio. Se ho da dirvi la verità, non ho mai pensato che ad un fine onesto, e degno delie qualità amabili di quella figliuola.

Roberto. In questo tu gli hai resa quella giustizia che merita. Zelinda è nata assai civilmente, è saggia, è virtuosa, è morigerata. Ma ella non ti conviene. Io l’amo come se fosse una mia figliuola, però non l’amo a segno di perder di vista il decoro della mia famiglia. Il nostro grado e la nostra fortuna ti promettono un matrimonio comodo e decoroso, e non acconsentirò mai....

Flaminio. Deh signor padre, se avete della bontà per lei, se avete della bontà per me....

Roberto. No assolutamente. Levati dal capo cotesta idea, altrimenti troverò il modo di fare che ti svanisca....

Flaminio. L’amo troppo, signore, e non sarà possibile....

Roberto. Temerario! ardisci di dire in faccia a tuo padre non sarà possibile?

Flaminio. Zelinda ha del merito, e credo che la mia inclinazione sia bastantemente giustificata.

Roberto. Tocca a me ad approvarla: non tocca a te. [p. 38 modifica]

Flaminio. Finalmente l’amore ch’io ho per lei, è un amor libero, che non fa torto a nessuno, e non reca a lei quel pregiudizio che rendere le potrebbe un amore di un’altra specie. (con un poco di caricatura)

Roberto. Ah indegno! credi tu ch’io non ti capisca? credi tu ch’io non veda ch’hai il mal’animo di sospettare di me, ed hai la temerità di rimproverarmi?

Flaminio. Non dico questo, signore....

Roberto. Orsù, ascoltami, e queste sieno l’ultime parole che ti dico su tal proposito. Pensa a prendere il tuo partito, risolviti o di maritarti, o di andar a vivere nel castello che ci appartiene. Non ti sembri duro ch’io ti allontani da me, per custodire una cameriera che merita un onesto riguardo.

Flaminio. Che parlate voi di custodire la cameriera?

Roberto. Sì, Zelinda resterà meco, fintantochè sarà collocata.

Flaminio. Non sapete voi che Zelinda?...

Roberto. E se tu resti col pretesto di maritarti, avverti bene di sfuggirla quando l’incontri, e non aver ardire di guardarla in faccia nemmeno.

Flaminio. In casa?

Roberto. In casa.

Flaminio. Sarete servito. (con aria di gravità)

Roberto. Come! me lo dici in maniera...

Flaminio. Ve lo dico costantemente, poichè Zelinda in questa casa più non si trova.

Roberto. Come? non vi è più Zelinda?

Flaminio. Non signore, è sortita, è congedata, è partita.

Roberto. E chi è che l’ha congedata?

Flaminio. La vostra signora sposa.

Roberto. Senza dirmelo? senza dipender da me? per astio? per dispetto? per malignità?

Flaminio. Certo, per quel carattere amabile che adorna il merito della mia signora matrigna. (parte) [p. 39 modifica]

SCENA XXII.

Don Roberto solo.

Tanto ardire! una simile superchieria usar a me? No, sarei troppo vile, se la soffrissi. Zelinda ritornerà in casa mia. La ritroverò, la ricondurrò. Eleonora è un’ingrata, mio figlio è un impertinente, Fabrizio è un impostore. Tutti perfidi, tutti nemici. Io merito più rispetto, e Zelinda più compassione. (parte)

Fine dell’Atto Primo.


Note

  1. In alcune ristampe: Vo’.
  2. Nell’ed. Zatta è stampato sempre: D. Roberto.
  3. Nell’ed. bolognese e in altre posteriori è stampato: e teme.
  4. Molte edizioni posteriori stampano: siano.
  5. Nelle edizioni dell’Ottocento è stampato: i numeri.
  6. Nelle edizioni posteriori: obbedirò.
  7. Ed. Zatta: mi.
  8. Ed. Zatta: qualch’uno.
  9. In altre ristampe: rimaritarmi.
  10. Nelle più antiche edizioni: bel acquisto.