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Grammatica italiana dell'uso moderno/Parte IV/Capitolo II. Del verso. Varie specie di versi.

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Parte IV - Capitolo II. Del verso. Varie specie di versi.

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CAPITOLO II

Del verso. Varie specie di versi.


§ 1. Il verso (così detto dal volgersi su sè medesimo ripetendosi uniformemente) è formato di uno o più ritmi o serie ritmiche, e chiuso con una sillaba finale priva d’accento. Siccome l’orecchio italiano è alieno da fermare il senso in sillaba accentata, così ancora rifugge dal terminare in tal maniera il verso; ond’è che esso regolarmente si chiude con una sillaba priva d’accento, terminando in parola piana; e talora anche con due sillabe pur senza accento, terminando in parola sdrucciola (vedi Parte I, cap. viii, § 5). Ma in questo ultimo caso le due sillabe venendo dopo l’ultimo accento che è il più forte, si pronunciano cosi rapidamente, da costituire il tempo di una sola.

Talora per altro il verso termina col ritmo ed allora dicesi verso tronco, poichè si chiude con una parola tronca (vedi loc. cit.).


§ 2. Il verso italiano è di molte specie, le quali prendono il loro nome dal numero delle sillabe che contiene quando esce in parola piana. Alcune specie contengono uno o più ritmi separati; altre contengono un ritmo con una serie ritmica; altre finalmente una o due serie ritmiche. Diciamo anzitutto delle prime. Esse sono il ternario, il quadernario (poco usati da sè soli), il senario, e il decasillabo. [p. 315 modifica]

Ricordiamo fin d’ora che quando si parla di sillabe nel verso, bisogna tener conto delle sillabe vere non di quelle apparenti; considerare cioè come una sillaba sola l’ultima d’una parola uscente in vocale non accentata, insieme colla vocale iniziale della parola seguente; considerar pure come una sola sillaba le coppie di vocali in mezzo al verso quando la prima abbia l’accento; considerare come due sillabe le vocali sciolte per dieresi, ecc. Vedi più oltre cap. iii, § 8 e segg.

Quel punto del verso ove i ritmi semplici o le serie ritmiche si congiungono lo chiamiamo, con voce latina, cesura ossia spezzatura. Essa cade per lo più su parola piana, ma spesso anche su parola sdrucciola o tronca.


§ 3. Il ternario corrisponde sempre ad un giambo, per esempio:

     ˘  ¯    ˘
Dai bòschi
Dall’árse
Fucíne
Stridènti
Dai sólchi
Bagnáti
Di sèrvo
Sudór.

Il quadernario contiene sempre un anapesto, ma richiede un mezzo accento sulla prima sillaba (anapesto interrotto: vedi cap. prec. in fine). P. es.:

   ˘  ˘  ¯    ˘
La brunétta
Mammolétta
Quando spúnta
Dal suo vérde
Nulla pèrde
Di beltà.

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Il senario equivale per il suono a due ternarii piani; ma può considerarsi formato di un piede giambo seguíto da un anapesto. P. es.:

    ˘  ¯    ˘ ˘ ¯    ˘
Lasciár nelle sále
Del tétto natío
Le dònne accoráte
Tornánti all’addío
A prièghi e consígli
Che ’l piánto troncò.

Il decasillabo contiene sempre tre anapesti. P. es.:

            ˘ ˘ ¯      ˘ ˘ ¯   ˘ ˘ ¯    ˘
     O temènti dell’íra ventúra,
Cheti e grávi oggi al tèmpio moviámo
Come gènte che pènsa a sventúra,
Che improvvíso s’intése annunziàr.


§ 4. Di versi composti con un ritmo seguíto da una serie ritmica, non vi ha che l’ottonario equivalente quasi sempre nel suono a un doppio quaternario, ma divisibile in un anapesto interrotto, e in una serie ritmica di due dissillabi (vedi cap. prec., § 6). P. es.:

A. Con serie giambica pura:

           ˘  ˘  ¯    ˘  ¯     ˘ ¯    ˘
     O garzóne, amábil fíglio
Di famósi e grándi eròi
Sul fiorír degli ánni tuòi
Questa sòrte a té verrà.

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B. Con serie mista o con ammorzamento:

         ˘ ˘ ¯      ¯ ˘      ˘ ¯    ˘
     È pur dólce in súi begli ánni
  Della cára età novèlla
«Lo sposár vaga donzèlla
«Che d’amór già ne ferì.
     In quel giórno i primi affánni
«Ci ritórnano al pensièro ecc.

In tutti i versi fin qui veduti non si suole adoperare lo sdrucciolo, ma sovente bensì il tronco.


§ 5. Di versi risultanti da una sola serie ritmica abbiamo il quinario ed il settenario.

Il quinario contiene una serie ritmica di due dissillabi.

A. Con serie giambica pura:

      ˘ ¯      ˘ ¯      ˘
Non può di tèmpre
     Cangiár mio fáto
     Nemíco sèmpre
     Il cièl sarà.

B. Con serie mista:

  ¯ ˘   ˘ ¯   ˘
Ó delle grázie
   Dólce trastúllo
   Ó vezzosíssimo
   Cáro fanciúllo.

Il settenario può contenere una serie ritmica di tre dissillabi, od una di due trisillabi; quindi può foggiarsi in molte maniere. [p. 318 modifica]

A. Con serie giambica pura:

  ˘ ¯     ˘ ¯     ˘ ¯     ˘
Per té sollèvi il pòvero
Al cièl ch’è súo le cíglia.

B. Con serie mista, e con ammorzamenti d’accento:

«Éi ripensò le mòbili
   «Tènde e i percòssi válli
     E il lámpo de’ manípoli
     E l’ónda de’ caválli
   «É il concitáto impèrio
   «E ’l cèlere obbedír.

C. Con serie anapestica pura:

        ˘ ˘ ¯       ˘ ˘ ¯      ˘
«Tal cantáva il centáuro
«Baci il gióvin gli offríva
«Con ghirlánde di láuro
   E Tètide che udíva
«A la fèra divína
   Plaudía dalla marína.

D. Con serie anapestica mista (raro):

  ¯ ˘ ˘     ˘ ˘ ¯     ˘
Rápida s’avvicína
Rápida si dilégua.


§ 6. Di due serie ritmiche è composto l’endecasillabo, il più nobile e illustre dei versi italiani, il nostro verso eroico. Tali due serie debbono bene distinguersi nella lettura mediante una maggior posa della voce al termine della prima, che dicesi cesura principale: la [p. 319 modifica]indicheremo così ¯). Ecco le diverse maniere dell’endecasillabo:

I. Con due serie giambiche, la prima di due piedi, la seconda di tre:

   ˘ ¯      ˘ ¯     ˘ ¯     ˘ ¯     ˘ ¯     ˘
Di quà, di là, di sù, di giù li ména
Ma tù perché ritórni a tánta nòja?
E súa nazión sarà tra Féltro e Féltro

e più spesso la prima di tre piedi, la seconda di due;

     ˘ ¯      ˘ ¯     ˘ ¯    ˘ ¯   ˘ ¯     ˘
Dirò dell’áltre còse ch’ío v’ho scòrte
La nòtte ch’ío passái con tánta pièta
E ’l Sól montáva in sú con quélle stélle

dai quali esempii apparisce chiaro che la cesura è determinata dal senso, e che il senso è quello che mostra se anteceda l’una o l’altra delle due serie.


§ 7. Ma versi simili a questi, tutti di puri giambi, sono rari e suonano lenti ed affaticati. Più spesso i giambi veggonsi misti coi trochei, e alcuni accenti si ammorzano specialmente nella serie più lunga. Senza andar dietro a tutte le forme di cui è capace questo verso, ne indicheremo alcune più usate e più gradite all’orecchio.

A. Con semplice ammorzamento del primo accento nella seconda serie:

     ˘ ¯    ˘ ¯     ˘ ˘     ˘ ¯     ˘ ¯     ˘
Dirò d’Orlándo in un medésmo trátto
Che fúro al témpo che passáro i Mòri.

B. Con trocheo al principio della prima serie ed ammorzamento del primo accento nella seconda serie:
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    ¯ ˘   ˘ ¯′   ˘ ˘    ˘ ¯   ˘ ¯   ˘
Dólce colór d’orïentál zaffíro
Già fiammeggiáva l’amorósa stélla
Il capitán de le cristiáne gènti.

Questo verso, che nel linguaggio comune dei metrici si dice accentato sulla quarta e sull’ottava, costituisce la più armoniosa fra tutte le forme dell’endecasillabo, come quella che presenta all’orecchio due accenti ugualmente disposti.


§ 8. C. Col trocheo al principio della seconda serie:

    ˘ ¯     ˘ ¯     ˘ ¯′    ¯ ˘     ˘ ¯     ˘
Amór che a còr gentíl rátto s’apprènde.

D. Con ammorzamento del secondo accento nella prima serie e col trocheo al principio della seconda serie:

      ˘ ¯       ˘ ˘     ˘ ¯′     ¯ ˘      ˘ ¯    ˘
Le dònne i cavalièr, l’árme gli amóri

o col semplice ammorzamento nella prima serie:

Nel mèzzo del cammín di nòstra víta

o con due trochei nella prima e un trocheo nella seconda:

     ¯ ˘     ¯ ˘     ˘ ¯     ¯ ˘      ˘ ¯    ˘
Dèntro lètto vi fán tènere erbétte.

Si avverta che quando la prima serie è di due dissillabi, l’accento ritmico finale (cesura) non può cadere sopra una parola sdrucciola perchè invece di un’endecasillabo ne nascerebbero due quinarii [p. 321 modifica](vedi appresso, § 11), eccetto il caso che l’ultima sillaba dello sdrucciolo venisse elisa da una vocale seguente; p. es.:

Per cúi tremávano ambedúe le spónde


dove se invece di ambedue fosse tutte, avremmo due quinarii.


§ 9. II. Con due serie; la prima anapestica, l’altra giambica di due piedi.

       ˘ ˘ ¯       ˘ ˘ ¯′       ˘ ¯      ˘ ¯  ˘
Una lónza leggièra e prèsta mólto.
Con angèlica vóce in súa favèlla.
Quando vídi costúi nel grán desèrto.
Ornaménto e splendór del sècol nòstro:

talora si sostituisce un dattilo al primo anapesto:

     ¯ ˘ ˘       ˘ ˘ ¯′       ˘ ¯      ˘ ¯  ˘
Piácciavi generósa Ercúlea pròle:

spesso la seconda serie comincia per un trocheo:

E rendéa ad ascoltár dólce concènto:

talora vi ha l’una e l’altra variazione:

Pállida gelosía péna de’ cuòri.


§ 10. III. Con due serie, la prima di due giambi, la seconda anapestica:

     ˘ ¯     ˘ ¯′   ˘ ˘ ¯   ˘ ˘ ¯  ˘
Parlávan rádo con vóci soávi.
Venímmo in práto di frésca verdúra:

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spesso e con maggior dolcezza al primo giambo si sostituisce un trocheo:

L’áltra è colèi che s’ancíse amorósa.
Oh animál grazióso e benígno.

Questa forma, detta comunemente accentata sulla quarta e settima, è la meno armoniosa fra tutte ed anche la meno varia, perchè la seconda serie anapestica non si trova quasi mai alterata.

I versi formati di serie ritmiche si prestano, meglio degli altri, a finire in parola sdrucciola, come vedremo.


§ 11. Taluni de’ versi italiani fin qui divisati si possono raddoppiare, conservandoli però nettamente distinti e in modo che non cada fra l’uno e l’altro l’elisione.

Due quinarii accoppiati formano un altro decasillabo e, ove il primo sia sdrucciolo, il verso detto catulliano:

Per lèi fra l’ónde — cánta il nocchièro
Per lèi la mòrte — terrór non hà.

Valór dimóstrano — si fánno audáci,
Quand’è ’l combáttere — necessità.

Due senarii piani formano il verso detto dodecasillabo; p. es.:

È bèllo e divíno — per l’uòmo onoráto
Morír per la pátria — morír da soldáto
Col fèrro nel púgno — coll’íra nel còr.

Un settenario seguito da un altro settenario forma il verso detto alessandrino o martelliano, tanto usato dai Francesi, p. es.: [p. 323 modifica]

Fúr le passióni umáne - le stésse in ógni etáte
Son tútte le nazióni, - da un sól princípio náte;


§ 12. Vi è anche un verso di nove sillabe (novenario) poco usato perchè duro e disarmonico, onde può considerarsi come un altro verso mozzato or della prima sillaba, ora delle due prime: si fa quindi in tre maniere:

1ª pari ad un decasillabo (§ 3 in fine) tolta la prima; p. es.:

     ˘ ¯ ′        ˘ ˘ ¯          ˘ ˘ ¯     ˘
A lúi che nell’èrba del cámpo
La spíga vitále nascóse

2ª pari ad un doppio quinario (§ 11) tolta la prima: p. es.:

        ¯      ˘ ¯        ˘ | ˘ ¯        ˘ ¯     ˘
Dámmi dúnque dal boccál d’òro
Quél rubíno ch’è ’l mío tesòro

3ª pari ad un endecasillabo giambico accentato sulla sesta, tolte le due prime; p. es.:

            ˘ ¯      ˘ ¯′     ˘ ¯     ˘ ¯   ˘
— — A dúro strál di ría ventúra
— — Mísero mé, son fátto ségno.


§ 13. Si usa anche talora (come vedremo) un settenario sdrucciolo mozzato della prima sillaba, e per lo più conforme a questo schema:

   ¯      ˘ ¯      ˘ ¯     ˘ ˘
Dío non pága il sábato.
Mánda il mòrto al diávolo,

o con ammorzamenti d’accento; p. es.;

Vanità del sècolo.
Sitibóndo ed ávido.