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Grammatica italiana dell'uso moderno/Parte IV/Capitolo V. Le strofe principali.

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Parte IV - Capitolo V. Le strofe principali.

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CAPITOLO V

Le strofe principali.


§ 1. Il distico. La strofa più semplice che chiameremo distico (e con voce italiana potrebbesi appellare duetto) consiste in due versi a rima accoppiata.

Un industre acheo pittore[1]
A ragion dipinse Amore
Non già inerme fanciulletto,
Pauroso semplicetto;
Ma coll’ale e coll’incarco
Di turcasso, strali ed arco;
Armi acute rilucenti,
Armi tutte onnipossenti,
E ministre di trofei
Sopra gli uomini e gli Dei.
                                        (Monti)

Nelle commedie si usano di frequente i doppii settenarii (martelliani) a rima accoppiata (vedi qui sopra, cap. ii, § 11).


§ 2. La terza rima è una serie di strofe uguali, di tre versi endecasillabi per ciascuna, disposte a rima [p. 336 modifica]incatenata (vedi sopra, cap. preced., § 4) e terminanti con un verso unico che chiude la catena.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
     O pietosa colei che mi soccorse,
E tu cortese, che obbedisti tosto
Alle vere parole che ti porse!
     Tu m’hai con desiderio il cor disposto
Sì al venir con le parole tue,
Ch’io son tornato nel primo proposto.
     Or va che un sol volere è d’ambedue;
Tu duca, tu signore e tu maestro.
Così gli dissi, e poi che mosso fue
     Entrai per lo cammino alto e silvestro.
                                                       (Dante)

Lo stornello popolare è una strofetta di tre versi legati tutti e tre, o due soltanto., dalla rima o dall’assonanza, p. es,:

     E lo mio damo l’ho lontano un miglio!
M’ha mandato un saluto: non lo voglio,
Ma se mi manda il cor, quello lo piglio.

ovvero:

                                        Fiore di pepe.
Non voglio che con gli altri ragionate,
Dappoi che lo mio core in pegno avete.


§ 3. La quartina è una strofa di quattro versi disposti a rima alternata o a rima chiusa (vedi sopra).

A. Quartina di versi endecasillabi piani:

     Avvegnachè girando il sol ne chiami
Co’ rai di sua bellezza alma serena,
Non avvien tuttavia che per uom s’ami
O si miri beltà, salvo terrena.

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ovvero:

     Gonfiansi trombe, ed a provarsi in guerra
Marte danneggiator terge l’acciaro
Ferri innocenti che le piaggie araro
Volgonsi in brandi a funestar la terra.
                                        (Chiabrera)

B. Quartina di endecasillabi piani e tronchi alternati, p. es.:

     Sol di settembre, tu nel cielo stai
Come l’uom che i migliori anni fini
E guarda triste innanzi: i dolci rai
Tu stendi verso i nubilosi dì.
                                        (Carducci)

C. Quartine di versi brevi, o tutti piani, o piani alternati cogli sdruccioli, p. es.:

     La vaga primavera
Ecco che a noi sen viene,
E sparge le serene
Aure di molli odori;

ovvero:

     Ecco di neve insolita
Bianco l’ispido verno;
Par che sebben decrepito
Voglia serbarsi eterno.
                                        (Parini)

Talora si alternano nello stesso modo endecasillabi e settenarii, o si tengono altre maniere che troppa lungo sarebbe ricercar tutte quante. [p. 338 modifica]


§ 4. La sestina è una strofa composta di quattro versi a rime, per lo più, alternate, seguiti da due versi con rima accoppiata; p. es.:

     Era quella stagione in cui s’ammanta
La terra di novelle ombrose spoglie,
Di molli erbette il prato, ed ogni pianta
Si rivestia di verdeggianti foglie:
Zefiro dispiegando intorno il volo
Di nuovi fiori coloriva il suolo.
                                             (Pignotti)

e con versi minori, p. es.:

     Torna a fiorir la rosa
Che pur dianzi languia,
E molle si riposa
Sopra i gigli di pria.
Brillano le pupille
Di vivaci scintille.
                                   (Parini)

Talora anche qui si alternano o si mischiano endecasillabi e settenarii in varie maniere.


§ 5. L’ottava rima è una strofe simile alla sestina, colla differenza che invece di quattro versi endecasillabi a rime alternate, ne ha sei; p. es.:

     Zefiro già di be’ fioretti adorno
Avea de’ monti tolta ogni pruina,
Avea fatto al suo nido già ritorno
La stanca rondinella peregrina.
Risonava la selva intorno intorno
Soavemente all’òra mattutina;
E l’ingegnosa pecchia al primo albore
Gira predando or uno or altro fiore.
                                             (Poliziano)

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Questa strofa, propria dell’epopea eroica, è stata perfezionata dal Poliziano, dall’Ariosto e dal Tasso ne’ loro immortali poemi.

Quanto all’ottava lirica (doppia quartina), vedi più oltre.

Il rispetto popolare toscano è una strofetta per lo più di otto versi, disposti a maniera d’una sestina, con la giunta di due altri versi a rima accoppiata. P. es.: (Tigri, Canti popolari ecc., p. 125)

     Dov’è quell’arancin ch’a te donai?
Tienne di conto e fa che salvo sia.
Quando quell’arancino tu aprirai,
Dentro ci troverai l’anima mia:
Dentro ci troverai ’l mio afflitto core,
Lettere d’oro, e scritto il tuo bel nome, (assonanza)
Dentro ci troverai ’l mio core afflitto,
Lettere d’oro e ’l tuo bel nome scritto.


§ 6. La strofa della canzone è una strofa variamente composta di versi endecasillabi misti per lo più ai settenarii; che risulta di due parti, ognuna delle quali contiene uno o più sistemi di rime; e la seconda parte suole essere legata colla precedente per mezzo di un verso che ripete l’ultima rima di questa.

La prima parte risulta, più spesso, di due terzetti a rima rinterzata (vedi qui sopra cap. iv, § 4), che talvolta si ampliano in due quartetti, geminandosi in mezzo ad ambedue una rima (vedi più oltre § 8).

La seconda parte si può fare in moltissime foggie, ma per lo più si compone di varie coppie di versi disposti a rime alternate o chiuse, o a rime accoppiate; i quali sistemi di rime talora sono sciolti l’uno dall’altro, talora legati fra loro per qualche rima comune. Suole terminare con rima accoppiata, e talora anche con rima alternata, o con rima al mezzo.

Senz’andar dietro a tutte le forme possibili, aggiungiamo qui alcuni pochi esempii di Dante e del [p. 340 modifica]Petrarca, che furono tra noi i massimi legislatori della canzone; indicando nel margine colle lettere dell’alfabeto la disposizione delle rime.


§ 7.

a      Da’ be’ rami scendea
b (Dolce nella memoria!)
c Una pioggia di fior sopra il suo grembo;
a Ed ella si sedea
b Umile in tanta gloria
c Coverta già dell’amoroso nembo.
c Qual fior cadea sul lembo,
d Qual su le treccie bionde
e Ch’oro forbito e perle
e Eran quel dì a vederle,
d Qual si posava in terra e qual su l’onde:
f Qual con un vago errore
f Girando parea dir: qui regna Amore.
                                        (Petrarca)

Qui dopo il verso 7, che serve di rinforzo e di passaggio, abbiamo un quartetto a rima chiusa, a cui seguono due versi con rima accoppiata.

a      Italia mia, benchè ’l parlar sia indarno
b Alle piaghe mortali
c Che nel bel corpo tuo sì spesso veggio,
b Piacemi almen ch’e’ miei sospir sien quali
a Spera il Tevere e l’Arno,
c E il Po dove doglioso e grave or seggio.
c Rettor del cielo, io cheggio
d Che la pietà che ti condusse in terra
e Ti volga al tuo diletto almo paese.
e Vedi, Signor cortese,
d Di che lievi cagion che crudel guerra!
d E i cor, che ’ndura e serra
g Apri tu, Padre, e ’ntenerisci e snoda:
f Ivi fa’ che ’l tuo vero
g (Qual io mi sia) per la mia lingua s’oda.
                                             (Petrarca)

Qui, dopo il verso 7, abbiamo due quartetti l’uno a rima chiusa, l’altro a rima alternata, oltre due versi di passaggio.


§ 8.

a      Donne, che avete intelletto d’amore,
b Io vo’ con voi della mia donna dire;
b Non per ch’io creda sue laude finire,
c Ma ragionar per isfogar la mente.
a Io dico che, pensando il suo valore,
b Amor sì dolce mi si fa sentire,
b Che, s’io allora non perdessi ardire,
c Farei, parlando, innamorar la gente.
c Ed io non vo’ parlar sì altamente,
d Che divenissi, per temenza, vile;
d Ma tratterò del suo stato gentile
c A rispetto di lei leggeramente,
e Donne e donzelle amorose, con vui,
e Che non è cosa da parlarne altrui.

Qui il verso di passaggio (9) forma coi tre seguenti un quartetto a rima chiusa: e i due ultimi sono a rima accoppiata.

a      Amor che nella mente mi ragiona
b Della mia donna disïosamente,
b Muove cose di lei meco sovente,
c Che l’intelletto sovr’esse disvia.
a Lo suo parlar sì dolcemente suona,
b Che l’anima ch’ascolta e che lo sente,
b Dice: oh me lassa! ch’io no7i son possente
c Di dir quel ch’odo della donna mia!
c E certo e’ mi convien lasciare in pria,
e Ciò che lo mio intelletto non comprende,
e E di quel che s’intende
d Gran parte, perchè dirlo non potrei.
f Però se le mie rime avran difetto,
d Ch’entreran nella loda di costei,
f Di ciò si biasmi il debole intelletto,
g E ’l parlar nostro che non ha valore
g Di ritrar tutto ciò che dice Amore.
                                                  (Dante)

Qui dopo il verso di passaggio (9) abbiamo un quartetto a rima chiusa: poi un terzetto legato col quartetto mediante la rima di mezzo; ed in fine due versi a rima accoppiata.


§ 9.

a      Vergine bella, che di sol vestita,
b Coronata di stelle, al sommo Sole
c Piacesti sì, che ’n te sua luce ascose;
b Amor mi spinge a dir di te parole,
a Ma non so ’ncominciar senza tu’ aita
c E di Colui ch’amando in te si pose.
c Invoco Lei che ben sempre rispose,
d Chi la chiamò con fede.
d Vergine, s’a mercede
c Miseria estrema dell’umane cose
e Giammai ti volse, al mio prego t’inchina;
f Soccorri alla mia guerra,
f-e Bench’io sia terra, e tu del Ciel regina.

Qui il verso di passaggio (7) torma coi tre seguenti un quartetto a rima chiusa; e la strofa termina con tre versi che, per la rima al mezzo, formano un quartetto.


§ 10. L’ultima strofa della canzone (detta chiusa o congedo o ripresa) suol essere più breve delle altre, equivalendo alla seconda parte di esse, preceduta, per [p. 343 modifica]lo più, da un verso senza rima, p. es. (vedi sopra la strofa Italia mia):

     Canzone, io t’ammonisco
d Che tua ragion cortesemente dica,
e Perchè fra gente altera ir ti conviene;
e E le voglie son piene
d Già dell’usanza pessima ed antica
d Del ver sempre nemica.
f Proverai tua ventura
g Fra magnanimi pochi, a chi ’l ben piace:
f Di’ lor: chi m’assicura?
g I’ vo gridando: pace, pace, pace.

Altre volte la chiusa contiene solo l’ultimo sistema preceduto da un verso senza rima, p. es. (vedi la strofe Da’ be’ rami):

     Se tu avessi ornamenti quant’hai voglia,
f Potresti arditamente
f Uscir del bosco, e gir infra la gente.

Gli antichi metrici qualificarono con nomi diversi le diverse parti della stanza usata nelle canzoni, chiamando la prima parte fronte, e la seconda sirima o coda: quando la prima parte potea dividersi in più membri corrispondenti, chiamarono questi, piedi: quando la seconda parte poteva parimente suddividersi, chiamarono i suoi membri versi o meglio volte. — Non parliamo delle Canzoni a stanza continua, nelle quali cioè le stesse rime e talora le stesse parole si ripetono con ordine diverso in una coppia di stanze o in tutte le stanze d’una canzone, perchè sono forme oggi disusate. Chi avesse vaghezza di conoscerle, vegga nel Petrarca quella che comincia Verdi panni, ecc. e tutte quelle intitolate Sestine.

Affine alla canzone ma di minor nobiltà era la ballata, che si componeva di strofe più brevi, ma dello stesso genere della canzone; con questa specialità, che la prima strofetta (di due, tre o quattro versi) colla sua ultima rima dava la rima all’ultimo verso delle strofe seguenti, compresa la chiusa, qualora vi si trovasse aggiunta. Se ne possono vedere esempii in tutti i rimatori antichi.

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§ 11. Vi è anche la canzone a strofe libere, nella quale ciascuna strofa, pur componendosi ordinariamente di endecasillabi misti con settenarii, può crescere o scemare di versi rispetto alle altre, e può disporre le rime liberamente, lasciando anche parecchi versi non rimati. Suole però anch’essa terminare con rima accoppiata, o almeno con rima alternata. Alessandro Guidi (sec. xvii) fu il primo che désse voga a questa specie di canzone, alla quale si è conformato in parecchi de’ suoi canti anche Giacomo Leopardi.


§ 12. Il Sonetto è una strofa di quattordici versi che sta da sè, formando un’intera poesia. Si compone anch’esso di due parti principali: la prima contiene otto versi divisi in due quartetti, con due rime a sistema alternato o chiuso: la seconda contiene sei versi divisi in due terzetti, che più spesso sono rimati alternativamente; non di rado sono a rima rinterzata.

Ne daremo due esempii de’ più comuni:

a      Zefiro torna e ’l bel tempo rimena,
b E’ fiori e l’erbe sua dolce famiglia,
a E garrir Progne e pianger Filomena,
b E primavera candida e vermiglia.
a      Ridono i pirati e ’l ciel si rasserena,
b Giove s’allegra di mirar sua figlia;
a L’aria e l’acqua e la terra è d’amor piena,
b Ogni animal d’amar si riconsiglia;
c      Ma per me, lasso, tornano i più gravi
d Sospiri che del cor profondo tragge
c Quella ch’al ciel se ne portò le chiavi:
d      E cantar augelletti e fiorir piagge,
c E in belle donne oneste atti soavi,
d Sono un deserto, e fere aspre e selvagge.
a      Valle che de’ lamenti miei se’ piena,
b Fiume che spesso del mio pianger cresci,
b Fere silvestre, vaghi augelli e pesci,
a Che l’una e l’altra verde riva affrena;
a      Aria de’ miei sospir calda e serena,
b Dolce sentier che sì amaro riesci,
b Colle che mi piacesti, or mi rincresci,
a Ov’ancor per usanza Amor mi mena;
c      Ben riconosco in voi le usate forme,
d Non lasso in me, che da sì lieta vita
e Son fatto albergo d’infinita doglia.
c      Quinci vedea ’l mio bene; e per quest’orme
d Torno a veder ond’al del nuda è gita,
e Lasciando in terra la sua bella spoglia.
                                                       (Petrarca)


§ 13. Altre forme delle terzine:

a      Da lei ti vien l’amoroso pensiero
b Che, mentre ’l segui, al Sommo Ben t’invia,
b Poco prezzando quel ch’ogn’uom desia.
b      Da lei vien l’amorosa leggiadria,
a Ch’al del ti scorge per destro sentiero;
a Sì ch’io vo già della speranza altiero.
                                                       (Petrarca)
a      Così laudare e riverire insegna
b La voce stessa, pur ch’altri vi chiami,
a O d’ogni riverenza e d’onor degna:
a      Se non che forse Apollo si disdegna
b Ch’a parlar de’ suoi sempre verdi rami,
a Lingua mortai presuntuosa vegna.
                                                       (Petrarca)
a      Mira le genti strane e la raccolta
b Schiera de’ tuoi ch’a prova onor ti fanno.
a E del gran padre tuo le lode ascolta,
b Sostien nell’arme grave e lungo affanno,
c Pien d’un leggiadro sdegno e di pietade.
                                                            (Bembo)
a      Mostrasi sì piacente a chi la mira
b Che dà per gli occhi una dolcezza al core,
c Ch’intender non la può chi non la prova;
c      E par che dalla sua labbia si mova
b Un spirito soave pien d’amore,
a Che va dicendo all’anima: sospira.
                                                            (Dante)
a      Talor m’assale in mezzo a’ tristi pianti
b Un duhio, come possan queste membra
c Da lo spirito lor viver lontane.
b      Ma rispondenti Amor: non ti rimembra
a Che questo è privilegio degli amanti
c Sciolti da tutte qualitadi umane?
                                                            (Petrarca)

Il sonetto caudato, o Sonettessa, è un sonetto che ha l’ultimo verso rafforzato da un settenario colla stessa rima, e seguito da due endecasillabi a nuova rima accoppiata. La coda si può prolungare ad arbitrio tenendo la stessa maniera. Ma deve però avvertirsi che la sonettessa male si adoprerebbe in soggetti i quali non fossero burleschi o satirici.


§ 14. Il Madrigale è una breve strofa che sta da sè, formando un’intera poesia. Si fa in molte maniere, ma nella sua forma più semplice si compone di pochi terzetti di versi endecasillabi collegati fra loro; ai quali seguono una o due coppie di versi. P. es.:

a      Nel mezzo già del mar la navicella
b Tra l’oriente e l’occidente è giunta,
b Che mi mena a fedir in scura punta
c La qual fedel mi face, che più forte
c Affretta sua giornata, è la mia morte.
d      Lasso! natura forze non le dà
d Che mai per tempo ella dia volta in qua.
                                                  (Sacchetti)


§ 15. Le Strofe a coppia legate da rima tronca sono molto frequenti, massime nelle ariette delle opere musicali, ed eziandio nelle odi o inni o canzoni corali. I versi possono essere di molte misure, ma per lo più sono minori all’endecasillabo e disposti o in quartine od in sestine.

A. Quartine coi quarti versi a rima tronca, e coi primi o secondi versi a rime piane legati reciprocamente nelle due strofe, p. es.:
a      Se in amor che sia vicino
b Fedeltà si cerca invano;
b In amor che sia lontano
c Ricercarla è vanità:
a      E pur vuole il mio destino
d Lusingando il mio timore
d Che in lontan crudele amore
c Pietà cerchi e fedeltà.

ovvero:

a      Sempre è maggior del vero
b L’idea d’una sventura
a Al credulo pensiero
c Dipinta dal timor.
b      Chi stolto il mal figura
d Affretta il proprio affanno,
d Ed assicura un danno,
c Quando è dubbioso ancor.
                                        (Metastasio)
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Sovente i versi primi o i secondi delle due strofe non si corrispondono colla rima e restano indipendenti, come può vedersi nel Metastasio. Talora le due strofette hanno quattro rime, p. es.:

a      Ai passi erranti
b Dubbio è ’l sentiero,
c Non han le stelle
d Per noi splendor.
a      Siam naviganti
b Senza nocchiero
c E siamo agnelle
d Senza pastor.


§ 16. B. Sestine di versi per lo più quinarii o settenarii (di rado l’ultimo è endecasillabo) dei quali il primo, terzo e quinto sdruccioli senza rima, il secondo e quarto piani rimati fra loro; gli ultimi tronchi e rimati reciprocamente nelle due strofe, p. es.:

a      Già presso al termine
b De’ suoi martiri
a Fugge quest’anima
b Sciolta in sospiri,
a Sul volto amabile
c Del caro ben.
d      Fra lor s’annodano
e Sul labbro i detti;
d E il cor che pjalpnta
e Fra mille affetti,
d Par che non tolleri
c Di starmi in sen.
                                   (Metastasio)

ovvero:

     Bella, immortal, benefica
Fede a’ trionfi avvezza,

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Scrivi ancor questo; allegrati,
Che più superba altezza
Al disonor del Golgota
Giammai non si chinò.
     Tu dalle stanche ceneri
Sperdi ogni ria parola:
Quel Dio che atterra e suscita,
Che affanna e che consola,
Sulla deserta coltrice
Accanto a lui posò.
                                        (Manzoni)


ovvero:

     A me disse il mio Genio
Allor ch’io nacqui: l’oro
Non fìa che te solleciti,
Nè l’imane decoro
De’ titoli, nè il perfido
Desio di superare altri in poter;
     Ma di natura i liberi
Doni ed affetti, e il grato
Della beltà spettacolo
Te renderan beato,
Te di vagare indocile
Per lungo di speranze arduo sentier.
                                                  (Parini)


§ 17. La Strofe saffica rimata è fatta ad imitazione di una strofe greca inventata o perfezionata dalla poetessa Saffo: consiste in una quartina composta di tre endecasillabi, seguiti da un quinario che suole scriversi sotto la finale dell’ultimo. Meglio che dai poeti precedenti venne imitata dal Fantoni, come si vede nell’esempio seguente: [p. 350 modifica]

a      Pende la notte: i cavi bronzi io sento
b L’ora che fugge replicar sonanti:
b Scossa la porta stride agl’incostanti
a                                    Buffi del vento;

e dal Carducci, p. es.:

a      Te giova il grido che le turbe assorda.
b E all’armi incalza all’armi i cuor cessanti,
a Te le civili su la ferrea corda
b                          Ire sonanti.


§ 18. La Strofe alcaica rimata è fatta ad imitazione di una strofe greca inventata o perfezionata da Alceo. Si compone di quattro versi, de’ quali i primi due sono quinarii doppii col secondo sdrucciolo, senza rime; e i due seguenti sono settenarii piani a rima accoppiata, per esempio:

     Nassau, di forti prole magnanima,
No, non morranno que’ versi lirici
          Per cui suona più bella
          L’italica favella.
                                                       (Fantoni)
     Non sempre l’arida chioma alle roveri
I torbid’impeti d’Euro affaticano
          Nè dura artico ghiaccio
          A industri legni impaccio.
                                                       (Carducci)


§ 19. Strofe dello Stabat Mater: così chiamiamo questa strofetta, perchè imita quella usata nell’inno accennato della Chiesa. Si compone di due ottonarii a rima accoppiata, seguiti da un verso foggiato sul modello latino e che non si adopera mai separato (vedi Parte IV, cap. ii, § 12), p. es.: [p. 351 modifica]

     Già la Corte, il Ministero
Il soldato, il birro, il clero
                    Manda ’l morto al diavolo.

     Di sì nobile congresso
Si rallegra con sè stesso
                    Tutto l’uman genere.
                                        (Giusti)

Oltre a queste che abbiamo specificate, molte e svariatissime sono le strofe che si veggono adoperate dai migliori poeti nei loro canti lirici. Ma come l’andar dietro a tutte sarebbe impossibile, così basta pel bisogno dei discenti il conoscere le principali fra quelle, ed il sapere le regole colle quali possano accozzare insieme con arte e con garbo più sistemi, e formare così nuove strofe.

In alcune poesie più specialmente affini colla musica, come inni, romanze e simili, si suol fare uso del ritornello od intercalare, che consiste nel ripetere regolarmente fra strofa e strofa o fra ciascuna coppia di strofe, una strofetta più breve. Altre volte il ritornello consiste nel finire tutte le strofe con gli stessi versi (vedi la Rondinella del Grossi).




Note

  1. Di qui innanzi, ove non siano necessarii, omettiamo di segnare gli accenti, regolandoci anche negli esempli coll’uso comune, seguito nella parte precettiva.