Vai al contenuto

Grammatica italiana dell'uso moderno/Parte IV/Capitolo VI. Verso sciolto, e strofa senza rima.

Da Wikisource.
Parte IV - Capitolo VI. Verso sciolto, e strofa senza rima.

../Capitolo V. Le strofe principali. ../../Indice alfabetico delle materie IncludiIntestazione 16 febbraio 2025 75% Da definire

Parte IV - Capitolo V. Le strofe principali. Indice alfabetico delle materie
[p. 352 modifica]

CAPITOLO VI

Verso sciolto, e strofa senza rima.


§ 1. La rima non era usata, fuorchè qualche volta per caso o per vezzo, dai latini del tempo classico. Rimasta però, come sembra, o in forma d’assonanza (vedi Parte IV, cap. iv, § 2, nota) o di rima propriamente detta, in mezzo alla plebe, la Chiesa se ne valse pe’ suoi Inni, da’ quali passò quindi nelle poesie volgari, e si stimò per un pezzo necessaria e indispensabile. Ma tornato in onore lo studio de’ classici e della poesia antica, nacque il desiderio di tentare una metrica non inceppata da quella artificiosa consonanza che, se offre, per una parte, certa vaghezza, scema anche sovente la spontaneità del pensiero, e la gravità dello stile.


§ 2. Il primo tentativo di questo genere fu fatto coll’endecasillabo che, usato senza rima (verso sciolto), venne a riprodurre in qualche modo, nella nostra lingua, il nobile, ondeggiante e svariato procedere dell’esametro latino e greco. Annibal Caro nel secolo xvi, il Parini, il Monti ed il Foscolo ne’ tempi più vicini a noi, hanno dato i migliori esempii di questo sistema; il quale richiede molta varietà nella struttura de’ versi, e frequenti pose nel mezzo, che assecondino, meglio della [p. 353 modifica]strofa, il volubile e spiegato muoversi del concetto e del sentimento. Esempii:

     E già di ferreo cinto, a la sinistra
M’adattava lo scudo e fuori uscia,
Quand’ecco in su la soglia attraversata
Creusa avanti a’ piè mi si distende
E me li abbraccia; e ’l fanciulletto Julo
M’appresenta e mi dice: Ah! mio consorte,
Dove ne lasci? S’a morir ne vai.
Che non teco m’adduci? E se nell’armi
E nell’esperienza hai speme alcuna.
Che non difendi la tua casa in prima?
Ove Ascanio abbandoni? ove tuo padre?
Ove Creusa tua, che tua s’è detta
Per alcun tempo? E ciò gridando, empiea
Di pianto e di stridor la magion tutta.
                                                  (Caro)


§ 3. Si procedette quindi a imitare artificiosamente le principali strofe classiche, tentando nuove forme di versi accozzandone capricciosamente parecchie in guisa, da comporre delle strofe prive di rima, che arieggiassero quel suono che si sente o par di sentire nelle corrispondenti latine e greche. Annibal Caro e Claudio Tolomei nel secolo xvi, il Chiabrera nel secolo xvii, il Tommaseo ed il Carducci nei tempi recenti (per tacere di molti altri) si provarono in questi versi che per ora, nondimeno, hanno trovato poco favore. Noi parleremo soltanto di quattro strofe: distico, ode saffica, ode alcaica, ode asclepiadea.


§ 4. Distico alla greca. Si compone di due versi: il primo e più lungo imita il suono dell’esametro: il secondo del pentametro. P. es.: [p. 354 modifica]

     Oggi le sante muse - con amica ed onesta favella
Cantino i fatti tui - Febo, le lodi tue.
     Fermati troppo sei - da fervide vampe riarso;
Non ponno i slanchi - piedi più oltre gire.
                                                                 (Tolomei)
     Cantate e lode - rendete al dotto Dameta:
Dotto Dameta come - degno di lode sei!
                                                                      (Caro)
     Quando alle nostre case - la diva severa discende,
Da lungi il rombo - della volante s’ode;
     E l’ombra de l’ala - che gelida gelida avanza
Diffonde intorno - lugubre silenzio.
     Sotto la venïente - ripiegano gli uomini il capo,
Ma i sen feminei - rompono in aneliti.
                                                                 (Carducci)

Come si vede da questi esempii, l’esametro risulta da un settenario e più di rado da un quinario, seguiti da un decasillabo, il pentametro da un settenario od un quinario seguiti da un altro settenario. I settenarii cominciano per lo più da un trocheo (¯ ˘), e sovente sono mozzi della prima sillaba; i decasillabi perdono spesso pur essi la prima o le due prime sillabe; ed il settenario ultimo del pentametro, qualora sia sdrucciolo, viene mozzato della prima (vedi P. IV, cap. ii, § 13).


§ 5. Ode saffica alla greca. Si compone di quattro versi: tre saffici, e un adonio. Esempii:

     Altri le forze ed il voler misura,
E non lontano a’ suoi desir pon segno.
Giungevi e, molto immaginando il poco,
                                        Vive contento.
                                                            (Rolli)

[p. 355 modifica]

     Tutto ora tace. Nel sereno gorgo
La tenue miro saliente vena.
Trema, e d’un lieve pullular lo specchio
                                        Segna de l’acque.
                                                  (Carducci)


Come si vede, i tre saffici sono tre endecasillabi, ma con questa regola, che in principio vi resti sempre un quinario spiccato e terminante in parola piana. L’adonio è pure un quinario, cominciante per lo più dal trocheo.


§ 6. Ode alcaica alla greca. Si compone di quattro versi: due endecasillabi alcaici, un dimetro trocaico e un verso logaedico. Esempii:

     Apransi rose, volino zefiri,
L’acque scherzando cantino Tetide,
Ma nembi d’Arturo ministri
Quinci lunge dian timore ai Traci.
                                                  (Chiabrera)
     Son cittadino per te d’Italia
Per te poeta, madre de’ popoli,
Che desti il tuo spirito al mondo,
Ch’Italia improntasti di tua gloria.

     O pur volasti davanti l’aquile,
Davanti il flutto de’ marsi militi,
Col miro fulgor respingendo
Gli annitrenti cavalli de’ Parti.
                                                  (Carducci)

Come si vede, i due primi versi risultano di due quinarii, piano il primo, sdrucciolo il secondo: il terzo verso è un decasillabo mozzato della prima (novenario): [p. 356 modifica]il quarto, o un decasillabo intero, come nell’ultimo esempio (che è la forma più armoniosa), o un endecasillabo mozzo della prima sillaba, come negli altri due, e talvolta anche un doppio quinario piano, p. es. Spinto da morte - le approdi in seno.


Strofe asclepiadea: si compone di quattro versi asclepiadei:

     Sorgono e in agili file dilungano
Gl’immani ed ardui steli marmorei,
E ne la tenebra sacra somigliano
Di giganti un esercito.
                                                  (Carducci)

I tre primi sono formati ciascuno da due quinarii ambedue sdruccioli; l’ultimo da un settenario pure sdrucciolo.


§ 7. Con gli stessi o simili mezzi si sono tentate e si possono tentare altre imitazioni dei metri latini; ma non è nostro debito tenerne più lungo discorso. Chi avesse vaghezza di conoscere quello che si è insegnato o fatto in questo genere di poesia detto dal Carducci, con felice espressione, metrica barbara, legga: Versi e Regole della nuova Poesia toscana, Roma, Biado, 1539; e a’ nostri giorni la dotta introduzione di Giuseppe Chiarini alle Odi barbare di G. Carducci, e le Anticaglie di Felice Cavallotti, pag. 66-117.



fine