Guida della montagna pistoiese/Regime idraulico dei fiumi
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Regime idraulico dei Fiumi. — Quanto ai fiumi, non ci occuperemo di quelli che versano nell’Adriatico, come il Reno, le due Limentre, e la Setta, essendo che non cadano di essi sul nostro terreno che i più elevati tronchi. Trascorrono sopra un suolo dell’arenaria-macigno, ed è ai medesimi provveduto bastantemente dalla natura con ripe composte da dirupate scogliere, e con cateratte di vivo masso. Ma diremo di quelli posti sul versante meridionale dell’Appennino.
La Valle dell’Ombrone ha gli Appennini da tramontana, da dove scendono le maggiori e più impetuose sue acque; è recinta a ponente e mezzodì dai colli di Serravalle e Montalbano, talchè si apre a levante, in senso inverso alla gran valle dell’Arno, ove pure deve scaricare le sue acque. Da questa configurazione che, quantunque bizzarra, è comune a tutte le vallate a destra dell’Arno, nasce che gli scogli della pianura sieno lenti e difficili; perchè gli alvei dei maggiori fiumi e torrenti, che a guisa di acquedotti delle acque montane scorrono elevati sulla pianura, sdegnano il modesto tributo delle sue acque; le quali solamente col seguitarne il corso, ed attendere che sia passata la superba fiumana, trovano tardi e a stento il modo di riversarsi nei detti fiumi. Non è questo il luogo di ricercare qual fosse lo stato antico del nostro territorio, che per molti dati apparisce essere stato nella maggior parte una palude che si estendeva dai dintorni di Pistoia a quelli di Firenze; nè ci tratterremo a far congetture intorno alle ragioni per le quali potè essere sgombro dalle acque questo suolo sì ubertoso, contentandoci di osservare come le stesse colmate naturali dei fiumi, la rimozione operata dalla mano dell’uomo, o dall’impeto del fiume medesimo di qualche cateratta di masso che sostenesse le dette acque nello stretto della Golfolina, possono essere state sufficienti a procurare uno scolo a queste campagne; le quali poi nei tempi più prossimi debbono la loro prosperità alla cura grandissima onde quelli scoli furono mantenuti. Nondimeno la peculiare condizione del territorio, quella cioè che le acque precipitano dall’Appennino, solcandone la falda meridionale, (sempre molto inclinata, ma non sempre solida) per distendersi poi in una pianura quasi orizzontale, doveva rendere ed ha reso difatti i fiumi arginati, pensili sulle campagne, continuamente minacciandole di gravissimi danni. I quali provenivano anche dagli straordinari diboscamenti e divelti fatti da assai tempo sull’Appennino, onde quel suolo commosso era più facilmente trasportato per le forre nei fiumi. Noteremo soltanto i devastamenti terribili portati dall’Ombrone al suolo circostante, ai quali indarno si tentò di provvedere nel 1723 con lo scavamento di un nuovo alveo, e con la spesa di oltre centomila scudi. La gravezza di questi pericoli non isfuggì al'ingegno alacre e penetrativo del prof. Pietro Petrini di Pistoia, il quale fino dal 1821 immaginò un vasto sistema di Serre o Briglie nei tronchi montani dei fiumi, onde trattenere le terre ed i sassi, che le acque asportavano pel troppo rapido clive, e così, restituendo la solidità alle corrose pendici, diminuire il riempimento degli alvei nella pianura. Tale grandiosa idea con felici risultamenti fa posta ad effetto, in prima sull’Ombrone, poi sugli altri torrenti. Ma nonostante la utilità delle Serre, che anco il celebre idraulico Mingotti tanto raccomanda, attesa l’improvvida maniera con la quale in antico furono collocati gli argini che restrinsero l’alveo dei fiumi, mentre la natura continuò il suo processo d’innalzamento del detto alveo, avviene che questi argini, sebbene rialzati più volte, sono ancora mal sicuro schermo alle grandi fiumane. Se l’arte fosse stata meno improvvida, ed avesse tenuto gli argini discosti dal fiume, in modo da lasciare ad esso una zona di terreno per deporvi le sue alluvioni, il fiume ben diretto avrebbe stabilito il suo corso in mezzo a detta zona, formando tra la ripa e gli argini delle ampie golene, che avrebbero assicurato questi ultimi dalle corrosioni del fiume. Per tal modo la natura avrebbe impiegato le sue forze ad aumentare e rendere insuperabili quelle difese, che improvvidamente l’arte sola volle apprestare. Il qual pensiero secondo che narra l’illustre ingegnere Antonio Giuliani in un suo articolo nel Calendario Pratese 1849, raccomandando questo sistema, non era sfuggito al prelodato professor Petrini. Provvedono ora alcune deputazioni idrauliche residenti in Pistoia, ai lavori delle serre, come agli altri ripari occorrenti; dai quali, fatti a dovere e opportunamente, dipende in gran parte la prosperità di questo territorio.
Ciò quanto ai corsi naturali delle acque, e al modo usato nel regolarli. Ma oltre di questo, si è pensato di profittare del benefico elemento, conducendolo in canali manufatti o gore, che servono a muovere non pochi opificii, e alla irrigazione dei terreni. Dell’utile che dalle acque correnti ne è derivato alle manifatture del ferro e della carta sulla montagna pistoiese, e anche nei dintorni di questa città, ne parleremo in appresso. Ma quanto alla irrigazione, tanto utile per l’agricoltura, è d’uopo confessare che è assai limitata, mentre le acque dell’Ombrone non si raccolgono, nè si deviano che con mezzi molto imperfetti, pe’ quali gran parte di essa va perduta. Infatti a maestro di Pistoia, a Gello, presso il ponte Asinaio, una chiusa a secco con piccoli pali e rami è il solo mezzo che s’impiega per raccogliere le acque di quel fiume: le quali, secondo la legge Bartolina del 1525, tradotte in apposita gora, che poco oltre suddividesi in due (la gora e il goricino) e penetrano in città, non bastano in estate ai bisogni delle manifatture e della irrigazione. A questo però intendevano nel 1853 le cure del Municipio Pistoiese perchè fossevi provveduto.