I Marmi/Parte terza/Varie e diverse materie dette dagli academici Fiorentini e Peregrini/Peregrini e Fiorentini

Da Wikisource.
Peregrini e Fiorentini

../ ../../Allegoria sopra la nave IncludiIntestazione 19 settembre 2020 75% Da definire

Parte terza - Varie e diverse materie dette dagli academici Fiorentini e Peregrini Parte terza - Allegoria sopra la nave
[p. 29 modifica]

Peregrini e Fiorentini.

Peregrino. Massimo fu padre d’un nostro academico Peregrino e si dilettava cavalcare superbi e bellissimi cavalli, ma sempre andava solo; poi, quando era a piedi, sempre aveva gran compagnia con esso. E in ogni cittá che egli andava, desiderava sapere a che fine si facevano tutte le cirimonie che egli vedeva publiche.

Fiorentino. Se fosse venuto in Firenze per san Giovanni, noi gli avevamo che dire un pezzo ed egli che domandare un altro.

Peregrino. Quando egli mangiava, perché era ricco cavalieri, sempre mangiava publicamente inanzi alla porta del suo castello, ed era lecito a ciascuno che non aveva da vivere, venire dentro e cibarsi e andar via, talmente che sempre pasceva una gran moltitudine di popoli.

Fiorentino. Ancóra gli antichi romani facevano il simile.

Peregrino. Sí, ma costui lo faceva per caritá, quei lo facevano (non, come dicono i loro scrittori, per farne partecipe i bisognosi) per superbia, grandezza e pompa. Ancóra, inanzi che egli andasse a tavola, faceva nel piú alto luogo del suo castello sonar trombe e pifferi, acciò che tutti i suoi suditi si rallegrassero che la mensa fusse per loro apparecchiata. [p. 30 modifica]

Fiorentino. Ancóra i nostri signori fanno musica di trombe quando vanno a tavola.

Peregrino. Sta bene, per allegrezza e fasto: andate mettervi a tavola, e poi mi favellerete che differenza sia dalla liberalitá antica alla avarizia moderna.

Fiorentino. Troppo arebbon che fare a dar da rodere a tutti.

Peregrino. Io ci ho cento pronte risposte, ma non le posso dire, perché bisognerebbe dirle con tutta la bocca apertamente e non fra i denti che pochi intendessero. Gli antichi avevano del mirabile assai: non era egli ancóra una cosa bella, quando trovavano le donne per la via, súbito mettevan mano alla scarsella e gli donavano delle monete d’oro e d’argento?

Fiorentino. Facevano per unire due cose basse insieme.

Peregrino. Baie che si dicano e sono state dagli antichi scrittori a modo loro interpetrate. Molte cagioni gl’inducevano a far quello: una, perché si conoscesse che l’uomo è signore della natura feminile e tocca all’uomo a dispensare i tesori; e che, senza l’aiuto dell’uomo, la femina non può cosa alcuna, quasi imperfetta; un’altra me ne soviene alla memoria, acciò che la donna potesse provedere a tutte le cose che si potevano aver con la moneta per servitú dell’uomo e che la gli avesse a ministrare ed egli a sí vile e bassa cosa, quanto è provedere alle cose per il vivere, non avesse da pensare in conto alcuno. Sta forse bene a un uomo per le cose del ventre lambiccarsi il cervello? è forse lecito a un uomo contender con una donna per un soldo sul mercato un’ora? Oh che viltá del nostro viver moderno! Quel che fa il non conoscersi perfetto! Se l’uomo conoscesse la sua perfezione, prima, d’esser fatto per mano di Dio e membro per membro formato, e poi da quello esser fatto padrone d’ogni cosa creata, non si metterebbe mai ad altro esercizio che regnare, che esser dominatore e governatore. Oh che bell’ufízio dell’uomo comprare il lino per far filar le sue donne! Ma che dico io di lino? insino ai belletti per istrisciarsi la faccia portano gli sciocchi uomini alle lor femine. [p. 31 modifica]

Fiorentino. Coloro che si lasciano sgridare e bastonar dalle mogli e dalle femine, che dite?

Peregrino. Son cavalli impastoiati, verbigrazia, animali male arrivati al mondo. Che viltá d’un uomo far calzari e vestiri per ornar la femina! Ché non lasciar far meccanici esercizii a lei per lei e per altri? Un uomo scalza l’altro uomo, un uomo scalza una femina, un uomo fa riverenza e adora, se cosí si può dire, una femina, tesse la tela per la femina, il panno per la femina, compra da empiere il ventre alla femina, la cova, la liscia, la tiene in barbagrazia. O cacacciani òmini sí fatti, o mocciconi, a voi è dato il lavorare i terreni solamente e del resto esser pro veduti; a voi tocca farvi provedere e dare tutti i beni della fortuna in mano alle donne, che son femine come lei, e voi comandare che la gli dispensi bene, e difender la donna, difenderla, dico, perché l’è delle vostre ossa, di quelle piú prossime al cuore. Vedete che questo che io dico si confá con gli antichi costumi; ché i re di Persia davano agli uomini, quando gli riscontravano, in mano saette e dardi, quasi che volessin dir: l’arme sono esercizio da uomini e non il tessere panieri, far botti e guanti profumati, reti da pigliar uccelli e fantocci da bambini, vender frutti, scope da ispazzar la casa e spazzar le strade. O acciecato uomo, fa dell’armi, doma de’ cavalli, va alle caccie, saetta le fiere, spegni i malfattori, scrivi istorie, sculpisci memorie onorate, dipingi fatti egregii dell’uomo e fabrica teatri, palazzi e templi, rizza mole, appicca trofei e segna le vittorie dell’uomo, e non attendere a portare la zana, il cesto, pettinar lino, stillar acque da viso, incannar seta, contar danari e farti suggetto a due piccioli. Meccanico, uomo vile, che ogni dí conduci (ruffiano!) femine all’altro uomo, che, sepellito nella abondanza della roba della fortuna, s’è posto a far vita di femina, spende il suo tutto il giorno in carne puzzolente, stracca dall’errante vulgo, va, fa volar de’ falconi peregrini; affronta de’ porci cignali, navica per istran paesi, cerca nuovi regni e fatti signore de’ luoghi che le bestie ne son dominatrice e non ti stare a dare in preda oggi a una meretrice e domani a un’altra. Non vedi tu che [p. 32 modifica] sei fatto simile a loro? Le carne delicate e molli, il ventre grosso, le guancie grasse, le dita morbide e la man pastosa, piena di gioielli, unto, profumato e cinto di seta fina, e ti stai tutto il giorno con gli altri uomini par tuoi a darti parole! Dá e togli, piglia e ricevi mercati d’erbe, d’olii, di lana, di lini, di vini, d’acque, di legne, di fusi e di rócche, scarpe vecchie, stracci e (in mal’ora e mal punto!) sterco e litanie; perché tu vuoi servire, però, e non vuoi farti servire.

Fiorentino. Voi mi parete un predicatore in nuova maniera di predicare entrato. Che pensiere è il vostro?

Peregrino. Di grazia, poi che io sono in questo farnetico, qui da te e me solo, lasciami sfogare la collora che io ho con gli uomini femine diventati. O uomo, fuori di te medesimo, che t’adormenti in braccio a Dalida, in seno a Diana e in grembo alla sensualitá, svégliati, va, piglia del pesce tanto che ciascuno n’abbia a pieno, va attendere agli armenti che moltiplichino e fa che la terra sia coltivata per sostentamento dell’uomo e della donna; lascia poi fare il pane a lei, fa che ella cucia, che ella apparecchi la tavola, che lei faccia i bucati e che porti l’acqua alla cucina, non ti aviluppare in questi vili esercizii. Ah vile uomo, curafosse, forbitor di predelle e lavacenci, parti egli cotesto l’uffizio tuo? chi t’ha insegnato lasciare da parte di maneggiar l’arme e girar in quello scambio il rocchetto? qual maestro t’ha insegnato pigliare un povero uomo e una vil femina e rinchiuderla in un cerchio di muraglia per danari o per altra meccanica viltá? Va, va, dappoco, e piglia i cignali, piglia i tori, i cervi, i caprioli e fa che l’abondanza moltiplichi e non ti fare mettere il grido dalla viltá di sí poco valore; reggi le republiche nel nome di Dio, ordina le milizie, solca i mari e acquistati degli uomini, delle cittá popolate e non degli ornamenti feminili. Oh che bel perdere il tempo dell’uomo dietro a un ricamo! oh che ore gettate via a far aghi da cucire, empier busecchie di carne da lui tritata, mescer vini, batter bambagia, infilare vezzi, far manigli, imbeccare uccelli e far cordelline, nastri e reticelle! Babbioni! insensati! vili! di grazia, andatemi attorno con puntaluzzi, medaglini, [p. 33 modifica] pennacchi, cappelletti, spadini, guanti profumati, e bottoni travisati, collanini e fori e strafori: oh voi parete le belle donne novelle! L’abito dell’uomo è la celata e la toga, il reggere, il governare, l’acquistare e il difender la republica; nella testiera del cavallo e dietro alla celata, per ornamento del soldato, si portano gli spennacchi e non una codina di galluzzo nel tòcco; le manopole e il guanto di maglia hanno da essere i guanti che portate tagliati a mezzo dito e profumati. Oh quel Massimo che io v’ho detto, era il fiero intelletto! Quello teneva lo stato da uomo e non da femina, sempre ragionava di eserciti, di padiglioni, di fanterie, di cavallerie, di capitani, di regni, di nuove provinzie, di teatri, di abbattimenti, di reggimenti di gran republiche e di forti uomini.

Fiorentino. Per la mia fede, che io vi sono stato ascoltare attentamente: e conosco che ’l mondo ha preso cattiva strada; e questo è che noi ci siamo troppi e ciascuno vorrebbe...

Peregrino... vorrebbe non durar fatica, ma esser femina, starsi in agi e delicatezze e aver de’ danari assai per trattenersi senza un esercizio al mondo con le femine; la sua caccia di due lepri rinchiuse da cento cani, il suo capriolo apostato e dugento uomini attorno, una gran cavalleria dietro, e che si dica: — Chi è quello? — Oh egli è il tal ricco, che vien da caccia e ha preso due lepri e un capriuolo, e ha speso cento scudi in quello spassino agiato agiato e ora se ne ritorna a casa a banchettare. — Va, vedi quante femine vi sará; una gran parte: guarda che tu vegga troppi capitani o molti letterati a quel convito; messer no, alla sua tavola si pascono i suoi simili, uomini effeminati, delicati e ricchi. Poveri soldati, mendichi, virtuosi, buoni uomini in estrema vecchiaia e miseria condotti, vadin pure allo spedale; chi s’afatica sudi, e chi lavora crepi; ma chi spende il tempo in ozio, in lascivia, in feminil pratica, questi si è dovere che stien bene, che s’affaticano dí e notte nello studiar d’aver buone robe, nuove carni di fanciulle e si lambiccano il cervello su’ libri dello arrosto, de’ guazzetti e delle pappardelle, delle piume, e in cambio della milizia si sono straziati in saziare la libidine della meritrice e [p. 34 modifica] la loro stessa ancóra: queste son le lancie che si rompono e l’opere che si scrivono! In cambio d’allevare i lor figliuoli, acarezzano una bertuccia e imboccano un pappagallo, e i loro fanciulli vanno sotto la disciplina d’un pedantaccio effeminato, goloso, lussurioso, ignorante, rozzo di costumi, vil di sangue, senza costumi, d’atti, gesti e modi villani. O vili, dappochi e feminili! Chi vuole far buono un soldato, lo fa esercitare sotto un valente capitano e non lo mette alla dottrina d’un legista; chi ha da fare i suoi figliuoli che abbino dell’uomo reale, sincero e nobile, non gli dia altrimenti sotto un ipocrito pretétto che piace alle donne perché legge l’ufizio, e sta savio perché non son costumi da far imparare a coloro che hanno da venir piú che uomini: pari con pari, e non pedanti e signori, gentiluomini e plebei. Basta oggi spender poco: costumi, dottrina e modi da uomo a tuo posta: spender poco bisogna, per poter lasciar loro da... (lo dirò pure) puttaneggiare, giucare ed empier la gola. Oh quanto sarebbe egli il meglio che gli imparassino come si fa e fossino uomini da farne e vedere farla la roba che spenderla e straziarla! Fate voi, padri ricchi e che allevate i figliuoli nella bambagia, nelle mollizie e ne’ profumi, fate, di grazia, un’esperienza in vita: mandategli, senza una sostanza al mondo, lontani due miglia (per paragone di quegli altri che hanno le virtú, che vanno le migliara e diventano da qualcosa) e vedrete come vi torneranno a casa. Oh, se venisse nuova gente a occupare quello che voi lasciate loro, con che lo difenderanno? o con qual via e modo n’acquisteranno eglino per i lor bisogni? con la dolcezza della carne delle meretrici forse? o con il saper ben mangiare? o veramente con il profumarsi assai? O infelice uomo, che poco gli manca a esser nella estrema miseria dell’ignoranza!

Fiorentino. Pur che non gli sia, ogni cosa va bene.

Peregrino. Non son giá gli ordini antichi questi, non giá i mirabili costumi loro, non l’opere egregie degli antichi uomini: gli animali hanno piú sapienza di noi, miglior vita fanno di noi e si governano meglio di noi. I nostri vecchi non menavano giá tal vita dissoluta, e quei che son vivi non ci dánno [p. 35 modifica] però si fatta legge; ma la licenziosa natura ci tira e sforza, in questi corrotti anni, a viver sí sporcamente. Questo si dice a chi mena tal vita dissoluta e non a chi attende al ben publico e util particolare.

Fiorentino. L’ora è tarda; fia bene metter mano a una piacevol favola e ritirarsi a casa.

Peregrino. Tocca a voi cotesta impresa della novella.

Fiorentino. Per l’amor che voi mi portate, io vi prego a dirla, perché ho intronato il capo dal pensare la miseria del nostro tempo che ciascun cerchi l’ozio.

Peregrino. Che volete voi fare? Per questo non ci si metterá mai regola, se la non vien da qualche parte che possa piú che le forze umane. Or dite, via, questa favola.

Fiorentino. Fatemi questo piacere, ditela voi per questa volta.

Peregrino. Son contento, ma la dirò breve e forse che io la tirerò a proposito del ragionamento mio.

Favola del lione di marmo.

Messer Gabriello Vendramino, gentiluomo viniziano, veramente cortese, naturalmente reale e ordinariamente mirabile d’intelligenza, di costumi e di virtú, essendo io una volta nel suo tesoro dell’anticaglie stupende e fra que’ suoi disegni divini dalla sua magnificenza raccolti con ispesa, fatica e ingegno, andavamo vedendo le antiche sue cose rare, unite, e fra l’altre mi mostrò un leone con un Cupido sopra. E qui discorremmo molto della bella invenzione e lodossi ultimamente in questo, che l’amore doma ogni gran ferocitá e terribilitá di persone. Era con esso noi un galante ingegno che ci affermò una bugia per vera; onde noi ridemmo assai; ed è una favola a proposito del cicalamento che io ho fatto sopra, veramente cicalamento, perché non fará profitto alcuno, tanto sono accecati gli uomini. Disse egli avere avuto gran ragionamento e gran disputa con un suo amico della natura del leone e delle mirabili sue parti ed entrò tanto in sí fatte lodi che lo antepose all’uomo: [p. 36 modifica] e con tali lode e tali ragionamenti se n’andavano passo passo per il lor camino; alla fine, tratti da una gran sete, si fermarono a una fontana a bere, dove sopra di quella era sculpito un Ercole che sbarrava la bocca a un lione. Il compagno, che era stato ascoltare tutte le ragioni in favore del lione, quando vidde l’uomo che lo signoreggiava e vinceva, rivòltosi al compagno, gli disse: — Questa scoltura abatte tutti i favori che tu hai fatti al tuo animale. — Allora il lione sculpito rispose (e lo dovete credere, perché le figure di marmo favellano): — Gran mercé, che l’ha sculpito un uomo! Ogni volta che si troverrá qualche lione che sia scultore, sará facil cosa che facci il lione che amazzi e che facci con il suo scarpello aprir la bocca a un uomo e barrargnene da un canto all’altro. —

Fiorentino. Sta bene il vostro discorso; ma, il far io favellare statue, fo parlar figure che per il dovere favellano e non animali che non hanno la dote dal cielo della loquela. Però taglierò tutto il nostro ragionamento con questa conclusione, poi che siamo a casa (non so s’io avrò dato in brocca al vostro discorso): che le bestie son bestie e gli uomini son uomini.

Peregrino. Quasi che voi v’accostate; ma per ora non vo’ dir altro, se non che gli uomini, visi d’uomini e dentro bestie, si portano da bestie, e gli uomini, visi d’uomini e dentro uomini, fanno sempre fatti, parole e opere da uomini.

Fiorentino. E basta.