I briganti del Riff/12. I briganti della montagna

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12. I briganti della montagna

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12.

I BRIGANTI DELLA MONTAGNA


Gli studenti, ignari del pericolo che li minacciava, non avevano cessato di suonare e di canticchiare, infischiandosene di tutti i briganti della montagna, che d'altronde non si erano ancor fatti vivi. Appassionati suonatori si sfogavano pei giorni in cui, in forza degli avvenimenti, avevano dovuto lasciare in pace i loro istrumenti per prendere invece i fucili.

Quando Janko, sempre impassibile, tornò nella macchia, Carminillo e Pedro stavano riaccordando le loro chitarre.

— Vi offro un rifugio migliore e più sicuro di questo — disse loro. — Volete seguirmi?

— Toh!... — esclamò Pedro. — Mi ero dimenticato della Strega dei Vènti. Come sta la tua protettrice?

— È ancora in buona salute, quantunque debba avere sulle spalle più di novant'anni.

— Che cosa stava facendo? — chiese Pedro.

— Preparava le sue miscele per scatenare i vènti — disse Janko. — Ha acconsentito a prendere anche noi sotto la sua protezione? — domandò Carminillo.

— Sì, señor — rispose il gitano.

— Puzzerà come la tana d'un lupo o d'una jena la cuba della strega.

— No, signore.

— Troveremo da mangiare? — chiese Pedro. — Il miele non mi è bastato per levarmi la fame.

— Io lo spero — rispose Janko.

— Hai parlato del totem? — disse Zamora.

— Sì, anzi è partita subito per interrogare un vecchio del paese che si dice sappia ove trovasi la tomba del primo re zingaro.

— Ben gentile la tua protettrice — osservò Pedro colla sua solita ironia. — Credevo che quel secolo vivente non camminasse più.

— È una gitana, ed i nostri vecchi hanno lunga vita — rispose Janko.

— Ed è venuta qui a fare la bellissima ed interessantissima professione di Strega dei Vènti — disse Carminillo. — Sarei curioso di sapere perché ha lasciata la Spagna pel Riff, ora che fra briganti e gitani da molti anni non vi sono più relazioni.

— Casi della vita, mi ha detto, e niente di più... Volete seguirmi? Fra tre ore il sole calerà e saremo più al sicuro dentro una cuba che sotto una macchia. I leoni e le pantere non mancano anche quassù.

— Andiamo a prendere possesso della tana della Strega dei Vènti — rispose Pedro. — Faremo colà delle suonate meravigliose.

Si erano alzati, gettandosi a bandoliera fucili e chitarre.

Diedero prima un lungo sguardo al panorama magnifico che si spiegava dinanzi ai loro occhi, poi non vedendo sbucare dalle vicine vallette, né scendere dalle colline alcun cavaliere, si incamminarono dietro a Janko in compagnia della gitana.

Per sfuggire ai terribili raggi del sole africano, accelerarono il passo, giungendo ben presto dinanzi alla cuba.

L'attenzione dei due studenti fu subito attirata, piuttosto che da quella piccola costruzione, che somigliava ad una vera tomba, dal minareto il quale si ergeva ad una quindicina di metri dalla cuba e, quantunque semidiroccato, poteva offrire in caso di pericolo, un magnifico rifugio.

— Se i briganti ci assalissero, che cosa preferiresti tu, Carminillo? — chiese Pedro. — Questo sepolcreto od il minareto?

— Il minareto — rispose il giovane ingegnere. — Le sue pareti sono solide ed i proiettili non avranno buon giuoco, anche se sparati da fucili moderni... ma per ora prendiamo possesso della cuba.

— Mi hanno detto che sotto queste piccole costruzioni si trova sempre sepolto un santone.

— È vero — rispose Carminillo.

— Così respireremo aria purissima.

— Eppure la Strega dei Vènti è diventata egualmente quasi centenaria, se dobbiamo credere a Janko.

Si dissetarono tutti alla fonte dalla quale zampillava acqua freschissima e leggera, poi raggiunsero dentro la cuba Zamora ed il gitano.

— Che cosa servono tutte queste pentole piene di pappa verdastra? — chiese Pedro, girandovi intorno a debita distanza.

— Forse serviranno a scatenare i vènti — disse Carminillo, ridendo. — Sarà la pappa di Bolo.

— Janko, porta via tutte le pentole prima che il vento si sbrigli qui dentro, e mandi all'aria noi ed anche la cuba. Da dormire c'è, da bere anche, ma è la cena che io non vedo — disse Pedro.

— Aspetta un po', affamato — rispose Carminillo. — Vi sono dei sacchetti accumulati in quell'angolo ed anche delle altre pentole. Forse troveremo il necessario per prepararci un buon piatto di kuskussù.

— Che cos'è?

— Il piatto nazionale dei marocchini.

— Buono? — domandò Pedro.

— Passabile anche per delle bocche spagnole — rispose Carminillo, il quale rimuoveva ed apriva i sacchetti, mentre Zamora scoperchiava i grossi vasi di terracotta.

Non si erano ingannati. La Strega dei Vènti faceva probabilmente largo uso di kuskussù, piatto molto adatto ai suoi vecchi denti.

Nelle giare vi era della farina di frumento, delle fave secche, delle zucche pure secche, delle cipolle, dello zucchero e del burro un po' rancido, ma che poteva ancora servire per degli stomachi digiuni e poco esigenti.

— Noi abbiamo scoperto l'America — disse Carminillo. — Qui vi è un fornello che si potrà portar fuori per non affumicarci come topi dentro questa tomba. Chi s'incaricherà di preparare la cena?

— Io, — dichiarò Janko — se Zamora mi aiuta.

— Sono pronta — rispose la gitana. — Ho cucinato a Siviglia ed anche a Saragozza, quantunque figlia d'una regina.

— Prendi una pentola ed il fornello e seguimi all'aperto — disse Janko. — Lasciamo che questi signori si riposino.

— Per chi ci prendi tu? — gridò Pedro. — Per uomini privi di nervi e di muscoli? Non siamo gitani, ma siamo spagnoli.

Janko, invece di rispondere, preferì uscire insieme a Zamora, la quale portava le fave, la farina, le zucche ed il burro. Carminillo intanto aveva scovato in un angolo un altro sacchetto, più piccolo degli altri, ed aveva tirato fuori delle tavolette d'un colore verdastro.

— Che cosa offri al mio stomaco sempre affamato? — chiese Pedro. — Qualche antipasto per farmi raddoppiare l'appetito?

— Non toccare questi dolci, amico — rispose Carminillo.

— Infatti, mi sembrano dolci.

— Sono tavolette di madjum, assai usate dai marocchini, ma che potrebbero giuocarti qualche brutto tiro, non essendo tu abituato al kiff.

— Sono dolci, è vero?

— Sì, fatti con burro, miele, noce moscata, chiodi di garofano e foglie di una specie di canapa, chiamate kiff, che ha tutte le proprietà dell'oppio. Mentre gli orientali fumano i narcotici, i marocchini, più raffinati, li mangiano per diventare allegri e fare i sogni più stravaganti. Non toccare questi dolci.

— Io non sono mai stato al Marocco e perciò ti obbedisco — rispose Pedro.

— Vorrei ora da te una spiegazione.

— Parla, giacché siamo soli.

— Non ti sembra strano di trovare qui una gitana?

— Niente affatto. Dov'è che non si trova questo eterno errante che noi chiamiamo lo zingaro? In tutti i paesi dell'Europa, dell'Asia e dell'Africa, incontri sempre i figli del diavolo, come li chiamano gli ungheresi.

— Che cosa sono questi zingari?

— Questa specie umana, che non ha mai avuta una patria, sembra che provenga dall'India. La loro emigrazione risale però a seicento anni fa.

— Ed in Europa ci sono rimasti?

— Sì, malgrado i terribili castighi che, di quando in quando, distruggevano alla lettera delle intere tribù, essendo considerati come pagani.

— Gli zingari hanno dunque subito delle sanguinose persecuzioni?

— E quali Pedro!... I più spietati sono stati i principi cattolici della Germania, i quali volevano fare degli zingari dei cittadini sedentari e dei buoni credenti. Federico Guglielmo, dopo aver dichiarati gli zingari traditori dei cristiani, mandava senz'altro alla forca quei disgraziati che osavano oltrepassare la frontiera della Prussia, non escluse le donne. Nella contea di Rems gli uomini venivano fucilati e le donne fustigate a sangue, poscia veniva impressa a ferro rovente sulla loro fronte, una forca.

— Canaglie!... — esclamò Pedro.

— Nella nostra patria invece si bruciavano come eretici, e fornivano il maggior numero dei disgraziati che morivano barbaramente negli Autodafé. Tuttavia gli zingari per secoli e secoli sono passati attraverso il fuoco ed il ferro senza rinunciare alla loro libertà.

— Ma perché tutti gli anni, quando la buona stagione si apre, emigrano?

— Non saprebbero dirtelo nemmeno loro il perché. È un prepotente bisogno a cui non possono sottrarsi. E come sai, vanno attraverso all'Europa, dalla Spagna alla lontana Russia, colle loro vetture sgangherate ed i loro cavalli slombati, vivendo alle spalle dei popoli che non li respingono. Dicono che vanno sempre in cerca d'una patria, non sapendo dove si trovi quella dei loro antenati.

— E come fanno a dirigersi ed a ritrovarsi? So che non partono tutti insieme, bensì a piccoli gruppi.

— È vero, Pedro. Quella gente sa orientarsi alla stregua dei colombi viaggiatori, e non c'è pericolo che si smarriscano e che non sappiano trovare la via del ritorno, poiché tutti gli anni le diverse tribù passano l'inverno fisse nelle loro sedi primitive. Ti dirò tuttavia che quando i primi gruppi partono, lasciano delle tracce note soltanto a quegli eterni camminatori, e che danno non solamente la direzione, ma spiegano anche altre cose. Guai a chi distruggesse quei segni, che per lo più consistono in pezzi di legno confitti nel suolo, in brandelli di stoffa colorata appesi agli alberi, in paglie intrecciate e abbandonate fra i cespugli; verrebbe infallantemente ucciso.

— Quei segnali corrispondono ad una specie di linguaggio?

— Sì, Pedro.

— E non hanno provato a renderli sedentari?

— Un secolo e mezzo fa, — disse Carminillo, — Maria Teresa, regina degli ungheri, si provò a immobilizzarli colla violenza in non so più quale paese, eppure dopo dieci anni di sforzi incessanti, dovette confessarsi vinta. Gli zingari, sfidando ogni genere di pericoli, emigravano egualmente. Anche, recentemente, l'arciduca austriaco Giuseppe, volle rinnovare il tentativo, colla speranza di rigenerarli. Li radunò in gran numero in Transilvania e diede loro terre ben fruttifere da coltivare, e belle e comode case, mettendoli insieme a molti suoi contadini, e che cosa credi che ottenesse? Un bel giorno anche quegli zingari che potevano guadagnarsi comodamente la vita, scomparvero coi loro stracci e non fecero più ritorno.

— Razza strana!... Ma che cosa vanno cercando attraverso all'Europa ed all'Africa settentrionale?

— Te l'ho detto, la patria che hanno smarrita e che non riescono più a ritrovare.

— E che non troveranno mai, probabilmente.

— Bisognerebbe che ripassassero gli Urali e tornassero in Asia, mentre pare che si trovino troppo bene ormai qui.

— E se...

— Taci: ecco i cucinieri.

Janko entrava, seguito da Zamora, la quale reggeva una pentola fumante contenente il kuskussù.

— Piatto marocchino! — chiese Pedro.

— Sì, señor — rispose Janko.

— Sarà almeno tollerabile?

— Quando lo avrete assaggiato me lo direte.

In mezzo alla cuba vi era un vecchio tappeto di Rabat, che non aveva ancora perduto del tutto i suoi smaglianti colori, quantunque dovesse contare molti anni.

Zamora depose la pentola su quello, invitando con un gaio sorriso i due studenti a servirsi. Vi erano alcuni vecchi cucchiai di ferro, assai arrugginiti, sopra una tavola conficcata nella parete, insieme ad alcune tazze screpolate, ed una caffettiera ancora colma dell'aromatica bevanda, impregnata leggermente di ambra, come usano i marocchini.

Gli studenti ed i gitani, ai quali l'appetito non faceva difetto, diedero l'assalto alla pentola, vuotandola rapidamente. Il kuskussù marocchino, se ben fatto, non è cattivo, e non spiace nemmeno ai palati europei. Una tazza di caffè mise fine a quella magra cena.

— La Strega dei Vènti non si lascia mancare nulla — disse Pedro, il quale, frugando fra i sacchetti dei viveri, era riuscito a scoprire due vecchie pipe, del tabacco ed una bottiglia d'aguardiente. — Non avrei mai immaginato di poter passare quassù una serata così deliziosa... Carminillo, faremo una serenata in onore di quel secolo camminante e della sua tana.

Le tenebre cominciavano a scendere, però vi era una lampada di rame, tutta ammaccata, vecchia forse quanto la strega e ripiena d'olio di sesamo.

I due studenti, che si ritenevano sicurissimi, accesero le pipe e la lampada ed accordarono le chitarre.

Janko era uscito colla scusa di montare la guardia, e cominciava ad impazientirsi del ritardo della vecchia e dei suoi amici che dovevano sbarazzarlo dell'odiato rivale e del suo compagno.

La luna rovesciava sulla macchia dell'altipiano miriadi di raggi azzurrini ed in lontananza, in fondo alle gole, gli sciacalli ricominciavano la loro musica noiosa accompagnata dagli ululati delle jene.

I due studenti, accese le pipe, sorseggiato l'aguardiente, si erano messi a suonare, mentre Zamora, stesa su di un angareb, stava ad udirli.

Già avevano ripassate le più belle romanze castigliane, quando gli orecchi acuti della gitana furono colpiti da un lontano fragore. Balzò dall'angareb e si precipitò fuori della cuba, spingendo gli sguardi attraverso alla selvaggia campagna.

Con suo stupore non vide più Janko. Un sospetto terribile le balenò subito nel cervello.

— Quel miserabile ha tentato un tradimento! — esclamò.

Dal fondo d'una valle alcune ombre che parevano di cavalieri, sbucavano al piccolo trotto.

Zamora mandò un grido: — Janko!... Janko!...

Nessuno rispose.

— Ah!... Il miserabile!... — esclamò.

Si precipitò dentro la cuba dove i due studenti continuavano tranquillamente a fumare ed a suonare.

— I riffani!... — gridò. — Salgono la valle che si apre di fronte a questo spiazzo.

— Di già!... — esclamarono gli studenti, impugnando i fucili.

— Fuggiamo?

— Zamora, hai veduto proprio dei briganti? — chiese Carminillo.

— Ed a cavallo — rispose la gitana.

— E Janko non ha segnalato il pericolo? Dov'è quel malandrino!

— È scomparso.

I due studenti si guardarono l'un l'altro con inquietudine.

— La Strega dei Vènti ci ha teso un infame agguato, — disse Carminillo — e forse con la complicità di Janko.

— Fuggiamo, Carminillo!... — suggerì Pedro.

— E dove, se davanti a noi si apre l'abisso ed i briganti sono a cavallo, è vero, Zamora?

— Sì, señor.

— Un'idea — disse Pedro. — Sgombriamo la cuba e rifugiamoci nel minareto. Forse là non verranno a cercarci, e poi dietro a quelle pareti potremo resistere più a lungo.

— Fuori!... Fuori!... — gridò Carminillo.

Gli studenti nascosero le chitarre sotto gli angareb, presero le armi, le pipe, il tabacco e la bottiglia d'aguardiente, e si slanciarono verso il minareto.

La porta di quella specie di campanile non era stata del tutto ostruita.

I fuggiaschi, prima ancora che i cavalieri comparissero sull'orlo della valletta, spostati rapidamente alcuni mattoni, scivolarono attraverso all'apertura, chiudendola subito con delle pietre che avevano trovato nell'interno del minareto.

Una scala, che la luna illuminava in parte, si offriva dinanzi a loro ed ancora in ottimo stato.

La salirono di corsa e raggiunsero il ripiano del minareto.

In quell'istesso momento i cavalieri comparivano sull'altipiano, avanzandosi a piccolo galoppo.

Erano circa una quarantina, muniti di armi da fuoco e colle cinture cariche di pistoloni e di yatagan. Li guidava uno sceicco d'alta statura, avvolto in una lunga cappa bianca. — Che vengano proprio qui? — chiese Pedro, avendoli veduti fermarsi, come se fossero indecisi sulla buona direzione da prendere.

— Ti dico che noi siamo stati traditi da quella maledetta vecchia e da Janko — disse Carminillo. — Che cosa ne dici, Zamora?

— Divido la tua opinione, señor — rispose la gitana. — Janko ti odiava troppo, lo sapevo.

— Ed io al pari di te, mia giovane amica — soggiunse Carminillo. — È geloso di me il giovanotto; ma i briganti non mi hanno ancora preso, e vedremo se Janko tornerà vivo in Spagna.

— Lo ucciderò io quel miserabile — disse la gitana, con voce sibilante. — È affare mio, señor, un affare che si sbriga fra zingari.

— Questo lo decideremo dopo, Zamora — dichiarò Carminillo. — Intanto noi non abbiamo ancora nelle mani le prove del suo tradimento.

— Che cosa vengono allora a cercare quei cavalieri? — chiese Pedro. — Siamo appena giunti sull'altipiano ed eccoli giungerci addosso. Sì, Carminillo, noi siamo stati traditi.

— M'ingannerò, — disse Zamora — ma io ho la convinzione che il capo dei gitani di Siviglia mi abbia messo ai fianchi Janko non già per proteggermi, bensì per impedirmi con tutti i mezzi di impadronirmi del totem.

— Lo sospetto anch'io — osservò Carminillo, il quale era diventato assai preoccupato. — Vediamo che cosa fanno i briganti.

I quaranta cavalieri, che la luna rischiarava in pieno, si erano fermati sull'orlo della gola e pareva che tenessero consiglio. È consuetudine dei marocchini di non tentare alcuna impresa, se prima non hanno fatto un largo spreco di chiacchiere.

Che mirassero alla cuba però non vi era da dubitare, poiché lo sceicco, che montava un bel cavallo nero come la notte, colle mani la indicava.

— Li lasceremo venire, o daremo subito battaglia? — chiese Pedro.

— Non sprechiamo colpi — rispose Carminillo. — Tutti siamo scarsi di cartucce, e poi quelle canaglie potrebbero andarsene senza visitare il minareto. Se verranno ad attaccarci qui non faremo economia di palle, prima no.

— Forse non sospetteranno che noi siamo qui.

— Lo vedremo fra poco, Pedro.

I cavalieri avevano terminato la loro palabra e si erano rimessi in moto, avanzando con grandi precauzioni. Tutti avevano impugnato il fucile puntandolo verso la cuba, come se si aspettassero da quella parte una improvvisa scarica.

Lo sceicco li precedeva di alcuni passi, facendo caracollare il suo superbo destriero.

— Che peccato non poter far fuoco! — esclamò Pedro. — Mi piacerebbe smontare il capo dei briganti e sarei sicuro di non mancare la mira.

— No, per ora no — disse Carminillo. — Non prenderanno d'assalto così facilmente, come forse credono, questo minareto. La scala è strettissima e facile a difendersi, e vi sono delle feritoie per sparare al coperto, e per di più le pareti sono salde, impenetrabili ad una palla di fucile. Lascia che vengano.

— Che Janko e la strega siano con loro?

— Sotto quelle cappe non si possono distinguere.

— Ah, canaglia!... Quel gitano non riporterà le sue ossa in Spagna.

— E nemmeno la strega — aggiunse Zamora, mentre un lampo terribile le accendeva i nerissimi occhi.

— Silenzio: eccoli — disse Carminillo.

I cavalieri, incoraggiati dal silenzio che regnava nella cuba, avevano affrettato il passo, giungendo ben presto dinanzi alla piccola costruzione.

Lo sceicco e dieci uomini del suo seguito saltarono a terra e s'avvicinarono con cautela all'ingresso.

Carrai!... — esclamò in quel momento Pedro, dandosi un pugno sulla testa. — Noi abbiamo commessa una imperdonabile imprudenza.

— Quale? — chiese Carminillo.

— Abbiamo lasciata la lampada accesa.

— Che cosa importa? Possiamo essere partiti senza prenderci il disturbo di economizzare un po' d'olio di sesamo. Stiamo a vedere che cosa succede.

Si erano sdraiati sul ripiano del minareto, in mezzo a dei grossi mattoni che li nascondevano perfettamente. Dinanzi si erano messi i mausers pronti a servirsene.

Lo sceicco ed i suoi compagni, dopo una lunga esitazione, si decisero ad irrompere nella cuba, gettando clamori selvaggi come se dovessero impegnare subito la lotta. Quelli che erano rimasti fuori, tanto per fare del baccano, spararono alcuni colpi in aria e fecero impennare i loro cavalli come se dovessero lanciarli ad una carica furiosa.

Pochi momenti dopo lo sceicco usciva tenendo in mano la lampada che gli studenti si erano scordati di spegnere, e le due chitarre che aveva scovato sotto gli angareb.

Pedro, vedendo il suo strumento nelle mani dei briganti, mandò un vero gemito.

— Ah, la mia povera chitarra!... — esclamò. — Ed era d'autore.

— Gliela riprenderai più tardi — disse Carminillo, il quale però non era meno commosso dell'amico. — Che cosa vuoi farci? I nostri istrumenti, d'ora innanzi, andranno a rallegrare le orecchie delle belle riffane.

— Non so rassegnarmi. Lascia che accoppi quel bandito.

— Non te lo permetto. Pensa, d'altronde, che la nostra pelle vale di più delle chitarre, ed in Spagna ne potremo comprare altre a buon prezzo. — Ah, canaglie!... Che cosa faranno del mio istrumento?

— Non udite, señor? — disse Zamora, ridendo.

Il capo dei banditi, invece di mettersi subito in cerca dei fuggiaschi, si era messo a suonare furiosamente la chitarra del futuro avvocato, facendo saltare le corde. Quella di Carminillo non ebbe miglior fortuna, poi i due istrumenti furono fracassati contro le pareti della cuba, facendoli volare in schegge.

— Assassini!... — borbottò Pedro, tentando di puntare il fucile.

Il giovane ingegnere, che lo sorvegliava, era stato pronto a trattenerlo.

I briganti, gettata via anche la lampada, risalirono a cavallo, ed allargarono le loro ricerche spingendosi verso la macchia di querce.

Lo sceicco con sette od otto riffani era rimasto presso la cuba, ma pel momento non aveva nemmeno pensato al vicino minareto.

I cavalieri per qualche ora scorrazzarono l'altipiano, spingendosi anche presso l'immenso abisso, poi ritornarono alla cuba sagrando e facendo gesti di furore.

— Si guastano il sangue — disse Carminillo. — Eppure il minareto è ben visibile ed anche così grosso da contenere parecchie persone.

— Che la vecchia strega scatenasse i vènti da quassù, e che perciò non osino accostarsi a questa specie di torre?

— Può essere, Pedro. I riffani sono assai superstiziosi, tuttavia non cantiamo troppo presto vittoria.

Lo sceicco si era staccato bruscamente dal gruppo e si era avvicinato lentamente al minareto, girando intorno ai rottami caduti dall'alto e che formavano un cumulo di un paio e più di metri.

I suoi sguardi cercavano certamente l'entrata. Se gli studenti non erano stati trovati nella cuba e neppure nei dintorni, il sospetto che si fossero nascosti nel minareto doveva nascere subito anche ad uno che non fosse stato un brigante.

Per tre o quattro volte fece il giro guardando in aria e poi abbasso, poi raggiunse rapidamente i compagni, i quali tenevano sempre i fucili in pugno.

Vi fu un'altra discussione in lingua araba, che si protrasse per più di un'ora, e a voce così alta che giungeva chiaramente agli orecchi degli studenti e di Zamora, ma essi nulla poterono comprendere, perché nessun di loro conosceva la lingua araba.

— Carminillo, — disse Pedro, sottovoce — siamo stati scoperti, e fra poco quelle canaglie forzeranno il passaggio.

— Dovevano immaginarselo ben prima che noi ci eravamo ricoverati qui, non avendoci sorpresi dentro la cuba.

— Ed allora lascia che accoppi quel cane di sceicco che mi ha fracassata la chitarra — disse Pedro.

— Le fai pagare care, tu, le chitarre — rispose Carminillo, sorridendo. — È vero che siamo i famosi studenti di Salamanca.

— Mi lasci sparare?

— Aspetta un po'.

Lo sceicco era tornato verso il minareto, ed in buona lingua spagnola aveva gridato con voce tuonante: — Che le spie degli spagnoli si arrendano, o noi ci vendicheremo terribilmente.

Pedro sporse il capo fra i rottami delle stroncature e gridò: — Signor brigante, giacché ci avete scoperti, noi non ci nasconderemo più, però vi avverto che anche noi siamo armati e che corpo d'un fulmine, consumeremo fino l'ultima cartuccia.

Quelle parole erano state accolte da un grande scroscio di risa da parte dei briganti della montagna.

Señor — gridò lo sceicco, toccandosi cortesemente il turbante. — Vuoi scendere per risparmiarci la fatica di venire a prenderti costassù? Ormai non puoi più fuggire come non potranno fuggire il tuo compagno ed anche la ragazza che si trova con te.

— Per la morte di quel cane di Maometto!... — urlò Carminillo. — Come sai tu, briccone, che siamo in tre?

— Me lo ha detto la vecchia che scatena i vènti — rispose lo sceicco.

— Alla quale strapperò il cuore!... — gridò, con voce fremente, Zamora.

— Orsù, señor, vuoi scendere? — chiese lo sceicco, il quale cominciava ad impazientirsi. — Siamo in quaranta e voi solamente in tre.

— Ma bene armati — rispose Carminillo, senza sporgere la testa per non prendersi a tradimento qualche fucilata.

— Avrai anche dei montoni ed una grossa provvista d'acqua.

— Certo che i viveri non ci fanno difetto, cane d'un brigante?

— Cristiano dannato!... Tu ti burli di me!... — urlò il capo. — Getta giù le armi, e poi scendi coi tuoi compagni.

— E quando ci saremo arresi, che cosa farai di noi signor brigante?

— Vi tratteremo come spie spagnole.

— Spie!... Noi siamo qui venuti a fare una gita insieme ad un contrabbandiere che la tempesta si è portato via nel momento che la sua nave naufragava.

— Ah!... Ah!... Non sai dunque che da tre giorni combattiamo contro i tuoi compatrioti?

— È scoppiata la guerra?

— Sì, señor, una guerra che costerà al tuo paese molte vite umane e molto danaro. Sarà la volta che noi prenderemo d'assalto Melilla.

— Allora ci tratterai come prigionieri fatti sul campo di battaglia.

— Tu non hai ancora combattuto.

— Allora prendi, canaglia!... — urlò Pedro, alzandosi di colpo e sparando rapidamente un paio di colpi.

Lo sceicco non fu colpito. Cadde invece un cavaliere che gli stava qualche passo più indietro e che rimase fulminato.

I quaranta briganti scaricarono le loro armi urlando ferocemente, poi si allontanarono a corsa sfrenata, salutati da altri due colpi di fucile che gettarono a terra, questa volta, due cavalli.

— Amici miei, — disse Carminillo, — dovremo sostenere un vero assedio. Quelle canaglie non ci lasceranno andare, specialmente ora che la guerra è stata dichiarata dai nostri.

— Come può essere avvenuta questa improvvisa rottura fra i riffani e gli spagnoli, mentre quando ci siamo imbarcati non si sentiva odor di polvere? — chiese Zamora.

— Sarei curioso di saperlo anch'io — disse Pedro.

— Ce lo dirà lo sceicco quando ci avrà presi — rispose Carminillo.

— E tu credi che siano tanto audaci da montare all'assalto del minareto difeso da tre buoni mausers!

— Sono in quaranta, mio caro Pedro, ed i riffani sono più valorosi dei marocchini.

— Che ci assedino?

— Mi pare di sì. Quei furfanti ci faranno capitolare per fame e per sete.

— Sarà più comodo per loro; ma, non ostante, ne smonteremo molti di quei briganti — disse Pedro. — Ho una sessantina di cartucce e non ne conserverò che una per spararla in piena faccia a quel cane di sceicco. Arrendendoci senza combattere non guadagneremo nulla.

— Purtroppo, mio povero Pedro!

— E che cosa faranno di noi? Che ci taglino gli orecchi ed il naso? Preferisco che mi uccidano piuttosto che ritornare all'Università così spaventosamente mutilato.

— Signori, contate assolutamente su di me — disse la gitana. — Anch'io ho ancora una cinquantina di cartucce e cercherò di collocarne parecchie nei cervelli dei briganti.

— Lo sappiamo che tu sei coraggiosa, Zamora, — soggiunse Carminillo, con voce un po' commossa, — come pure sappiamo quanto tu sia abile tiratrice.

Carrai!... — esclamò in quel momento Pedro.

— Cade il minareto? — chiese il giovane ingegnere.

— Se approfittassimo della ritirata dei briganti per andare a saccheggiare la cuba?

— Ci pensavo anch'io, Pedro, ma quello che più mi preme è l'acqua.

— M'incarico io di questo affare.

— Noi veglieremo su di te e fucileremo senza misericordia i briganti che tentassero avvicinarti. Approfitta dell'oscurità giacché la luna se ne va.

— Lascia fare a me, Carminillo.

Il bravo giovanotto prese il fucile temendo un ritorno improvviso dei briganti, e scese a precipizio la scala.