I cani/Differenza nei cani

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2. Differenza nei cani

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Cani in Oriente Il cane amico dell'uomo


Si disse di un grande allevatore inglese, che egli era uno scultore in carne. Invero, gl’inglesi sono il primo popolo del mondo in quest’arte sorprendente di modificare gli animali domestici, diremmo così, a piacimento, producendo qualche volta delle vere trasformazioni. Le varie razze di piccioni che si sono venute e si vengono producendo in Inghilterra, dimostrano bene ciò colla maggiore evidenza.

Prima di ogni altro animale il cane, fino dai tempi più remoti, fu preso dall’uomo e addomesticato. I bisogni dell’uomo variando nello spazio e nel tempo a seconda delle diverse plaghe terrestri e dei diversi periodi della vita dell’umanità, e variando coi bisogni anche i gusti e i capricci, a seconda di tutto ciò il cane fu continuamente modificato, tramutato, trasformato.

Gli antichi pastori della campagna romana, durante la repubblica e fino ai primi tempi degl’imperatori, adoperavano per la guardia delle loro gregge cani molto somiglianti ai lupi. Anche oggi i cani somigliano moltissimo ai lupi in parecchie parti del mondo.

Nella seconda spedizione di Parry, alcuni marinai in caccia non osarono sparare sopra un branco di una dozzina di lupi che si stringevano minacciosamente intorno ad alcuni eschimesi, perché non sapevano bene se si trattasse propriamente di lupi o se per avventura non fossero cani, nel quale ultimo caso, quando ne avessero ucciso qualcuno, sapevano che avrebbero recato un gravissimo danno a quella povera gente. Nelle pianure dell’Ungheria, qualche volta il pastore medesimo sbaglia, scambiando un lupo per uno dei suoi cani. Pare che ciò avvenisse non di rado a quegli antichi pastori della campagna romana, perché Columella raccomandava loro di procacciarsi cani bianchi, affine di non ferire tal volta il cane in iscambio del lupo. Quei pastori non intesero a sordo, e i cani dei pastori attuali della campagna romana sono bianchi.

Con quanta agevolezza l’uomo ottenga oggi a sua posta la persistenza di un dato colore del pelame in questa o quella razza è cosa che ognuno conosce. I barboni sono tutti bianchi o tutti neri, raramente pezzati. I cani di Terranova più belli sono tutti neri.

Quei graziosi cagnolini della razza di Pomerania, che tanto sono pregiati in Roma, e oggi cominciano a diffondersi in altre parti d’Italia col nome di cani del Quirinale, hanno il lungo e morbido pelame candido come neve.

I cani che hanno tutto nero il pelame, per lo più hanno una macchia color di fuoco sopra ciascuno dei due occhi. In Piemonte si dice dei cani di questa razza che essi hanno quattro occhi, e si chiamano addirittura «cani quattrocchi». Questi cani quattrocchi c’erano già, ed erano già chiamati così, al tempo di Zoroastro. Sta scritto nell’Avesta che quando si è portato un morto lungo una strada, affinché possano poi i vivi tenere senza danno la medesima via, bisogna farci passare per tre volte un cane quattrocchi. In mancanza di un cane ci si può far passare un prete che dica queste vittoriose parole: «gathâ chû aairyô...».

Gl’inglesi, quando vogliono dire che un uomo è incapace di arrossire, dicono che arrossisce come un cane nero.

Una bella razza di cani i quali vennero primitivamente dalla Dalmazia, e si diffusero molto dapprima in Danimarca poi in Inghilterra, è macchiettata elegantemente di bruno su fondo chiaro, come il leopardo di nero su fondo dorato: a questi cani gl’inglesi danno lo strano nome di plumpuddings. Certi bracchi sono costantemente pezzati. L’uomo ha mutato a sua posta il pelame del cane non solo tingendolo di questo o di quel colore, ma facendolo più o meno folto o rado, ispido o morbido, rigido o flessuoso, lungo o corto, ricciuto o liscio, e via dicendo. Nell’America del Sud, prima della scoperta di Colombo, c’erano cani indigeni, e di questi una razza, al Messico, aveva la pelle nuda, come il cosiddetto cane d’Africa, che dallo interno di quel continente si diffuse in varie parti di esso, poi in varie parti dell’Asia, e finalmente anche nel continente americano.

In Piemonte si chiamano «cani dai due nasi» quei bracchi che hanno una profonda scanalatura longitudinale fra le due narici, per cui i due orifizi si trovano discosti, e il cane appare come se avesse due nasi.

Quando il pointer non aveva ancora preso il posto del bracco, e quest’ultimo teneva il primato, l’uomo si compiaceva nello accudirlo, nel perfezionarlo, nel modificarlo. Ho già parlato testé della singolare modificazione che l’uomo indusse nel bracco, solcandogli le narici longitudinalmente in modo che sembra avere un doppio naso. Un’altra modificazione più notevole si ottenne, ed era comune in sul principio del corrente secolo nei bracchi del Piemonte. Il cacciatore, riconoscendo nella coda del suo bracco un imbarazzo, siccome era veramente nel modo di caccia di allora, lo volle senza coda, e l’ottenne. Nascevano allora bracchi colla coda appena rudimentale. Quei cani dei pastori della campagna romana di cui ho detto sopra, nascono quasi tutti senza coda, e ciò fu notato già da circa un secolo, e lo notò il Goethe, quando viaggiava in Italia; e diede la importanza che si merita a questo fatto di profonda modificazione indotta dall’uomo.

Forse tale uso che hanno i pastori nella campagna romana è antichissimo. Columella raccomandava il taglio della coda ai cagnolini in età di quaranta giorni, siccome preservativo della rabbia.

Al tempo di Shakespeare, in Inghilterra, le leggi forestali, che amo credere siano state oggi modificate, imponevano il taglio della coda ai cani dei villani. Si credeva che col tagliare la coda a un cane gli si togliesse il coraggio.

«La speranza in certe faccende non è altro che un cane senza coda.» («Allegre comari di Windsor».)

Le orecchie lunghe, piatte, flosce, penzolanti del bracco fanno un singolare contrasto con quelle diritte e aguzze del veltro. Questo ha il capo stretto, allungato, il muso aguzzo; il botolo ha il muso corto, come schiacciato dallo avanti allo indietro, il cranio largo, e questa disposizione è maggiore nell’alano, ed è portata fino alla esagerazione, si direbbe fino alla mostruosità, nel bull-dog.

Il veltro ha il corpo svelto, allungato, leggero, sorretto da altissime zampe, ristrettissimo al ventre, atto a piegarsi come un arco, a scattare come una molla. Il bassotto ha il corpo grosso, tozzo, allungato, colle gambe corte e storte.

L’uomo ha foggiato il veltro per inseguire nella loro velocissima fuga le gazzelle pei deserti dell’Africa e le steppe dell’Asia, ha foggiato il bassotto per cacciarsi strisciando nelle tane delle volpi e dei tassi.

A due sorta di cani l’uomo ha allargato la pelle frammezzo alle dita per rendere le loro zampe meglio atte al nuotare. Queste due sorta di cani sono il cane da lontre e il cane di Terranuova. Il primo l’uomo lo adopera, secondo che dice lo stesso nome che gli ha dato, per la caccia delle lontre. Il secondo lo adopera con molto maggior vantaggio, educandolo a venirgli in aiuto, quando è in pericolo di annegarsi.

Non meno grande della differenza che l’uomo indusse nelle forme dei cani è quella che egli indusse nella mole.

La vergine cuccia delle Grazie alunna del Parini è rappresentante di una schiera di cagnolini minuscoli chiamati cani da signore, cani da trastullo, e con altri nomi ancora, taluni dei quali troppo energici perché si possano riferire, o cercar di adombrare anche dalla lontana. Il king-Charles, il cagnolino di Malta, il Bolognese, il cane di Blenheims, il barbone nano, il lioncello, il piccolissimo veltro italiano, spettano a questa categoria di cagnolini pei quali il signor Vogt deplora che le signore russe abbiano una soverchia predilezione.

Perché le signore russe?

Se contrapponiamo a questi pigmei un qualche bel rappresentante della razza di cani danesi, che sono oggi di moda nelle principali città d’Italia, un molosso, o un cane del San Bernardo, o un alano del Tibet, abbiamo gli estremi della picciolezza e della grandezza ottenute dall’uomo nei cani domestici.

L’uomo ha costretto i cani a pascersi di certe sostanze alimentari che son ben diverse da quelle che meglio loro piacciono, che sono anzi tali che nelle condizioni ordinarie mostrano per esse avversione. Nel Kamtschatka e nella maggior parte della Norvegia i cani non mangiano che pesci, nella Nuova Guinea e nella Tierra del Fuego mangiano ancora pesci, ma anche granchi, cui vanno a cercare nei fessi delle rocce al tempo della bassa marea. Imparano anche quei cani a voltare le pietre sotto le quali i granchi sogliono tenersi nascosti, imparano a staccare con un colpo di zampa bene aggiustato i molluschi appiccicati alle rocce, e quasi si potrebbe dire, dal modo in cui misurano il colpo, che sanno la necessità di riuscire alla prima, perché in caso diverso il mollusco sviluppa una forza di adesione tale che il cane non potrebbe più, anche adoperando tutte le sue forze, staccarlo dalla roccia. Talora un nostro cane domestico mostra per eccezione una preferenza ben evidente pei cibi vegetali, segnatamente per le farine. Io ho conosciuto sulla collina di Superga un cane che nella stagione dell’uva matura preferiva i dolci grappoli a ogni altro cibo, e stava dal mattino alla sera, o anche dalla sera al mattino, lungo i filari, con grande disperazione dei contadini che non osavano scacciarlo perché era il prediletto della padrona, e si contentavano di pregarlo ad andarsene dandogli del lei, dicendogli con piglio impaziente:

«Oh, alla perfine, faccia il piacere, se ne vada una volta».

Nei vigneti dell’Ungheria, dove i grappoli sono bassi, quasi a terra, i cani producono molto danno. Nei vigneti intorno a Bordeaux, secondo quello che riferisce il Lenz, il proprietario che trovi presso i grappoli delle sue viti un cane senza museruola, ha il diritto di farlo morire in quel modo che meglio gli piaccia. Generalmente lo impicca. Così, quando le uve sono mature, si vedono qua e là penzolanti dalle forche improvvisate quei cani colpevoli, destinati ad atterrire coll’esempio della loro mala fine altri cani che avessero gli stessi pravi intendimenti. L’esempio, secondo il solito, non giova.

Come s’avvezza il cane a cibi inconsueti, così, e molto più volentieri, si avvezza alle bevande alcoliche. Il signor Brehm dice di aver conosciuto un cane che beveva avidamente la birra di Baviera, la distingueva e la preferiva a tutte le altre qualità di birra, si ubriacava e faceva delle pazzie insieme cogli uomini parimente ubriachi. Giusto Lipsio amava svisceratamente un suo cane per nome Zaffiro e lo aveva avvezzato a bere vino.

Non meno della forma esterna l’uomo ha modificato talora molto profondamente nel cane la struttura interna, le ossa, le viscere, gli organi dei sensi, tutto.

E qui mi fermo per fare al mio lettore una capitale raccomandazione.

La raccomandazione è che egli legga «La vita degli animali» di A. C. Brehm, e la «Variazione degli animali e delle piante sotto l’azione dell’addomesticamento» di Carlo Darwin. Se il mio lettore non sa né il tedesco né l’inglese, siccome io suppongo, perché io suppongo sempre il mio lettore ignorantissimo, ben sapendo come gli uomini sapienti non badino a ciò che io scrivo, gli dico che di queste due opere fu pubblicata una traduzione dalla Unione tipografica torinese.

Da queste due opere io prendo ora questo ora quel brano, e ciò dichiaro qui una volta per sempre. In queste due opere, nella seconda principalmente, il lettore troverà menzionati tutti quegli autori che hanno scritto intorno a questa materia con maggiore corredo di cognizioni e di senno, con maggiore autorità, con maggiore competenza, e che più meritano di essere consultati.