I grandi navigatori del secolo XVIII/Capitolo I

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Capitolo I.
ASTRONOMI E CARTOGRAFI

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Jules Verne - I grandi navigatori del secolo XVIII (1879)
Traduzione dal francese di Anonimo (1895)
Capitolo I.
ASTRONOMI E CARTOGRAFI
Capitolo II

Cassini, Picard e La Hire - Il meridiano e la carta di Francia - G. Delisle e d’Anville - La forma della Terra - Maupertuis in Lapponia - La Condamine all’equatore

Prima d’intraprendere il racconto delle grandi spedizioni del secolo XVIII, dobbiamo segnalare gli immensi progressi compiuti dalle scienze durante questo periodo. Essi rettificarono un gran numero d’errori consacrati, diedero una base certa ai lavori degli astronomi e dei geografi. Per non parlare se non dell’argomento che ci occupa, essi modificarono radicalmente la cartografia e assicurarono alla navigazione una sicurezza prima ignota.

Sebbene Galileo avesse osservato, fin dal 1610, le eclissi dei satelliti di Giove, l’indifferenza dei governi, la mancanza di strumenti d’una potenza sufficiente, gli errori commessi dai discepoli del grande astronomo italiano, avevano resa sterile quest’importante scoperta.

Nel 1668, Giovanni Domenico Cassini aveva pubblicate le sue Tavole dei satelliti di Giove, che lo fecero chiamare l’anno seguente da Colbert e gli valsero la direzione dell’Osservatorio di Parigi.

Nel mese di luglio dell’anno 1671, Philippe de la Hire era andato a fare alcune osservazioni a Uraniborg, nell’isola di Huen, sul luogo medesimo dell’Osservatorio di Tycho Brahe. Là, mettendo a profitto le tavole di Cassini, egli calcolò, con un’esattezza che prima non era mai stata ottenuta, la differenza tra le longitudini di Parigi e d’Uraniborg.

Nello stesso anno l’Accademia delle Scienze mandò a Cajenna l’astronomo Jean Richer perché vi studiasse le parallassi del Sole e della Luna e le distanze di Marte e di Venere dalla Terra. Questo viaggio, che riuscì benissimo, ebbe conseguenze inaspettate e fu occasione dei lavori intrapresi poco dopo sulla forma della Terra. Richer osservò che il pendolo ritardava di due minuti e ventotto secondi a Cajenna, il che provava che il peso era minore in quest’ultimo luogo che non a Parigi.

Newton e Huyghens ne argomentarono dunque lo schiacciamento del globo ai poli. Ma poco dopo le misure d’un grado terrestre date dall’abate Picard e i lavori del meridiano eseguiti da Cassini padre e figlio, conducevano questi scienziati a un risultato assolutamente opposto e facevano loro considerare la Terra come un ellissoide allungato verso le sue regioni polari. Questo fatto fu origine di discussioni e di lavori immensi, che giovarono alla geografia astronomica e matematica.

Picard aveva intrapreso il compito di determinare lo spazio compreso tra i paralleli d’Amiens e di Malvoisine, che comprendono un grado e un terzo. Ma l’Accademia, pensando che si poteva giungere a un risultato più esatto calcolando una distanza maggiore, decise di misurare in gradi tutta la lunghezza della Francia da nord a sud. Fu scelto perciò il meridiano che passa dall’Osservatorio di Parigi. Questo gigantesco lavoro di triangolazione, cominciato venti anni prima della fine del secolo XVII, fu interrotto, ripreso e terminato verso il 1720.

Contemporaneamente Luigi XIV, spinto da Colbert, ordinava di preparare una carta della Francia. Furono fatti dei viaggi, dal 1679 al 1682, da alcuni scienziati che determinarono, mediante osservazioni astronomiche, la posizione delle coste sull’Oceano e sul Mediterraneo.

Tuttavia questi lavori, quelli di Picard completati dalla misura del meridiano, i rilievi che determinavano la latitudine e la longitudine di certe grandi città della Francia, una carta particolareggiata dei dintorni di Parigi, i cui punti erano stati determinati geometricamente, non bastavano ancora per fare una carta della Francia. Si fu dunque costretti a procedere, come si era fatto per il meridiano, coprendo tutta l’estensione della regione d’una rete di triangoli collegati insieme. Tale fu la base della gran carta di Francia, che prese così giustamente il nome di Cassini.

Le prime osservazioni di Cassini e di La Hire indussero questi due astronomi a chiudere la Francia in limiti molto più ristretti di quelli che le erano stati assegnati fino ad allora.

“Essi le tolsero - dice Desborough Gooley nella sua Storia dei viaggi - molti gradi di longitudine lungo la costa occidentale, cominciando dalla Bretagna fino alla baia di Biscaglia, e tolsero nello stesso modo circa un mezzo grado sulle coste della Linguadoca e della Provenza”. Questi mutamenti furono occasione d’uno scherzo storico di Luigi XIV, il quale, rallegrandosi con gli accademici al loro ritorno, disse: “Vedo con dolore, signori, che il vostro viaggio mi è costato una buona parte del mio regno”.

Del resto, i cartografi non avevano fino allora tenuto conto delle correzioni degli astronomi. Alla metà del secolo XVII, Peiresc e Gassendi avevano corretto sulle carte del Mediterraneo una differenza di “cinquecento” miglia di distanza tra Marsiglia e Alessandria. Questa rettifica così importante fu considerata come non avvenuta, fino al giorno in cui l’idrografo Jean Mathieu de Chazelles, che aveva aiutato Cassini nei lavori del meridiano, fu mandato in Levante per fare il portolano del Mediterraneo.

“Fu pure notato - dicono le Memorie dell’Accademia delle Scienze - che le carte estendevano troppo i continenti dell’Europa, dell’Africa e dell’America, e restringevano il gran mare Pacifico tra l’Asia e l’Europa. Perciò questi errori producevano singolari inganni. I piloti, fidandosi delle loro carte, nel viaggio del signor de Ghaumont, ambasciatore di Luigi XIV in Siam, sbagliarono i conti tanto nell’andata quanto nel ritorno, facendo più strada di quanto immaginassero. Andando dal capo di Buona Speranza all’isola di Giava, credevano d’essere ancora lontani dallo stretto della Sonda, ed erano più di sessanta leghe al di là, tanto che bisognò tornare indietro due giorni con un vento favorevole per entrarvi; e tornando dal capo di Buona Speranza in Francia, si trovarono all’isola di Flores, la più occidentale delle Azzorre, quando credevano di essere a più di centocinquanta leghe a est; dovettero navigare ancora dodici giorni verso est per giungere alle coste della Francia”.

Le rettifiche fatte alla carta di Francia furono grandi, come abbiamo detto in precedenza. Si riconobbe che Perpignano e Collioures, in particolare, erano molto più a est di quanto si credesse. Del resto, per farsene un’idea precisa, è sufficiente guardare la carta di Francia pubblicata nella prima parte del volume VII delle Memorie dell’Accademia delle Scienze. Là è tenuto conto delle osservazioni astronomiche di cui abbiamo parlato, e l’antica pianta della carta, pubblicata da Sanson nel 1679, vi rende molto evidenti le modificazioni fatte.

Cassini proclamava con ragione che la cartografia non era più all’altezza della scienza. Infatti Sanson aveva seguito ciecamente le longitudini di Tolomeo, senza tener conto dei progressi delle cognizioni astronomiche. I suoi figli e i suoi nipoti non avevano fatto che ripubblicare le sue carte completandole, e gli altri geografi seguirono l’andazzo. Per primo, Guillaume Delisle fece nuove carte approfittando dei dati moderni e respinse deliberatamente tutto quanto si era fatto pima di lui. Il suo ardore fu tale, che aveva eseguito interamente questo disegno a venticinque anni. Suo fratello, Joseph-Nicolas, insegnava astronomia in Russia e mandava a Guillaume i materiali per le sue carte. Frattanto Delisle de la Coyère, suo ultimo fratello, visitava le coste del Mar Glaciale Artico, determinava astronomicamente la posizione dei punti più importanti, s’imbarcava sulla nave di Behring e moriva in Kamciatka.

Questo è ciò che fecero i tre Delisle, ma a Guillaume spetta la gloria di aver compiuto la rivoluzione nella cartografia.

“Egli riuscì - dice Cooley - a far concordare le misure antiche e moderne e a combinare una massa pù grande di documenti; invece di limitare le sue correzioni a una parte del globo, le estese al globo intero, il che gli diede un vero diritto a essere considerato come il creatore della geografia moderna. Pietro il Grande, nel suo passaggio a Parigi, gli rese omaggio, visitandolo, per dargli tutte le notizie che egli conosceva sulla geografia della Russia”.

Se i nostri geografi francesi sono sorpassati oggigiorno da quelli della Germania e dell’Inghilterra, non è forse una consolazione e un incoraggiamento il sapere che siamo stati eccellenti in una scienza nella quale lavoriamo per riguadagnare la nostra antica superiorità?

Delisle visse abbastanza per vedere il trionfo del suo allievo J.B. d’Anville. Se quest’ultimo fu inferiore, sotto l’aspetto della scienza storica, ad Adrien de Valois, egli si meritò invece la sua grande fama per la correzione relativa del suo disegno e per l’aspetto chiaro e artistico delle sue carte.

“Si stenta a comprendere - dice il signor E. Desjardin nella sua Geografia della Gallia romana - la poca importanza che si attribuisce alle sue opere di geografo, di matematico e di disegnatore. È tuttavia in queste ultime che egli ha data segnatamente la misura del suo merito incomparabile. D’Anville ha fatto per primo una carta con processi scientifici, e ciò basta alla sua gloria. Nel dominio della geografia storica d’Anville ha dato prova d’un raro buon senso nella discussione e d’un meraviglioso istinto topografico nelle identificazioni; ma bisogna pur riconoscere che egli non era dotto, e nemmeno sufficientemente versato nello studio dei testi classici”.

Il più bel lavoro di d’Anville è la sua carta dell’Italia, la cui dimensione, fino allora esagerata, si prolungava da est a ovest, secondo le idee degli antichi.

Nel 1735, Philippe Buache, il cui nome è giustamente celebre come geografo, inaugurava un nuovo metodo applicando, in una carta dei fondali della Manica, le curve di livello alla rappresentazione degli accidenti del suolo.

Dieci anni più tardi, d’Après de Menevillette pubblicava il suo Nettuno orientale, nel quale rettificava le carte delle coste d’Africa, della Cina e dell’India. Egli vi aggiungeva un’istruzione nautica, tanto più preziosa per il tempo in quanto era la prima opera di questo genere. Fino al termine della sua vita, egli perfezionò quella raccolta, che servì poi da guida a tutti i nostri ufficiali sullo scorcio del secolo XVIII.

Presso gli Inglesi, Halley occupava il primo posto fra gli astronomi e i fisici. Egli pubblicava una teoria delle Variazioni magnetiche e una Storia del monsone, che gli valsero il comando d’una nave, affinché potesse mettere in pratica la sua teoria.

Quello che aveva fatto d’Après presso i Francesi, Alexander Dalrymple lo fece presso gli Inglesi. Solamente le sue vedute serbarono sino alla fine qualche cosa d’ipotetico e credette all’esistenza d’un continente australe. Egli ebbe per successore Horburgh, il cui nome sarà sempre caro ai navigatori.

Ma dobbiamo parlare di due spedizioni importanti, che dovevano metter fine al litigio appassionato circa la forma della Terra. L’Accademia delle Scienze aveva mandato in America una Commissione composta da Godin, Bouguer e La Condamine per misurare l’arco del meridiano all’equatore. Essa decise di affidare la direzione di un’altra spedizione simile, nel nord, a Maupertuis.

“Se lo schiacciamento della Terra - diceva questo scienziato - non è maggiore di quello immaginato da Huyghens, la differenza dei gradi del meridiano già misurato in Francia coi primi gradi del meridiano vicino all’equatore non sarà tanto grande, che non possa venire attribuita agli errori possibili degli osservatori e all’imperfezione degli strumenti. Ma se la si osserva al polo, la differenza tra il primo grado del meridiano vicino alla linea equatoriale e il 66° grado, per esempio, che taglia il circolo polare, sarà abbastanza grande, anche nell’ipotesi di Huyghens, da manifestarsi senza equivoci, nonostante i più grandi errori che possono essere stati commessi, perché questa differenza si troverà ripetuta altrettante volte per quanti saranno i gradi intermedi”.

Il problema era posto chiaramente e doveva ricevere al polo, come all’equatore, una soluzione che doveva porre fine alla contesa dando ragione a Huyghens e a Newton.

La spedizione partì sopra una nave equipaggiata a Dunkerque. Essa si componeva, oltre che di Maupertuis, di Clairaut, Camu e Lemonnier, accademici, dell’abate Outhier, canonico di Bayeux, di un segretario, Sommereux, di un disegnatore, Herbelot, e del dotto astronomo svedese Clesius.

Quando ricevette i membri della Commissione a Stoccolma, il re di Svezia disse loro: “Mi sono trovato in battaglie sanguinose, ma preferirei tornare alla più minidiale piuttosto che intraprendere il pericoloso viaggio che voi farete”.

Certamente non doveva essere una partita di piacere. Difficoltà di ogni genere, privazioni continue, un freddo eccessivo, dovevano provare quei dotti fisici. Ma che cosa sono le sofferenze paragonate alle angosce, ai pericoli, alle prove che aspettavano i navigatori polari, Ross, Parry, Hall, Payer e tanti altri!

“A Tornea, in fondo al golfo di Botnia, quasi sotto il circolo polare, le case erano sepolte sotto la neve - dice Damiron nel suo Elogio di Maupertuis. Quando si usciva, l’aria sembrava lacerare il petto, i gradi di freddo sempre crescente si annunciavano col rumore col quale il legno, di cui sono fatte tutte le case, si fendeva. A veder la solitudine che regnava nelle vie, si sarebbe creduto che gli abitanti della città fossero morti. A ogni passo s’incontravano persone mutilate, che avevano perduto le braccia o le gambe per effetto d’una temperatura così rigida. E pure non era certo a Tornea che i viaggiatori dovevano arrestarsi”.

Oggi che quei luoghi sono meglio conosciuti e che si sa che cosa sia il rigore del clima artico, si può farsi un’idea più giusta delle difficoltà che dovettero incontrarvi gli osservatori.

Fu nel luglio 1736 che essi incominciarono le loro operazioni. Di là da Tornea non videro più che luoghi disabitati. Furono costretti ad accontentarsi delle loro proprie risorse per valicare le montagne, dove piantavano i segnali che dovevano formare la catena non interrotta dei triangoli. Divisi in due drappelli, per ottenere due misure invece d’una sola e scemare così le probabilità d’errore, gli arditi fisici, dopo molte peripezie, di cui si troverà il racconto nelle Memorie dell’Accademia delle Scienze del 1737, dopo inaudite fatiche riuscirono ad accertare che la lunghezza dell’arco del meridiano compreso tra i paralleli di Tornea e di Kittis era di 55.023 tese e mezza.

Dunque sotto il circolo polare, il grado del meridiano aveva circa mille tese di più di quanto avesse immaginato Cassini, e il grado terrestre sorpassava di 377 tese la lunghezza che Picard gli aveva trovata tra Parigi e Amiens. La Terra era dunque notevolmente schiacciata ai poli; risultato che i Cassini padre e figlio non vollero per un pezzo riconoscere.

Courrier de la physique, argonaute nouveau,
Qui, franchissant les monts, qui, traversant les eaux,
Ramenez des climats soumis aux trois couronnes,
Vos perches, vos secteurs et surtout deux Laponnes,
Votiz avez confirmé, dans ces lieux pleins d’ennui,
Ce que Newton connut sans sortir de chez lui.

Così si esprimeva Voltaire, non senza un tantino di malizia: poi, alludendo alle due sorelle che Maupertuis conduceva con sé, una delle quali aveva saputo sedurlo, egli diceva:

Cette erreur est trop ordinaire,
Et c’est la seule que l’on fit
En allant au cercle polaire.

“Tuttavia - dice il signor A. Maury nella sua Storia dell’Accademia delle Scienze - l’imperfezione degli strumenti e dei metodi di cui facevano uso gli astronomi mandati nel nord, diede ai difensori dello schiacciamento del nostro globo più ragione di quanta ne avessero veramente, e nel secolo successivo l’astronomo svedese Svanberg rettificava le loro esagerazioni involontarie con un bel lavoro che fu pubblicato in francese”.

Frattanto la Commissione che l’Accademia aveva mandato in Perù procedeva con operazioni analoghe. Composta di La Condamine, Bouguer e Godin, tutti e tre accademici, di Joseph de Jussieu, reggente della Facoltà di medicina, incaricato della parte botanica, del chirurgo Seniergues, dell’orologiaio Godin des Odonais e d’un disegnatore, essa lasciò la Rochelle il 16 maggio 1735. Questi scienziati giunsero a Santo Domingo, dove furono fatte alcune osservazioni astronomiche, a Cartagena, a Puerto Bello, attraversarono l’istmo di Panama, e sbarcarono, il 9 marzo 1736, a Manta, sulla terra del Perù.

Là, Bouguer e La Condamine si separarono dai loro compagni, studiarono i movimenti del pendolo, poi andarono a Quito per vie diverse.

La Condamine seguì la costa fino al Rio de las Esmeraldas e tracciò la carta di tutto il paese che attraversò con grandi stenti.

Bouguer si diresse a sud verso Guayaquil, valicando foreste acquitrinose, e giunse a Caracol, ai piedi della Cordigliera, che impiegò sette giorni ad attraversare. Era la via seguita un tempo da P. d’Alvarado per penetrare nel paese, e su cui settanta della sua comitiva erano periti. L’accademico e i suoi compagni giunsero dopo molte fatiche a Quito il 10 giugno. Questa città aveva allora trenta o quarantamila abitanti, un vescovo presidente dell’Udienza, molte comunità religiose e due collegi. I viveri costavano poco; soltanto le mercanzie straniere vi si pagavano a prezzi stravaganti, tanto che un bicchiere di vetro valeva diciotto o venti franchi.

Gli scienziati salirono sul Pichincha, montagna vicino a Quito, le cui eruzioni sono state più d’una volta fatali a questa città; ma non tardarono a riconoscere che bisognava rinunciare a portare così in alto i triangoli del loro meridiano, e dovettero accontentarsi di mettere i segnali sulle colline.

“Si vede quasi ogni giorno sulla vetta di queste montagne - dice Bouguer nella memoria che egli lesse all’Accademia delle Scienze - un fenomeno straordinario che deve essere antico come il mondo e di cui pare tuttavia che nessuno prima di noi si sia accorto. La prima volta che lo notammo eravamo tutti insieme sopra una montagna chiamata Pambamarea. Una nuvola, nella quale eravamo immersi, e che si dissipò, ci lasciò scorgere il sole che spuntava e che era splendidissimo. La nuvola passò dall’altra parte. Non era a trenta passi, quando ciascuno di noi vide la propria ombra gettata sopra di essa, e non vedeva che la sua, perché la nuvola non aveva una superficie liscia. La poca distanza permetteva di distinguere tutte le parti dell’ombra: si vedevano le braccia, le gambe, la testa; ma quello che ci stupì fu che quest’ultima era ornata da un’aureola formata da tre o uattro piccole corone concentriche d’un colore vivissimo, ciascuna delle quali aveva le medesime varietà dell’arcobaleno, col rosso di fuori. Gli intervalli fra quei circoli erano eguali; l’ultimo circolo era più debole, e infine, a gran distanza, vedevamo un gran circolo bianco che circondava il tutto. Era come una specie d’apoteosi per lo spettatore”.

Siccome gli strumenti di cui si servivano quegli scienziati non avevano la precisione di quelli adoperati oggi, e andavano soggetti alle variazioni della temperatura, bisognò procedere con la massima cura e con la più minuziosa attenzione, affinché i piccoli errori moltiplicati non finissero col cagionarne dei grandi. Perciò nei loro triangoli, Bouguer e i suoi compagni non dedussero mai il terzo angolo dall’osservazione dei due primi: li misurarono tutti.

Dopo aver ottenuta in tese la misura del cammino percorso, rimaneva da scoprire quale parte del circuito della Terra formasse quello spazio; ma non si poteva risolvere questo problema se non mediante osservazioni astronomiche.

Dopo aver superati molti ostacoli, che non possiamo descrivere ui minuziosamente, e aver fatto osservazioni curiose, fra le altre quella della deviazione che l’attrazione delle montagne fa provare al pendolo, gli scienziati francesi giunsero a conclusioni che confermarono pienamente i risultati ottenuti dalla commissione di Lapponia. Non tornarono tutti in Francia nel medesimo tempo. Jussieu continuò per molti anni ancora le sue ricerche di storia naturale, e La Condamine scelse per tornare in Europa la via del Rio delle Amazzoni: viaggio importante, sul quale avremo occasione di tornare più tardi.