I medaglisti del Rinascimento alla Corte di Mantova: Pier Jacopo Alari-Bonacolsi detto l'Antico e Gian Marco Cavalli

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Umberto Rossi

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I medaglisti del Rinascimento alla Corte di Mantova: Pier Jacopo Alari-Bonacolsi detto l’Antico e Gian Marco Cavalli Intestazione 30 novembre 2011 75% Numismatica

Questo testo fa parte della rivista Rivista italiana di numismatica 1888
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I MEDAGLISTI DEL RINASCIMENTO


ALLA CORTE DI MANTOVA




II.

(Continuazione).

PIER JACOPO ALARI-BONACOLSI

detto lAntico.

2


Esposto nel precedente capitolo quanto ho potuto rinvenire intorno alla vita dell’Antico, verrò ora a classificarne e a descriverne le opere; e benché su di esse non abbia potuto sin qui riunire grande copia di notizie, spero tuttavia che altri, con maggiore competenza di me e col sussidio di nuovi studii e di più minute ricerche nelle collezioni e nei musei, possa da questi cenni trarre argomento ad un nuovo lavoro che metta meglio in rilievo la figura del nostro artista.

L’Antico trovò a Mantova meglio che in qualunque altro luogo le condizioni favorevoli per sviluppare la sua attività artistica: là infatti il rinascimento aveva il suo più grande interprete in Andrea Mantegna che portò al più alto grado possibile il culto per l’antichità ed è quindi naturale che l’Alari dagli insegnamenti di tanto maestro traesse animo a riprodurre gli esemplari classici di cui v’era scarsezza e conseguentemente grande ricerca nell’Alta Italia, [p. 434 modifica]piuttosto che a creare egli stesso lavori originali. Del resto non è dubbio che egli abbia esercitato una certa influenza nell’arte mantovana, indipendentemente dalle sue copie dall’antico, perchè molto tempo dopo lo troviamo ancora nominato e con onore nel carteggio dei pittori che nel 1586 lavoravano al castello di Goito1.

Come ho già detto innanzi, i primi lavori dell’Antico furono d’oreficeria, e su di essi abbiamo tanto insufficienti indicazioni, fatta eccezione di uno, da rendere arrischiato ogni giudizio in proposito. Non mi fermerò quindi né sulla cintura, regalata da Antonio del Balzo alla marchesa di Mantova, né sui due vasetti d’argento dorato eseguiti per Gian Francesco Gonzaga, né sulla testa di cavallo, sull’aquila e sul san Giovannino d’oro fatti per commissione d’Isabella d’Este, sebbene la descrizione di quest’ultimo, quale si può desumere dalle lettere che ho pubblicate, sia più che bastevole a farlo riconoscere quando esista ancora, o almeno a trovarne le traccie.

Dirò invece delle medaglie e delle placchette che appartengono pur esse al primo periodo della carriera artistica dell’Alari e che possono per eccellenza di lavoro stare al paro colle migliori di quell’epoca. [p. 435 modifica] Le medaglie dell'Antico si riferiscono tutte a Gian Francesco Gonzaga, signore di Bozzolo e Sabbioneta e conte di Redigo, terzo figlio di Lodovico Gonzaga marchese di Mantova, e ad Antonia del Balzo sua moglie2: eccone la descrizione, secondo l’ordine dell’Armand3.

1. — Diam. 40.

D/ — IOHANNES • FRANCISCVS • GONZ.

Busto a sinistra di Gian Francesco, a testa nuda e con lunghi capelli inanellati; porta una clamide all’antica annodata con un fermaglio sulla spalla4.

R/ — FOR • VICTRICI. — ANTI.

La Fortuna stante su un globo, colla testa alzata, mentre colla sinistra raccoglie le pieghe della tunica; a sinistra, presso un trofeo, un uomo nudo (Marte o Ercole?) colle mani legate dietro la schiena: a destra una donna (Minerva?) vestita di tunica succinta, appoggiata colla destra ad una lancia e colla sinistra ad un trofeo5.

(Tav. XII, N. 1).

[p. 436 modifica] 2. — Diam. 40.

D/ — Simile al precedente.

R/ — MARCHIO • COMES • ROTI •
Un fulmine alato6.

(Tav. XII, N. 2).


3. — Diam. 40.

D/ — Simile al precedente.

R/ — MARCHIO • COMES • ROTI •
Un fuoco ardente: sotto vi è un nastro su cui è inciso il motto — PROBITAS • LAVDATVR 7.

(Tav. XII, N. 3).


4. — Diam. 40.

D/ — Simile al precedente.

R/ — DIVA • ANTONIA • BAVTIA • DE • GONZ • MAR.
Busto a destra d’Antonia del Balzo coi capelli in una reticella, rattenuti sulla fronte da un nastro.

(Tav. XII, N. 4).


5. — Diam. 40.

D/ — Simile al rovescio della medaglia precedente.

[p. 437 modifica] R/ — SVPEREST • M • SPES • — ANTI.
Figura di donna nuda alata stante sopra una prora di nave tirata sull’onde da due cavalli alati, a sinistra; la donna ha nella destra un’ancora e nella sinistra una vela stracciata; dietro di lei si vede l’albero della nave rotto; sulla prora v’è il motto MAI • PIV8.

(Tav. XII, N. 5).


Specialmente la prima e l’ultima di queste medaglie rivelano nel loro artefice un talento ed un merito non comune e sebbene abbiano assai spiccato il carattere di imitazione dall’antico non possono tuttavia essere classificate copie servili come ad esempio quelle di Nicolò di Forzore Spinelli.

Le placchette attribuite all’Alari sono soltanto due: essendo però poco tempo che l’attenzione degli studiosi si è rivolta a queste piccole produzioni artistiche, è credibile che un più accurato esame delle collezioni fatto con criterii stilistici positivi, possa accrescere anche per questa parte l’opera dell’Antico9. Darò intanto la descrizione delle due accennate, secondo il Molinier:

[p. 438 modifica] 1. — Diam. 35.

La Fortuna stante su un globo colla destra alzata, ecc. come al rovescio della medaglia di Gian Francesco, al numero 110.

(Museo Nazionale di Firenze; raccolta Carrand).

2. — Diam. 40.

Un guerriero vestito all’antica colla spada nella destra in carro a quattro ruote tirato da due cavalli alati a sinistra; nel campo, una stella; sotto i cavalli uno scudo e una scimitarra11. — Intorno gira la leggenda DO: HEC: FIDES: QVAM: FECIT:

(Collezione G. Dreyfus).

[p. 439 modifica]

III


GIAN MARCO CAVALLI.


Finora quasi sconosciuto, questo artista non deve però essere stato degli ultimi fra quanti concorsero con magistero dell’opera loro a illustrare la Corte mantovana nell’aurea epoca dell’italiano rinascimento e le non troppo copiose notizie che ho potuto raccogliere su di lui, se non varranno a metterne in luce dettagliatamente la vita e le opere, saranno, spero, più che bastevoli a renderne interessante la figura, meritevole per più di un titolo di prender posto nella storia dell’arte.

Gian Marco Cavalli nacque in Viadana, paese del Mantovano, da Andrea, detto Miseria, notaio di professione, verso la metà del quindicesimo secolo12.

Nulla sappiamo sul principio della sua carriera, e la prima memoria di lui risale al 1479 nel qual anno veniva dai suoi compaesani scelto a far parte del Consiglio degli Ottanta, come appare da un registro del Comune di Viadana13. Solo due anni dopo lo [p. 440 modifica]vediamo lavorare per il marchese di Mantova, Federico Gonzaga, il quale gli indirizzava questa lettera:

“Iohanni Marco de Caballis, aurifici.

Dilecte noster. — Vogliamo che havendo tu fornito a quelli nostri vasetti subito ce li porti a Mantua. — Mantue, a 6 iunij 148114.”

L’artista rispose in giornata al marchese scusandosi per l’indugio a compiere il lavoro affidatogli e domandando una settimana di tempo:

“Ill.mo Princeps et Ex.mo D. D. mi sing.mo — Rispondendo ad una hozi recevuta, mi excuso de non havere possuto finire quelli vasetti per le molte et longe inundatione del Po, quale me bano constretto stare in villa per farme reparare da le aque, ma indubitanter serano finiti per tuta la septimana proxima che viene, et fati subito li portarò ala prefata V. Ex. alla quale come fidelissìmo servitore di continuo me ricomando. — Vitaliane, vi Iunij 1481.”

“Iohannes Marchus de Cavallis ser.or15.

Dal modo con cui le due lettere sopra riportate sono redatte, parrebbe che questa non fosse la prima commissione che Gian Marco aveva dal marchese Federico; disgraziatamente l’archivio mantovano, un po’ deficiente a quest’epoca, non offre prove in suffragio di tale opinione e bisogna quindi passare oltre. [p. 441 modifica] Nuove notizie del Cavalli trovo nel 1483 e importanti per più d’un rispetto, sia perchè dimostrano la stima in cui era tenuto dal marchese e la deferenza che gli usavano i suoi agenti, sia per l’entità del lavoro che doveva farsi sul disegno di Andrea Mantegna. Si trattava di eseguire delle olle e dei boccali ad imitazione dall’antico, e Lancillotto Andreasi ne scriveva in tal guisa al marchese:

“Illustris.mo Prin. et ex domine mi singl.mo etc. — Io ho praticato mercato cum Io. Marco orefice de quelle ole vechie et de li bocali secondo il disigno de Andrea Mantegna. Esso Io. Marco adimanda de le ole lire 3 soldi 10 de la marcha et de li vasi predicti ducati uno e mezo de la marcha. Io li ho offerto de dette ole mezo ducato de la marcha e ducati uno de li predicti vasi: non ha voluto stare contento: questo medesimo trovarasi da altri che lavorarano così bene comò lui; el c’è uno giovene che ha nome Ioan Francesco, quale hè zentil maestro, lavora molto diligentemente et si è offerto de volere del pretio fare ciò che piace a Vostra S. Ho ordine cum esso de temptare che mercato vol.fare, del tuto darò adviso a Vostra S. a la venuta de quella, deliberato qual vasi se habbia affare, se darà de via. Tomaso ha hauto il suo lavorero et s’è offerto toglierne del altro se piacerà a Vostra S. ala qual me racomando.”

“Mantue, 12 febr. 1483.”

“E. V. Ill.
u. famulus Lanoilotus de Andreasiis.”
(fuori)

“Illustrissimo patri et ex. dno
dno meo singl.mo dno
Federico de Gonzaga marchioni
Mantue ac ducali gubernatori generali”16.

[p. 442 modifica] Il prezzo di tre lire e mezzo per libbra d’argento lavorato parve eccessivo al Gonzaga che deliberò di valersi dell’altro giovane artista Gian Francesco Roberti, e rispose al suo agente:

“Havemo visto quanto ne scrivi per la tua de xij circa la manifactura de quelli nostri vasi etc. Respondemote che nui non havemo più rispecto che Zohan Marco ne serva che un altro et seremo contenti, purché siamo ben serviti che tu daghi essi lavori a far a quello Zoan Francesco che tu dici esser gentil maestro, poi chel s’è offerto volerli fare per el mercato che tu volevi dare a Zohan Marco: et la voluntà nostra è che tu non guardi ad una marcha de arzente de più a fare che l’opera sia bella et honorevole. — Viteliane, xiiij februarii 148317.”

Secondo il desiderio del marchese il lavoro dei vasi venne affidato al Roberti, che faceva allora le sue prime prove in arte. Gian Marco che in quel tempo aveva preso dimora in Mantova, tornò di li a non molto a Viadana, ove lo chiamavano interessi di famiglia. Infatti fin dal 1475 era stato nominato curatore dei beni di un Marchio o Melchiorre Cavalli suo parente, mentecatto; e nel 1490 intercedeva dal marchese che fossero ritenuti validi gli atti legali da lui fatti nell’interesse della tutela, sebbene non compiuti colle volute formalità18. [p. 443 modifica] Alcuni anni più tardi una lettera di Baldassarre Suardi, protonotario apostolico e podestà di Viadana, ci presenta il Cavalli come incisore di conii: il Suardi [p. 444 modifica]lo raccomandava al marchese Francesco in questi termini:

“Illustrissimo signor mio. — Zohan Marco Cavallino presente portatore, desideroso de servire ala Ex. V. ha fatto certe mostre da stampire monete de comissione mia, quale porta a la prefata V. S. Se alcuna de quele glie piacerà la farà in quello modo: se quella ha altra fantasia, facendogela intendere, io credo chel satisfarà bene ala S. V. Et perchè li ragusei hano portato una quantità de arzente e fra pochi di ne portarano de l’altro, sel paresse a V. S. che se facesse una moneta più grosa che busoloti, la se faria cum minor spesa de manifatura, parendo a V. S. de fare intender a Zohan Marco la valuta de la moneta quale se ha a fare, sera bene aciò che la grandeza del stampo convenga cum la valuta. A mi pareria, perchè le monete de V. S. se spendono in lo dominio de la Signoria come a Mantua, essendo de quella bontà che sono et de quella liga che sono le monete veneciane,

[p. 445 modifica]chel fosse bene fare moneta de valuta de tre marcelli, overo de doi, come più piacesse a V. S. ala gratia de la quale continuamente mi ricomando. Mantue, 12 martij 1497.”

“Eiusdem V. Gelsitudinis servitor Baldassar Suardus.”

(fuori) “Ill. Principi D. March. Francisco Gonzage Mantue”19.

Le mostre da monete accennate nella lettera erano i primi saggi che Gian Marco produceva nell’arte del coniatore; e sembra che soddisfacessero assai il marchese, perchè in documenti posteriori troviamo spesso accennato il Cavalli come lavorante alla zecca20.

Come quasi tutti gli artisti mantovani di quell’epoca Gian Marco ebbe a servire anche il vescovo Lodovico Gonzaga, prelato intelligente e di gusto fine, che ho avuto occasione di rammentare negli [p. 446 modifica]studii precedenti su Ermes Flavio e sull’Antico: e il primo lavoro che eseguì pel vescovo, stando a documenti, fu una riproduzione in bronzo del cavaspino destinata al patrizio veneto Marcantonio Morosini, grande amatore di belle arti21.

Il vescovo aveva commesso al Cavalli la modellatura [p. 447 modifica]e la fusione della statuina, che doveva esser copiata dall’originale dell’Antico, fin dal gennaio 1499; l’artista però non aveva potuto condurre a buon termine l’opera, essendo impegnato in lavori di decorazione per una festa che il marchese di Mantova dava nel carnevale ed il vescovo ne avvertiva così il Morosini:

“Non ho possuto far fornire lo putino dal spino desidera la M. V. per l’absentia del maestro occupato già da molti zorni per certi lavori d’una bella representatione farà lo Ill. signor Marchese ad carneval proximo: statim liberato chel sia, se mettarà in opera, nè si levarà da l’impresa che mi darà lo putino fornito et quella se lo tenghi certo ad pascha proxima. E sum certo haverà cosa glie piacerà e singulare”22.

La fusione della statuina andò veramente in lungo, perchè il 16 marzo successivo il vescovo Lodovicone chiedeva notizie all’artista, facendogli premura:

“Zohan Marco. — Per questo correrò mandaretine el nostro putino dal spino avisandone in che termine se ritrova l’altro che do veti havere formato. — Riparoli 16 martii 1499”23.

Per la pasqua però, secondo la promessa, il cavaspino fu finito e mandato a Venezia, e il vescovo continuò ad affidare al Cavalli lavori di argenteria, nei quali pare che l’artista riuscisse molto bene: così la lettera seguente ci dà notizia della commissione di quattro piatti d’argento su cui dovevano essere effigiati dei segni celesti:

[p. 448 modifica] “Magistro Zohan Marco. — Havemo receuto li tondi per lo notare de li quali vi mandiamo uno ducato et non contentandovi, ne avisareti ciò che vorrestive: remandandovi etiam lo arzente, qual tenereti vui perchè vorremo mandarvene de l’altro aciò ne faciati vui de vostra fantasia li altri 4 pianeti o segni in simili tondi a vostro modo. -— Quingentulis, 21 mail 1499”24.

Subito dopo Gian Marco fu di nuovo occupato per la zecca di Mantova, e il marchese che voleva vedere in persona come procedeva il lavoro degli artisti, gli fece ingiungere di recarsi a Mantova in persona con tutti i ferri necessarii, scrivendone così al podestà di Viadana:

“M. Pandulpho. — Subito ala recevuta de la presente fareti intendere ad Zuanne Marco Cavallo che se ne vengbi ad Mantua cum tutti li soi in strumenti apti ad incavare stampe da monete ordinandoli che si consigni ad M. Antimacho, nostro secretarlo, il quale in nostro [p. 449 modifica]nome gli significarà ciò che volemo da lui. — Mantue, p. Maij MDI” 25).

Non so se il Cavalli obbedisse all’ordine del marchese e se si mettesse subito a lavorare di conii, certo è che tra lui e i maestri di zecca insorsero alcune quistioni, tantoché l’artista, incolpato di negligenza, credette opportuno scusarsi col marchese e gli indirizzò questa lettera:

“Ill. S. mio dig.mo etc. — Cavalino da Viadana factore de V. S. me ha facto intendere quella essere turbata contra di me, la causa si è per non havere facto una stampa da dinari da stampire sesini, per il che facio a sapere et intendere V. S. come sino a quest’hora et usque al principio che io comenzai a servire quella a questo exercicio di le stampe, sempre ho facto tanto quanto dali Maestri de la cecha m’è sta comeso etiam non più ultra, sichè sei me fusse sta ordinato questa de che intaglio né che stampa dovesse fare, l’haveria facta voluntera, ma mai non ho potuto intendere da loro che stampa vogliano et io timido et ignorante del volere dela prefata V. S. me ne son passato. Per il che, se quella me farà intendere la volontà sua, epsa subito sera servita, come è stata per il passato, che veramente, Ill. S. mio, già son da circha mexi octo che io non facio altro exercicio si non fare ferri da cecha per la S. V. per modo che io sono stracho de la persona et frusto de la roba per havere guadagnato poco e speso assai, e questo procede per la ignorantia de epsi maistri de cecha, quali non sano fare né anchora comandare, et io povereto porto la pena et pare che ogni suo diffecto venga sopra di me, sichò prego la Ex. V. se digni acettare la scussa mia et haverme per quello bon servitore fidato quale sono: Vicentio mio figliolo [p. 450 modifica]latore presente dirà a bocha il resto che io non ho voluto scrivere per non fastidire la S. V. a la cui gratia me racomando. Vitaliane, 19 maij 1501.”

“ser.us fidellis Johannes Marchus de Cavallis”26.

Le difficoltà furono senza dubbio appianate, perchè alcuni giorni dopo il marchese invitava di nuovo Gian Marco a Mantova cosi:

“Dilecte noster. — Volerne che habuta la presente nostra, te transferischi qua, facendo capo ad m. Antimacho nostro primo secretario, quale te referirà alcune cose che procedeno de la nostra mente. — Mantue, xxvj Maij MDI”27.

Mentre si occupava di conii per la zecca, il Cavalli non tralasciava di servire anche il vescovo Lodovico, al quale doveva finire alcune cose, accennate in una lettera del 19 agosto 150128; ed è credibile che quel magistro Zoan il quale verso la fine del 1501 attendeva ad una testa di bronzo, mentre l’Antico modellava una statuetta d’Apollo, fosse precisamente Gian Marco Cavalli29.

Anche per la marchesa Isabella ebbe a lavorare il nostro artista e una sola commissione avuta dalla geniale signora basterebbe a provare com’egli fosse valente davvero: per questo è importante la lettera [p. 451 modifica]che segue, diretta alla marchesa, in cui si parla di tondi eseguiti dal Cavalli.

“Ill.ma et Ex.ma Mad.a nostra semper obser.ma — In execucione de una de V. Ex. siamo andati da M.ro Zohane Marcho Cavallo aurifice et habiamo habuto da lui li tondi cum quelle littere che richiede V. Ex. da lui et li habiamo voluto darli al cavalaro mandato qui a posta da V. Ex. et lui non lheà voluto portarli, si che li mandiamo per Capono per satisfare alla mente de quella (alla) quale de continuo et sempre se raccomandamo.”

“E. Illma D. V.”

“fidmi Ser.res Thomasinus de Litulfis
et Ludovicus de Rescaciis, ibdm locumt.tes
D. potest. Viteliane”30.

Forse in compenso di questo lavoro ebbe l’autorizzazione di poter coniare in zecca centocinquanta ducati di bagattini di rame senza pagare alcuna tassa31; ed è probabile che di li a non molto Gian Marco abbandonasse affatto l’esercizio della sua arte perchè dopo questo anno l’archivio Gonzaga non offre più su di lui alcun documento.

Le ultime notizie del Cavalli non vanno oltre il 1504; in quest’anno egli è nominato fra i testimonii [p. 452 modifica]al testamento di Andrea Mantegna, rogato il di 1° marzo 32, e nello stesso anno fu pure testimonio al rogito dell’11 agosto, col quale i canonici di S. Andrea di Mantova concedevano una cappella riservata al celebre pittore come luogo di sepoltura per lui e per la sua famiglia33.

Ci è ignoto l’anno della morte di Gian Marco che dovè terminare i suoi giorni in Viadana, mancando memoria di lui nel Necrologio mantovano: della sua famiglia quasi nulla si sa e solo trovo accennati Vincenzo suo figliuolo, che seguì forse l’arte paterna, e Cristoforo suo fratello, vivente quest’ultimo ancora nel 152634. Non è però improbabile che fossero suoi discendenti un Giovan Battista ed un Andrea Cavalli, ambidue medaglisti e fonditori che fiorirono l’uno nella prima, l’altro nella seconda metà del decimosesto secolo e dei quali produrrò notizie più avanti.

Venendo ora a trattare dell’opera artistica di Gian Marco, è chiaro che cogli scarsi documenti che ho potuto raccogliere non si può dirne diffusamente: certo la parte che egli ha avuta nella monetazione mantovana spettante al marchese Francesco, non deve essere stata né poca né poco interessante e quando parlerò di Bartolomeo Melioli e di Gian Francesco [p. 453 modifica]Roberti-Della Grana, curerò di assegnare singolarmente a questi tre artisti i lavori che ciascuno di essi in modo presumibile può avere compiuto. Qui però è mia intenzione il dire di un’altra opera insigne che sarei inclinato ad attribuire al Cavalli, e precisamente del busto in bronzo di Andrea Mantegna, che è a Mantova sulla tomba del celebre pittore.

Da molti si è scritto su questo busto, che è senza dubbio una delle più belle opere d’arte che abbia prodotto il Rinascimento, e parecchi dei sommi di quell’epoca ne vennero riputati autori; vi fu chi disse averlo lavorato in vita lo stesso Mantegna, e modernamente quasi tutti gli scrittori d’arte concorsero nel ritenerlo di Sperandio, equivocando sul casato del noto medaglista che fino a questi ultimi tempi si disse falsamente de’ Melioli. Ora io non voglio che esporre un’ipotesi, in attesa che altre ricerche ci svelino il nome vero dell’autore: non sarebbe possibile che Gian Marco avesse modellato il famoso busto? Manca, a dir vero, ogni elemento di confronto, perchè non conosciamo nessun lavoro certo del Cavalli e ciò invalida assai il mio supposto; ma vi sono altre considerazioni che possono farlo parere ragionevole e prima fra tutte l’amicizia che Gian Marco dovette avere col Mantegna, essendo stato da lui chiamato a testimonio di due atti tanto importanti quanto sono quelli che più sopra ho rammentato. Inoltre se ci facciamo a passare in rassegna i pochi scultori che intorno a quell’epoca fiorirono in Mantova, quali sono Gian Cristoforo Romano e l’Antico, vediamo che non può dirsi fattura di nessuno di loro: non di Gian Cristoforo, perchè di modellazione troppo sentita e vigorosa e per così dire brutalmente realista, quando si paragoni agli altri lavori del celebre maestro: non [p. 454 modifica]dell’Antico che soleva dedicarsi solo a piccoli bronzi e che d’altra parte era col Mantegna in poco buone relazioni, tanto da consigliare la marchesa Isabella a non acquistare la Faustina antica che il vecchio pittore era costretto a vendere35.

Effettivamente la personalità dell’autore del busto ci sfugge: ed è per questo che mi sono fatto ardito di metter fuori una nuova ipotesi, assegnandolo ad uno che nella storia dell’arte è poco men che ignoto. Ma dallo ipotesi e dalle quistioni scaturisce la verità perchè esse invogliano ad altre ricerche ed io spero che nuovi studii negli archivii mantovani, e specialmente in quello notarile, portino luce sullo scultore del busto, degno di stare a pari coi migliori dell’epoca sua.

[p. Tav. XII modifica]

Note

  1. Intra. Il castello di Goito in Archivio storico lombardo, serie II, volume V, pag. 40. — “Io diedi il disegno della sofitta al detto messer Pompeo et gli dissi che S. A. comandava che gli disegni delli fogliami se gli facesse per di dentro alcnni animali et qualche mezza figora per uscire dalla stampa vecchia, che così ha usato il bon Antiche et in particolare Giulio Romano”. (Lettera del pittore Fr. Borgni).

    Questo brano di lettera può lontanamente dar lume anche sugli artisti che lavorarono la famosa porta Stanga di Cremona: in essa gli ornamenti sono appunto quali li descrive il pittore Borgani, e per di più vi è riprodotta una placchetta dell’Antico. Non voglio dire con questo che l’Alari abbia lavorato materialmente alla porta: egli però da Bozzolo, ove risiedeva, paese vicino a Cremona, potò benissimo mandarvi qualche disegno anche di soli dettagli.
  2. Gian Francesco Gonzaga nacque nel 1448 e morì nel 1496. Antonia del Balzo nacque nel 1441 e morì nel 1538; era figlia di Pirro principe d’Altamura e quando sposò Gian Francesco, era vedova di Rinaldo da Berbignano.
  3. Armand, op. cit., I. 61.
  4. In alcuni esemplari di queste e dalle successive medaglie il busto di Gian Francesco offre una variante che credo utile non trascurare: invece della clamide porta un giustacuore o forse cotta d’arme, su cui spicca una collana che pare d’ordine cavalleresco (Tav. XII, n. 6). A questo proposito trovo descritti nel già citato inventario di Gian Francesco i seguenti oggetti che hanno probabilmente rapporto col collare rappresentato nella medaglia:

    “Uno sancto Michele de diamante cum lo schuto de rubini, cum uno serpente cam uno rubino nel corpo, cum una spada cum uno rubineto dentro, cum una perla pendente et cum una catenella longa sutile d’oro.”

    “Una schatola de corrame tonda cum una collana d’oro del ordine del re de schotia che pesa ontie tredeci et uno quarto.”
  5. La rappresentazione allegorica che si vede su questo rovescio è evidentemente tolta dall’antico, se non nell’insieme, almeno figura per figura. È curioso come i diversi autori che hanno descritta la medaglia abbiano data ognuno una differente interpretazione al personaggio di sinistra: lo Zanetti (Zecche e monete d’Italia, tomo III, 123) nelle note all’Affò, lo dice un Ercole basandosi forse sulla muscolatura molto accentuata della figurina; il Litta (Famiglie celebri d’Italia) seguendo lo Zanetti lo dice pure Ercole: gli autori del Trésor de numismatique et glyptique lo credono Marte incatenato, e così l’Armand; finalmente il Molinier vi ravvisa solamente un prigioniero.
  6. Il fulmine alato era impresa personale di Gian Francesco, che venne adottata in seguito anche da suo nipote Vespasiano duca di Sabbioneta: nel palazzo ducale di questo paese si vede ancora insieme a molte altre imprese gonzaghesche in una sala dipinta da Bernardino Campi. Questo fulmine è esattamente copiato da quello dei medii bronzi d’Augusto.
  7. Anche questa è impresa personale di Gian Francesco, che ho vista ripetuta in un quadrello di maiolica da pavimento, proveniente forse dal distrutto palazzo Gonzaga e che oggi è infissa nella facciata della chiesuola di S. Rocco a Gazzuolo.
  8. Rappresentazione imitata dall’antico; la descrizione che ne dà l’Armand è mancante di parte delle leggende.
  9. Alcune placchette, che non so se debbano dirsi dell’Antico, sono descritte nell’inventario di Gian Francesco, già rammentato, e sono le seguenti:

    “Una casseta senza copergio cum infrascripte cose dentro.
    “Due figurete de metalo.
    “Dui tondi cum certe figure suso.
    “Uno sancto Hieronymo.
    “Uno sancto Sebastiano.
    “Una nostra dona cum una nuntiata (sic.)
    “Una figura in su uno tondo.
    “Due stampete cum foglie suso.
    “Uno quadreto cum due portete sue.
    “Due altre stampe te cum due figure su, tute de bronzo et rame.
    “Uno quadreto cum multe figure su, de metale.
    “Uno tondo cum figura de veghio suso.
  10. È strano come il Sig. Molinier classifichi la figurina centrale di questa placchetta come una Vittoria in piedi ani mondo, mentre basta la leggenda della medaglia da cui è tolta per accertarci che è la Fortuna che’ vi è raffigurata; e d’altra parte è noto come la Fortuna aia frequentemente rappresentata in piedi sa un globo, mentre la Vittoria ordinariamente b alata e non ha mai altri accessorii.
  11. Questo soggetto è in gran parte una reminiscenza della medaglia d’Antonia del Balzo, deecritta al n. 6.
    Per questa placchetta debbo le più sentite grazie al sig. Guatavo Dreyfus, che, per cortese intromiasione del mio amico sig. Prospero Valton, volle favorirmene un ottimo calco.
  12. La famiglia Cavalli è originaria di Viadana e molti de’ suoi membri esercitarono l’arte del notatario. Un Venturino Cavalli, il 29 giugno 1420, rogò l’istromento di donazione fatto da Giacomo Gavalcabò, già signore di Viadana, a Gian Francesco Gonzaga, in compenso degli assegni da quest’ultimo avuti il 18 giugno 1416, giorno della dedizione di Viadana al marchese di Mantova. Andrea Cavalli, padre di Gian Marco, era pure notaio e viveva ancora nel 1496.
    Queste notizie insieme a diverse altre mi furono favorite dal mio dotto amico, prof. Antonio Parazzi, arciprete di Viadana, al quale sono lieto di rendere qui grazie per gli importanti materiali scientifici posti a mia disposizione.
  13. Arch. comunale di Viadana. Libro rosso, pag. 69 e 68.
  14. Arch. Gonz. di Mantova. Copialettere marchionali. — Questa lettera, insieme ad alcune altre, fa già pubblicata dal sig. A. Bertolotti, nelle sue Arti minori alla Corte dei Gonzaga inserite nell’Archivio storico lombardo, serie II, fasc. XVIII: credo però utilissimo il riprodurle perchè il sig. Bertolotti non ha messo nel suo lavoro tutta quell’esattezza che gli studiosi sarebbero in diritto di esigere.
  15. Arch. sudd. Carteggio interno.
  16. Arch. sudd. Cart sudd.
  17. Arch. sudd. Copialettere marchionali.
  18. Arch. sudd. Registri dei decreti, n. 25.

    “Franciscas Marchio Mant. etc. — Johannes Marcus de Cavallis hahitator terre nostre Vitali iane Nobis humiliter exposuit qualiter alias cuidam Melchiori de Cavallis mentecapto et eius affini habitatori dicte terre Vitaliane in curatorem decretus fuit qualiterque licet curam ipsam assumpserit inventariumque honorum ipsius Melchioris confecerit, atamen predicta minime fuerunt legitime facta infra debitum tempus nec omnibus solemnitatibus a jure et statutis nostris requisitis. Quapropter a no- bis humiliter petiit ut per decretum nostrum talem curam sic alias decretam et acceptam, datis tamen fidejussoribus debitis, confirmare dignaremur, non obstante quod in reliquis non fuissent alie iuridice et statutarie solemnitates servate et prout infra in eiusdem Jo. Marci supplicatione latine de premissis continetur videlicet: — Illu, et Ex. D. V. humilmente supplica el fidel servo di quella Zo. Marcho Cavallo habitator in Viadana, narando corno alias del mese di zugnio 1475 lui fu dicernuto in curatore a uno Marchio di Cavalli mentecapto per essere lui parente più proximo et de li a cercha dece e otto mesi fece lo inventario di suoi beni e questo non obstante parsse chel fusse allegato tal cura non valer per non esser sta servate le solemnitade de rasone per modo che esso suplicante si per questo et per levarsi di tal fastidio si etiam che dicto Marchio mentecapto non volea stare sub cure, se levò da tal impresa de essere più a tal governo, ma perchè ogni di esso Marchio andava discipando li soi beni, lui suplicante un’altra volta del mese de febraro del 1483 a complacentia de li altri parenti in forma publica reasumpse dicta cura, la qual pare ancora sia alligatta non essere fata cum tutte le solemnitade debite, et maxime chel non fu fatto lo inventario predicto intra el tempo limitato per li statuti, et che lui Marchio mentecapto non fu citato ad opponend. obl. non se li desse ditto curatore, quamvis perhò non era necessaria tal citatione perchè l’è notorio cumo pò rendere bona testimonianza il Mag.co domino Donino el qual novamente l’ha habuto dinanzi, considerato che a dover recomenzare a dare uno novo curatore a questo mentecapto el saria uno agiongere spesa a spesa, e de questo lui non ha bisogno per esser caricho di famiglia cum la moglie e figlioli, et anche che facendose queste cose li a Viadana dove non l’è così modo de havere consiglio a ogni solemnitade indiciale circhaciò, poteria de facili achadere che in qualche cosa el se mancharia, acciochè se levi ogni dubitatione et che questo pover homo non vadi a questo modo livrando di consumare el suo senza qualche rezimento, prega et suplica dicto Zo. Marco a V. E. che lei se digni cometere che per suo decreto el sia confirmata dicta cura alias facta pro vallida, la qual fu acceptata date le sigurtà debite et cum consentimento di parenti, non obstante che in l’altre cose el non fusse sta servate le altre solemnitade juridice o sia statutarie, perchè altramente questui ogni dì fa contracti e obligatione, né li è persona che li metti mani dinanzi, la qual cosa concedendogli, la riputerà de singular gratia de la prefata S. V. alla qual se ricomanda. 26 Maij 1490. — Fiat per consilium. — Nos autem supplicationibus predictis inchlinati, attento maxime quod utilitati dicti Melchioris mentecapti magis expedire videtur talem curam alias ut prefertur per eundem Johannem Marcum assumptam potius confirmare quam denuo aliam reassumere aliudque inventarium conficere, vigore nostri arbitrii ac de plenitudine potestatis qua publice in dieta nostra civitate Mantue eiusque districtu et dominio nostro fungimur, predictam curam et omnia et singula que per ipsum Johannem Marcum ut supra facta fuerunt confirmamus et validamus decernentes per hoc presens decretum nostrum dictum Johannem Marcum tamquam curatorem in juditio et extra, de cetero generaliter circa regiminem et curam ejusdem Melchioris et honorum suorum prò curatore posse intervenire et omnia et singula facere quelibet legitimus curator mentecapti facere potest ac si dicte omnes solemnitates ad dictam curam et inventarium sic ut exponit alias per eum confectum adhibite fuissent, aliquibus aliis in contrarium non obstantibus, quibus omnibus obstantibus derogamus et derogatum esse volumus et mandamus. In quorum fidem et robur presens nostrum confirmationis decretum fieri et registrari iussimus nostrique soliti sigilli impressione communiri. Datum Mantue, p.° mensis septembris 1490. — Johannes Carolus Scalena prefati Ill. D. N. secretarius, visa supplicatione signata fiat per consilium etc. — Hector subscripsit.
  19. Arch. sudd. Carteggio interno. — Lettera già pubblicata dal conte Carlo d’Arco nelle Arti ed artefici di Mantova, tomo II, pag. 41, ma con parecchie inesattezze.

    Il Suardi accenna ad argenti portati da Ragusa; v’era infatti grande commercio d’argenterie fra questa città e lo stato dei Gonzaga e pare anche che là fosse in uso una foggia speciale di lavorazione, perchè nell’inventario di Gian Francesco Gonzaga del 1496, già citato precedentemente, trovo rammentati i seguenti oggetti:

    “Sei bacine grande (d’argento) dorate de dentro cum l’arma de Gonzaga ala ragusea.
    “Sei bronzini grandi (d’argento) dorati alla ragusea.
    “Quatro fiaschi grandi ragusei (d’argento).
    “Una cassa dove fu portati dentro li argenti de Ragusa.
    “Una altra casse ta dove se portò li argenti de Ragusa.”
  20. Dalla lettera del Suardi appare chiaramente che fino al 1497 non si erano ancora coniati nella zecca di Mantova i testoni o quarti d’argento, dei quali si conoscono diversi tipi spettanti al marchese Francesco. I bussolotti di cui si fa parola nel documento surriferito sono le conosciute monete che hanno nel diritto il busto del marchese col berretto in capo e nel rovescio il reliquiario col sangue di Cristo.
  21. Col Morosini il vescovo Lodovico era da molto tempo in relazione, e ne’ suoi registri conservati nell’Archivio di Stato di Parma ho trovato due lettere relative ad antiche statue che mi par utile pubblicare.
    “Magnifico domino Marco Antonio Mauroceno equiti, oratori veneto apnd serenissimum Regem Neapolitanum.”
    “Magnifico ac insignis eques tamquam frater honorande. — El nostro venerabil m. Thomaso Pasqualino mi ha richiesto in nome di V. Magnificentia due teste di marmo in dono, quale lei monstra desiderare molto di haverle: io, quantunque de alcune ci sono non ne possa disponere, per esere alcuni romani gli hanno parte: nondimeno, come desideroso di compiacere quella in assai magior cosa, sono contentissimo di donarli esse dui teste. Quale habbiano ad essere un principio et vinculo de una nostra perpetua et indissolubile confraternità et amicitia. Se non saranno quelle così belle como la meritaria aut desideraria, accepti saltem la mia bona voluntà: perchè invero niuna cosa ho tanto cara che por compiacerli et far cosa grata non me ne volese privare. Pertanto scrivo per l’aligata ad m. Rufino Gabloneta mio famigliare residente in Roma che ad omni richiesta de V. M. glie presenti davanti tutte le mie teste marmoree quale ho nele mane et a lei lassa elezere duo delle più belle meglio le piaceranno. Starà mo’ a quella a farsi la electione a suo modo. Se altro è in mi che a lei piaccia, sapia potermi tanto disponere come del proprio, alla quale mi offero et racomando. — Hostiani, ultimo Maij 1489.”

    Nella lettera seguente riservata all’agente Gabbioneta, il vescovo lo avvertiva che non mostrasse al Morosini un busto di una vecchiona che doveva essere, a parer suo, la cosa più pregevole della collezione:
    “D. Rufino Gablonete.
    Lo. etc. — Lo magnifico m. Marco Antonio Moresino oratore della Ill.ma Signoria de Venetia presso alla Maestà del re Ferrando, ne ha facto richiedere due delle nostre teste di marmore, quale sono presso di vuy, in dono: per il che havendogliene noi di bonissima voglia compiaciuto, cometiamovi che ad omne richiesta de sua Mag.tia glie presentati tute esse teste, reservata la Vechiona hauta da m. Francesco Mapheis et che gli lassati pigliare la electione di due meglio gli piaceranno, quia sic stat sententia nostra. Bene valete. — Hostiani, ultimo Maji 1489.”
  22. Arch. di Stato di Parma. Cart. Gonzaga.
  23. Arch. sudd. Cart. sudd.
  24. Arch. sudd. Cart. sudd. — Il vescovo Lodovico era appassionato assai per l’astrologia e ne’ suoi registri si trovano parecchie lettere su questo argomento dirette al noto Giovanni Sabadino degli Arienti, e agli astrologi Marco Scribanario e Pier Antonio Ilari. Credo probabile che i segni celesti fatti eseguire al Cavalli su piatti d’argento dovessero avere qualche significato astrologico, tanto più che tre anni dopo il vescovo commetteva al pittore Gian Alvise de’ Medici che gli disegnasse altri segni di costellazioni e ne scriveva così al suo cappellano, don Alberto Vassalli:
    “Mandiamovi la inclusa lista de signi celesti, quali ce fareti fare, comò facesti anche quelli da mo’ un anno: ma differentiati da quelli da mo’ un anno e similiter octo animali e figure che non fusseron facte da mo’un anno. — Gazoli svi ianuarii 1502.”
    Non essendo poi il pittore stato sollecito a compire il lavoro, il vescovo replicava, scrivendo al suo spenditore Battistino Conti: “Ritroverai Zo. Aluisio e vedrai che signi lui ha fomiti e mandali per el nostro mullatiero e instalo a fornir el resto corno più presto. — Gazoli, xxvij ianuarii 1502.”
  25. Arch. Gonzaga di Mantova. Copialettere marchionali.
  26. Arch. sudd. Cart. interno.
  27. Arch. sudd. Copialettere marchionali.
  28. Arch. di stato di Parma. Gart. Gonzaga.
    “Io. Marco Caballo. — Se haveti fornito tute quelle nostre cose haveti da fornir, mandateli per questo nostro presente cornerò overo portatelli vui et quando non glie havestive fomite, fometille como più presto. — Gazoli, 11 Augusti 1501.”
  29. Lettera del vescovo Lodovico a Giorgio Raineri, del 7 dicembre 1501, pubblicata nella biografia dell’Antico.
  30. Arch. Gonzaga di Mantova. Cart. interno. — Lettera senza data, ma che porta a tergo questa nota della segreteria marchionale: “1503, Viadana”
  31. Arch. sudd. Libri dei mandati.
    “Pro Io. Marco Caballo. — Mandato etc. concessum est Joanni Marco Oaballo de Vitelliana posse licite et impune in ceccha predicti domini nostri cudere seu cudi facere tot obolos vel ut vulgo dicitur bagatinos eneos marchionali nota, quot capiant summam ducat. centum quinquaginta, nulla prorsus cecche predicte soluta honorantia, quoniam de ea a predicto lll."** D." nostro liberam consecutus est donationem contrariis etc. — Egidius Spaniolus cane, mandante D."o relatione sp. D. Ptolomei secret, script. XXI Junij MOm, — Antimacus.”
  32. D’Arco, Delle arti e degli artefici di Mantova, tomo II, pag. 41. — Il Cavalli è il terzo fra i testimonii ed è detto “Johan Marco aurifice, fil. quondam Andreae de Caballis de Vitelliana, cive et habitat. Mantae in contrata montic. alborum.”
  33. D’Arco, op. cit., tomo II, pag. 64. — In quest’atto il Cavalli è primo fra i testimonii: “presenti egregio viro Jean. Mar. f. quondam Andree de Caballis de Vitelliana.”
  34. Cristoforo Cavalli del quondam Andrea serviva da testimonio ad una compera fatta dal Comune di Viadana dal marchese di Mantova: rogito del notaio Francesco Caleffi, del 24 novembre 1526. (Archivio comunale di Viadana, Atti del Comune, n. 7).
  35. Lettera dell’Antico alla marchesa Isabella del 15 luglio 1506, pubblicata nella biografia dell’Antico.